I temi intorno ai quali si svolge la filosofia agostiniana sono indicati da Agostino stesso in una delle sue prime opere, i Soliloqui, dove si chiede: " Che cosa vuoi conoscere? ", e risponde: " Desidero conoscere Dio e l'uomo ". Insiste: " Niente più? "; risponde di nuovo: " Assolutamente niente più " 1. Da questa impostazione, che non esclude la conoscenza del mondo sensibile ma la ordina, come a proprio fine, alla conoscenza dell'uomo, che del mondo sensibile è corona e sacerdote 2, nasce la celebre preghiera: " O Dio che sei sempre lo stesso, ch'io conosca me e conosca Te " 3.
Prima di considerare separatamente questi due temi che sono, come si vede, di portata universale, giova osservare che per Agostino stanno sempre strettamente uniti: egli studia l'uomo per conoscere Dio e riflette su Dio per conoscere l'uomo. Fulcro di tutte le considerazioni è l'uomo fatto ad immagine di Dio: l'immagine rimanda all'esemplare e l'esemplare all'immagine. Le due grandi questioni che si pongono sono - Agostino le pose esistenzialmente all'inizio delle Confessioni -: che cosa sia Dio per l'uomo e che cosa sia l'uomo per Iddio 4. Le due questioni non possono, non debbono essere separate.
Nel discorso agostiniano la trascendenza divina va sempre congiunta all'immanenza: i due aspetti vengono stretti nell'unità con formule efficacissime come queste: " Dio è l'interno-eterno " 5, " remotissimo e presentissimo " 6; " altissimo e vicinissimo " 7; " più intimo della mia parte più intima e più alto della mia parte più alta " 8; il più interno di ogni cosa, perché tutte le cose esistono in lui; e il più esterno, perché è al di sopra di tutte le cose 9. Presente e assente: perché presente lo conosciamo, perché assente lo cerchiamo.
Non si può dunque pensare alla trascendenza senza pensare all'immanenza: Dio è l'Essere, e perciò trascende, per sua natura, tutto; ma è ancora potenza creatrice, e perciò presente, per sua natura, in tutto, specialmente nell'uomo. Per capire Dio occorre pensare all'uomo, per capire l'uomo occorre pensare a Dio.
Ne segue che non ha fondamento l'affermazione di chi sostiene che Agostino abbia lasciato nell'ombra l'uomo per fissarsi totalmente in Dio. L'antropologia non è una preoccupazione esclusiva degli studiosi moderni: fu anche la sua, e su di essa gettò molta luce d'intelligibilità. In realtà egli fu il filosofo dell'uomo al pari che di Dio. Vediamo, sia pur brevemente, l'uno e l'altro.
Agostino ha descritto spesso l'itinerario della mente a Dio, non tanto per dimostrarne l'esistenza - negare l'esistenza di Dio è, così egli pensa, " una pazzia di pochi " 10 -, quanto per meditare su un argomento tanto importante e confermare con la ragione la fede 11.
L'itinerario agostiniano è, sostanzialmente, sempre lo stesso: "va dalle cose esteriori alle interiori, dalle inferiori alle superiori " 12, ha cioè tre momenti dei quali ecco la sintesi. Il primo è la considerazione delle cose sensibili: " interroga il mondo " 13. L'uomo interroga il mondo fissando la sua attenzione su di esso e scoprendone l'ordine, il movimento, la bellezza: " Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza " 14. La loro risposta è unanime: " Non siamo noi il tuo Dio, cerca sopra di noi " 15. Il secondo è il ritorno in se stessi: " torna in te stesso ", perché " nell'uomo interiore abita la verità " 16. Il terzo finalmente è il " trascendi anche te stesso " per trovare Dio che è sopra l'uomo, Dio Essere, Verità e Amore, perché l'uomo è anch'esso essere, pensiero, amore.
Benché uno nella sua sostanza, l'itinerario agostiniano si può dividere in tre vie convergenti secondo la forma, triadica appunto, dello spirito umano: la via dell'essere, la via della verità, la via dell'amore.
La prima va dal mutabile all'immutabile. La percorsero gli stessi filosofi pagani. Essi interrogarono i corpi, e videro che ogni corpo è mutabile; passarono all'anima, e trovarono che anch'essa è mutabile; trascesero l'anima cercando qualcosa d'immutabile; e così pervennero a conoscere Dio: " Ebbero l'intuizione che il Dio sommo non è nulla di ciò che diviene " 17. Agostino v'insiste: " Devi sorpassare non solo tutto ciò che è visibile, ma anche tutto ciò che è mutabile... se vuoi raggiungere Dio " 18. La forza probante di questa via sta nel terzo principio ricordato sopra: solo l'immutabile è l'essere per essenza; ma chi cerca Dio, cerca l'essere per essenza.
La seconda via - che si può chiamare, purché non lo si intenda in senso esclusivo, più propriamente agostiniana - parte dall'autocoscienza e, attraverso le verità irrecusabili universali e necessarie che splendono alla mente, arriva alla Verità che le contiene tutte e ne dà la ragione: " Perciò non potrai assolutamente negare - conclude Agostino un lungo discorso sulla conoscenza umana sensibile ed intellegibile studiata in vista dell'ascesa verso Dio - che esista la Verità immutabile che contiene tutto ciò che è immutabilmente vero, una verità di cui non si possa dire che è tua o mia o di un altro uomo, ma che è universalmente accessibile e si mostra, come luce mirabilmente esposta e nascosta a un tempo, a tutti coloro che conoscono gl'immutabili veri " 19.
Questa via viene riassunta in un celebre testo del De vera religione dove si dice: " Non andare al di fuori di te, rientra in te stesso: nell'uomo interiore abita la verità. E se troverai che anche la tua natura è mutabile, trascendi te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che tu trascendi uno spirito che ragiona. Tendi dunque là da dove si accende il lume della ragione " 20. In questo modo si arriva alla Verità per cui son vere tutte le cose che son vere 21. Una via, questa, che si può percorrere partendo da qualunque verità, anche quella semplicissima, come fa Agostino, dell'autocoscienza per cui l'uomo sa di essere, di vivere, di pensare. Questo fatto lo indusse a scrivere, nel momento in cui scoprì per la prima volta la luce intelligibile ed immutabile sopra la sua mente, quelle forti parole che la citazione di Rom 1, 20 non snervano ma chiariscono: " Avrei più facilmente dubitato della mia vita che dell'esistenza della Verità, che si vede comprendendola attraverso le cose che sono state fatte " 22.
Il fondamento metafisico di queste parole sta in quelle altre riguardanti l'impossibilità del dubbio assoluto, e perciò dell'evidenza di almeno una verità - la verità del dubbio -, evidenza che deriva dalla verità illuminante la nostra mente. " Chiunque sa di dubitare, sa una cosa vera, e di questa è certo, dunque è certo del vero. Pertanto, chi dubita se la verità esiste, ha in sé (nel suo dubbio) una verità di cui non dubita. Ora, nulla è vero se non in forza della Verità; perciò non può dubitare della Verità chi ha potuto dubitare di qualunque altra cosa " 23.
La terza via ha un duplice movimento, quello che parte dalla considerazione della bontà delle cose e quello che scende nel profondo dello spirito umano per scrutarne le aspirazioni. Tutte le cose che noi amiamo sono buone, ma la loro bontà è una qualità accidentale; non sono perciò il bene al quale necessariamente rimandano. " Tu non ami certamente che il bene:... buona è la terra... buono il cibo... buona la salute... buono l'uomo giusto... buone le ricchezze... Questo è buono, quello è buono. Sopprimi il questo e il quello, e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la sua bontà da un altro bene, ma è il Bene di ogni bene..., il Bene che non è altro che bene (il bene bene) " 24.
Verso questo bene è proteso lo spirito umano con la sua stessa natura. L'uomo infatti è, per natura, un essere inquieto - " inquieto è il nostro cuore " -, finché non aderisca al sommo Bene 25. "La sua indigenza " è tale che non può essere soddisfatta se l'uomo non diventa beato, ma " a soddisfarla nulla è sufficiente se non Dio " 26. O esiste, dunque, il sommo Bene che spieghi e soddisfi la tensione costitutiva dell'uomo o l'uomo è un essere senza significato, senza scopo, senza senso.
Ognuna delle tre vie - che sono, come si è detto, convergenti, partendo dall'universo e soprattutto dall'uomo, che ne riassume e col pensiero e l'amore ne supera le perfezioni - termina in una delle tre nozioni fondamentali con cui concepiamo Dio: Essere, Verità, Amore. Dio pertanto appare come l'unica spiegazione dell'uomo quale essere esistente, pensante, amante.
Questa certezza fa dire ad Agostino che " tanta è l'evidenza della vera divinità che non può rimanere del tutto nascosta alla creatura ragionevole che sia in grado ormai di usare la ragione " 27.
Ma, se " a nessuno è concesso d'ignorare Dio, a nessuno è permesso di conoscerlo così com'egli è " 28: Dio è ineffabile. Agostino insiste sulla teologia apofatica: " Se comprendi, non è Dio " 29; nota però che " non è un piccolo indizio della conoscenza di Dio se, prima di conoscere che cosa egli è, cominciamo a sapere cosa non è " 30.
Il testo classico a questo proposito è quello del De Trinitate: " Concepiamo Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità, al primo posto senza collocazione, contenente tutte le cose senza esteriorità, tutto presente dappertutto senza luogo, sempiterno senza tempo, autore delle cose mutevoli pur restando assolutamente immutabile, estraneo ad ogni passività. Chiunque concepisce Dio in questo modo, sebbene non possa ancora scoprire perfettamente ciò che è, evita almeno con pia diligenza, per quanto può, di attribuirgli ciò che non è " 31.
La ragione è che quando si tratta di Dio c'è un grande divario tra la parola, " il pensiero e la realtà, in quanto il pensiero è più vero della parola e la realtà più vera del pensiero " 32. Pertanto " alla maestà divina converrebbe più un onorifico silenzio che l'umana parola, qualunque essa sia " 33. Ma dovendone parlare, occorre farlo con un profondo senso del mistero " rispettando la ineffabilità di quella maestà " 34, a cui si conviene " più la pia confessione dell'ignoranza che la professione della scienza " 35.
3) La nostra conoscenza di Dio
Ma l'uomo vuol conoscere Dio, per quanto può, anche positivamente. Agostino lo esorta a farlo con l'esempio e le parole, tra le quali quelle del celebre imperativo: " Ama molto di capire " (intellectum valde ama) 36. La via è triplice; cioè, come sarà chiamata più tardi, dell'affermazione, della negazione, dell'eminenza. Questa triplice via si trova riassunta in un testo delle Confessioni: " Tu dunque, Signore, li creasti (il cielo e la terra), tu che sei bello, poiché sono belli; che sei buono, poiché sono buoni; che sei, poiché sono. Non sono così belli, né sono così buoni, né sono così come tu, loro Creatore, al cui confronto non sono belli, né sono buoni, né sono " 37.
Egli stesso scrive pagine sublimi sulle perfezioni divine 38, insistendo, in particolare, sull'assoluta semplicità: " In Dio l'essere e l'avere sono la stessa cosa, con lui una sola cosa tutti gli attributi " 39; sull'immensità: " Dio è dovunque, dovunque tutto, e in se stesso tutto dovunque " 40; sull'onnipotenza, che ha creato tutto dal nulla e tutto fa rientrare nell'ordine; sulla scienza, della quale possiamo avere una qualche idea se togliamo dalla scienza umana la mutabilità e il passaggio da pensiero a pensiero o, meglio, se tentiamo di pensarla senza questi limiti: " Quando dunque avrò sottratto tutto questo e lasciato solo la vivacità di una verità certa e inconcussa che con un'unica ed eterna visione contempla tutte le cose, anzi non lo avrò lasciato perché questo nella scienza umana non c'è, ma, per quanto è possibile, lo avrò pensato, mi balena in qualche modo l'idea della scienza di Dio " 41.
Inoltre tra la scienza umana e quella divina c'è quest'altra differenza, " sorprendente ma vera ", che le cose non potrebbero da noi essere conosciute se non esistessero; al contrario esse non potrebbero esistere se Dio non le conoscesse 42. Occorre ricordare infine che la nozione più alta di Dio che Agostino propone è presa, come si è detto sopra, dall'Esodo: Dio è Colui che è sommamente, cioè l'Essere stesso. Questa nozione altissima si può intuire in qualche modo ma non spiegare. " Che cos'è, dice Agostino al suo popolo, l'Essere stesso? Come lo definirò se non l'Essere stesso? Se ne siete in grado, fratelli, capite che cosa sia l'Essere stesso, perché quanto a me, qualunque altra parola volessi aggiungere, non direi più di ciò che dico con l'espressione Essere stesso " 43.
Perciò contro il dualismo manicheo egli rimanda, come ad argomento definitivo ed irrefutabile. all'Io sono Colui che sono dell'Esodo (3, 14), per concluderne che nulla può essere contrario a Dio, perché nulla può avere l'essere, qualunque esso sia, se non da Colui che sommamente è. " Dio infatti, che è la somma essenza, vale a dire, è sommamente, e perciò è immutabile, ha dato l'essere alle cose che ha creato dal nulla, non l'essere sommo come egli stesso è, ma ad alcune ne ha dato di più, ad altre di meno, ordinando così, per gradi, la natura degli esseri " 44. Tra questi, al più alto grado del mondo sensibile, l'uomo.
È il secondo epicentro del pensiero agostiniano. Il vescovo d'Ippona lo scrutò con l'occhio acuto del metafisico e dello psicologo e non finì mai di stupirsene. Per lui l'uomo è un grande abisso e un grande problema, ed è un grande problema appunto perché è un grande abisso. Vediamo perciò, anzi tutto, il primo aspetto.
a) Primo motivo di stupore è la natura stessa dell'uomo composto di materia e di spirito. Su questo punto, che è essenziale all'antropologia e sul quale il nostro filosofo ha raggiunto posizioni molto diverse e molto lontane da quelle platoniche, si possono formulare alcune brevi proposizioni. Sommariamente queste:
1) Il corpo appartiene alla natura dell'uomo; separarnelo è insipienza (anche qui la parola forte è di Agostino, non mia 45).
2) L'uomo è infatti " una sostanza razionale composta di anima e di corpo " 46.
3) L'anima è nata per informare il corpo a cui partecipa il movimento, la vita e l'essere 47.
4) L'unione tra l'anima e il corpo è tanto profonda che riesce misteriosa e quasi incredibile 48.
5) Nell'anima separata v'è sempre " l'appetito naturale a reggere il corpo, appetito che la ritarda in qualche modo e le impedisce di tendere con tutte le forze verso il cielo supremo ", cioè verso la visione di Dio 49.
L'unione dunque tra l'anima e il corpo, lungi dall'essere violenta come volevano i platonici, è tanto naturale e profonda da doversi considerare sostanziale. Se in Agostino non c'è l'espressione, c'è la dottrina. La sostanza dell'uomo è composta di anima e di corpo: " Nulla c'è nell'uomo che appartenga alla sua sostanza e alla sua natura fuori del corpo e dell'anima " 50; " la persona umana è dunque l'unione - Agostino dice mixtura - dell'anima e del corpo " 51: è questa unione che costituisce qualcosa di sorprendente e di misterioso per la mente umana 52.
Contro i platonici, che consideravano il corpo carcere dell'anima, risponde proponendo una importante distinzione tra l'ordine naturale e quello storico, cioè tra il corpo come tale, che l'anima è destinata ad informare, e il corpo nella sua condizione presente, cioè il corpo corruttibile - sull'origine della corruttibilità egli discuterà a lungo nella controversia pelagiana -: è questo il corpo che costituisce un peso per l'anima, non quello. " Non il corpo, ma il corpo corruttibile è oneroso all'anima " 53. Questo fatto, cioè la diversità tra il corpo e il corpo corruttibile, costituisce un grosso problema dell'antropologia. Ma di questo appresso.
È un errore considerare la dottrina agostiniana sul composto umano tributaria del platonismo, almeno quella della maturità. Se vogliamo parlare di dipendenza, questa bisogna stabilirla con l'insegnamento cristiano, particolarmente con quello della risurrezione dei corpi, insegnamento che non aveva senso per i platonici e che essi di fatto deridevano. Agostino invece lo difende energicamente proponendo la nuova concezione dell'uomo, anima e corpo 54.
b) Il secondo motivo di stupore è costituito dalle meraviglie del corpo umano e dalla capacità delle mente: basta rileggere alcune pagine della Città di Dio, dove, oltre le capacità inesauribili della mente umana, vengono descritte, con profonda ammirazione, la potenza della fecondità, così occulta e così meravigliosa, l'armonia del corpo e la bellezza delle sue parti, anche le più intime. Sono pagine di alta poesia. Chi le ha scritte non può essere un pessimista.
c) Un altro - il terzo - nasce dalle profondità abissali della memoria. Lo sa chi ha letto almeno una volta il testo delle Confessioni: " Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura. In realtà io non riesco a comprendere tutto ciò che sono... Ciò mi riempie di gran meraviglia, lo sbigottimento mi afferra. Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell'Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi. Non li meraviglia ch'io parlassi di tutte queste cose senza vederle con gli occhi; eppure non avrei potuto parlare senza vedere i monti e le onde e i fiumi e gli astri che vidi, e l'Oceano, di cui sentii parlare, dentro di me, nella memoria " 55.
d) Eppure siamo ancora nel mondo del sensibile: nella memoria non ci sono i corpi, ma le immagini dei corpi. Il passaggio dal mondo sensibile a quello intelligibile aggiunge stupore a stupore: Agostino lo sentì quando, ammonito dai neoplatonici, scoprì nel suo mondo interiore, sopra la sua mente mutabile, la luce immutabile della verità. Si rileggano le Confessioni: " Entrai e scorsi con l'occhio della mia anima... sopra la mia intelligenza, una luce immutabile... Non questa luce comune... (ma) una cosa diversa, molto diversa " 56. Diversa non per gradi ma per natura.
e) È inutile dire che dalla scoperta della luce intelligibile dipende la dimostrazione della spiritualità dell'anima e della sua immortalità. Della prima lo spirito acquisisce la certezza attraverso l'autocoscienza: " quando lo spirito conosce se stesso, conosce la sua sostanza; e quando è certo di sé, è della sua sostanza che è certo " 57. L'errore di chi ritiene che l'anima sia corporea sta nell'attribuirle ciò che non rientra nella testimonianza dell'autocoscienza. L'autocoscienza non attesta che lo spirito è terra o acqua o fuoco o qualche altra cosa di corporeo, ma soltanto che è, pensa ed ama; di questo solo infatti è certo; esso dunque è questo solo, nient'altro: un essere che pensa ed ama, il quale pensando e amando è illuminato da una luce non corporea ma intelligibile e immutabile.
Anche l'immortalità è legata alla presenza della verità, che è immortale, nello spirito. Agostino ne parla a lungo nei Soliloqui, riassumendo l'argomento così: " Tutto ciò che esiste in un soggetto, se è immortale, è necessario che il soggetto nel quale esiste sia pur esso immortale. Ma ogni scienza esiste nell'animo come in un soggetto. È dunque necessario che l'animo sia immortale, se è immortale la scienza. Ma la scienza è la verità, e la verità, come abbiamo dimostrato, non può perire " 58. O più enfaticamente in una lettera: " E se l'anima muore? Allora anche la verità muore... " 59.
Non è possibile fermarsi più a lungo su questi punti, pur fondamentali, dell'antropologia agostiniana. Giova continuare a scoprirne le meraviglie.
f) Dall'interiorità è inseparabile la socialità. Rientrando in se stesso l'uomo non scopre solo la verità - " nell'uomo interiore abita la verità " 60 -, ma anche la misteriosa capacità d'amare, che, come un peso - è questa la celebre metafora agostiniana 61 -, lo porta al di fuori di sé, verso l'altro. Egli si riconosce naturalmente socievole 62, anzi sente che la socialità rappresenta una parte essenziale della sua persona. " Nessuno è tanto sociale, per natura, quanto l'uomo, anche se - aggiunge Agostino, e vedremo il perché -, nessuno è tanto, quanto lui, antisociale per vizio " 63.
g) L'interiorità e la socialità, che il nostro filosofo non separa mai, trovano il loro fondamento nella tesi più profonda dell'antropologia: l'uomo immagine di Dio.
Questa immagine " è impressa immortalmente nella sostanza immortale dell'anima " 64 (si noti questa forte espressione agostiniana: l'averla dimenticata è stata causa di gravi errori interpretativi), tanto che il peccato può deformarla ma non distruggerla 65.
Essa dunque è nell'anima, non nel corpo. Vittima com'era stato dell'inganno manicheo, Agostino lo ripete con forza. " Dove l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio? Nell'intelletto, nello spirito, nell'uomo interiore, in ciò per cui intuisce la verità, distingue la giustizia dall'ingiustizia, sa da chi è stato fatto, può conoscere il suo creatore e lodarlo " 66.
Altrove si esprime lapidariamente così: l'uomo è creato ad immagine di Dio " non nei lineamenti del corpo ma per la particolare capacità di comprendere che ha la mente illuminata (dalla verità) " 67. Ne segue che essendo l'uomo immagine di Dio, " è la creatura più sublime di tutte: sopra di essa non c'è che il Creatore " 68. Ne segue altresì che sia, naturalmente, la creatura più vicina e più congiunta a Dio 69.
h) Questa tesi diventa oggetto di maggiore meraviglia quando, approfondendola, il vescovo d'Ippona si accorge che l'uomo è immagine di Dio-Trinità, in quanto c'è in lui, nell'unità dello spirito, una triade che si può esprimere così: mente, conoscenza, amore; oppure, in maniera più evidente: memoria, intelligenza, volontà. "Quando lo spirito si conosce e si ama - così scrive Agostino nel De Trinitate, di cui molti libri sono destinati a spiegare quest'immagine -, il suo verbo gli è unito tramite l'amore. E poiché ama la conoscenza e conosce l'amore, il verbo è nell'amore e l'amore nel verbo, e tutti e due nello spirito che ama e che dice il verbo " 70. Questo richiamo all'uomo immagine di Dio-Trinità, se è svolto ampiamente nell'opera sulla Trinità, appare per la prima volta, come questione, nelle Confessioni. Da quel momento Agostino (siamo verso il 400), fedele al principio di studiare insieme, sempre, Dio e l'uomo, avrà in cima a tutte le sue riflessioni questo richiamo. L'opera stessa sulla Trinità è scritta, principalmente, per questo.
i) Qui basti ricordare che egli ricollega la grandezza suprema dell'uomo a questo suo essere immagine di Dio. Perché immagine di Dio, l'uomo è capace di Dio, cioè ha la capacità naturale di essere elevato alla visione immediata di Dio, che vuol dire incontro del finito con l'Infinito: " Esso è immagine di Dio in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui " 71. " Per questo l'uomo è una grande (e meravigliosa) natura perché è capace della somma natura, e può esserne partecipe " 72. È questo, a mio parere, l'apice della filosofia agostiniana sull'uomo: più in alto non si può andare.
1) All'uomo capace di Dio fa seguito, come necessaria conseguenza, l'uomo bisognoso di Dio, che è l'altra tesi che rende ragione, insieme alla prima, della sublime grandezza dell'uomo: perché capace di Dio l'uomo non ha né può avere altro oggetto della sua beatitudine che Dio, l'Assoluto, l'Eterno. Oltre il testo fondamentale delle Confessioni e quello della Città di Dio, ricordati sopra, si veda il libro 19º di quest'ultima opera, dei 22 che la compongono forse il migliore, che svolge ampiamente, contro i filosofi pagani, il tema della beatitudine e del suo oggetto.
Altri temi dell'antropologia agostiniana sono: la libertà, le passioni, il linguaggio. Anch'essi motivo di grande stupore.
m) Che Agostino abbia difeso la libertà contro i manichei lo sanno tutti, ma non tutti sono convinti che l'abbia difesa anche durante la controversia pelagiana e nella stessa controversia pelagiana, cioè quando era tutto impegnato nella difesa della grazia.
Liberatosi dall'illusione manichea che gli aveva fatto credere che le sue opere buone o cattive non erano sue ma dei due princìpi (due anime) che erano in lui, riconobbe per esperienza personale che era egli stesso a volere o non volere: " Ero io a volere, io a non volere; io, io ero. Non volevo pienamente né pienamente non volevo: da ciò nasceva la lotta con me stesso " 73.
Poco dopo questa esperienza scrisse un'opera, il De libero arbitrio, per dimostrare che la volontà umana è essenzialmente libera, cioè ha in suo potere i propri atti. " La nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere. In realtà perché è in nostro potere è per noi libera " 74. Un poco più tardi ne scrisse un'altra, questa volta contro la tesi fondamentale dei manichei, il De duabus animabus contra Manichaeos, dove, ripetuta la stessa affermazione - " se non c'è il libero arbitrio non c'è la volontà " - e, sostenendo che dove non c'è libera volontà non c'è peccato, continua: " Non è questo forse che cantano i pastori sui monti, i poeti nei teatri, gli indotti nei circoli, i dotti nelle biblioteche, i vescovi nei luoghi sacri, il genere umano nell'orbe terrestre? " 75. Si comprende allora perché con tanta premura ammonisca il suo popolo a non trovare scuse nei propri peccati, ma a dire con sincerità e schiettezza: " Dio mi ha dato il libero arbitrio; se ho peccato, io ho peccato... io, io, non il fato, non la fortuna, non il diavolo " 76.
Nella Città di Dio, quando la controversia pelagiana era cominciata da qualche anno, difende contro Cicerone la prescienza divina e, insieme a lui, la libertà umana. " Noi ", scrive, " abbracciamo l'una e l'altra verità, l'una e l'altra confessiamo con fedeltà e veracità... la prima per creder bene - un Dio che non prevede il futuro non sarebbe Dio -, la seconda per vivere bene " 77. E spiega come la prescienza divina non tolga la libertà 78: lo aveva spiegato anche molto tempo prima, nel De libero arbitrio, con l'esempio della memoria: " Come tu con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri " 79. Importantissima tanto l'affermazione che la spiegazione. Molte volte gli interpreti non hanno tenuto presente, purtroppo, né l'una né l'altra, ed hanno attribuito con disinvoltura al vescovo d'Ippona teorie nettamente contrarie al suo pensiero e alle sue parole.
Nella stessa controversia pelagiana, poi, la sua cura costante fu quella di affermare sia la libertà dell'uomo sia la necessità della grazia (per questo all'inizio scrisse un'opera dal titolo: De natura et gratia, e verso la fine un'altra dal titolo altrettanto significativo: De gratia et libero arbitrio); ebbe cura altresì di raccomandare, senza stancarsi, di mantenere ferme le due verità (senza la prima si sovverte tutta la vita umana, senza la seconda tutta la vita cristiana), anche quando non si comprenda come possano stare insieme 80. Si ha torto quando si sostiene che Agostino abbia sacrificato la libertà per difendere la grazia. La grazia, scrive con forza il dottore della grazia, aiuta la volontà perché non venga meno di fronte alle debolezze della sua natura, non la toglie. Tornerò sull'argomento. Per ora basti questo solo testo: " Il libero arbitrio non viene tolto perché viene aiutato, ma viene aiutato, appunto, perché non viene tolto " 81.
n) Altro capitolo dell'antropologia agostiniana, che dimostra non meno degli altri, anche se in modo diverso, la complessità dell'uomo, è quello delle passioni. Il nostro dottore ne ha parlato spesso e a lungo. Si può considerare un trattato sulle passioni il libro 14º della Città di Dio. Vi sostiene contro i manichei, i platonici e gli stoici la nozione delle passioni propria della filosofia e della teologia cristiana. L'una e l'altra, secondo Agostino che le vede sempre unite in una simbiosi profonda, mettono in rilievo questi punti fondamentali: la bontà delle passioni in se stesse, la radice volontaristica delle passioni disordinate, la riduzione delle passioni all'amore, l'opposizione tra l'amore e la cupidigia.
Il corpo, o - come dice la Bibbia - la carne, non è l'origine di tutti i mali. Il corpo appesantisce, è vero, l'azione dell'anima, ma il corpo corruttibile. Ora il corpo è diventato corruttibile a causa del peccato commesso dalla libera volontà 82. Non è giusto pertanto prendersela con il corpo. Le quattro celebri passioni - il desiderio e il timore, la letizia e la tristezza - sono buone in sé. Tutto dipende da quale sia la volontà dell'uomo: " Se essa è perversa, questi movimenti saranno perversi; se invece sarà retta, questi movimenti non solo non saranno colpevoli, ma saranno anche degni di lode " 83.
Tali passioni, pertanto, riducendosi alla volontà s'identificano con l'amore. " Perciò la volontà retta è un amore buono, la volontà perversa è un amore cattivo. L'amore che aspira a possedere ciò che ama, è desiderio; quando lo possiede e ne gode è letizia; quando fugge ciò che gli ripugna, è timore; quando sente ciò che accade, è tristezza. Questi sentimenti sono dunque cattivi quando l'amore è cattivo, buoni quando l'amore è buono " 84. Non è vero, poi, come vogliono gli stoici, che nell'animo dell'uomo sapiente non ci sia posto per la tristezza. Del resto, parlando delle passioni, i filosofi pagani " mostrano d'amare più la disputa, più le parole che la realtà " 85.
Le passioni in quanto sono conformi alla ragione non sono vizi 86. Ma nell'uomo ci sono passioni disordinate, che sono perciò vizi, contro le quali deve combattere la ragione. Il primo peccato dell'uomo non è nato da queste passioni, ma queste passioni sono nate, per la legge della giustizia divina, dal primo peccato: alla disobbedienza della ragione a Dio, è seguita, come pena, la disobbedienza delle passioni alla ragione. Esse infatti si muovono verso il bene piacevole senza nessun riguardo al bene onesto, cioè fuori della ragione e, spesso, contro la ragione. Da qui la lotta " civile " nell'uomo.
Queste passioni disordinate sono chiamate, biblicamente, concupiscenza o cupidigia. In una interminabile - e interminata - polemica Agostino sostiene che la concupiscenza, in quanto disordinata, è un male; non già che sia peccato, benché sia nata dal peccato e tenda al peccato, ma un male perché, inclinando e spingendo al male, costringe l'uomo a combattere per non peccare. Pertanto la vita morale dell'uomo consiste in questo combattimento contro la concupiscenza a favore della carità. " L'aumento della carità è la diminuzione della cupidigia; la perfezione è l'assenza della cupidigia " 87. In altre parole: l'ordine deve regnare nell'uomo; esso, violato dalla concupiscenza, dev'essere restituito dall'amore; ma l'ordine non può essere mai restituito perfettamente in questa vita. L'antropologia trova la sua ultima risposta nell'escatologia. Di questo appresso.
L'uomo non è solo un grande abisso, ma è anche - occorre dirlo subito - un grande problema. Questo nasce dal profondo contrasto che corre tra la sua grandezza e la sua miseria. Queste due realtà stanno tra loro in proporzioni inverse. Agostino lo sente e lo descrive: è tanto attento per la prima (la grandezza) quanto sensibile per la seconda (la miseria). Chi, a causa dei forti colori con i quali descrive la miseria, lo accusa di pessimismo, mostra di non aver compreso che questo deriva dall'altissima idea che ha della grandezza umana e, perciò, del divario, naturalmente incolmabile, che corre tra questa grandezza e la condizione storica.
Filosofo dell'ordine e della pace, egli osserva che nell'uomo mancano l'una e l'altra, e manca la pace perché manca l'ordine. È colpito da tre fatti, che sono poi tre enigmi che attraversano la vita dell'uomo e la storia dell'umanità.
a) Enigma della morte. Si chiede: da dove e perché la separazione violenta - " la ripugnanza per la morte non nasce da una congettura ma dalla natura " 88 - tra due elementi, i quali, benché molto diversi tra loro, sono destinati a costituire la natura, l'unica natura dell'uomo? Se " la legge eterna, impressa in noi, è quella per cui è giusto che tutte le cose siano in ordine perfetto " 89, perché questo disordine nell'uomo?
b) Enigma della lotta tra la carne e lo spirito. Per la stessa ragione egli è colpito dalla divisione, anzi, spesso, dal contrasto tra la ragione e il senso o, come dice S. Paolo, tra la carne e lo spirito. Si domanda: da dove e perché questa divisione, questo contrasto, per cui nell'uomo è così forte l'inclinazione al male e così difficile il compimento del bene? perché queste due leggi opposte tra loro, quella del senso e quella dello spirito?
c) Enigma dello squilibrio tra ciò che l'uomo è e ciò che vuole. Ma c'è un terzo motivo che aggrava il problema: lo squilibrio tra ciò che l'uomo necessariamente ama e ciò che inevitabilmente trova. Ama la vita, e trova la morte; ama la verità, e cade tante volte nell'errore o è tormentato dal dubbio; ama di amare, e trova l'avversione, l'odio, l'offesa. Tre grandi mali che rispondono così drammaticamente alle tre grandi, insopprimibili inclinazioni dell'uomo: essere, conoscere, amare.
Non c'è bisogno di dire che qui si tratta non di mali che l'uomo volontariamente compie - questi dipendono dalla sua libera volontà -, ma dei mali, gravi e molti, che involontariamente soffre. Da dove e perché questi mali? Contro i manichei, dopo lunghe fatiche, aveva trovato la soluzione metafisica - male = privazione di bene-; ma qui il problema è un altro, è quello storico, esistenziale: quella soluzione metafisica, in sé giustissima, non bastava più. E non basta. Il problema diventa più grave se si pensa, come Agostino giustamente pensava, che la divisione dell'uomo in se stesso è la causa della divisione dell'uomo dall'uomo, divisione, questa seconda, da cui derivano tutte le conseguenze drammatiche per la storia dell'umanità. Si pensi ai contrasti, agli odi, alle guerre. Non si ripeterà mai abbastanza questa verità: dalla divisione interiore, le divisioni esteriori, quelle sociali. Infatti Agostino deriva da quella le due città - la città degli iniqui e la città dei giusti -, che sono sempre mescolate e pur sempre divise fra loro, perché fondate rispettivamente sull'amore " privato " e sull'amore "sociale " 90. Ne segue che l'essere più sociale per natura, qual è l'uomo, perché aperto con l'amore verso l'altro e destinato per generazione a costituire con l'altro, con tutti gli altri, una sola famiglia, diventa l'essere più antisociale, perché si chiude in se stesso con l'amore " privato " e si oppone a tutti gli altri quando non riesce ad assoggettarli al suo egoismo.
Quale la soluzione di questi tormentosi problemi? Agostino conobbe quella dei manichei, quella dei neoplatonici e, più tardi, quella dei pelagiani, ma le giudicò tutte, per un verso o per un altro, apertamente errate. Era convinto, e non a torto, che su questi argomenti la ragione ha più domande da porre che risposte da dare. La risposta pertanto la cercò più in alto, nella fede. Se nella controversia manichea insistette sulla soluzione metafisica, in quella pelagiana insisterà sulla soluzione esistenziale: l'una e l'altra contribuiranno a dare una risposta, quella vera, al terribile problema del male, che diventa angoscioso e drammatico quando si applica all'uomo e alla sua storia.
Infine un altro problema, che Agostino non sciolse mai, è quello dell'origine immediata delle anime. Dico immediata. Che l'anima, la prima, sia stata creata immediatamente da Dio, per Agostino non costituiva problema. Posta la creazione come origine delle cose, diventava evidente: l'anima non è particella di Dio, come volevano i manichei, ma creata da Dio 91. Il problema nasceva per le anime di tutti gli uomini dopo il primo. Queste sono create immediatamente da Dio o procedono per generazione spirituale dall'anima dei genitori come il corpo procede dal corpo per generazione materiale? Agostino non seppe dare mai una risposta a questa domanda. Il suo pensiero oscillò sempre tra il creazionismo e il traducianesimo spirituale (spirituale, dico, perché l'altro, quello materiale, che secondo lui era stato difeso da Tertulliano, lo respinse sdegnosamente come una " pazzia " 92) e difese anche, contro critici superficiali, questa sua oscillazione 93, benché come filosofo non nascose le sue simpatie per il creazionismo 94 e come teologo cercò di capire la trasmissione del peccato originale in ambedue le ipotesi 95. In altre parole egli confessò ripetutamente di non trovare nella Scrittura un testo decisivo né un argomento evidente nei princìpi della ragione. Merita attenta considerazione questo fatto. Da una parte Agostino, una volta raggiunto lo spiritualismo, non mette più in dubbio, anzi difende energicamente la spiritualità dell'anima 96; dall'altra non trova in questa spiritualità una ragione valida per negare il generazionismo spirituale 97.