CAPITOLO QUINTO

IL CRISTO MEDIATORE AL PADRE

La soteriologia e la grazia sono i due argomenti nei quali l'approfondimento agostiniano fu più determinante. Agostino li illustrò contro i pelagiani e i pagani perché non venisse resa vana la croce di Cristo 1.

1. Prima di tutto la natura e l'unicità della mediazione. Cristo è mediatore come uomo 2 o, più precisamente, come Uomo-Dio: " Non è mediatore l'uomo senza la divinità, non è mediatore Dio senza l'umanità...; ma tra la divinità sola e l'umanità sola è mediatrice l'umana divinità e la divina umanità di Cristo " 3. Anzi solo l'Uomo-Dio poteva essere mediatore. Agostino lo sostiene fortemente contro la demonologia platonica 4. Il mediatore dev'essere in mezzo tra i due estremi da unire, ad essi unito e da essi distinto: tra Dio giusto e immortale e gli uomini mortali e ingiusti dev'essere giusto e mortale; giusto come Dio, mortale come gli uomini 5. Perciò Cristo, Uomo-Dio, è per tutti gli uomini mediatore di libertà, di vita, di unità e di salvezza 6. Fuori di questa via universale, " che non è mai mancata al genere umano, nessuno è stato mai liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato " 7. Questa via è stata aperta anche ai gentili, fuori d'Israele, prima della venuta di Cristo: Agostino lo nota esplicitamente 8.

2. Cristo è mediatore perché redentore. A questo proposito egli ci offre il primo saggio di teologia biblica nel quale dimostra che il motivo dell'incarnazione, secondo la Scrittura, non è altro che la redenzione degli uomini. Esaminati i testi - e ne esamina molti, oltre una sessantina - conclude che: " Il Signore Gesù Cristo non per altro motivo è venuto alla carne... se non per vivificare, salvare, liberare, redimere, illuminare coloro che prima erano nella morte, nell'infermità, nella schiavitù, nella prigionia, nelle tenebre dei peccati ". Ne segue perciò che nessuno può appartenere a Cristo se non ha bisogno della vita, della salute, della liberazione, della redenzione, dell'illuminazione 9. A questa conclusione vengono legate le tre proprietà essenziali della redenzione, che sono la necessità, perché nessuno può salvarsi senza Cristo: l'oggettività, perché non consiste solo nell'esempio di virtù da imitare, ma nella riconciliazione con Dio; l'universalità, perché Cristo è morto per tutti gli uomini, nessuno eccettuato.

Dalla teologia della redenzione Agostino deduce la teologia del peccato originale; e non al contrario, come spesso si pensa. Il peccato originale costituisce una separazione da Dio, perché Cristo ci ha riconciliati con Dio; tutti ne sono partecipi, perché Cristo ha redento tutti; non è solo imitazione del cattivo esempio di Adamo, perché la redenzione non è solo imitazione del buon esempio di Cristo. Due solidarietà dunque, di segno opposto, ma necessariamente collegate, con Adamo e con Cristo. " Tutta la fede cristiana consiste propriamente nella causa di due uomini " 10. " Uno e uno: uno che porta la morte, uno che dona la vita " 11. " Ogni uomo è Adamo, come in coloro che credono ogni uomo è Cristo " 12. Si ricorda spesso, come argomento di pessimismo, l'espressione agostiniana di " massa dannata "; ma si dimentica che per Agostino l'umanità è anche massa redenta, cioè riconciliata a Dio, come si vede dai testi citati, e, più chiaramente, da quest'altro: " Per mezzo di questo mediatore viene riconciliata a Dio la massa di tutto il genere umano da Lui alienata per mezzo di Adamo " 13. Anzi, sul piano dell'argomentazione teologica il passaggio va dalla massa redenta alla massa dannata, cioè dall'universalità della redenzione all'universalità del peccato: se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti 14; morti - così egli intende questo testo paolino che cita spesso - a causa del peccato, che nei bambini non può essere che il peccato originale 15. C'è dunque in Agostino un ottimismo di fondo, ancorato alla dottrina cristologica, la quale illumina il mistero della grazia, che si riassume nella duplice solidarietà, con Adamo e con Cristo.

3. Cristo è redentore perché sacerdote e sacrificio. Cristo fu unto sacerdote non con olivo visibile, ma " con l'unzione mistica e invisibile quando il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè quando la natura umana... è stata unita al Dio Verbo nel seno di Maria in modo da formare con Esso una sola persona " 16. Ma Cristo ha voluto essere non solo sacerdote, bensì anche sacrificio: " Per noi al tuo cospetto sacerdote e sacrificio, e in tanto sacerdote in quanto sacrificio " 17. Egli offrì al Padre un sacrificio verissimo, liberissimo, perfettissimo, con il quale " ha purgato, abolito, estinto tutte le colpe dell'umanità, riscattandoci dal potere del demonio " 18.

Per la teoria dei diritti del demonio su cui spesso s'insiste, si deve ricordare che, secondo Agostino, Cristo è morto " per compiere la volontà di un buon Padre, non per pagare il debito a un cattivo principe " 19.

 

IL CRISTO RESTAURATORE DELLA NATURA UMANA

Alla dottrina della redenzione è legata quella, come si è detto, del peccato originale, e, inoltre, quella della giustificazione, della grazia adiuvante, della predestinazione: quattro argomenti fondamentali dell'antropologia soprannaturale che Agostino approfondì in polemica con i pelagiani, facendo fare al teologia cattolica, su questi argomenti, un progresso decisivo. Per comprendere l'approfondimento agostiniano occorre tener presenti sia i termini, sia la natura della polemica. Agostino non negò ciò che i pelagiani affermavano - la bontà delle cose, il libero arbitrio, l'utilità della legge, il merito delle buone opere - ma affermò ciò che essi negavano: la redenzione, la grazia, la libertà cristiana, il dono gratuito della salvezza. È chiaro che le esigenze polemiche lo portarono ad insistere su ciò che i pelagiani negavano, ma il suo dichiarato proposito è stato quello della sintesi e dell'armonia dei contrari: la dottrina cattolica, ha detto e ripetuto, passa tra gli opposti errori dei pelagiani e dei manichei, tanto lontano dagli uni quanto dagli altri 20, come a suo tempo era passata tra quelli, pur essi opposti, dei sabelliani e degli ariani 21 e, vivente lo stesso Agostino, tra quelli dei manichei e dei gioviniani 22. Bisogna riconoscere che, pur tra le insidie della polemica e la difficoltà del linguaggio, ha mantenuto il proposito, difendendo costantemente il " la via media della verità " 23, che corre sicura tra contrari estremismi. Infatti, difese l'esistenza del peccato originale contro i pelagiani, ma ribadì la bontà di tutte le cose contro i manichei; sostenne la totale e perfetta remissione dei peccati nel battesimo, ma si oppose alla tesi pelagiana della " impeccabilità " e chiarì che la pienezza della giustificazione non è mai realizzabile qui in terra; insegnò la necessità della grazia e insieme la libera cooperazione dell'uomo, la gratuità dell'elezione divina alla vita eterna e la colpevolezza di quanti non si salvano.

Lo stesso equilibrio si riscontra nella dottrina della Chiesa, dei sacramenti, dell'escatologia.

1. Sul peccato originale (originato) operò un'importante distinzione tra esistenza e natura: difese energicamente la prima, fu cauto e prudente nella seconda.

a) L'esistenza la difese con tutti gli argomenti della teologia: biblici, liturgici, patristici, razionali.

I primi testi biblici che compaiono nei suoi scritti, rispettivamente nel 388 e nel 392, sono: 1 Cor 15, 22 24 e Rom 5, 19 25 (non dunque Rom 5, 12). Sorta la controversia pelagiana, sviluppò l'argomento biblico del fine soteriologico dell'Incarnazione 26. Anche citando Rom 5, non insiste solo sul v. 12, ma piuttosto su tutta la pericope (12-19) 27.

L'argomento liturgico del battesimo dei bambini 28 conferma e chiarisce quello biblico 29, mentre l'argomento patristico dimostra la tradizionalità della dottrina 30. In forza di questo argomento Agostino può dire: " Non sono stato io ad inventare il peccato originale che la fede cattolica crede fin dall'antichità " 31. Giuliano lo accusa di aver cambiato opinione: Agostino lo nega recisamente, rimandando l'avversario ai suoi scritti giovanili 32. L'attento studio di questi scritti gli dà ragione: il cambiamento, che del resto Agostino riconosce apertamente 33, verte sull'inizio della fede, non sul peccato originale. Su quest'ultimo punto ci fu un approfondimento teologico provocato dalla controversia pelagiana, non un cambiamento di dottrina. Se di cambiamento si vuole parlare, esso riguarda questioni secondarie, come l'interpretazione della pericope Rom 7, 14-25 34.

L'argomento di ragione, infine, invita a riflettere sull'insegnamento della fede e dimostra che il problema del male, sul piano esistenziale e storico, non si comprende senza il peccato originale (come non si supera senza la Redenzione). Infatti l'uomo, soggetto a tanti mali - dolore, morte, ignoranza, concupiscenza - evidentemente è misero; ma " sotto Dio giusto nessuno può essere misero se non lo ha meritato " 35.

b) In quanto alla natura, ne sente la profonda misteriosità 36, chiarisce il punto fondamentale, cioè che si trasmette non per imitazione, ma per propagazione 37, e ne dà questa nozione: il peccato originale è la concupiscenza congiunta al reato 38, intendendo per concupiscenza l'inclinazione dell'animo a preporre i beni temporali agli eterni 39 e per reato lo stato d'inimicizia con Dio e la privazione della vita divina 40. A torto si ripete che abbia identificato il peccato originale con la concupiscenza. Questa affermazione non risponde a verità: ha distinto tra appetito e concupiscenza: un bene quello, un male, se disordinata, questa 41; ha distinto tra concupiscenza ordinata, cioè soggetta alla ragione, e concupiscenza disordinata 42 e ha sostenuto con chiarezza e fermezza che quest'ultima, in sé, cioè senza il reato, che viene rimesso nel battesimo, o senza il consenso personale, non è peccato, anche se è un male; se si chiama peccato, è solo perché proviene dal peccato e tende ad esso 43. Con queste stesse parole esprimerà la dottrina cattolica il concilio di Trento 44.

2. A questa dottrina si ricollega quella della giustificazione, che ne è chiarimento e conferma. Per comprenderla, occorre fare, come Agostino fece, due distinzioni di fondo: una tra remissione dei peccati e rinnovamento interiore 45, l'altra tra giustificazione iniziale e giustificazione totale e definitiva 46.

La remissione dei peccati è " totale e piena ", " piena e perfetta " 47: tutti peccati vengono rimessi, nessuno escluso 48, l'uomo viene restituito all'innocenza 49. L'insistenza di Agostino su questo punto è continua. Il rinnovamento interiore, invece, è progressivo e non mai perfetto se non nella risurrezione, quando, producendo il battesimo pienamente il suo effetto, cesseranno la " mortalità " e " l'infermità ": due mali contro i quali deve combattere l'uomo, anche se giustificato, e, combattendo, progredire nella giustificazione 50. Ma, per quanto iniziale, la giustificazione cristiana importa già qui in terra la restaurazione dell'immagine di Dio, che, " stampata immortalmente nella natura immortale dell'anima " 51, il peccato aveva offuscato, anche se non distrutto 52, la vita divina della grazia 53, che lo Spirito Santo " infonde occultamente anche nei bambini " 54, la " deificazione " 55, l'inabitazione dello Spirito Santo che fa dei battezzati suoi templi, anche se non lo sanno, come appunto i bambini 56.

Nonostante questi doni sublimi, la giustificazione si compirà nell'aldilà: la nozione che Agostino ne offre, dopo un'attenta lettura del Vangelo e di San Paolo, è essenzialmente, anche se non esclusivamente, escatologica. Abbraccia tutto l'arco della storia della salvezza, vista da lui in chiave di libertà: prima del peccato c'era la " libertà minore ", che consisteva nel " poter non peccare " e " poter non morire "; poi la perdita di queste libertà, che ci vengono restituite gradualmente da Cristo; infine, dopo la risurrezione, la " libertà maggiore ", cioè il " non poter peccare " e il " non poter morire ", che sono proprietà essenziali della natura divina delle quali l'uomo, pienamente giustificato, diventa partecipe 57.

3. Intorno al tema della giustificazione gira tutta la dottrina della grazia adiuvante, che fu il punto cruciale della controversia pelagiana. Agostino ne difese la natura, la necessità, l'efficacia e la gratuità. Fu questa difesa che gli meritò il titolo di dottore della grazia.

a) Natura

La grazia in senso cristiano non è, come volevano i pelagiani, la creazione, anche se questa è un dono gratuito di Dio 58; né la legge, anche se la legge, indicandoci la via della salvezza, è un beneficio e un segno di benevolenza 59, né solo la giustificazione. A questi tre modi di parlare di grazia, che Agostino conosce e riconosce, occorre, egli dice, aggiungerne un quarto, cioè l'aiuto divino per compiere ciò che la legge comanda, per giungere alla giustificazione e perseverare in essa. " Questa grazia deve ammettere Pelagio, se vuol non solo venir chiamato, ma essere di fatto cristiano " 60.

Compito di questa grazia è rimuovere gli ostacoli che impediscono alla volontà di compiere il bene e di fuggire il male. Questi ostacoli, conseguenza del peccato originale, sono due: " l'ignoranza e la debolezza " 61. Ma poiché il maggiore è il secondo 62, la grazia adiuvante più che illuminazione dell'intelletto è mozione della volontà; è, secondo la definizione agostiniana, " l'ispirazione della carità per cui facciamo con santo amore ciò che conosciamo doversi fare " 63. L'opposizione con la concezione naturalistica dei pelagiani è netta: " ...da dove negli uomini la carità di Dio e del prossimo, se non da Dio stesso? Infatti, se non proviene da Dio, ma dagli uomini, hanno partita vinta i pelagiani; se invece proviene da Dio abbiamo vinto i pelagiani " 64.

b) Necessità

Di questa grazia Agostino difende l'assoluta necessità, sia per evitare il peccato sia per convertirsi a Dio e giungere alla salvezza. L'opposizione con i pelagiani su questo punto stava nelle conclusioni, non nei princìpi. Presupposto comune era che Dio non comanda l'impossibile. Ne concludevano i pelagiani: dunque non è necessaria la grazia; ne concludeva Agostino: dunque è necessaria la preghiera per ottenere la grazia. Solo la grazia infatti rende possibile l'osservanza dei comandamenti e solo la preghiera ottiene la grazia. " Dio non comanda l'impossibile, ma comandando ti ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi " 65; e ti aiuta perché tu possa, poiché " non abbandona se non è abbandonato " 66. Questo principio e questa conclusione furono ripresi dal concilio di Trento 67.

L'argomentazione agostiniana, oltre che sulla Scrittura, si fonda sulla liturgia e dà della liturgia di petizione - non meno essenziale di quella di lode - la ragione teologica. Motivi polemici lo portarono ad insistere su ciò che non può la natura umana senza la grazia. Sulla questione positiva, prevalentemente filosofica, discussa dagli scolastici e in funzione antiscolastica dai riformatori e dai giansenisti, il suo pensiero è chiaramente più sfumato 68.

c) Efficacia

Più difficile il tema dell'efficacia della grazia, perché tocca quello delicatissimo della libertà. Agostino ne è cosciente. La sua prospettiva è quella evangelica; motto programmatico le parole di Cristo: Se il Figlio vi libererà sarete veramente liberi 69. Le libertà cristiane sono quattro: dal peccato, dall'inclinazione al male, dalla morte, dal tempo; e apportano la giustizia, l'ordine, l'immortalità, l'eternità 70. Di queste libertà fu difensore e cantore: in chiave di questa libertà interpretò la storia 71. Ecco un testo riassuntivo sul primo punto, quello del peccato: " Annulliamo dunque il libero arbitrio per mezzo della grazia? Non sia mai! Anzi stabiliamo il valore del libero arbitrio. Infatti, come non si annulla la legge per mezzo della fede, ma se ne stabilisce il valore 72, così per il libero arbitrio e la grazia. Non si osserva la legge se non per mezzo del libero arbitrio; ma: dalla legge proviene la conoscenza del peccato, dalla grazia la sanità dell'anima dal vizio del peccato, dalla sanità la libertà del libero arbitrio, dalla libertà del libero arbitrio l'amore della giustizia, dall'amore della giustizia il compimento della legge. Perciò: come la legge non viene annullata, ma viene stabilita per mezzo della fede, perché la fede impetra la grazia con cui si osserva la legge; così il libero arbitrio non viene annullato, ma viene stabilito per mezzo della grazia, perché la grazia sana la volontà e la volontà sanata ama liberamente la giustizia " 73.

Ma se la sua prospettiva fu quella della libertà evangelica - la libertà dal male - non ignorò il problema che pone la libertà di scelta, che sarà poi l'argomento prevalente delle discussioni scolastiche. Su di esso però fu fermo nei princìpi, chiaro nelle ammonizioni, cauto nella soluzione. Sostenne che le due verità - libertà di scelta ed efficacia della grazia - devono essere difese insieme. Per questo scrisse l'opera su La grazia e il libero arbitrio 74. " Il libero arbitrio non viene tolto, perché viene aiutato; ma viene aiutato, perché non viene tolto " 75. Perciò, " chi ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te: ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole " 76. L'argomentazione si riduce a un motivo cristologico: secondo le Scritture Cristo è giudice e salvatore: " Se non c'è la grazia, come salva il mondo? se non c'è il libero arbitrio, come giudica il mondo? " 77.

Sostenne parimenti che l'armonia tra queste due verità, ambedue certe e innegabili, " è una questione difficilissima, intelligibile a pochi " 78 e motivo di angustia per tutti 79, perché difendendone una si ha e si dà l'impressione di negarne l'altra 80. Da questa constatazione nasce l'ammonimento - spesso troppo disatteso - di mantenere fermi i termini del problema anche quando non se ne vede la concordia 81.

In quanto a sé, ama arrestarsi, come al solito, alle soglie del mistero: " L'uomo viene attratto dalla grazia mirabilmente " 82. Senza per altro rinunciare ad offrire princìpi e indicazioni che aiutino ad illuminarlo. Insiste soprattutto nella " onnipotentissima " azione divina che ha in potere la nostra libera volontà più di quanto non l'abbiamo noi stessi 83 e nella " soave liberalità dell'amore " che è propria della grazia 84, la quale pertanto muove la volontà, rendendola invitta contro il male, senza violarne la libertà.

d) Gratuità

La grazia è un dono gratuito della divina benevolenza: questa è un'altra dottrina che Agostino difende contro i pelagiani 85, i quali sostenevano invece che ci viene data secondo i nostri meriti 86. Dono di Dio l'inizio della fede 87 - su questo punto riconosce di aver errato anch'egli un tempo 88 -, dono di Dio la perseveranza finale 89.

Ciò non esclude i meriti dell'uomo, ma li rende dipendenti dal dono della grazia: " Non esistono dunque i meriti dei giusti? Esistono senza dubbio, perché sono giusti. Ma non sono esistiti perché diventassero giusti ". Perciò, " quando Dio corona i nostri meriti non corona altro che i suoi doni " 90; " I meriti stessi sono un dono gratuito " 91.

4. La necessità di difendere la gratuità della grazia lo indusse ad approfondire il tema della predestinazione, che ne è la causa e la rocca inespugnabile di difesa 92. Infatti la predestinazione è, secondo la definizione agostiniana, " la prescienza e la preparazione dei benefici di Dio con i quali sono certamente liberati tutti coloro che sono liberati " 93. Nessun altro punto dottrinale di lui è stato tanto discusso quanto questo; dal tempo dei monaci di Marsiglia (semipelagiani) fino ai nostri giorni. Molti, da Godescalco (sec. VII) in poi, l'hanno interpretata in senso predestinazionista. A torto. Per capirne il pensiero occorre fermarsi ai suoi scritti, dimenticando per un momento le discussioni posteriori. Si vedrà allora che anche su questo argomento, di tutti il più difficile ed oscuro, Agostino si è studiato di rendere il senso delle Scritture, ha esposto le due verità, apparentemente contrarie, che ne esprimono il contenuto, ne ha sviluppato le conseguenze pastorali e si è arrestato, qui più che mai, alle soglie del mistero, invitando gli altri a fare altrettanto.

Il problema gli si pose e lo approfondì all'inizio dell'episcopato 94. Da allora non ebbe più dubbi sull'assoluta gratuità della predestinazione. Esempio di questa gratuità è il nostro Salvatore, l'uomo Cristo Gesù 95.

I termini apparentemente opposti (come in ogni mistero cristiano) sono: la gratuita predilezione di Dio verso gli eletti e l'amore di Dio verso tutti gli uomini. Perciò, " che alcuni si salvino è dono di chi li salva, che alcuni periscono è merito di chi perisce " 96. Queste parole del concilio di Quiercy, che respingono la doppia predestinazione, esprimono l'autentico pensiero di Agostino. Che egli abbia insistito di più sul primo dei due termini, è ovvio; ma è certo che non ha negato, anzi che ha ribadito anche il secondo.

Infatti: a) ha enunciato il principio universale secondo il quale Dio è " ordinatore e creatore di tutte le cose naturali, ma dei peccati ordinatore soltanto " 97. Dio perciò può condannare, non può causare l'iniquità 98; b) ha distinto tra predestinazione e prescienza, chiarendo che i peccati sono oggetto della prescienza divina, non della predestinazione 99; c) ha sostenuto che la giustizia di Dio esige che non ci sia pena senza colpa: " Dio è buono, Dio è giusto: perché è buono, può liberare alcuni senza meriti; perché è giusto, non può condannare nessuno senza demeriti " 100; d) ha messo in rilievo, soprattutto, che Cristo, testimonianza suprema dell'amore di Dio verso gli uomini 101, è morto per tutti, anche per quelli che di fatto non si salveranno 102. Dio dunque è Padre di tutti gli uomini e vuole che tutti giungano alla salvezza. Questa conclusione è tanto evidente che i predestinaziani di tutti i tempi l'hanno negata, hanno negato cioè l'universalità della redenzione, riaffermata invece contro di loro dalla dottrina cattolica.

Occorre ricordare, poi, che la dottrina agostiniana sulla gratuità della predestinazione è dominata da tre presupposti: uno esegetico (l'interpretazione di s. Paolo 103), uno escatologico (i " fini propri " delle due città, così diversi e ambedue eterni 104), uno teologico-metafisico (l'onnipotenza dell'azione divina, la quale, se non può salvare chi non vuole, può cambiare ognuno, senza violarne la libertà, da nolente in volente 105). In base a questi principi dev'essere esaminata la dottrina agostiniana, se non si vuole fraintenderla.

Dagli stessi principi dipende l'interpretazione esegeticamente restrittiva che negli ultimi anni dà del testo paolino 1 Tim 2, 4, particolarmente nell'ultimo anno 106, che svela l'aspetto più profondo del mistero. Dio infatti ha in serbo sempre una grazia che nessun cuore, per quanto duro, respinge; perché è data per togliere appunto la durezza del cuore 107. Perché non la usa per tutti, ma permette che alcuni si perdano? È questa la tormentosa domanda che Agostino si pone, alla quale confessa di non saper rispondere. E chi lo potrebbe? S'inchina però umilmente al mistero 108 e ripete il suo atto di fede con le parole di Paolo: C'è forse iniquità presso Dio? 109, aggiungendo di suo questo commento: " La grazia non può essere ingiusta, né può essere crudele la giustizia " 110.

Non omette però di mostrare il significato pastorale del mistero stesso. Esso aiuta il cristiano ad evitare gli opposti scogli della salvezza, che sono la presunzione e la disperazione 111, ne alimenta l'umiltà e la fiducia - " Viviamo più sicuri se in tutto ci abbandoniamo a Dio " 112 - e lo invita alla preghiera 113 e all'azione 114.

L'aspetto pastorale è anche qui tra i più profondi dell'agostinismo; ma è stato spesso, purtroppo, disatteso; non senza gravi conseguenze per l'esatta interpretazione del pensiero agostiniano.

Questa, nelle sue linee essenziali, la dottrina di Agostino sulla grazia. Sarà tanto più facile comprenderla nella sua reale portata, quanto più si avrà cura di tenerla fuori dalle discussioni posteriori, sia scolastiche che controversiste.