In questo lungo periodo il vescovo d'Ippona svolse un'intensa attività nel governo della diocesi, nella partecipazione alla vita della chiesa africana, nell'approfondimento della fede, nella lotta contro l'eresie.
La sua attività può essere distinta tra ordinaria e straordinaria o impegno di difendere la fede cristiana.
La carica di vescovo comportava prima di tutto una sorta di attività giudiziaria, cioè l'audientia episcopi che Agostino, in base alle interpellanze fatte " dai cristiani o da persone di qualsiasi setta ", esercitava " con religiosa diligenza " e con tanta assiduità da dedicarvi gran parte della giornata, " talvolta fino all'ora della refezione, talvolta prolungando anche tutto il giorno il digiuno " 1; con questo estenuante lavoro non solo dirimeva le questioni, ma anche illuminava ed istruiva.
Accanto all'audientia episcopi Agostino non trascurava certo il " ministero della parola ", adempiendolo " con zelo e coraggio " e, nonostante la malferma salute, senza alcuna interruzione, fino al termine della sua vita 2. Si applicava con particolare diligenza ad istruire quelle persone che fossero capaci d'insegnare agli altri 3, e predicava abitualmente due volte alla settimana, il sabato e la domenica 4, talora anche per parecchi giorni consecutivi 5, e persino due volte al giorno 6. Dopo Ippona, Cartagine fu il teatro della sua predicazione, e non solo Cartagine. Al termine della vita Agostino dirà, addolorato, che dovunque si fosse trovato, aveva dovuto parlare e assai di rado gli era stato consentito di tacere e ascoltare gli altri, come era suo desiderio 7. La sua predicazione era facile, limpida, immediata; ma era anche ardente e profonda, sia che fosse stata preparata nella meditazione 8, sia che fosse improvvisata 9. Il popolo lo ascoltava avidamente e, commosso, applaudiva: " L'attenzione di coloro che desiderano ascoltarmi mi fa capire che non è freddo, come a me sembra, il mio modo di esporre; e dalla loro espressione di giubilo comprendo che vi hanno attinto qualcosa di utile " 10. Qualche volta chiudevano il discorso le lacrime del gregge e del pastore 11. Ma tra i suoi doveri episcopali v'era anche l'amministrazione dei beni ecclesiastici, che Agostino sostenne sempre pazientemente, senza tuttavia mai amarla: " Se potessi farlo senza venir meno al mio dovere, vorrei disinteressarmene " 12. Il suo maggiore studio era quello di tenere l'animo libero da ogni preoccupazione di cose temporali, per cui era disposto a rinunziare all'amministrazione dei possedimenti della Chiesa e a vivere dei contributi del popolo di Dio; ma i laici non accettarono mai questa proposta 13. " Non volle comprare mai case, poderi, ville " né " mai si occupò di nuove costruzioni per evitare che vi siimpigliasse il suo animo ", tuttavia non proibiva che altri lo facesse, purché con moderazione 14. Col suo appoggio furono costruiti ad Ippona un ospizio per i pellegrini, la Basilica ad octo martyres 15, la cappella in onore di S.Stefano, annessa alla Basilica pacis 16, due " memorie " dei martiri Gervasio e Protasio 17. Per quanto riguardava i legati, al popolo che si lamentava perché egli aveva rifiutato testamenti a favore della Chiesa, dichiarava di regolarsi così: li accettava se il testatore non aveva figli, oppure, avendone, considerava Cristo come uno di essi e gli lasciava una parte dei suoi beni; non li accettava se il padre aveva diseredato i figli, oppure se l'eredità avrebbe creato un pericolo o un fastidio per la Chiesa. Così, non accettò l'eredità di un certo Bonifacio, perché " la Chiesa di Cristo non diventasse proprietaria di navi ". Così pure era pronto a restituire i beni a chi glieli aveva donati, se questi, dopo la donazione, aveva dei figli, agendo così non " per un diritto legale " ma " per un diritto celeste " 18.
Aveva, inoltre, grande cura dei poveri, " che aveva sempre presenti ", e per aiutarli attingeva dai possedimenti della Chiesa e dalle offerte dei fedeli 19. Egli non aveva risparmi, perché non riteneva " degno d'un vescovo mettere da parte danaro e allontanare da sé la mano del mendicante " 20. Quando non aveva nulla da dare ai bisognosi, avvertiva il popolo, con tanta maggiore insistenza quanto più i tempi erano calamitosi, ricordando che il modo migliore di salvare i propri beni era quello di darli a Cristo. " solo ciò che si dà in elemosina non perisce " 21. Ed esortava chi non avesse figli a lasciare erede Cristo; chi ne avesse, a contarne uno di più e a lasciare qualcosa a Cristo 22. Nei momenti di necessità non esitò a far spezzare e fondere i vasi sacri per soccorrere i prigionieri o gran numero di poveri 23. Aveva introdotto tra i fedeli l'uso di raccogliere e di distribuire annualmente vesti per gli indigenti 24 e, anche quando era lontano, stimolava i suoi fedeli perché non dimenticassero quell'opera di misericordia 25.
Ma Agostino, sebbene esplicasse con tanto fervore i suoi doveri episcopali, non tralasciava di adempiere tutti gli altri, impostigli dalla grande pietà di pastore: la visita agli infermi, presso i quali accorreva appena ne era richiesto 26; la difesa degli umili 27 e dei pupilli 28, la " raccomandazione presso le autorità civili " che, però, non sempre faceva, anche se era sollecitato dagli amici, " poiché per lo più i potenti fanno pressione per riavere i favori concessi "; egli intercedeva soltanto quando lo riteneva opportuno, e con tanta dignità e discrezione, sì da ottenere quanto desiderava e da riscuotere un tributo di ammirazione 29. Si adoperò, ancora, attivamente e ardentemente per la formazione del clero, da cui " ebbe inizio e stabilì la pace e l'unità della Chiesa " 30. Nei confronti del clero fu paterno e largo di fiducia 31, ma dette anche esempi di rara fermezza e d'inusitato rigore, come quando sospese dalla cura di anime e rimosse dalla sua diocesi il presbitero Abundanzio 32, o quando minacciò di radiare dal numero dei chierici coloro che fossero venuti meno a quella regola di povertà che avevano liberamente professata 33.
Dal clero formatosi alla scuola del vescovo d'Ippona provennero molti martiri del furore donatista: soltanto nel villaggio di Fussola, distante quaranta miglia da Ippona, ne furono " spogliati, feriti, debilitati, accecati, uccisi " non pochi 34. Agostino, inoltre, attese alla propagazione, alla difesa, alla organizzazione del monachesimo. Ad Ippona, non appena fu ordinato sacerdote, fondò il " monastero maschile ", e, appena divenuto vescovo, organizzò il " monastero di chierici " nella " casa del vescovo ", istituì il " monastero femminile " nelle vicinanze del palazzo episcopale 35 e fondò almeno altri due monasteri in campagna 36. Da Ippona il monachesimo si diffuse in tutta l'Africa dov'era fino allora sconosciuto, così che Agostino poté esserne considerato non solo il propagatore, ma l'inventore 37. Perciò dovette anche difenderlo; lo difese infatti contro i donatisti, che tacciavano di novità il monachesimo, ne schernivano persino il nome e ai monaci opponevano i loro " agonistici "; lo dovettero difendere anche contro le incomprensioni dei fedeli, contro le resistenze del clero e, infine, contro le deviazioni e gli errori degli stessi monaci. Dette la sua valida opera anche nell'organizzazione del monachesimo, scrivendo una Regola, che va sotto il suo nome e che si deve certamente ritenere autentica; rimane, però, aperta la questione se egli l'abbia destinata ai monaci per primi o alle religiose. La Regola voleva essere per tutti una norma permanente di vita ed era prescritta la sua lettura una volta alla settimana 38. In questa Regola, breve ma ricca di sapiente moderazione e di bontà, egli trasfuse la sostanza e lo spirito del suo ideale.
La corrispondenza costituiva per Agostino un peso gravissimo, che richiedeva quasi quotidianamente la sua opera. Infatti il numero di personaggi illustri o di oscuri fedeli, che da ogni parte dell'Impero si rivolgevano a lui, proponendogli le più diverse questioni, era ingente; e il santo, amabile con tutti, rispondeva sempre, e sapeva dire a ciascuno le parole più opportune. Spesso la lettera diventava un trattato; talora rispondeva componendo ed inviando un libro: infatti molti dei suoi libri sono nati così.
Ma era impegnato anche nelle riunioni dell'episcopato africano, alle quali prendeva parte attiva e vivacissima. Ma non amava lasciare la Chiesa di Ippona, di cui si considerava servo 39, sia perché la malferma salute gli rendeva difficili i viaggi, sia perché il popolo non tollerava che il suo Pastore fosse lontano dalla città; se ne allontanava solo per il servizio che doveva rendere alla Chiesa universale e quindi " non per capricciosa libertà ma per doverosa necessità " 40. Si recava nelle altre diocesi quando i vescovi lo invitavano a presenziare ai concili plenari africani o ai concili provinciali, nei quali si adoperava con tutte le forze " perché rimanesse inviolata la fede della santa Chiesa cattolica " 41.
L'episcopato di Agostino fu dominato dalla lotta appassionata contro le eresie: conducendo fino alla vittoria questa lotta, rese un incomparabile servizio alla Chiesa universale e si acquistò un titolo di perenne gratitudine presso i posteri.
In questa lotta si possono distinguere sommariamente tre fasi: quella contro il manicheismo (durata dal 396 al 400), quella contro il donatismo (dal 400 al 411), infine quella contro il pelagianesimo (dal 411 al 430). Quest'ultimo periodo può essere suddiviso a sua volta in tre fasi: dal 411 al 418, che fu il periodo più espositivo e tranquillo, rispose a Pelagio e a Celestio, mentre dal 418 al 430, periodo fortemente polemico, rispose a Giuliano da Eclano. Verso la fine della vita (426 - 429) rispose al monaci Adrumeto e di Marsiglia sulle questioni della predestinazione.
a) Manicheismo
La lotta contro il manicheismo, che iniziò a Roma, continuandola a Tagaste e intensificandola a Ippona subito dopo l'ordinazione, si concluse favorevolmente nei primi anni dell'episcopato. Nella controversia espose i grandi temi della filosofia cristiana: Dio, la creazione, la libertà dell'uomo, la natura e l'origine del male; e colpì soprattutto i principali esponenti della setta: Fortunato, Adimanto, Fausto, Felice, Secondino e lo stesso Mani. Fortunato e Felice furono sconfitti in pubblici contraddittori; il primo, che viveva da molti anni ad Ippona e che aveva raccolto molti seguaci, lasciò la città e non si fece più vedere 42; l'altro, in seguito alla disputa (tenuta l'otto dicembre del 398), abiurò l'errore e si convertì alla Chiesa Cattolica 43. Dopo poco tempo rispose a Secondino, che lo aveva esortato a tornare al manicheismo se voleva salvarsi (e, infatti, chiede: " Chi salverà il punico? "). Con quest'opera, che l'autore preferisce a tutte quelle che aveva scritto contro i manichei 44, la lotta contro quell'errore si può dire esaurita: la riprenderà in seguito, indirettamente e per breve tempo, scrivendo nel 415 contro il priscillianismo e contro il marcionismo.
b) Donatismo
La lotta per l'unità della Chiesa contro i donatisti fu più lunga e più aspra fino a toccare punte assai drammatiche: essa costituiva da oltre un secolo il problema più importante della Chiesa africana, e Agostino vi s'impegnò con incredibile ardore. Prima di tutto egli cercò di agevolare agli erranti la via del ritorno alla verità: infatti, nel Concilio plenario tenuto a Cartagine nel 401, si adoperò perché i chierici donatisti convertiti, purché non si fossero macchiati di delitti e non avessero ribattezzato, potessero conservare il loro grado; inoltre, nella conferenza del 411, propose che i vescovi donatisti, anche se sconfitti, conservassero l'onore dell'episcopato 45. In secondo luogo, non dette requie all'errore: con discorsi, con lettere, con pubblici contraddittori, con libri rispose a tutti gli attacchi degli avversari, sciolse la difficoltà, chiarì i punti controversi sulla natura della Chiesa, sulla validità dei sacramenti, sulla storia del donatismo, preparando in tal modo la fine dello scisma.
A tanto zelo i donatisti risposero con violenza: i loro " circoncillioni ", bande di forsennati aggirantisi per campagne al grido di " Lode a Dio! ", che risuonava per i cristiani più terribile del ruggito dei leoni 46, dettero prova della crudeltà più efferrata, giungendo perfino a cavare gli occhi ai chierici della Chiesa cattolica capitati nelle loro mani e ad infondere nell'orbita vuota calce viva 47. Folli di furore contro Agostino, lo designarono pubblicamente come un lupo che doveva essere ucciso per la difesa del gregge, e assicuravano il perdono di tutti i peccati a chi l'avesse fatto 48. Gli tesero molte insidie per sopprimerlo; una volta sfuggì alle loro mani soltanto perché aveva sbagliato strada 49. Ciò nonostante continuò intrepido la sua azione; l'aveva cominciata appena sacerdote con la lettera al " carissimo e venerabile fratello Massimino ", vescovo donatista di Sinitum (presso Ippona), e la continuò fino alla conferenza di Cartagine, tenuta nel giugno del 411 per ordine di Onorio, sotto la presidenza di Marcellino. In questa conferenza, per opera soprattutto di Agostino, la verità e la carità trionfarono, e la questione donatista fu chiusa a favore della Chiesa cattolica 50.
Alla repressione del donatismo per mezzo dell'autorità imperiale fu decisamente contrario 51; poi nel consiglio di Cartagine tenuto nel 404 ottenne dai suoi colleghi che si invocasse la punizione dei donatisti solo per i delitti comuni; ma quando i vescovi, spinti dalle nuove atrocità commesse contro i cattolici, chiesero a sua insaputa tutto il rigore delle leggi contro gli scismatici, esigendo che il donatismo fosse proscritto, egli si convinse dell'opportunità di quella difesa 52; raccomandò, però, la mansuetudine e, soprattutto, che si evitasse la pena di morte 53 per riguardo a Cristo e alla Chiesa. Al tribuno Marcellino raccomandò, anzi comandò, che, evitando la legge del taglione, compisse, come giudice cristiano, l'ufficio di " un pio padre " 54; al proconsole Apringio ricordò che " una cosa è l'interesse di una provincia, altra quello della Chiesa " ed esortando alla mitezza lo pregò di mostrare nell'amministrazione della giustizia la mansuetudine della Chiesa, di cui appunto " debbono essere messe in risalto la clemenza e la mansuetudine " 55.
c) Pelagianesimo
Non era ancora terminata la polemica antidonatista che bisognò cominciare un'altra lotta, quella contro l'eresia pelagiana. Il pelagianesimo può definirsi una sorta di stoicismo cristiano che, insistendo sulle forze naturali dell'uomo e ammantandosi di un severo moralismo, negava i punti essenziali del cristianesimo: il peccato originale, la redenzione, la grazia. Agostino se ne avvide e, armato di una straordinaria preparazione teologica, scese in campo senza esitare, affermandosi ancora una volta come il campione della fede cattolica. Su invito del vescovo Aurelio tenne a Cartagine una serie di discorsi 56, rispose con lettere o con libri alle consultazioni di vescovi e di laici 57, confutò gli scritti di Pelagio e di Celestio, dissipò l'inganno con cui Pelagio aveva strappato l'assoluzione al sinodo di Diospoli, espose ai pontefici (prima Innocenzo e poi Zosimo) ciò che nell'orrore era più grave 58, illuminò i non pochi simpatizzanti di Pelagio, che erano specialmente tra i nobili 59, fu l'anima dei concili africani, che condannarono l'eresia (questi concili si tennero a Milevi nel 416, a Cartagine nell'autunno 417 e nel maggio 418). La lettera di Innocenzo, datata 27 gennaio 417 60 e l'Epistola tractoria di Zosimo, scritta nella primavera del 418, confermavano la condanna e chiudevano la prima fase della lotta antipelagiana.
Ma le fatiche non erano ancora finite. Giuliano di Eclano, l'interprete dei diciotto vescovi italiani che avevano rifiutato di sottoscrivere l'Epistola tractoria, continuò a difendere il pelagianesimo e, col suo spirito dialettico e mordace, ne divenne il più abile sostenitore. Contro di lui Agostino, ormai quasi settantenne, adoperò tutte le armi della dialettica: smascherò i sofismi dell'avversario, approfondì l'argomento della tradizione, espose con maggiore profondità le questioni riguardanti la trasmissione del peccato, la natura della concupiscenza, la libertà cristiana.
Intanto rispondeva anche alle difficoltà nate dal problema della grazia e del libero arbitrio tra i monaci di Adrumeto. Quando, poi, dalle Gallie, Prospero e Ilario lo informarono degli errori (" reliquie " del pelagianesimo) che serpeggiavano tra i monaci di Marsiglia, scrisse due libri sul tema gravissimo della predestinazione; in essi dimostra che l'inizio della fede e la perseveranza finale sono doni di Dio.
Ma ormai Agostino si avviava verso la fine della sua vicenda mortale. Il 26 settembre 426, subito dopo il suo ritorno da Milevi, dove con la sua influenza aveva sedato i dissidi sorti per l'elezione del successore di Severo, elesse in forma solenne, davanti al clero e al popolo che gremiva la chiesa, il suo successore, con l'intento di risparmiare alla Chiesa d'Ippona dissidi dopo la sua morte, e di affidare al neoeletto, che era il prete Eraclio, l'amministrazione temporale della diocesi. Il popolo prese atto di questa volontà e lungamente applaudì il designato e Agostino; per quasi trenta volte il grido Augustino vita! echeggiò sotto le volte della basilica 61.
Il riposo dopo l'elezione del successore fu " laborioso " come aveva previsto: all'attività letteraria, particolarmente intensa, si aggiunse il dolore di vedere l'Africa devastata dai Vandali, che il conte Bonifacio aveva chiamato dalla Spagna. Agostino intervenne in nome della religione e della patria, fiducioso di sedare la guerra perché, com'egli dice, " è segno di maggior gloria uccidere le guerre con la parola anziché gli uomini con le armi, e conquistare la pace con la pace, non con la guerra " 62; ma non poté fermare il corso degli eventi. Quando il conte Bonifacio, riconciliatosi con la corte, volle che i Vandali ritornassero in Spagna, era ormai troppo tardi. Dovette dar loro battaglia; sconfitto, fu costretto a ritirarsi con le truppe imperiali stremate nella munitissima Ippona, che i nemici cinsero d'assedio. Nel terzo mese d'assedio Agostino, sopraffatto dal dolore, fu colpito dalle febbri e, dopo breve malattia, nella notte tra il 28 e il 29 agosto del 430 63, alla tarda età di settantasei anni 64, circondato dai vescovi delle regioni vicine rifugiatisi ad Ippona, lasciò quest'esilio per la sua patria vera 65.
Prospero d'Aquitania annota nel suo Chronicon all'anno 430: "Il vescovo Agostino, in tutto eccellentissimo, muore il 28 agosto, mentre, fin negli ultimi giorni della sua vita e sotto gli attacchi dei Vandali assedianti, sta rispondendo ai libri di Giuliano, continuando così a difendere gloriosamente la grazia di Cristo " 66.