CAPITOLO TERZO

Dalla conversione all'episcopato (386 - 396)

1. Solitudine di Cassiciaco

Subito dopo la conversione, avrebbe desiderato rinunziare alla cattedra, così come aveva rinunziato al matrimonio 1, ma poi per evitare ogni scalpore, decise di continuare la scuola fino alle imminenti vacanze. Finite queste a metà ottobre, fece sapere ai milanesi che lo sostituissero, perché egli non poteva continuare in quella professione " per le difficoltà del respiro e per il dolore del petto " 2. Questo non era soltanto un pretesto: i suoi polmoni erano veramente affaticati dall'insegnamento e avrebbero costituito un serio imbarazzo se la sua vita non avesse preso un corso nuovo 3. Lasciato l'insegnamento, verso la fine di ottobre o ai primi di novembre 4, si ritirò a Cassiciaco, che si deve identificare probabilmente con l'odierna Cassago in Brianza 5, in una villa di campagna messa a sua disposizione dall'amico Verecondo 6. Agostino annota le persone care che erano con lui: " la madre (al cui merito risale tutto ciò che sono), il fratello Navigio, Trigenzio e Licenzio, concittadini e discepoli miei... e c'era il figlio mio Adeodato " 7. Bisogna aggiungere a questi anche Alipio, che era a Milano quando ebbe luogo la disputa sulla vita beata 8.

Per rendersi conto della vita che si menava a Cassiciaco, occorre fare una distinzione tra l'aspetto esterno e le interiori elevazioni del santo.

A Cassiciaco la vita trascorreva esteriormente tranquilla, immersa in una grande serenità campestre. La giornata, che iniziava 9 e si chiudeva con la preghiera 10, era occupata dalle cure domestiche e da quelle del fondo 11, talora impegnative 12, e dall'istruzione impartita ai discepoli Trigenzio e Licenzio 13, dalle discussioni filosofiche, suscitate dal desiderio di penetrare il contenuto della fede (" Tale è infatti la mia attuale disposizione che desidero di apprendere senza indugio le ragioni del vero non solo con la fede ma anche con l'intelligenza " 14), dalla dettatura delle lettere 15, delle quali solo quattro ci sono pervenute 16, infine dalla meditazione della Sacra Scrittura 17. Agostino s'intratteneva a tavola poco tempo: mangiava quanto era strettamente necessario per estinguere la fame 18, sì che l'inizio del suo pranzo coincideva con la fine 19. Qualche volta le discussioni facevano perfino dimenticare il pranzo; e allora Monica, la buona madre di tutti, interveniva: " nostra madre (eravamo già in casa) cominciò a spingerci a pranzo con tanta foga, che non ci fu più modo di discutere " 20.

Ma l'aspetto più vero della vita condotta a Cassiciaco è tutta interiore. Su questa attività spirituale i Dialoghi gettano pochi sprazzi di luce, che sono però sufficienti per farci intendere ciò che narrano le Confessioni. Sebbene grande e serenatrice fosse la gioia della conquista della fede, vi era nell'animo un tale rammarico al ricordo del passato, una tale coscienza delle sue infermità morali, una invocazione così accorata della completa guarigione, che le lacrime costituivano il suo pane quotidiano. Anche per il ribollire dei sensi non ancora domati piangeva, e il suo pianto aggravava il male di petto 21; a Licenzio e Trigenzio, che compiono un atto d'orgoglio, il maestro dice tra le lacrime di non infliggergli altre ferite 22; e per le sue ferite prega il Signore " quasi tutti i giorni nelle lacrime " 23. Trascorreva metà della notte immerso nella meditazione 24, spesso bagnata da lacrime (" Poco dopo apparve il giorno... ed io pregai a lungo nel pianto " 25); e l'ardore di queste meditazioni si effonde soprattutto nella lunga preghiera dei Soliloqui 26. Questo periodo che Agostino ricorda con dolcezza e gratitudine, fu ricco di " grandi benefici " divini, con i quali il Signore lo andava preparando al battesimo e a una vita di alta contemplazione 27.

2. Battesimo

Quando giunse il momento di iscriversi tra i battezzandi (all'inizio della quaresima, 10 marzo, o, nella Chiesa milanese, già all'Epifania), lasciò il suo ritiro e ritornò a Milano, dove nella notte tra il 24 e il 25 aprile, la vigilia di Pasqua, ricevette il battesimo. Insieme con lui rinacquero in Cristo Alipio e il figlio Adeodato, che aveva allora quindici anni.

Nelle Confessioni narra incisivamente gli effetti del battesimo: " e fummo battezzati, e fuggì da noi ogni affanno della vita trascorsa " 28. Il racconto di questo avvenimento decisivo ricorre di frequente nelle opere di Agostino, soprattutto quando parla di Ambrogio, " che venero come padre perché mi ha rigenerato... in Cristo Gesù " 29.

Dopo il battesimo Agostino cercò il luogo più adatto per concretare il proposito concepito al momento della conversione: quello di consacrarsi interamente al servizio di Dio e di vivere in comune. Si consigliò con i suoi cari e decise di tornare in Africa; verso la fine dell'estate lasciò Milano e raggiunse Ostia. Mentre attendevano d'imbarcarsi e si riposavano del lungo viaggio, Monica improvvisamente si ammalò e, dopo nove giorni, all'età di cinquantasei anni, morì; Agostino aveva allora trentatré anni 30: il 13 novembre 387 non era ancora arrivato.

3. Roma

Dopo aver reso alla madre l'estremo tributo d'affetto, tornò a Roma dove soggiornò per circa un anno: ma nelle Confessioni di questo periodo non racconta nulla. Fu verosimilmente preso dal desiderio di approfondire la sua fede e di conoscere più da vicino la vita monastica, a Roma già molto fiorente. Si dedicò infatti a studiare le consuetudini della Chiesa romana 31 e a visitare i monasteri (" A Roma conobbi molti monasteri... non solo di uomini ma anche di donne " 32), comparando la vita esemplare dei religiosi cattolici a quella sregolata dei manichei. La sua avversione per quella sètta si espresse in un'opera polemica. Lo dice egli stesso; " Trovandomi a Roma, già battezzato, e non potendo sopportare in silenzio la tracotanza dei manichei, che si gloriavano della loro falsa e fallace continenza o astinenza, con cui, per ingannare gli ingenui, si preferiscono ai veri cristiani, ai quali non sono neppure lontanamente paragonabili, scrissi due libri, il De moribus Ecclesiae catholicae e il De moribus manichaeorum33.

Scrisse pure il De quantitate animae e cominciò il De libero arbitrio, due dialoghi aventi come interlocutore Evodio 34, un suo concittadino che a Milano si era aggregato al suo gruppo e si era deciso anch'egli di consacrarsi al servizio di Dio 35.

Dopo il 28 agosto 388, giorno in cui fu ucciso il tiranno Massimo 36, lasciò Roma e ritornò in Africa 37, trattenendosi dapprima alcuni giorni a Cartagine 38 e raggiungendo poi la sua Tagaste. Dice di questo ritorno: " In un modo ce ne siamo andati, ed in un altro siamo tornati " 39.

4. Tagaste

A Tagaste attuò subito il suo programma di vita: vendette i pochi beni che aveva, ne distribuì il ricavato ai poveri 40 e, insieme con alcuni amici che lo seguivano nel santo proposito, tra cui Alipio, Evodio e Adeodato, si dedicò fuori della città ai digiuni, alla preghiera e allo studio.

La regola più importante di quella piccola comunità, ispirata al ricordo dei primi cristiani e all'esempio dei monasteri visitati in Italia, era che nessuno possedesse qualcosa di proprio, ma che tutto fosse proprietà comune, da cui si distribuisse a ciascuno secondo il bisogno 41. Lo scopo di tale comunanza di beni era quello di " indiarsi nella tranquillità " 42, attraverso una vita di raccoglimento (" dimorare piacevolmente in compagnia dello spirito " 43) e d'intensa e profonda contemplazione (" Rifugiati nella tua anima e innalzala a Dio per quanto puoi " 44). L'ideale dell'apostolato, quello proprio della " santa tranquillità " (otium sanctum), era attuato e intensamente vissuto da Agostino, e a questo proposito scrive Possidio: " Delle verità che Dio rivelava alla sua intelligenza nella meditazione e nell'orazione faceva parte ai presenti e agli assenti, ammaestrandoli con discorsi e con libri " 45. Se si pensa non già a questa attività di Agostino o al dialogo De Magistro, intessuto con il figlio Adeodato, ma all'interesse che tutti i componenti della comunità avevano per i problemi di pensiero, non si può negare a questo primo monastero in terra d'Africa un carattere anche culturale. Una prova ne è il De diversis quaestionibus 83, un'opera nata dalle interrogazioni che nel monastero i " fratelli " rivolgevano ad Agostino quando lo vedevano libero 46. Ma quella pace, così vagheggiata da Agostino, non era perfetta: i concittadini affidavano ad Agostino troppi incarichi da cui egli, sempre amabile, non sapeva esimersi, pur soffrendone (un'eco di ciò si trova in una lettera, tra quelle agostiniane, di Nebridio 47) e pensava di allontanarsi da Tagaste. Un giorno, infatti, sul principio del 391, si recò ad Ippona per cercare dove potesse fondare un monastero 48 e per vedere un amico che sperava di poter conquistare alla vita monastica 49, quando la Provvidenza diede un nuovo corso alla sua vita.

5. Ippona

Agostino entrò per caso nella Basilica pacis mentre il vescovo della città, Valerio, esponeva al popolo la necessità d'un presbitero; i fedeli, allora, che conoscevano per fama la santità e la dottrina di Agostino, notata la sua presenza, con un procedimento tumultuoso, in quei tempi non insolito, lo afferrarono e lo presentarono al vescovo, chiedendo ad alte grida che lo ordinasse sacerdote. Agostino, che aveva composto tutti i suoi pensieri in una vita di preghiera e di studio e paventava la responsabilità del ministero sacerdotale 50, fece tutto il possibile per esimersi. Ma la volontà del popolo prevalse; ed egli, piangendo dirottamente 51, accettò (" poiché al servo non è lecito disobbedire al suo Signore " 52), intuendo in quella violenza del popolo (" mi fu fatta violenza " 53) un segno del volere di Dio.

Quanto la scelta fosse stata felice si vide immediatamente: il nuovo sacerdote dispiegò una tale attività e con tanto successo che non solo Ippona, ma tutta la Chiesa d'Africa " cominciò a rialzare la testa " 54. Fondò un monastero di laici, dove visse egli stesso con i servi di Dio 55, che divenne ben presto seminario di sacerdoti e di vescovi per tutta l'Africa 56. Con libri e con pubblici contraddittori continuò la polemica contro i manichei 57 e cominciò la lotta contro i donatisti 58. Per volere del vescovo ed anche in sua presenza, nonostante " l'uso e la consuetudine contraria delle chiese africane ", Agostino esercita il ministero della parola 59. Quando si svolse ad Ippona nel 393 il concilio " di tutta l'Africa ", per volere dei Padri disputò sul Simbolo 60; e riuscì anche con la sua eloquenza ad estirpare il grave abuso dei banchetti, che allora il popolo soleva celebrare nelle " memorie " dei martiri 61.

Il vescovo Valerio, che lo aveva ordinato, godeva e benediceva il Signore; ma insieme con la gioia nutriva in cuore un grande timore, che cioè, prima o poi, questo mirabile sacerdote gli fosse strappato da qualche chiesa rimasta priva del suo pastore. Già, infatti, dal monastero d'Ippona erano partiti Alipio per Tagaste e Profuturo per Cirta; quanto ad Agostino era riuscito a salvarlo da un simile tentativo, tenendolo nascosto, cosicché non si riuscisse a trovarlo. Ma questo sotterfugio non poteva durare a lungo. Per evitare, dunque, alla sua chiesa la grave iattura di perderlo, Valerio in tutta segretezza chiese ed ottenne dal vescovo di Cartagine e primate dell'Africa, Aurelio, che Agostino fosse consacrato vescovo suo coadiutore e successore. Per attuare il suo disegno colse l'occasione d'una riunione ad Ippona dei vescovi della Numidia presieduta dal primate, Megalio di Calama. Quando Valerio manifestò il suo disegno, sorsero alcune difficoltà; Agostino, appellandosi alla consuetudine della Chiesa, che non permetteva più di un vescovo per ogni sede, non voleva farsi consacrare; Megalio, che aveva dato credito alle calunnie architettate e diffuse dai donatisti, non voleva consacrarlo. Ma queste difficoltà furono superate: si lasciò persuadere dalle eccezioni che quella consuetudine ammetteva (non conosceva, però, e se ne rammaricò più tardi, il divieto del Concilio di Nicea 62), e il primate riconobbe e confessò pubblicamente il suo errore 63.

La consacrazione episcopale ebbe luogo in quella stessa occasione, in mezzo al giubilo del clero e del popolo 64, tra l'Ascensione del 395 (quando era ancora semplice presbitero) e l'agosto 397 (sottoscrisse, quale vescovo d'Ippona, gli Atti del Concilio di Cartagine). Quando scrisse i due libri a Simpliciano (" vescovo della chiesa di Milano e successore del beatissimo Ambrogio " 66), e quindi dopo il 4 aprile 397, era " proprio all'inizio dell'episcopato " 67. Da questo dato cronologico si è indotti a credere che la consacrazione episcopale sia avvenuta nel 396, non già nell'imminenza del Natale del 395, come si è comunemente ritenuto in base al Sermone 339 68 e al Chronicon di Prospero 69. Ma il Perler insiste per il 395 70.