LA GENESI DIFESA CONTRO I MANICHEI

LIBRO SECONDO

Si trascrive il secondo capitolo della Genesi.

1. 1. Dopo l'enumerazione e l'esposizione dei fatti dei sette giorni la Scrittura inserisce una specie di conclusione e chiama "libro della creazione del cielo e della terra" tutto ciò che aveva detto prima, pur essendo una piccola parte del libro, che però ha potuto giustamente esser chiamato così poiché in questi sette giorni è rappresentata, per così dire, una piccola immagine di tutto quanto il mondo, dal principio alla fine della sua creazione. In seguito comincia un racconto più puntuale relativo all'uomo; tutto questo racconto però non viene esposto apertamente ma in senso figurato al fine di esercitare coloro che ricercano la verità e distoglierli dalle realtà carnali, per rivolgerli a quelle spirituali. Ecco dunque come si esprime: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di arbusti dei campi prima che fossero sopra la terra e ogni sorta di graminacee dei campi prima che germinassero. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non v'era uomo che la lavorasse. Ora, una sorgente sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra. Dio allora plasmò l'uomo col fango della terra e soffiò nel suo volto un alito vitale: così l'uomo divenne un essere vivente. Dio allora piantò il paradiso nell'Eden a Oriente e vi mise l'uomo ch'egli aveva plasmato. Dio poi fece spuntare ancora dalla terra ogni specie d'alberi belli a vedersi e buoni a mangiarsi, e in mezzo al paradiso piantò l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva dall'Eden e irrigava il paradiso, d'onde si divideva formando quattro bracci. Il nome del primo è Fison: esso scorre attorno a tutto il paese di Evilath, dove c'è l'oro, e l'oro di questa terra è assai pregiato; qui c'è anche il carbonchio e la pietra onice. Il secondo fiume si chiama Geon: esso scorre intorno a tutto il paese dell'Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre verso l'Assiria. Il quarto fiume si chiama Eufrate. Il Signore Dio prese poi l'uomo ch'egli aveva fatto e lo mise nel paradiso, perché lo lavorasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando ad Adamo dicendogli: "Di tutti gli alberi del paradiso tu potrai mangiare, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non dovrete mangiarne, poiché nel giorno che ne mangerete, morirete certamente. Il Signore poi disse: "Non è bene che l'uomo sia solo; facciamogli un aiuto simile a lui". Condusse allora ad Adamo ogni sorta di bestiame minuto, di bestie selvatiche e di uccelli che volano nel cielo, che Dio aveva plasmati per vedere come li avrebbe chiamati, in qualunque modo Adamo chiamò ognuno degli animali viventi, questo è il suo nome. Adamo allora impose il nome a tutte le bestie minute, a tutti gli uccelli del cielo, a tutte le bestie selvatiche, e come Adamo li chiamò, così si chiamano ancora fino ad oggi. Adamo però non aveva ancora un aiuto simile a lui. Allora Dio fece scendere in Adamo un sonno profondo, gli tolse una delle costole e riempì la cavità con la carne, e con la costola tolta ad Adamo formò una donna e la condusse ad Adamo, per vedere come l'avrebbe chiamata. Adamo allora disse: "Adesso costei è l'osso delle mie ossa e carne della mia carne. Essa sarà chiamata "donna", poiché è stata tratta dal suo uomo; essa sarà il mio aiuto. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne". Ora, entrambi Adamo e sua moglie, erano nudi, ma non ne sentivano vergogna 1.

Il terzo capitolo della Genesi.

1. 2. Il serpente però era la più astuta di tutte le bestie fatte dal Signore Dio ch'erano sulla terra. Il serpente chiese alla donna: "Per qual motivo vi disse Dio di non mangiare di nessun albero del paradiso?". Rispose la donna: "D'ogni sorta di alberi che sono nel paradiso potremo mangiarne, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al paradiso Dio ci ha detto di non mangiarne, né toccarlo per farci evitare la morte". Ma il serpente disse alla donna: " Voi non morirete affatto: anzi Dio sapeva che il giorno in cui lo mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come gli dèi che conoscono il bene e il male". La donna vide allora che l'albero era buono da mangiare, piacevole agli occhi per vederlo e per acquistare conoscenza, prese del frutto dell'albero e ne mangiò e ne diede a suo marito. Adamo lo prese e lo mangiò. Allora si aprirono i loro occhi e si accorsero di essere nudi; presero delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture attorno ai fianchi. Avendo poi sentito la voce di Dio che passeggiava nel paradiso verso sera, Adamo e sua moglie si nascosero alla faccia del Signore Dio presso l'albero ch'era in mezzo al paradiso. Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli chiese: "Dove sei?", e quello rispose: "Ho udito, Signore, la tua voce nel paradiso e ho avuto paura e mi sono nascosto perché sono nudo". Dio rispose: "Chi ti ha fatto conoscere d'esser nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'albero dal quale solo t'avevo proibito di mangiare?". Adamo rispose: "La donna che tu mi hai data, mi ha dato da mangiarne e io ne ho mangiato". Dio allora disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?". La donna rispose: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato". Il Signore Dio disse allora al serpente: "Poiché hai fatto ciò, tu sei maledetto più di tutto il bestiame minuto e più di tutte le bestie selvatiche. Tu striscerai sul tuo petto e sul tuo ventre, e polvere mangerai tutti i giorni della tua vita. Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la stirpe tua e la stirpe di lei. Essa spierà la tua testa e tu il suo calcagno". Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e i tuoi gemiti e partorirai figli con dolore. Verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma egli avrà il dominio su di te". Dio allora disse ad Adamo: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero del quale solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta la terra per quanto riguarda i tuoi lavori e nel dolore e nei gemiti ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi ti produrrà e mangerai il tuo pane fino a quando non tornerai nella terra dalla quale sei stato tratto, poiché sei terra e in terra tornerai". Adamo allora diede a sua moglie il nome di "Vita", poiché è la madre di tutti i viventi. Dio fece allora ad Adamo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì, e disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi grazie alla conoscenza del bene e del male". Ora, perché Adamo non allungasse la mano all'albero della vita e ne mangiasse e così vivesse per sempre, il Signore Dio lo scacciò dal paradiso di delizie, affinché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Quello poi, scacciato dal paradiso, fissò la sua dimora di fronte al paradiso di delizie, Dio però pose i cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire la via dell'albero della vita 2.

La Genesi non può essere esposta alla lettera in tutti i passi.

2. 3. Se i manichei preferissero esaminare queste espressioni piene di significati misteriosi, non già criticandole ed accusandole, ma cercando di capirle e accogliendole con rispetto, non sarebbero di certo manichei ma, se chiedessero, sarebbe loro dato e, se cercassero, troverebbero, e se bussassero, sarebbe loro aperto 3. In effetti, a proposito di questo racconto della Scrittura pongono più quesiti coloro che cercano di sapere con religiosa diligenza che non codesti individui miserabili ed empi, con la differenza però che quelli cercano per trovare, costoro invece si preoccupano solo di non trovare quello che cercano. Tutto questo racconto della Scrittura dev'essere dunque esaminato anzitutto in senso conforme alla storia e in secondo luogo in senso profetico. Secondo la storia vengono narrati dei fatti compiuti, secondo la profezia invece vengono preannunciate delle realtà future. Certo, se uno vorrà intendere alla lettera tutto ciò che dice la Scrittura, ossia non intenderlo diversamente dal significato letterale e potrà evitare bestemmie e affermare ogni cosa conforme alla fede cattolica, non solo non glielo si potrà impedire, ma dovrà essere stimato come una persona eccellente e molto lodevole per la sua capacità di comprendere. Può darsi, al contrario, che non ci sia alcuna possibilità d'intendere le affermazioni della Scrittura in un senso conforme alla fede e in un modo degno di Dio, se non credendole presentate sotto forma simbolica ed enigmatica; in tal caso, poiché abbiamo l'autorità degli Apostoli, dai quali vengono risolti tanti enigmi relativi ai libri dell'Antico Testamento, dovremo attenerci alla norma che teniamo davanti alla nostra mente, con l'aiuto di Colui che ci esorta a chiedere, a cercare e a bussare. Potremo in tal modo spiegare tutte queste realtà simboliche riguardanti la storia e la profezia che il Signore si degnerà di rivelare per mezzo mio o per mezzo di altri.

Che cosa significa la verzura dei campi in Gen 2, 5.

3. 4. Fu fatto dunque il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di arbusti della steppa prima che fossero sulla terra e ogni. sorta di graminacee della campagna 4. In precedenza sono contati sette giorni, ora invece si parla d'un solo giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di cespugli della steppa e ogni specie di graminacee; sotto il nome di quest'ultimo giorno s'intende a ragione ch'è indicato tutto quanto il tempo. Dio infatti creò tutto il tempo insieme con tutte le creature temporali, le creature cioè visibili che sono indicate col nome di "cielo e terra". A ricercare, poi, ci deve spingere il fatto che, dopo aver nominato il giorno, che fu fatto, e il cielo e la terra, la Scrittura soggiunge anche gli arbusti della steppa e ogni sorta di erbe. Ecco qui: allorché la Scrittura dice: Nel principio Dio fece il cielo e la terra, non dice anche che fu fatta ogni specie di cespugli e ogni specie d'erbe dei campi; si legge infatti a chiare note che ogni specie di arbusti e d'erbe dei campi fu creata il terzo giorno. L'espressione della Scrittura: Nel principio Dio fece il cielo e la terra non si riferisce a nessuno dei sette giorni. La Scrittura infatti denotava, ancora con l'espressione "cielo e terra" la materia stessa, a partire dalla quale furono fatte tutte le cose, o per lo meno, con quell'espressione "cielo e terra" stabiliva solo un enunciato preliminare dell'insieme delle creature, dicendo: Nel principio Dio fece il cielo e la terra, e poi, passandole in rassegna singolarmente, lungo la successione ordinata dei giorni, com'era conveniente, espose le opere di Dio in vista della profezia da noi ricordata nel primo libro 5. Che cosa dunque significa il fatto che adesso, dopo aver menzionato "il cielo e la terra", aggiunse i cespugli della steppa e le erbe e passa sotto silenzio tante cose che sono nel cielo e sulla terra oppure nel mare, se non che mediante i cespugli dei campi vuol farci intendere la creatura invisibile, com'è l'anima? Nelle Scritture infatti il mondo suol essere chiamato "campo". Così, anche il Signore in persona, esponendo la parabola del seme buono mescolato con la zizzania, dice: Il campo è questo mondo 6. Chiama dunque cespugli dei campi la creatura spirituale e invisibile per esprimere il vigore della vita e col termine pabulum ("nutrimento") intendiamo giustamente la stessa cosa certamente a causa della vita.

3. 5. Quanto poi alla frase che la Scrittura aggiunge: prima che fossero sulla terra, viene intesa nel senso di "prima che l'anima peccasse", poiché, essendo stata insozzata dalle passioni terrene, a ragione può dirsi nata sulla terra ed essere sulla terra; ecco perché la Scrittura soggiunge: Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra.

Che significa: Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra (Gen 2, 5).

4. 5. Anche adesso infatti Dio crea i cespugli dei campi ma facendo piovere sulla terra; fa cioè rinverdire le anime mediante la sua parola, ma li irriga con l'acqua delle "nubi", cioè con le Scritture dei Profeti e degli Apostoli. A buon diritto poi sono chiamate nubi, poiché queste parole che passano dopo essere state pronunciate e dopo aver percosso l'aria, sono una specie di nuvole, avvolte come sono da una certa, per così dire, caligine, per il fatto che vi si aggiunge anche l'oscurità delle allegorie. Quando però con la spiegazione se ne spreme il significato, sulle persone che le intendono come si deve, viene versata, diciamo così, la pioggia della verità. Questo però ancora non succedeva prima che l'anima peccasse, prima cioè che sulla terra esistesse l'erba dei campi. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra né c'era uomo che la lavorasse 7. In realtà all'agricoltura è necessaria la pioggia delle nubi, delle quali è stato già detto. L'uomo poi cominciò a coltivare la terra e ad aver bisogno delle nubi dopo il peccato. Prima del peccato, al contrario, avendo Dio già creato gli arbusti dei campi e le erbe - termini questi che simboleggiano, come abbiamo già detto, la creatura invisibile - la irrigava con la sorgente interiore, parlando cioè alla sua intelligenza; in tal modo essa non riceveva le parole solo esteriormente come una pioggia discendente dalle suddette nubi, ma veniva saziata con l'acqua sgorgante dalla sua propria sorgente, ossia dall'intimità del proprio spirito.

La sorgente che irrigava la terra (Gen 2, 6) in senso allegorico.

5. 6. Una sorgente infatti - dice la Scrittura - sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra 8. Sgorgava naturalmente dalla terra di cui il Salmista dice: La mia speranza sei tu, la mia sorte sei tu nella terra dei viventi 9. Quando però l'anima veniva irrigata da questa sorgente, non aveva ancora gettato via l'intimo del proprio cuore a causa della superbia. Poiché l'inizio della superbia dell'uomo è allontanarsi da Dio 10. E poiché, gonfiandosi per superbia verso l'esterno, non fu più irrigato dalla sorgente intima, giustamente l'uomo viene schernito con le parole d'un profeta e gli viene detto: Perché mai s'insuperbisce chi è terra e cenere? Nella sua vita infatti gettò via il proprio intimo 11. Orbene, che cos'altro è la superbia se non abbandonare l'intimo segreto della coscienza e desiderare d'apparire ciò che non si è? Ecco perché, affannandosi ormai nella coltivazione della terra, l'uomo ha bisogno delle piogge cadute dalle nubi, cioè dell'insegnamento impartito con parole umane, al fine di potere anche, in tal modo, rinverdire sottraendosi all'aridità e diventare di nuovo verzura dei campi. Ma volesse il cielo che accogliesse volentieri dalle stesse nubi anche la pioggia della verità! Poiché per farla piovere nostro Signore si degnò di assumere la nube della nostra carne, sparse la pioggia del santo Vangelo in larghissima abbondanza e promise altresì che, se uno berrà dell'acqua di lui, tornerà a quell'intima sorgente, per non cercare la pioggia al di fuori. Poiché egli afferma: Diventerà in lui sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna 12. È questa - penso io - la sorgente che sgorgava dalla terra prima del peccato e irrigava tutta la superficie della terra, poiché era interiore e non aveva bisogno dell'aiuto delle nubi. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra né v'era l'uomo che la coltivasse 13. Infatti, avendo detto: Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, soggiunge anche la causa per cui non aveva ancora fatto piovere sulla terra: Poiché non v'era l'uomo che la coltivasse. Ora, l'uomo cominciò a coltivare la terra quando, dopo il peccato, fu scacciato dalla felicità che godeva nel paradiso. Così, infatti, sta scritto: Il Signore Dio allora lo scacciò dal paradiso di delizie, affinché coltivasse la terra dalla quale era anche stato tratto 14; cosa questa ch'esamineremo a suo luogo 15. Ma io l'ho ricordata adesso perché comprendessimo che all'uomo che lavora nella terra, che cioè si trova nell'aridità dei peccati, è necessario - come la pioggia che cade dalle nubi - l'insegnamento divino impartito con parole umane. Questa scienza però sarà annullata. Adesso infatti noi vediamo in modo confuso, come se andassimo cercando il vital nutrimento nell'oscurità, allora invece vedremo a faccia a faccia 16, quando tutta la superficie della nostra terra sarà irrigata dalla sorgente interiore dell'acqua zampillante. Se infatti la sorgente, di cui sta scritto: Una sorgente inoltre sgorgava dalla terra ed irrigava tutta la superficie della terra 17 volessimo intenderla come una sorgente d'acqua visibile, non sarebbe verosimile che si fosse seccata solo quella che irrigava tutta la superficie della terra, dal momento che si trovavano tante sorgenti perenni sia di ruscelli che di fiumi per tutta la terra.

Con quali vocaboli sono denotate le realtà invisibili.

6. 7. Con queste poche frasi ci viene dunque indicata tutta la creazione prima del peccato commesso dall'anima. Infatti con l'espressione "cielo e terra" viene indicato tutto l'insieme delle creature visibili e, col termine "giorno", è indicata tutta l'estensione del tempo, mentre con l'espressione "arbusti ed erbe dei campi" vengono indicate le creature invisibili, con quella di "sorgente che sgorgava ed irrigava tutta la superficie della terra" viene indicata la sovrabbondanza della verità che saziava l'anima prima del peccato. Questo "giorno", col quale termine abbiamo detto che viene indicato tutto quanto il tempo, ci mostra che non solo le creature visibili ma anche quelle invisibili possono avere la percezione del tempo. Questa cosa ci viene manifestata a proposito dell'anima che, a causa d'una così gran varietà delle sue passioni e della stessa caduta per cui è diventata infelice, e a causa della redenzione per cui torna di nuovo a essere felice, si dimostra irrefutabilmente esser mutabile nel tempo. Ecco perché la Scrittura non dice soltanto: Dopo che fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra 18, frase con cui ci si vuol fare intendere la creatura visibile, ma soggiunge altresì: gli arbusti e le erbe dei campi 19, frase con cui - l'abbiamo già detto - viene simboleggiata la creatura invisibile a motivo del vigore e della vita, com'è l'anima. La Scrittura inoltre dice: Dopo che fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie dì arbusti e di erbe dei campi, per farci intendere, così, che non solo la creatura visibile, ma anche quella invisibile, ha rapporto col tempo a causa della mutabilità, poiché immutabile è solo Dio che esiste prima del tempo.

Creazione dell'uomo col fango della terra.

7. 8. Dopo questo insegnamento relativo alla creazione di tutte le cose, tanto visibili che invisibili, e il beneficio universale della sorgente divina verso la creatura invisibile, vediamo che cosa la Scrittura voglia farci capire in modo speciale a proposito dell'uomo, insegnamento che interessa soprattutto noi. Innanzitutto il fatto che Dio plasmò l'uomo col fango della terra 20 suole far sorgere il seguente quesito: "Di che specie era quel fango o qual materia è indicata col termine "fango"?". Gli avversari dell'Antico Testamento, poiché considerano tutto con occhio carnale e perciò sbagliano sempre, sono soliti criticare aspramente il fatto che Dio plasmò l'uomo col fango. Dicono infatti: "Perché mai Dio fece l'uomo col fango? Gli mancava forse una materia più nobile e celeste, per formarlo tanto fragile e mortale con la sozzura della terra?". Costoro non capiscono innanzitutto in quanti sensi il termine "terra" o "acqua" è usato nelle Scritture; il fango infatti è una mescolanza di acqua e di terra. Orbene, noi diciamo che il corpo umano divenne fiacco, fragile e destinato alla morte solo dopo il peccato. Costoro infatti, riguardo al nostro corpo, hanno in orrore soltanto la condizione per cui esso è soggetto alla morte, da noi meritata per castigo. Ora, anche se Dio fece l'uomo col fango di questa terra, quale cosa straordinaria tuttavia o difficile sarebbe stata per lui rendere il corpo dell'uomo tale da non esser soggetto alla corruzione, qualora l'uomo, osservando il precetto di Dio, non avesse voluto peccare? Noi infatti diciamo che la bellezza dello stesso cielo fu creata dal nulla o a partire dalla materia informe, poiché crediamo che il Creatore è onnipotente; che c'è allora di strano se il corpo, fatto dall'Artefice onnipotente in modo che nessuna molestia, nessuna indigenza tormentasse l'uomo prima del peccato e non si decomponesse per causa di alcuna corruzione?

Con il fango fu creato da Dio l'uomo intero o solo il corpo?

7. 9. È quindi inutile discutere con quale materia Dio fece il corpo umano, ammesso tuttavia che in questo passo la Scrittura parli della formazione del corpo. lo so infatti che alcuni nostri esegeti la pensano così; essi dicono che, dopo aver detto: Dio plasmò l'uomo col fango della terra 21, la Scrittura non soggiunge: "a propria immagine e somiglianza", perché ora si parla solo della formazione del corpo umano. Veniva invece indicato l'uomo interiore quando la Scrittura disse: Dio fece l'uomo a propria immagine e somiglianza 22. Ma forse possiamo anche intendere che pure in questo caso l'uomo fu fatto di corpo e di anima, in modo che con questa espressione si spieghi non l'inizio di una nuova opera, ma la ripresa più accurata di quella indicata in precedenza. Se dunque -come ho detto - in questo passo intendiamo che l'uomo fu fatto di corpo e di anima, non è illogico che la stessa mistione ricevesse il nome di fango. Poiché, allo stesso modo che l'acqua unisce insieme, cementa e tiene unita la terra quando, dalla mescolanza con questa, viene formato il suo fango, così l'anima, vivificando la materia del corpo, la conforma in un'unità armonica e non permette che si corrompa e si dissolva.

Che significa l'insufflazione dello spirito?

8. 10. La Scrittura prosegue dicendo: Dio allora infuse in lui il soffio vitale e l'uomo divenne un'anima vivente 23. Se il corpo era ancora solo, in questo passo dobbiamo intendere che l'anima fu unita al corpo. Essa era forse già stata creata, ma era ancora nella bocca di Dio, cioè nella verità e sapienza di lui, da cui tuttavia non si allontanò come se fosse stata separata da un luogo, poiché Dio non è racchiuso in un luogo ma è presente dappertutto. Si potrebbe anche supporre che l'anima fu creata allorché Dio infuse in quell'argilla plasmata da lui il soffio vitale, sicché quell'insufflazione indica la stessa operazione con cui Dio creò l'anima mediante lo spirito della propria potenza. Se, al contrario, l'uomo ch'era stato fatto, era già corpo ed anima, con questa insufflazione fu aggiunta alla stessa anima la facoltà di pensare e conoscere, quando l'uomo divenne un'anima vivente, non perché quell'insufflazione si fosse cambiata in un'anima vivente, ma perché rese vivente l'anima. Dobbiamo però intendere che l'uomo, il quale era diventato anima vivente, non era diventato ancora spirituale, ma era ancora animale. Divenne infatti spirituale quando, collocato nel paradiso, cioè nella felicità, ricevette anche il precetto della perfezione, perché diventasse perfetto osservando la parola di Dio. Per conseguenza dopo ch'ebbe peccato, allontanandosi dal precetto di Dio, fu espulso dal paradiso, e rimase nello stato animale. Ecco perché portiamo in noi prima l'uomo animale tutti noi che siamo nati da lui dopo il peccato, fin quando non arriveremo a essere come l'Adamo spirituale, che è nostro Signore Gesù Cristo che non commise peccato 24 e, da lui rigenerati e vivificati, saremo ricollocati nel paradiso ove il ladrone meritò d'essere con lui il giorno in cui terminò questa vita 25. Così infatti dice l'Apostolo: Non ci fu prima il corpo spirituale, ma quello animale. Come sta scritto: Il primo uomo, Adamo, divenne un'anima vivente, ma l'ultimo Adamo è costituito spirito vivificante 26.

Che cos'è lo spirito umano secondo la Scrittura.

8. 11. In conseguenza questo passo della Scrittura che dice: Dio infuse in lui il soffio vitale e l'uomo divenne un'anima vivente 27, dobbiamo interpretarlo in modo da non credere che quella - chiamiamola così - parte della natura di Dio si fosse cambiata nell'anima umana e in modo da esser costretti a dire che la natura di Dio è mutevole, come affermano cotesti manichei i quali però riguardo al loro errore sono messi dalla verità con le spalle al muro. La superbia infatti, poiché è la madre di tutti gli eretici, per questo costoro hanno osato affermare che l'anima è la natura di Dio. Costoro però vengono messi da noi alle strette col seguente argomento, quando diciamo: "La natura di Dio allora sbaglia, è infelice e viene corrotta per il guasto causato dai vizi e pecca, oppure - come affermate voi - è macchiata dalle turpitudini della natura contraria ad essa, e tutte le altre affermazioni di tal genere sulla natura di Dio, ch'è un'empietà crederle". È infatti evidente che è stata creata dall'onnipotente Dio e pertanto non è una parte di Dio né la natura di Dio, come attesta la Scrittura in un altro passo, là ove il Profeta dice: E colui che ha plasmato lo spirito per tutti. conosce ogni cosa 28. In un altro passo poi dice: Colui che ha formato lo spirito dell'uomo nel suo intimo 29. Da questi testi dunque si prova all'evidenza che lo spirito dell'uomo è stato creato. Nelle Scritture poi viene chiamato "spirito dell'uomo" la facoltà razionale della stessa anima, grazie alla quale differisce dagli animali bruti e li domina per legge di natura. Dello spirito così dice l'Apostolo: Nessuno conosce ciò che si trova nell'uomo se non lo spirito dell'uomo ch'è in lui 30. Può darsi però che pur ammettendo, in base ai testi della Scrittura, che l'anima è stata creata, alcuni potrebbero affermare che lo spirito dell'uomo non è stato creato e credere ch'esso è della stessa natura di Dio e ritenere che una parte di Dio s'era cambiata in esso quando fu fatta quella insufflazione. Questa opinione è rigettata allo stesso modo dalla sana dottrina, poiché lo stesso spirito dell'uomo fa intendere chiaramente d'essere mutevole, dato che talora sbaglia, tal'altra invece pensa ragionevolmente, cosa questa che non si può assolutamente credere della natura di Dio. Non può inoltre esserci un segno più chiaro della superbia, del fatto cioè che l'anima affermi d'essere della stessa sostanza di Dio, dal momento che geme ancora, oppressa com'è da un così gran peso di difetti e di miserie.

Le delizie del paradiso in senso allegorico.

9. 12. Vediamo ormai adesso, che cos'è propriamente la felicità dell'uomo simboleggiata col nome di "paradiso". Ora, siccome un riposo delizioso degli uomini si trova di solito in luoghi ombreggiati da alberi, e da Oriente si leva la luce per i nostri sensi corporei e si eleva il cielo ch'è un corpo superiore e più eccellente del nostro corpo, ecco perché con queste parole vengono esposte in senso allegorico anche le delizie spirituali che sono proprie della felicità, e il paradiso viene piantato a Oriente. Dobbiamo poi intendere le nostre gioie spirituali come simboleggiate in ogni albero bello per la vista dell'intelligenza e buono per il cibo incorruttibile, di cui si nutrono le anime beate; il Signore infatti dice: Procuratevi il cibo che non si corrompe 31, com'è ogni riflessione, che è il cibo dell'anima. A Oriente, luce di sapienza nell'Eden, cioè nelle delizie immortali assaporabili dall'intelligenza. Si dice infatti che la parola "Eden", tradotta dall'ebraico in latino, significa "delizia" o "piacere", oppure "gioia". Ma la Scrittura la usa senza tradurla in modo che sembra indicare un luogo e rende, così, più allegorica la parola. Ogni specie poi di alberi spuntati dalla terra l'interpretiamo nel senso di gioia spirituale, che si eleva cioè al di sopra della terra e non è ricoperta e soffocata dai grovigli delle passioni terrene. L'albero della vita piantato in mezzo al paradiso è invece simbolo della sapienza, grazie alla quale l'anima deve capire d'essere stata stabilita, per così dire, al centro delle cose perché, sebbene abbia sotto di sé tutta la natura corporea, comprenda tuttavia che al di sopra di sé c'è la natura di Dio, e non si volga né a destra arrogandosi ciò ch'essa non è, né a sinistra avendo sconsideratamente scarsa stima di ciò ch'essa è; ecco ciò che simboleggia l'albero della vita piantato nel mezzo del paradiso. L'albero della conoscenza del bene e del male è invece simbolo della natura intermedia e dell'ordinata integrità dell'anima. In realtà anche quell'albero era piantato in mezzo al paradiso e perciò è chiamato albero della conoscenza del bene e del male. Mi spiego: l'anima deve protendersi verso le realtà che stanno davanti a lei, cioè verso Dio, e dimenticare quelle che stanno dietro di lei 32, cioè verso i piaceri corporali; se invece si volgerà verso se stessa abbandonando Dio e vorrà godere del proprio potere, come se Dio non esistesse, si gonfierà di superbia che è l'inizio di ogni peccato. Quando poi a questo peccato tiene dietro il castigo, l'anima impara per propria esperienza quale differenza corre tra il bene da essa abbandonato e il male in cui è caduta. E ciò sarà per essa l'aver gustato il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Le viene dunque ingiunto di mangiare d'ogni albero del paradiso, ma di astenersi dall'albero in cui è il discernimento del bene e del male, cioè di non goderne mangiandone, per così dire, in modo da non violare e corrompere l'ordinata integrità della propria natura.

Senso allegorico dei quattro fiumi dei paradiso.

10. 13. Ora, un fiume scaturiva dall'Eden, cioè dalle delizie, dai piaceri e dai pasti; questo fiume viene indicato dal Profeta nei Salmi allorché dice: Li disseti al torrente delle tue delizie 33; poiché questo è l'Eden che in latino si chiama voluptas cioè "piacere". Esso si divide in quattro bracci e simboleggia le quattro virtù cardinali, cioè la prudenza, la fortezza, la temperanza e la giustizia. Si dice poi che il Fison sia il Gange, il Geon invece sia il Nilo, come si può riscontrare anche nel profeta Geremia; ora però sono chiamati con altri nomi, allo stesso modo che ora si chiama Tevere il fiume che prima si chiamava Albula. Il Tigri e l'Eufrate, al contrario, conservano ancora adesso lo stesso nome; tuttavia, come ho detto, questi nomi simboleggiano virtù dello spirito; ciò è indicato anche dal significato degli stessi nomi se si considera la lingua ebraica o siriaca. In questo modo Gerusalemme, sebbene sia una località visibile della terra, tuttavia, in senso mistico, significa "città della pace", e Sion, sebbene sia un colle sulla terra, tuttavia significa "contemplazione". Questo nome per altro nelle allegorie delle Scritture è spesso usato in senso metaforico per indicare delle realtà spirituali. Così, quando il Signore parla di quel tale che scendeva da Gerusalemme a Gerico e fu lasciato dai briganti sulla strada ferito, malconcio e mezzo morto 34, ci costringe a intendere queste località terrene proprio in senso spirituale, sebbene nel senso letterale si trovino sulla terra.

I quattro fiumi rapportati allegoricamente alle quattro virtù cardinali.

10. 14. La prudenza significa dunque la stessa contemplazione della verità che non può essere espressa da nessun linguaggio umano, perché è inesprimibile e, se uno volesse spiegarla a parole, potrebbe concepirla nella mente anziché esprimerla a parole; nel paradiso infatti anche l'Apostolo udì parole indicibili che a nessuno è possibile ripetere 35. Questa prudenza percorre dunque la terra che possiede l'oro, il rubino e lo smeraldo, cioè la regola del vivere che, purificata - per così dire - coi fuoco da tutte le immondezze terrene, diventa splendente come l'oro più fine. Questa prudenza possiede anche la verità, la quale non è offuscata da nessuna falsità, come lo splendore del rubino non è offuscato dalla notte; essa possiede ancora la vita eterna simboleggiata dal verde vivo dello smeraldo per il vivido splendore che non diminuisce giammai. Il fiume poi che gira intorno all'Etiopia, regione assai calda, anzi torrida, è simbolo della fortezza ardente e operosa per lo zelo dell'attività. Il terzo fiume, il Tigri, scorre in direzione dell'Assiria ed è simbolo della temperanza che lotta contro il piacere che si oppone assai fortemente ai suggerimenti della prudenza; per questo motivo nelle Scritture gli Assiri sono nominati di solito come gli avversari. Quanto al quarto fiume la Scrittura non dice in direzione di quale regione scorre o quale terra percorre, poiché la giustizia si estende a tutte le facoltà dell'anima in quanto essa è l'ordine e l'equilibrio dell'anima, per il quale si uniscono in perfetta armonia queste tre virtù; la prima è la prudenza, seconda la fortezza, terza la temperanza: in tutta questa unione e disposizione consiste la giustizia.

Il lavoro dell'uomo nel paradiso; la donna fatta per aiuto dell'uomo.

11. 15. Riguardo al fatto che l'uomo fu messo nel paradiso perché lo lavorasse e lo custodisse, quel lavoro era più onorevole che faticoso poiché ben diverso è il lavoro ch'era svolto nel paradiso da quello che si svolge sulla terra, lavoro questo al quale l'uomo fu condannato dopo il peccato. Che specie di lavoro fosse quello è indicato dalle parole seguenti: per custodirlo. Infatti nella condizione tranquilla della felicità, in cui non c'è la morte, tutta l'attività consiste nel mantenere ciò che si possiede. L'uomo ricevette anche il precetto del quale abbiamo parlato già in precedenza 36. Dato che questo precetto si conclude con una frase che non si riferisce a una sola persona - la Scrittura infatti dice: Ma il giorno che ne mangerete, morrete di certo 37 - la stessa Scrittura espone come fu fatta la donna e dice che fu fatta per aiuto dell'uomo, perché grazie all'unione spirituale producesse frutti spirituali, vale a dire le opere buone compiute a gloria di Dio quando l'uomo dirige e la donna ubbidisce, l'uomo è guidato dalla sapienza e la donna dall'uomo. Capo dell'uomo è infatti Cristo e capo della donna è l'uomo 38. Per questo motivo Dio dice: Non sta bene che l'uomo sia da solo 39. Poiché restava ancora da fare non solo che l'anima avesse il dominio sul corpo, in quanto il corpo tiene il posto di servo, ma anche che la ragione dell'uomo tenesse soggetta a se stessa la propria parte animale, con l'aiuto della quale potesse comandare al corpo. Come immagine di ciò fu fatta la donna, che l'ordine della natura pone sotto il dominio dell'uomo, affinché quanto appare più evidente nei due esseri umani, cioè nel maschio e nella femmina, si possa considerare anche riguardo a un solo uomo: affinché cioè lo spirito interiore, come facoltà razionale dell'uomo, tenga soggiogato l'appetito sensibile dell'anima, grazie al quale noi operiamo con le membra del corpo, e con giusta legge imponga una norma al suo appetito che è solo un suo aiuto, allo stesso modo che l'uomo deve guidare la donna e non permettere ch'essa abbia il dominio sull'uomo, poiché quando ciò succede, la famiglia è sconvolta e infelice.

11. 16. Dapprima dunque Dio mostrò all'uomo quanto fosse più eccellente delle bestie e di tutti gli animali irrazionali e questo è indicato dalla frase della Scrittura secondo cui Dio gli condusse tutti gli animali per vedere come li avrebbe chiamati e imponesse loro il nome. Da questo appare effettivamente chiaro che l'uomo è superiore agli animali bruti proprio in virtù della ragione per il fatto che soltanto la ragione, che giudica intorno ad essi, li può distinguere e conoscerli distintamente per nome. Questa considerazione però è ovvia; poiché uno comprende subito di essere superiore alle bestie, mentre è difficile la considerazione per cui uno comprende che in lui una cosa è la facoltà razionale che governa, e un'altra cosa è la facoltà animale ch'è governata.

Che significa allegoricamente Eva unita ad Adamo immerso nel sonno.

12. 16. Poiché dunque l'uomo vede ciò grazie a un discernimento interiore, io penso che questa visione interiore sia indicata col nome del sonno profondo fatto cadere da Dio in Adamo allorché fu fatta la donna per lui. Per vedere ciò non c'è bisogno dei nostri occhi corporei, ma quanto più uno si allontanerà dalle realtà visibili terrene per ritirarsi nell'intimo dell'intelligenza - questo significa per così dire addormentarsi - tanto meglio e più chiaramente lo vede. La stessa conoscenza con cui si comprende che in noi esiste una facoltà che deve dominare con la ragione e una cosa diversa è quella che deve ubbidire alla ragione; la stessa conoscenza dunque è, per così dire, l'atto con cui fu creata la donna tratta dalla costola dell'uomo per simboleggiare il legame esistente tra quei due elementi. Affinché però uno tenga ben soggetta a sé la propria parte e diventi, per così dire, una persona coniugata in se stesso, di modo che la carne non abbia desideri passionali contro lo spirito ma sia soggetta allo spirito, in modo cioè che la concupiscenza carnale non contrasti con la ragione, ma cessi piuttosto d'esser carnale con l'ubbidire, ha bisogno della sapienza perfetta. Per il fatto che la contemplazione della sapienza è interiore e occulta, lontanissima da ogni sensazione corporea, può essere anch'essa indicata a ragione sotto il nome di "sonno". L'uomo infatti è capo della donna nel modo più ordinato allorquando capo dell'uomo è Cristo, il quale è la Sapienza di Dio 40.

Significato mistico della donna tratta dalla costola d'Adamo.

12. 17. Certamente al posto della costola Dio rinchiuse della carne per farci intendere, con questo termine, il sentimento dell'amore con cui ciascuno ama la propria vita e non è talmente insensibile da disprezzarla, poiché ciascuno ama ciò che protegge. In questo passo infatti il termine "carne" non è usato per significare la concupiscenza carnale, ma piuttosto nel senso in cui un Profeta dice che Dio toglierà dal suo popolo il cuore di pietra e gli darà un cuore di carne 41. In questo senso anche l'Apostolo dice: Non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori 42. Poiché una cosa è un'espressione in senso proprio e una cosa diversa è un'espressione allegorica, qual è quella che stiamo spiegando adesso. Perciò, sebbene la donna visibile fosse stata fatta dapprima dal Signore Iddio traendola, secondo il senso letterario-storico, dal corpo dell'uomo, certamente fu fatta in questo modo non senza un motivo, ma per farci intendere un qualche significato mistico. Mancava forse del fango con cui potesse esser formata la donna? Oppure, se Dio avesse voluto, non avrebbe potuto togliere all'uomo la costola mentre dormiva, senza produrgli dolore? Sia dunque che queste parole siano dette in senso allegorico, o che siano state fatte con un senso allegorico, non senza motivo sono state dette o fatte in questo senso; esse dunque sono certamente allegorie e azioni simboliche da interpretare e intendere sia in questo senso in cui si sforza [di farlo] la nostra pochezza, sia in un altro senso migliore alla stregua però della retta fede.

Il matrimonio spirituale nell'uomo.

13. 18. L'uomo dunque chiamò la sua donna come uno, che è superiore, chiama un inferiore, e disse: Ora costei è osso delle mie ossa e carne della mia carne 43. Ossa delle ossa per farci intendere, forse, la fortezza; carne della carne per farci intendere la temperanza. S'insegna infatti che queste due virtù appartengono alla parte inferiore dell'anima governata dalla prudenza della ragione. Quanto alla frase seguente: Costei sarà chiamata donna perché è stata tratta dall'uomo 44, nella lingua latina non risulta affatto chiara questa derivazione e spiegazione del nome, poiché non si riesce a scoprire quale somiglianza abbia il termine "donna" col nome "uomo". Si dice che invece nella lingua ebraica quel nome ha questo significato, come se si dicesse: Costei sarà chiamata "virago" poiché è stata tratta dal proprio uomo. Difatti è piuttosto "virago" o virgo che ha una somiglianza col nome vir, mentre il nome mulier non ha alcuna somiglianza; ma ciò deriva - come ho già detto - dalla differenza delle lingue.

Significato profetico di Gen 2, 24.

13. 19. Quanto alla frase che Adamo soggiunse, e cioè: L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne 45, io non trovo in qual modo possa riferirsi alla storia, salvo che queste vicende succedono comunemente nel genere umano; ma la frase è tutta una profezia, ricordata dall'Apostolo che dice: [La Scrittura dice:] Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una cosa sola. Questa è una verità grande e misteriosa e io dico ch'essa è in relazione a Cristo e alla Chiesa 46. Se i manichei, che ingannano molta gente servendosi delle lettere dell'Apostolo, leggessero ciò senz'essere ciechi, capirebbero in qual senso debbono essere intese le Scritture dell'Antico Testamento e non oserebbero biasimare con parole sacrileghe ciò che non sanno. Quanto al fatto che Adamo e sua moglie erano nudi e non ne provavano vergogna, è simbolo della semplicità e purezza dell'anima. L'Apostolo infatti dice: Io vi ho chiamati per presentarvi a Cristo come una vergine casta,- temo infatti che, come il serpente ingannò Eva con la sua scaltrezza, così i vostri pensieri si siano corrotti allontanandosi dalla semplicità e purezza che conduce a Cristo 47.

Il serpente simbolo del diavolo.

14. 20. Il serpente invece è simbolo del diavolo che certamente non era semplice. Per il fatto che, viene chiamato la più accorta di tutte le bestie viene indicata allegoricamente la sua astuzia. La Scrittura però non dice che il serpente fosse nel paradiso ma ch'esso era tra le bestie create da Dio. Il paradiso infatti - come ho detto più sopra 48 - simboleggiava la felicità di cui era privo il serpente perché era già il diavolo, ed era già decaduto dalla sua felicità in quanto non era rimasto saldo nella verità. Non dobbiamo nemmeno stupirci che potè parlare alla donna quando costei si trovava nel paradiso, mentre egli non c'era. Essa infatti non era nel paradiso per quanto riguarda la località ma piuttosto per quanto si riferisce al sentimento della felicità. Oppure, anche se c'è una località siffatta, chiamata paradiso, in cui abitavano Adamo e sua moglie con il loro corpo, dobbiamo forse pensare che il diavolo si avvicinasse fisicamente alla donna? No di certo, ma le si avvicinò con lo spirito, come dice l'Apostolo: Seguendo il principe delle potenze dell'aria, lo spirito che adesso agisce negli uomini ribelli 49. Appare dunque forse visibilmente oppure si avvicina, per così dire, attraverso lo spazio fisico a coloro nei quali egli agisce? No di certo, ma in modi sorprendenti e per mezzo d'immaginazioni ispira loro tutto ciò di cui è capace. Queste sue ispirazioni sono respinte da coloro che affermano veracemente ciò che afferma ugualmente l'Apostolo: Noi infatti non ignoriamo le sue macchinazioni 50. Orbene, in qual modo si avvicinò a Giuda, quando lo persuase a tradire il Signore? Apparve a lui forse in un luogo oppure attraverso la vista? È però certo che, come dice il Vangelo, il diavolo entrò nel suo cuore 51. L'uomo tuttavia lo respinge se custodisce il paradiso. Dio infatti pose l'uomo nel paradiso per lavorarlo e custodirlo poiché così è detto della Chiesa nel Cantico dei cantici: Giardino chiuso, sorgente sigillata 52, in cui certamente non è ammesso il persuasore della perversità. Egli tuttavia inganna servendosi della donna, poiché anche la nostra ragione non può essere spinta ad acconsentire al peccato se non quando il piacere viene eccitato nella parte dell'anima che deve ubbidire alla ragione come alla sua guida.

Il peccato e la colpa. Il peccato è il rifiuto d'assoggettarsi a Dio.

14. 21. Anche adesso rispetto a ciascuno di noi, quando cade in peccato, non avviene nient'altro se non quanto avvenne allora riguardo a quei tre esseri: il serpente, la donna e l'uomo. Ebbene, dapprima ha luogo la suggestione prodotta dall'immaginazione o dai sensi fisici mediante la vista o il tatto o l'udito o il gusto o l'odorato; se in seguito alla suggestione la nostra passione non sarà spinta a peccare, verrà respinta la macchinazione del serpente; se invece si lascerà spingere a peccare, sarà come se la donna fosse stata persuasa. Talvolta però la ragione raffrena e reprime virilmente anche la passione eccitata. Quando avviene ciò, noi non cadiamo in peccato, ma dopo un po' di lotta veniamo premiati. Se invece la ragione acconsente e decide di fare ciò a cui la spinge la passione, l'uomo viene espulso dalla felicità come se fosse scacciato dal paradiso.

Il peccato e la nudità dell'uomo.

15. 22. Bisogna ora considerare attentamente in che modo il serpente persuase a commettere il peccato, poiché ciò soprattutto riguarda la nostra salvezza; questi avvenimenti infatti sono stati narrati dalla Scrittura appunto perché li evitassimo. Dopo che, al serpente, che le aveva chiesto che cosa era stato loro comandato, la donna aveva risposto, quello disse: Voi non morirete affatto; Dio anzi sapeva che il giorno che ne avreste mangiato si sarebbero aperti i vostri occhi e sareste diventati come dèi, conoscitori del bene e del male 53. Da queste parole si vede che il peccato fu persuaso eccitando la superbia. È questo ciò che vuol dire la frase: Sarete come dèi. Così pure la frase: Dio anzi sapeva che il giorno che ne avreste mangiato si sarebbero aperti i vostri occhi, in che senso va intesa se non che furono persuasi di rifiutare di star sottomessi a Dio ma d'esser piuttosto padroni di se stessi facendo a meno del Signore per non osservare la sua legge, come se Dio fosse geloso che si governassero da se stessi senza sentir bisogno della sua luce interiore, bensì servendosi della loro prudenza personale come dei loro propri occhi al fine di distinguere il bene dal male, cosa questa che Dio aveva proibito? Di questo dunque si lasciarono persuadere, di amare cioè oltremisura il proprio potere, di voler essere uguali a Dio e di far cattivo uso, un uso cioè contrario alla legge di Dio, della loro condizione intermedia - simile al frutto dell'albero situato in mezzo al paradiso -, condizione per cui erano soggetti a Dio e tenevano sottomesso il proprio corpo; e in tal modo perderono ciò che avevano ricevuto volendo appropriarsi ingiustamente di ciò che non avevano ricevuto. La natura umana infatti non ha ricevuto la proprietà d'esser felice grazie al proprio potere senz'esser governata da Dio, poiché soltanto Dio può esser felice grazie al suo proprio potere senz'essere governato da nessuno.

15. 23. La donna - dice la Scrittura - vide che l'albero era buono a mangiarsi e piacevole agli occhi per essere veduto e per acquistare conoscenza 54. In qual modo riusciva a vedere se aveva gli occhi chiusi? La Scrittura però dice così per farci intendere che, dopo aver mangiato di quel frutto, ai progenitori si aprirono quegli occhi con cui si vedevano nudi e sentivano dispiacere di se stessi, cioè gli occhi dell'astuzia, ai quali dispiace la semplicità. Quando infatti uno decade dalla luce interiore della verità, percepibile solo nella coscienza, non c'è null'altro di cui la superbia desideri compiacersi se non d'imposture piene d'inganni. Di qui deriva anche l'ipocrisia per cui si reputano molto avveduti coloro che possono ingannare chi vogliono. La donna infatti ne diede a suo marito e ne mangiarono e i loro occhi - di cui si è già parlato - si aprirono; allora videro d'essere nudi ma con gli occhi perversi, ai quali sembrava vergogna la semplicità ch'era indicata col termine di nudità. Per questo, non essendo più semplici, si fecero delle cinture con foglie di fico intorno ai fianchi per coprire in certo qual modo le loro parti vergognose, cioè per nascondere la semplicità, di cui si vergognava ormai l'astuta superbia. Le foglie di fico invece sono simbolo di un certo qual prurito, se così può dirsi ragionevolmente riguardo a realtà incorporee, prurito che l'anima prova in modi strani per il desiderio e il piacere di mentire. Ecco perché in latino si chiamano salsi cioè "salaci" o "mordaci" coloro che sono soliti burlare. Nelle burle poi la finzione occupa il primo posto.

Simbolismo dell'uomo che si nasconde, e di Dio che passeggia e interroga (Gen 3, 8 ss.).

16. 24. Quando pertanto Dio passeggiava nel paradiso verso sera 55, cioè allorché andava appunto a giudicarli, ancor prima di dar loro il castigo, passeggiava nel paradiso, si muoveva cioè, per così dire, in loro la presenza di Dio, dal momento ch'essi non erano più fermi nell'osservanza del suo precetto. Opportunamente poi la Scrittura dice: verso sera, cioè quando ormai il sole tramontava per loro, veniva cioè tolta loro la luce interiore della verità; allora udirono la sua voce e si nascosero alla sua vista. Chi è che si nasconde allo sguardo di Dio se non chi, dopo averlo abbandonato, ama ormai solo ciò ch'è suo? Già infatti erano coperti dei veli della menzogna; chi dice il falso dice ciò ch'è suo 56. Ecco perché la Scrittura dice che si nascosero presso l'albero, ch'era in mezzo al paradiso, cioè si nascosero presso se stessi ch'erano stati posti al centro delle cose, al di sotto di Dio e al di sopra degli esseri materiali. Si nascosero dunque presso di se stessi rimanendo turbati da funesti errori avendo abbandonato la luce della verità, luce che essi non erano. L'anima umana infatti può essere partecipe della verità ma la verità autentica in persona è Dio immutabile ch'è al di sopra dell'anima. Colui dunque che si allontana dalla verità, ch'è Dio, e si volge verso se stesso ed esulta non di Dio che lo guida e lo illumina ma dei propri moti come se fossero liberi, rimane ottenebrato dalla menzogna, poiché chi dice il falso dice una cosa che proviene dal proprio essere e in tal modo si turba dimostrando la veridicità del detto del Profeta che dice: Entro di me è turbata l'anima mia 57. Per questo viene allora interrogato Adamo, non perché Dio ignorasse dov'era, ma per costringerlo a confessare il peccato. Neppure nostro Signore Gesù Cristo ignorava tante cose su cui faceva domande. Ora, Adamo, udita la voce di Dio, rispose di essersi nascosto perché era nudo. Egli rispose proprio con un errore assai funesto, come se Dio avesse potuto provare dispiacere che Adamo fosse nudo come lo aveva fatto lui stesso. È invece caratteristico dell'errore il fatto che si creda faccia dispiacere anche a Dio ciò che dispiace a uno qualunque di noi. Bisogna però intendere in un senso molto più alto ciò che dice il Signore: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo se non perché hai mangiato dell'albero del quale soltanto ti avevo proibito di mangiare? 58. Era infatti nudo della simulazione ma rivestito della luce divina. Essendosi allontanato da questa e voltosi a se stesso - questo significava l'aver mangiato di quell'albero - s'accorse della propria nudità e provò dispiacere di non aver nulla di proprio.

L'uomo rigetta le colpe sulla donna e questa sul serpente (Gen 3, 12).

17. 25. In seguito, proprio come suol fare la superbia, Adamo non accusa se stesso d'aver acconsentito alla donna, ma rigetta la propria colpa sulla donna e in tal modo, scaltramente, per così dire, con l'astuzia concepita dal miserabile, cercò d'imputare a Dio stesso il proprio peccato. Poiché non disse: "È stata la donna a darmi il frutto", ma: La donna che tu mi hai data 59. Nulla poi è tanto abituale ai peccatori che cercare d'attribuire a Dio qualsiasi colpa di cui sono accusati, cosa questa che deriva dal sentimento della superbia. Poiché l'uomo peccò volendo essere uguale a Dio, cioè libero dal suo dominio come è libero da ogni dominio Lui stesso, essendo il Signore di tutti, ma dato che non potè essere uguale a Lui nel potere supremo, essendo ormai caduto e giacendo abbattuto nel proprio peccato, cercherebbe di fare Dio uguale a se stesso; o meglio pretende dimostrare che fu Lui a peccare e ch'egli invece è innocente. Anche la donna, allorché viene interrogata, rigetta la colpa sul serpente, come se l'uomo avesse ricevuto la moglie per ubbidire a lei e non piuttosto per renderla ubbidiente a sé, o come se la donna non avesse potuto osservare il precetto di Dio anziché dare ascolto alle parole del serpente.

Il castigo del serpente.

17. 26. Il serpente, infine, non viene interrogato ma viene castigato per primo perché non è in grado di confessare il peccato né ha assolutamente la possibilità di scusarsi. La Scrittura non parla, adesso, della condanna del diavolo riservata al giudizio finale, della quale parla il Signore quando dice: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e gli angeli suoi 60, ma parla del suo castigo, per il quale dobbiamo guardarci da lui. Il suo castigo infatti consiste nell'avere in suo potere coloro che disprezzano i precetti di Dio. Ciò viene spiegato dalle parole con cui è pronunciata la condanna contro di lui; il suo castigo inoltre è più grave per il fatto che si rallegra di un potere tanto funesto lui che, prima di cadere, soleva godere della sublime verità in cui non è restato saldo. Per questo motivo, al di sopra di lui sono poste le bestie, non riguardo al potere ma alla conservazione della propria natura, poiché le bestie non hanno perso alcuna felicità celeste, che non avevano mai avuta ma continuano a vivere nella natura che hanno ricevuta. Dio dunque gli dice: Striscerai sul petto e sul ventre 61. Questo si nota, veramente, anche nella biscia, ma l'espressione è trasferita allegoricamente da quell'essere animato visibile a questo nostro avversario. Con il termine "petto" è infatti simboleggiata la superbia, poiché è lì che domina la passione dell'ira; con il termine "ventre" è invece simboleggiato il desiderio carnale essendo questa la parte che si percepisce più molle nel corpo. E poiché mediante queste passioni il serpente striscia verso coloro ch'è solito ingannare, perciò la Scrittura dice: Striscerai sul petto e sul ventre.

Come può intendersi Gen 3, 14: mangerai terra.

18. 27. E mangerai la terra - è detto - tutti i giorni della tua vita 62, cioè tutti i giorni in cui eserciterai questo potere prima del castigo nell'ultimo giudizio: questa infatti sembra la vita di cui egli gode e si vanta. Mangerai la terra lo si può dunque intendere in due sensi: cioè o a te appartengono coloro che tu ingannerai con le passioni terrene, cioè i peccatori simboleggiati dal termine "terra", oppure queste parole indicano un terzo genere di tentazione, cioè la curiosità. Chi infatti mangia la terra penetra in luoghi profondi e tenebrosi ma tuttavia temporali e terreni.

L'inimicizia tra Eva e il serpente.

18. 28. L'inimicizia però è posta non tra il demonio e l'uomo, bensì tra lui e la donna. Forse perché il demonio non inganna e non tenta gli uomini? È, al contrario, evidente che li inganna. Forse perché egli non ingannò proprio Adamo ma sua moglie? Forse non è nemico di lui, ch'egli arrivò ad ingannare per mezzo di sua moglie, soprattutto perché è riguardo al futuro che Dio dice: Porrò inimicizia tra te e la donna 63? Se poi si adduce il motivo che in seguito il diavolo non tentò Adamo, si risponde che in seguito non tentò nemmeno Eva. Perché dunque la Scrittura si esprime così, se non perché in questo passo è dimostrato chiaramente che non possiamo esser tentati dal diavolo che mediante la parte animale, la quale mostra, per così dire, la rassomiglianza o l'esempio della donna - di cui abbiamo già parlato a lungo più sopra, in un solo stesso uomo? Quanto poi al fatto che venga anche posta inimicizia tra il seme del diavolo e quello della donna, con il "seme del diavolo" viene simboleggiata la perversa suggestione, col "seme della dorma" invece il frutto delle opere buone con cui resiste alla cattiva suggestione. Ecco perché il diavolo spia la pianta del piede della donna perché, se sdrucciola nel piacere illecito, la possa prendere allora in suo potere; essa invece spia il capo di lui per respingerlo proprio all'inizio della cattiva suggestione.

I castighi inflitti alla donna.

19. 29. Riguardo al castigo della donna non si pone alcuna discussione, poiché è evidente ch'essa nelle avversità di questa vita ha molti dolori e geme spesso; il fatto poi che partorisce i figli tra i dolori, sebbene si verifichi anche nella donna visibile di quaggiù, tutta via la nostra considerazione deve applicarsi alla donna invisibile. Poiché anche le femmine delle bestie partoriscono i figli con dolore, ma nel loro caso ciò è una condizione della natura mortale anziché un castigo dei peccato. Può darsi dunque che nel caso delle creature umane femminili sia caratteristica del corpo mortale. Ma il grande castigo consiste nel fatto che a questa natura mortale dei corpi i progenitori arrivarono dallo stato d'immortalità. Un gran simbolismo tuttavia racchiuso in questa sentenza è il seguente: non c'è alcuna astinenza dalla volontà carnale che in principio non comporti dolore fino a quando la consuetudine non venga piegata nella direzione migliore. Quando ciò avviene, è come se fosse nato un figlio, ossia il desiderio del cuore è pronto a compiere le opere buone in virtù dell'abitudine buona la quale, per nascere, ha dovuto combattere l'abitudine cattiva. Poiché anche riguardo a quanto viene detto dopo il fatto del partorire: Tu ti rivolgerai verso tuo marito, ma egli ti dominerà 64, non è forse vero che molte, anzi quasi tutte le donne partoriscono in assenza dei loro mariti e dopo il parto non si voltano verso di essi? Le donne che però sono superbe e fanno da padrone sui loro mariti, perdono forse questo vizio dopo il parto in modo che i loro mariti abbiano il dominio su di esse? Tutt'altro! Al contrario credono che per il fatto d'essere madri sia aumentata in certo qual modo la loro dignità. Che vuol dire dunque che, dopo aver detto: Partorirai tra i dolori, Dio aggiunse: Ti rivolgerai verso tuo marito, ma egli ti dominerà 65? Vuol dire solo che la parte dell'anima, ch'è tutta presa dai piaceri carnali, allorché, volendo vincere una cattiva abitudine, sopporta difficoltà e dolori e così genera l'abitudine buona, tosto ubbidisce con maggior prudenza e diligenza alla ragione come al proprio marito. Ammaestrata poi, per così dire, dagli stessi dolori, si rivolge alla ragione e volentieri si sottomette ai suoi comandi per non scivolare di nuovo in qualche altra funesta abitudine. Queste dunque, che sembrano maledizioni, sono dei precetti se noi non leggeremo in senso carnale le realtà spirituali. La legge, infatti, è spirituale 66.

Il castigo irrogato all'uomo.

20. 30. Che cosa diremo, inoltre, della condanna pronunciata contro l'uomo? Si deve forse pensare che i ricchi, i quali si procurano con molta facilità il sostentamento e non coltivano la terra, sono forse sfuggiti a questo castigo così formulato: Maledetto sarà per te il suolo riguardo a tutte le opere tue; con dolore e con gemiti ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Spine e rovi a te produrrà e tu mangerai l'erba del tuo campo, col sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, perché tu sei terra e nella terra ritornerai 67? È certo invece che nessuno sfuggirà a questa sentenza. In realtà per il fatto stesso che chiunque è nato in questa vita ha difficoltà a trovare la verità a causa del corpo corruttibile. Così infatti dice Salomone: Un corpo corruttibile appesantisce l'anima, e un'abitazione terrestre aggrava la mente di molti pensieri 68. Questi sono i travagli e i dolori che l'uomo ha dalla terra; le spine e i rovi sono le fitte dolorose delle questioni intricate e le preoccupazioni per quanto si deve provvedere a sostentare la vita; se queste spine e rovi non vengono estirpati dal campo di Dio, per lo più soffocano la parola perché rimanga senza frutto, come il Signore dice nel Vangelo 69. E poiché la stessa verità necessariamente ci viene richiamata alla mente dai nostri occhi e dalle nostre orecchie ed è difficile resistere alle immagini che per questi sensi entrano nell'anima - sebbene attraverso di essi entri anche il richiamo della verità - il volto di chi dunque in questa realtà complicata non gronderà sudore per mangiare il proprio pane? Noi soffriremo queste angustie penose tutti i giorni della nostra vita, cioè della vita presente destinata a passare. Proprio così è detto a chi coltiverà il proprio campo, poiché soffrirà queste difficoltà fin quando non tornerà nella terra da cui è stato tratto, vale a dire finché non terminerà questa vita. Chi infatti coltiverà questo campo nell'ultimo e arriverà a procurarsi il proprio pane sia pur con pena, potrà supportare questa fatica; ma dopo questa vita non sarà più necessario che soffra. Chi, al contrario, per caso non lo coltiverà e permetterà che sia soffocato dalle spine, avrà in questa vita la maledizione della propria terra riguardo a tutti i suoi lavori e dopo questa avrà o il fuoco purificatore o il castigo eterno. In tal modo nessuno sfugge questa sentenza ma occorre sforzarsi di sperimentarla almeno solo in questa vita.

Perché Adamo dopo il peccato chiamò Vita la moglie.

21. 31. Ma chi non si stupirebbe che Adamo, dopo il peccato e la condanna di Dio giudice, chiami "Vita" sua moglie perché fosse la madre dei viventi, dopo ch'essa aveva meritato la morte ed era stata destinata a partorire figli mortali, se non perché la Scrittura considera come figli quei frutti [spirituali] dopo aver partorito i quali nei dolori si volgerà verso suo marito e questi la dominerà? Di tali frutti abbiamo parlato più sopra. Così infatti essa è vita e madre dei viventi poiché la vita vissuta nei peccati di solito è chiamata "morte" nelle Scritture, allo stesso modo che, secondo quanto dice l'Apostolo, la vedova che vive nel piacere è morta 70. Leggiamo inoltre che la parola "morto" è usata per indicare lo stesso peccato nel passo della Scrittura ove è detto: Se uno si lava dopo aver toccato un morto e poi lo tocca di nuovo, che cosa gli giova quell'abluzione? Così pure chi digiuna per i propri peccati e poi va e li commette di nuovo 71. Invece di "peccato" lo scrittore sacro usa la parola "morto", mentre dice "astinenza e digiuno dopo il peccato" come per dire "un lavacro", cioè purificazione per il contatto con un morto; il tornare poi al peccato lo assimila al toccare di nuovo un morto. Perché dunque non dovrebbe chiamarsi "vita" la nostra parte animale che deve ubbidire alla ragione come al marito quando, in virtù della stessa ragione, mediante la parola di vita concepisce il peso del ben vivere che sarà partorito? E perché non dovrebbe chiamarsi "madre dei viventi", cioè delle opere buone quando, col partorire l'astinenza, sia pure con dolori e gemiti, opponendosi alla cattiva abitudine, partorisce l'abitudine per le opere buone? A queste sono contrari i peccati che abbiamo dimostrato poter essere indicati con la parola "morto".

Senso allegorico delle tuniche di pelle.

21. 32. D'altra parte tutti noi che siamo nati da Adamo siamo stati destinati dalla natura a pagarle il debito di subire la morte minacciata da Dio quando diede il precetto di non mangiare il frutto dell'albero. La morte era dunque simboleggiata nelle tuniche di pelle. I progenitori infatti si fecero delle cinture di fico attorno ai fianchi, e Dio fece loro tuniche di pelli, il che vuol dire ch'essi avevano desiderato il piacere di mentire abbandonando la bellezza della verità, e Dio cambiò i loro corpi nell'attuale natura mortale della carne ove si nascondono cuori menzogneri. Non si può infatti credere che possano nascondersi i pensieri nei corpi celesti, come si nascondono nei corpi terrestri, ma nello stesso modo che alcuni moti dell'animo appaiono nel volto e soprattutto negli occhi, così non credo che nella trasparenza e semplicità dei corpi celesti possano nascondersi proprio tutti i moti dell'animo. Meriteranno quindi di abitare nel cielo e d'esser trasformati nella natura degli angeli coloro che anche in questa vita, pur potendo nascondere le menzogne sotto tuniche di pelle, tuttavia le odiano e se ne guardano, spinti da ardentissimo amore per la verità, e coprono solo ciò che quelli che li odono non potrebbero sopportare, ma senza dire alcuna menzogna. Verrà infatti il tempo in cui nulla resterà nascosto: poiché non c'è nulla di nascosto che non verrà svelato 72. I progenitori poi restarono nel paradiso - sebbene soggetti alla sentenza di Dio che li aveva condannati - finché non si giunse alle tuniche di pelle, cioè alla condizione mortale di questa vita. Con qual altro segno più efficace poteva esser simboleggiata la morte che proviamo nel corpo se non con le pelli che si è soliti staccare dagli animali morti? Quando pertanto l'uomo brama d'esser Dio contravvenendo al precetto, non per mezzo d'una legittima imitazione ma spinto da illecita superbia, viene abbassato fino alla condizione mortale delle bestie.

21. 33. Ecco perché la Sacra Scrittura per bocca di Dio si da beffe di lui e con questo scherno siamo ammoniti d'evitare la superbia con tutto il nostro impegno.

Che significa: Adamo divenuto come uno di noi (Gen 3, 22).

22. 33. Ecco, Adamo è diventato come uno di noi per la conoscenza del bene e del male 73. Questa espressione ambigua ha un senso ironico poiché la frase: è diventato come uno di noi si può intendere in due sensi: o uno di noi come se anch'egli fosse Dio, e ciò rientra nello scherno, o come si dice "uno di noi" [ex nobis] allo stesso modo ex-proconsole o ex-console di uno che non è più tale, perché sarebbe stato Dio anche Lui - sebbene non per natura ma per grazia del suo Creatore - se avesse voluto rimanere sotto il potere di lui. Ma rispetto a che cosa è divenuto "come uno di noi?". Naturalmente rispetto alla conoscenza del bene e del male, di modo che, provandolo, imparò per esperienza personale il male che Dio conosce in virtù della propria sapienza, e mediante il suo castigo imparò ch'è inevitabile il dominio dell'Onnipotente, a cui non volle assoggettarsi quand'era felice e obbediente.

Spiegazione allegorica dell'espulsione di Adamo dal paradiso.

22. 34. Allora, perché Adamo non stendesse la sua mano all'albero della vita e vivesse in eterno, Dio lo lasciò andar via dal paradiso 74. Giustamente la Scrittura dice: lo lasciò andare via, e non "lo scacciò", affinché apparisse ch'era stato spinto dallo stesso peso dei suoi peccati verso un altro luogo a lui confacente. La medesima sorte subisce di solito un malvagio quando comincia a vivere tra persone per bene se rifiuta di cambiarsi in meglio, dal peso della sua cattiva abitudine viene bandito dalla compagnia dei buoni, e quelli non lo scacciano contro la sua volontà ma lo lasciano andare perché lo desidera lui. Quanto poi alla frase: perché Adamo non stendesse la sua mano all'albero della vita, è anch'essa una espressione ambigua. Noi infatti ci esprimiamo allo stesso modo allorché diciamo: "Ti ammonisco affinché tu non torni a fare quanto hai fatto" desiderando certamente che non torni a farlo; diciamo ugualmente: "Ti ammonisco se mai tu non sia buono" desiderando naturalmente che lo sia, cioè come se dicessimo: "Ti ammonisco poiché non dispero che tu possa essere buono". In questo senso parla l'Apostolo: Se mai Dio conceda loro di pentirsi affinché riconoscano la verità 75. Può dunque sembrare che l'uomo sia stato lasciato andare nei travagli di questa vita perché una buona volta stenda la mano verso l'albero della vita e viva in eterno. Ora l'allungare la mano simboleggia bene la croce, grazie alla quale si riacquista la vita eterna. D'altronde anche se intendiamo nel primo senso la frase: perché non stenda la mano e viva in eterno, non è un castigo ingiusto che dopo il peccato sia impedito l'accesso alla sapienza, fintantoché, per la misericordia di Dio, al tempo dovuto non ritorni in vita chi era morto e non si ritrovi chi era perduto. L'uomo dunque fu lasciato andar via dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto, lavorasse cioè nel corpo terrestre e, qualora ne fosse capace, ivi riponesse per sé il merito di ritornarvi. Egli invece fissò la sua dimora di contro al paradiso nella miseria ch'è naturalmente contraria alla felicità. lo penso infatti che col nome di paradiso è simboleggiata la felicità.

Significato simbolico dei Cherubini e della spada fiammeggiante di Gen 3,24.

23. 35. Dio poi pose i Cherubini e una spada fiammeggiante che roteava, la quale con un solo termine può chiamarsi roteante, per custodire l'accesso all'albero della vita 76. Come sostengono coloro che hanno tradotto le parole ebraiche nelle Scritture, si dice che in latino la parola "Cherubim" vuol dire "pienezza della scienza". La spada fiammeggiante e roteante simboleggia le pene corporali, poiché i tempi scorrono col movimento rotatorio del mondo; è detta anche fiammeggiante poiché ogni tribolazione in un certo qual modo brucia. Ma una cosa è venire bruciati per essere distrutti, un'altra per esser purificati, poiché anche l'Apostolo dice: Chi riceve scandalo, senza ch'io mi senta bruciare? 77 Questo sentimento però lo purificava di più perché proveniva dalla carità. Anche le tribolazioni che soffrono i giusti fari parte di questa spada fiammeggiante: Poiché l'oro e l'argento si provano col fuoco, ma gli uomini bene accetti nel crogiuolo del dolore 78. E così pure: La fornace prova le stoviglie del vasaio, ma gli uomini giusti sono provati dalla tentazione 79; Poiché dunque Dio corregge chi ama e sferza chi riconosce per suo figlio 80, come dice l'Apostolo: Sapendo che la tribolazione produce la perseveranza e la perseveranza una virtù provata 81, noi non solo leggiamo e ascoltiamo, ma dobbiamo anche credere che l'albero della vita è custodito dalla sapienza della scienza e della spada fiammeggiante. Nessuno dunque può giungere all'albero della vita se non attraverso queste due cose e cioè: la sopportazione delle molestie e la pienezza della scienza.

All'albero della vita si accede mediante la carità.

23. 36. Ora, quasi tutti coloro che cercano d'arrivare all'albero della vita, devono sopportare le molestie di questa vita, mentre sembra che non tutti acquistino la pienezza della scienza, sicché si può dire che non tutti coloro che giungono all'albero della vita vi arrivino attraverso la pienezza della scienza, sebbene tutti sperimentino la sofferenza delle molestie, cioè la spada fiammeggiante e roteante. Se però consideriamo ciò che dice l'Apostolo, e cioè: La carità è quindi il pieno adempimento della legge 82, e vediamo che la carità si fonda sul duplice precetto: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente 83, e: Amerai il prossimo tuo come te stesso, poiché da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti 84, comprenderemo senza dubbio che all'albero della vita si arriva non solo attraverso la spada fiammeggiante e roteante, cioè attraverso la sopportazione delle molestie temporali, ma anche attraverso la pienezza della scienza, cioè attraverso la carità, poiché se non ho la carità - dice S. Paolo - non ho nulla 85.

Adamo è Cristo, Eva la Chiesa.

24. 37. In questo libro dunque io ho promesso di esaminare i fatti storici, cosa che credo di aver portato a termine ma ho pure promesso di considerare il senso profetico, cosa che adesso mi resta da fare in poche parole. Una volta infatti fissata una prefigurazione evidente con la quale si possano determinare tutti gli altri, a mio avviso questo esame non c'intratterrà a lungo. L'Apostolo infatti dice che è una grande e misteriosa verità la seguente affermazione della Scrittura: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due formeranno una sola carne 86, e la interpreta soggiungendo: Io poi dico questo riferendomi al Cristo e alla Chiesa 87. Ciò che dunque si è avverato storicamente e alla lettera riguardo ad Adamo, si è compiuto simbolicamente riguardo a Cristo che lasciò il Padre poiché disse: Io sono uscito dal Padre e sono venuto in questo mondo 88. Egli tuttavia non lasciò il Padre allontanandosi da un luogo, poiché Dio non è contenuto in alcun luogo, né allontanandosi da Dio, cosa ch'è propria del peccato, come abbandonano Dio gli apostati, bensì mostrandosi agli uomini nella natura umana poiché il Verbo si fece carne e dimorò tra noi 89. Questo medesimo fatto non significa però un cambiamento della natura di Dio, ma l'assunzione della natura d'una persona inferiore, cioè di quella umana. Questo significa anche la frase dell'Apostolo: Spogliò se stesso 90, perché non si presentò agli uomini rivestito della gloria e della maestà ch'egli possiede col Padre, per mostrarsi indulgente verso la debolezza di coloro che non avevano ancora il cuore puro con cui potesse vedersi il Verbo che in principio era con Dio 91. Che significa dunque ciò che abbiamo detto: "lasciò il Padre", se non: "lasciò di manifestarsi agli uomini come è con il Padre?". E così pure egli abbandonò la madre, cioè la pratica religiosa antica e carnale della Sinagoga, ch'era sua madre per la sua discendenza dalla stirpe di Davide secondo la carne, e si unì alla sua sposa, cioè alla Chiesa affinché siano due in una sola carne. L'Apostolo infatti afferma ch'egli è il capo della Chiesa e la Chiesa è il suo corpo 92. Anch'egli dunque si addormentò nel sonno della passione perché fosse formata sua sposa la Chiesa, sonno ch'egli canta per bocca di un Profeta dicendo: Io mi addormentai e presi sonno, ma mi svegliai perché mi sostenesse il Signore 93. La sua sposa, cioè la Chiesa, fu dunque formata dal suo fianco, vale a dire dalla fede proveniente dalla passione e dal battesimo. Il suo fianco fu infatti trapassato dalla lancia e versò sangue ed acqua 94. Il Verbo di Dio divenne uomo - come ho detto poco prima - discendendo dalla stirpe di Davide secondo la carne 95, come dice l'Apostolo, cioè - per così dire - dal fango della terra, quando non c'era ancora alcun uomo che coltivasse la terra, poiché nessun uomo ebbe rapporto sessuale con la Vergine, dalla quale è nato il Cristo. Una sorgente però sgorgava dal suolo ed irrigava tutta la faccia della terra 96. Per "faccia della terra" cioè "splendore della terra" molto giustamente s'intende la madre del Signore, la Vergine Maria, irrigata dallo Spirito Santo, che nel Vangelo è indicato col nome di "sorgente" e di "acqua" 97, affinché fosse - per così dire - plasmato dal fango di tal genere l'Uomo che fu stabilito nel paradiso per ivi lavorare e custodirlo, che cioè fu stabilito nella volontà del Padre per adempierla e osservarla.

Il serpente figura degli eretici e specialmente dei manichei.

25. 38. Ebbene, il precetto ch'egli ricevette, noi l'abbiamo ricevuto in lui poiché ogni cristiano rappresenta la persona di Cristo, come dice il Signore stesso: Ciò che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli l'avete fatto a me 98. Volesse il cielo che noi godessimo - come ci è stato comandato - d'ogni albero del paradiso ch'è simbolo delle delizie spirituali! Il frutto dello spirito, invece, è carità, gioia, pace, longanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza 99, come dice l'Apostolo. Volesse invece il cielo che non toccassimo l'albero della conoscenza del bene e del male piantato in mezzo al paradiso, non volessimo cioè insuperbire della nostra natura, la quale - come abbiamo già detto - sta in mezzo tra Dio e le creature inferiori; in questo modo noi c'inganneremmo e sperimenteremmo qual differenza ci sia tra la semplice fede cattolica e gl'inganni degli eretici! In tal modo infatti giungeremo a distinguere il bene dal male. Poiché è necessario - è detto - che in mezzo a voi ci siano delle eresie, perché risultino manifesti tra voi quanti sono di provata virtù 100. In effetti il serpente in senso profetico simboleggia il veleno degli eretici e soprattutto quello di cotesti manichei e di tutti quelli che avversano l'Antico Testamento. Io credo infatti che per mezzo di quel serpente non sia stato prefigurato con maggiore evidenza null'altro che questi individui, o meglio il dovere di evitarlo nella persona di costoro. Poiché nessuno promette la conoscenza del bene e del male con maggior loquacità e millanteria di costoro che presumono di mostrare tale conoscenza nell'uomo stesso, come nell'albero piantato in mezzo al paradiso. Inoltre, anche riguardo alla frase della Scrittura: Sarete come dèi 101, quali altri individui affermano con più sicumera di costoro che, sforzandosi con la loro superba perversione di persuadere altre persone, affermano che l'anima è per natura la stessa sostanza di Dio? E ancora, l'aprirsi degli occhi carnali a chi si riferisce in modo più appropriato che a costoro i quali, abbandonata la luce interiore della conoscenza, obbligano ad adorare il sole che noi vediamo con gli occhi del corpo? Ma è anche vero che tutti gli eretici in genere ingannano promettendo la conoscenza e rimproverano coloro ch'essi trovano essere credenti con semplicità e, poiché persuadono a credere in realtà assolutamente carnali, si sforzano d'indurli, per così dire, ad aprire gli occhi carnali perché resti accecato l'occhio interiore.

26. 38. A costoro tuttavia dispiace anche il proprio corpo, non a causa della sua condizione mortale, da noi meritata come castigo per il peccato, ma in modo da negare che Dio è il creatore dei corpi in quanto agli occhi aperti dispiace questa nudità.

Menzogne dei manichei su Cristo, da essi chiamato mentitore.

26. 39. Nulla però simboleggia e bolla più efficacemente costoro di ciò che dice il serpente: Voi non morrete affatto, perché Dio sapeva che il giorno che ne aveste mangiato, si sarebbero aperti i vostri occhi 102. Costoro infatti credono che in quel serpente fosse Cristo e immaginano che quel precetto fu dato da un non so qual dio delle tenebre - così affermano - come se volesse impedire agli uomini la conoscenza del bene e del male. Da questa opinione credo che siano anche nati non so quali Ofiti che - si dice - adorano il serpente invece di Cristo senza considerare quanto dice l'Apostolo: Io temo che, allo stesso modo che Eva fu sedotta dal serpente con la sua astuzia, così si corrompano anche i vostri pensieri 103. Io dunque credo che costoro sono stati prefigurati da questa profezia. Ora, dalle parole di questo serpente viene sedotta la nostra concupiscenza e da questa viene ingannato Adamo, non Cristo, ma il cristiano. Se questi volesse osservare il precetto di Dio e vivere costantemente nella fede fino a quando non fosse capace di comprendere la verità, se cioè lavorasse nel paradiso e custodisse i doni ricevuti, non arriverebbe a quella deformità di modo che, quando gli dispiace la carne come se fosse la propria nudità, deve procurarsi Piuttosto coperture carnali di menzogne, cioè come una specie di foglie di fico per farsi una cintura ai fianchi. Costoro fanno così allorché mentiscono a proposito di Cristo e proclamano ch'è stato proprio lui a mentire e si nascondono - per così dire - dal cospetto di Dio allontanandosi dalla sua verità per volgersi alle menzogne come dice l'Apostolo: Non daranno più ascolto alla verità e si volgeranno alle favole 104.

Errori con cui gli eretici, raffigurati nel serpente, ingannano i credenti.

26. 40. Il serpente è in verità l'errore degli eretici, l'errore che tenta la Chiesa e contro il quale l'Apostolo ripete l'ammonizione dicendo: Io temo che, allo stesso modo che il serpente sedusse Eva con la sua malizia, così si corrompano anche i vostri pensieri 105; l'errore degli eretici dunque striscia sul petto e sul ventre e si nutre di terra. Esso infatti inganna solo i superbi che, arrogandosi ciò che non sono, sono corrivi a credere che la natura del sommo Dio e quella dell'anima umana è unica ed identica, oppure inganna coloro che sono involti nei desideri carnali e volentieri sentono dire che tutte le azioni lussuriose da essi compiute non le compiono essi ma la genia delle tenebre, oppure inganna i curiosi che hanno sentimenti terreni e indagano le realtà spirituali con occhi terreni. Ci sarà poi inimicizia tra il serpente e la donna, tra la stirpe di lui e quella della donna qualora questa partorisse dei figli sia pur nei dolori e si volgesse verso il marito per subire il dominio di lui. Poiché allora si potrà conoscere che il nostro essere non appartiene per una parte a Dio creatore e per un'altra alla stirpe delle tenebre, come affermano costoro, ma che, al contrario, deriva da Dio non solo la parte che nell'uomo ha il potere di governare, ma anche quella inferiore che dev'essere governata, come dice l'Apostolo: L'uomo non è obbligato a coprirsi il capo, poiché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. L'uomo infatti non è stato tratto dalla donna, ma è la donna ch'è stata tratta dall'uomo. L'uomo inoltre non è stato creato per la donna, ma è stata la donna ad essere creata per l'uomo. Per queste ragioni e anche a motivo degli angeli la donna deve portare un velo sul capo. Tuttavia di fronte al Signore la donna non esiste senza l'uomo né l'uomo senza la donna. Come infatti è vero che la donna è stata tratta dall'uomo, è anche vero che ogni uomo nasce da una donna e che entrambi derivano da Dio 106.

La caduta e il castigo di Adamo.

27. 41. Ora dunque Adamo dovrà lavorare nel suo campo e, quanto al fatto che la terra produce spine e rovi, deve capire ch'esso non deriva dalla natura ma dal castigo e lo deve attribuire non a un non so quale genia delle tenebre ma al giudizio di Dio, poiché la norma della giustizia è di dare a ciascuno il suo. È suo dovere dare alla moglie il cibo celeste ricevuto dal suo capo ch'è il Cristo; non deve ricevere da lei il cibo vietato, vale a dire gli inganni degli eretici accompagnati da solenni promesse di dare la conoscenza e, per cosi dire, la rivelazione delle realtà occulte, per cui l'errore stesso diventa più nascosto per riuscire ad ingannare. Poiché il superbo desiderio degli eretici, avido di nuove esperienze, grida nel libro dei Proverbi, sotto le sembianze d'una donna, dicendo: Chi è stolto venga da me 107, ed esorta i privi di senno dicendo: Mangiate volentieri il pane preso di nascosto e bevete l'acqua dolce furtiva 108. Quando tuttavia uno crede anche a questi inviti mosso dalla precedente passione di mentire, per cui crede che Cristo ha mentito, è necessario che riceva per giudizio di Dio anche una tunica di pelle. Con questo nome, preso nel senso allegorico, mi pare venga indicata non la natura mortale del corpo ch'è indicata nel senso letterale già esposto, ma le rappresentazioni della fantasia prodotte dai sensi carnali che per legge divina accompagnano e coprono chi mentisce carnalmente; per questo motivo tale mentitore è allontanato dal paradiso, cioè dalla fede e dalla verità cattolica, destinato ad abitare nella parte opposta al paradiso, destinato cioè a opporsi alla medesima fede. Costui potrebbe un giorno volgersi a Dio spinto dalla spada fiammeggiante, cioè dalle tribolazioni temporali col riconoscere i propri peccati e col piangerli, accusando non più una natura estranea che non esiste, ma se stesso al fine di meritare il perdono: in tal caso mediante la pienezza della scienza ch'è la carità, amando cioè Dio ch'è immutabile al di sopra d'ogni cosa, amandolo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e amando il prossimo come se stesso, potrà arrivare all'albero della vita e vivere in eterno.

Si riepilogano e si ribattono le singole calunnie dei manichei.

28. 42. Che cosa hanno dunque costoro da criticare in questi libri dell'Antico Testamento? Ci rivolgano pure delle domande com'è loro costume e noi risponderemo come il Signore si degnerà di concederci. "Perché mai -dicono - Dio creò l'uomo dal momento che sapeva che avrebbe peccato?". Perché, anche per mezzo d'un peccatore, avrebbe potuto molte cose buone, ordinandolo secondo la norma della propria giustizia, e perché il suo peccato non avrebbe nociuto affatto a Dio: e inoltre sia perché, se non avesse peccato, non ci sarebbe stata la morte, sia perché, per il fatto che commise il peccato, gli altri mortali si correggono considerando le conseguenze del suo peccato. Nulla infatti distoglie dal peccato gli uomini, come il pensiero della morte che tutti ci attende. "Dio - dicono - avrebbe dovuto creare l'uomo incapace di peccare". Ma, al contrario, era l'uomo stesso che doveva impegnarsi a ciò, perché era stato fatto in modo che, se non avesse voluto, non avrebbe peccato. "Non si sarebbe dovuto permettere - dicono - al diavolo di avvicinarsi alla moglie di Adamo". Al contrario; proprio lei non doveva permettere che le si avvicinasse il diavolo, poiché era stata fatta in modo che, se non avesse voluto, non lo avrebbe lasciato avvicinare. "Non sarebbe dovuta esser fatta la donna" dicono; vale a dire: non avrebbe dovuto essere fatto un bene e un bene così grande che l'Apostolo dice ch'essa è la gloria dell'uomo e tutto proviene da Dio. I manichei domandano ancora: "Chi fece il diavolo?". Fu lui stesso a farsi diavolo, non essendo tale per natura ma lo è diventato per aver peccato. "Dio - essi dicono - non avrebbe dovuto nemmeno crearlo, se sapeva che avrebbe peccato". Al contrario; perché non avrebbe dovuto crearlo, dal momento che in virtù della propria giustizia e provvidenza riconduce sulla retta via molte persone servendosi della malvagità del diavolo? Non avete forse udito l'apostolo Paolo che dice: Li ho consegnati al potere di Satana perché imparino a non bestemmiare 109? Di se stesso inoltre dice: E perché non montassi in superbia a causa delle grandi rivelazioni che ho avuto, m'è stato dato un pungiglione della carne, come un emissario di Satana che mi schiaffeggi 110. "Il diavolo dunque - dicono - è buono perché è utile?". Al contrario: egli è cattivo in quanto è diavolo, ma buono e onnipotente è Dio il quale, servendosi anche della malvagità di lui, produce molti effetti giusti e buoni. Al diavolo infatti non viene imputato nient'altro che la propria volontà con cui si sforza di compiere il male, non la provvidenza di Dio che agisce rettamente servendosi di lui.

Si confutano gli errori dei manichei sulla natura di Dio e sulla natura umana.

29. 43. Infine, essendo la discussione tra noi e i manichei relativa alla religione e il problema della religione, è sapere che cosa deve pensarsi di Dio con spirito di fede, poiché essi non possono negare che il genere umano non si trova nell'infelicità derivante dei peccati, dicono che la natura di Dio è nell'infelicità. Noi però lo neghiamo e diciamo invece che nell'infelicità si trova la natura che Dio fece dal nulla e giunse a questa condizione non perché vi fosse stata costretta ma perché vi fu spinta dalla volontà di peccare. Essi dicono che la natura di Dio viene indotta dallo stesso Dio a pentirsi dei suoi peccati. Noi lo neghiamo e diciamo invece che a pentirsi dei peccati è la natura creata da Dio dopo ch'essa ha peccato. Essi dicono che la natura di Dio riceve il perdono dallo stesso Dio. Noi lo neghiamo e diciamo invece che il perdono dei peccati lo riceve la natura che Dio creò dal nulla, se tornerà al suo Dio allontanandosi dai propri peccati. Essi dicono che la natura di Dio è necessariamente mutevole. Noi lo neghiamo ma diciamo che a cambiarsi per propria volontà fu la natura che Dio creò dal nulla. Essi dicono che alla natura di Dio arrecano danno i peccati commessi da altri. Noi lo neghiamo ma diciamo che i peccati nuocciono solo alla natura che li commette. Noi inoltre affermiamo che Dio è tanto buono, tanto giusto, tanto incorruttibile che non solo egli non pecca, ma non nuoce nemmeno a nessuno che non vorrà peccare, e nemmeno nuoce a lui alcuno che vuol peccare. Essi dicono ch'esiste la natura del male, alla quale Dio è stato costretto a credere una parte della propria natura per essere tormentata da quell'altra. Noi invece affermiamo che non esiste alcun male naturale, ma che tutte le nature sono buone, che lo stesso Dio è la suprema natura e tutte le altre nature derivano da lui e che tutte sono buone in quanto esistono, poiché Dio ha fatto molto buone tutte le cose, ordinate però nei loro distinti gradi in modo che una sia migliore di un'altra; in tal modo è pieno d'ogni sorta di beni questo universo ch'è per intero perfetto negli esseri, alcuni dei quali perfetti, altri invece imperfetti. L'autore e creatore di questo universo, Iddio, non cessa di governarlo con giusto ordinamento, poiché egli fa tutto di propria volontà e non subisce alcun male per necessità. Dato infatti che la sua volontà è superiore ad ogni necessità. Dato infatti che la sua volontà è superiore ad ogni cosa, Dio non subisce nulla da nessuna parte contro la propria volontà. Questo è dunque ciò che affermano essi e ciò che affermiamo noi: ciascuno per conseguenza scelga che cosa deve approvare. Io infatti - lo dirò sinceramente al cospetto di Dio -, ho esposto ciò che mi pareva giusto senza alcun desiderio di contesa, senza alcun dubbio sulla verità e senza alcun pregiudizio d'una spiegazione più diligente.