CAPITOLO SECONDO

DALLA NASCITA ALLA CONVERSIONE (354-386)

Agostino nacque a Tagaste, nella Numidia proconsolare, il 13 novembre del 354 e morì nel 430 all'età di 76 anni 1. Suo padre, di nome Patrizio 2, uomo affettuosissimo ma facile all'ira 3, era un "modesto cittadino " 4, membro del consiglio municipale 5. Sebbene, ormai vescovo, dica di essere " nato da genitori poveri " 6, tuttavia in casa vi erano dei servi e i suoi avevano qualche proprietà 7. La madre, Monica, era una donna di alte qualità naturali, cristiana e assai pia. Tutta la famiglia credeva in Cristo, tranne il padre, che s'iscrisse tra i catecumeni verso il 370 8 e morì l'anno seguente 9, dopo aver ricevuto il battesimo 10. Ebbe certamente un fratello, Navigio 11, e una sorella di cui ignoriamo il nome, la quale, rimasta vedova, si consacrò a Dio e resse fino alla morte il monasterium faeminarum ad Ippona 12. Riguardo all'origine di Patrizio, bisogna notare che Agostino chiama se stesso " africano " 13 e non confuta l'appellativo di " punico " che alcuni avversari gli danno per scherno 14; ma si noti anche che in casa di Patrizio i padroni e i servi parlavano il latino 15. Dunque, se fu di stirpe africana, fu romano di lingua, di cultura e di cuore.

I contemporanei, come Paolo Orosio nella sua storia e i più antichi manoscritti, danno ad Agostino il prenome di " Aurelio "; di esso, però, non è possibile determinare con certezza né la ragione, né l'origine.

1. La fanciullezza

Fin dai primi anni si rivelò " un ragazzo di belle speranze " 16, dall'ingegno vivace e dalla memoria pronta, che a scuola brillava su tutti i coetanei 17: " anche nei piccoli pensieri di piccole cose - dice egli stesso - mi compiacevo della verità; non volevo essere ingannato, avevo vigile la memoria, mi esercitavo nel parlare, trovavo dolce l'amicizia, fuggivo il dolore, l'abiezione, l'ignoranza " 18. Imparò contro voglia a leggere, a scrivere e a far di conto 19 sotto la terribile " sferza " del maestro elementare, sì da riportarne spesso le mani gonfie 20; di questo conservò sempre un ricordo amaro, misto di indignazione e di orrore 21. Ebbe in uggia il greco per la noia di doverne imparare le parole 22, né provò simpatia per la matematica: uno più uno fa due... risuonava per lui come un'odiosa canzone 23.

Vivo entusiasmo, invece, provocò in lui la letteratura latina, soprattutto la conoscenza di Virgilio: si commuoveva fino alle lacrime sui casi dell'infelice Didone 24 e, a scuola, sapeva recitare con tanta foga i brani dell'Eneide, da strappare gli applausi dei condiscepoli 25. In quanto al greco, se è vero che gli restò per molto tempo estraneo 26, è vero altresì che più tardi deve averlo imparato: infatti in molte occasioni se ne serve 27, e negli ultimi anni con vera padronanza della lingua 28; inoltre, nel De haeresibus, utilizza il trattato di Epifanio sulle eresie del testo originale greco 29.

Agostino ricevette in casa da sua madre un'educazione profondamente cristiana: per effetto di questa educazione, infatti, quando, ancor giovinetto, per un'oppressione di stomaco fu sul punto di morire, richiese insistentemente il battesimo 30; inoltre, l'amore per il nome di Gesù mai venne meno nel suo cuore 31 e salde furono sempre in lui la fede nella provvidenza 32 e la certezza della vita futura insieme con il timore dei giudizi divini 33. Questi sentimenti gli furono di guida anche nell'errore.

2. L'adolescenza

I peccati di Agostino fanciullo e adolescente non devono essere né esagerati, né attenuati, come spesso, per opposte ragioni di polemica, si è fatto; il santo ne parla da santo, ma non ne altera la natura. Nella fanciullezza l'amore al gioco gli impediva di applicarsi intensamente allo studio; con piccoli furti nella dispensa domestica soddisfaceva la gola o si procurava di che dare ai compagni, i quali si facevano pagare per giocare insieme con lui; con le menzogne ingannava il pedagogo, i maestri e i genitori per correre agli spettacoli e imitare, poi, gli attori ammirati a teatro; perpetrava piccole frodi per vincere nel gioco e, inoltre, facilmente s'accendeva d'ira se era smascherato o si scopriva frodato 34. L'espressione " così piccolo fanciullo e così grande peccatore " 35, su cui spesso s'insiste, è un'esclamazione che si spiega non già con la visione pessimistica che Agostino avrebbe avuto della fanciullezza (proprio lui difende l'innocenza di questa età dalle accuse dei pelagiani 36), ma con lo sguardo scrutatore del santo, che vede nelle cattive inclinazioni del fanciullo i germi dei peccati futuri.

Realmente gravi furono i peccati che commise nell'adolescenza, soprattutto nel sedicesimo anno di età, in quel triste anno d'ozio dopo gli studi di Madaura 37. E non si pensi al furto delle pere 38, che rimane pur sempre un piccolo furto e, malgrado le lunghe considerazioni del filosofo-teologo sul " delitto gratuito " 39, non può cambiare natura. Del resto nel dettato delle Confessioni si distingue assai bene la narrazione dei fatti e le meditazioni filosofico-teologiche che vi tesse sopra. Altri furono i veri peccati. Dominato da sentimento inquieto dell'amore, che si era acceso nel suo animo, per cui nulla gli piaceva se non " amare ed essere amato " 40, non seppe mantenere " il confine luminoso dell'amicizia " e trascese nelle colpe. A nulla valsero le accorate raccomandazioni della madre; la compagnia dei coetanei, di cui non sapeva fare a meno, era per lui un nuovo motivo di rovina: in mezzo a loro aveva vergogna d'essere meno obbrobrioso, e qualche volta " fingeva d'aver fatto quello che non aveva fatto, per non apparire pusillanime dov'era meno colpevole " 41. L'anno seguente, nel 371, per la munificenza di Romaniano, gran signore di Tagaste 42, si recò nella metropoli africana per proseguire gli studi. A Cartagine si unì in relazione concubinaria con una giovane cartaginese, la madre di Adeodato 43, abbandonandosi inoltre alla passione degli spettacoli frivoli (" mi rapivano gli spettacoli del teatro, pieni delle immagini delle mie miserie " 44), che lì erano allestiti in gran numero 45. Ma si ricordi anche, a suo favore, che Agostino desiderava apparire tra i suoi coetanei " elegante e fine " 46, che aborrì e si tenne sempre lontano dalle ribalderie degli eversores 47 e che serbò per quattordici anni assoluta fedeltà alla sua compagna 48. Chi lo conobbe allora, conserverà di lui un gradito ricordo, come di un giovane studioso " amante della vita quieta e onesta " 49. L'unione con l'innominata cartaginese più che un abbandonarsi al vizio fu un freno contro il dilagare dei vizi: egli cercava " la soddisfazione dei sensi non disgiunta dalla buona reputazione " 50, due cose che gli derivavano appunto dal vivere more uxorio con una donna.

3. La lettura dell'Ortensio

Questi elementi, sebbene attestino la nobiltà del suo carattere, tuttavia non valgono a far dimenticare il reale atteggiamento del suo spirito. Agostino non aveva se non visioni terrene; anelava soltanto ai piaceri, agli onori, alle ricchezze. Da questo torpore spirituale, nel diciannovesimo anno di età, lo svegliò l' Ortensio di Cicerone. Il libro, per noi perduto, conteneva un'esortazione alla filosofia, come si può rilevare dagli stessi accenni lasciatici da Agostino: ogni uomo desidera essere beato, ma beato non è chi ha ciò che ama se non ama ciò che deve amare, perché " amare ciò che non conviene è già una grande miseria ". Ma l'uomo deve amare non le cose sensibili, bensì quelle immortali, che solo il sapiente raggiunge e possiede; dunque, per essere beati, bisogna " amare, cercare, conseguire, possedere, abbracciare fortemente la sapienza ", non già questa o quella setta, ma la sapienza vera, qualunque essa sia 51.

Agostino lesse appassionatamente quel libro e se ne invaghì. Il cambiamento che si produsse nel suo animo fu straordinario: improvvisamente ogni umana speranza si svuotò per lui di contenuto, e cominciò a desiderare con incredibile ardore la sapienza immortale. Fu un grande risveglio e l'inizio del ritorno al Signore: " e già cominciavo a rialzarmi per fare ritorno a te " 52.

Nell'Ortensio il problema della filosofia era il problema stesso della vita, l'unico che impegni tutto l'uomo. E così l'intese Agostino, proponendosi, qualora avesse trovata la sapienza, di " abbandonare tutte le vuote speranze e le mendaci follie delle vane passioni " 53. Cominciò, intanto, a distaccarsi dall'amore delle ricchezze. Nel colloquio con se stesso dice: " Non desideri le ricchezze? No, risponde, e non solo da ora. Difatti sono circa quattordici anni (ora ne ho trentatré) dacché ho cessato di desiderarle... Bastò un libro di Cicerone a persuadermi facilmente che le ricchezze non sono in alcun modo da desiderarsi... " 54.

4. Periodo razionalista

Ma egli si domandava tormentosamente dove potesse trovare la sapienza; il sentimento cristiano lo spingeva verso la Sacra Scrittura, poiché ogni altro libro, il quale, come l'Ortensio, non contenesse il nome di Gesù, non riusciva a conquistarlo del tutto 55; " perciò - egli dice - mi risolvetti di applicarmi allo studio della Scrittura santa " 56. La via era giusta, ma il giovane studente non aveva ancora le disposizioni necessarie per seguirla. Insieme al desiderio della sapienza s'era insinuato nel suo animo il germe del razionalismo. Lo spirito critico, che s'era risvegliato in lui con il maturarsi dell'età e degli studi, lo aveva spinto a liberarsi della "falsa e puerile interpretazione " che gl'impediva la ricerca della verità, quasi (così interpreto questo oscuro passo del De beata Vita 1, 4) confusamente e vagamente temesse che, per credere, dovesse rinunziare alla ragione; ma aveva anche acquisito la persuasione, e questo era l'elemento negativo, che la fede fosse un impedimento del sapere e che egli dovesse, quindi, seguire non coloro che gli chiedevano di credere, bensì coloro che gli insegnavano la verità senza la fede: " Mi creai la persuasione che ci si dovesse affidare più a coloro che usano la ragione che a coloro che usano l'autorità " 57.

Si avvicinò, dunque, alla Sacra Scrittura con l'atteggiamento presuntuoso di chi vuol discutere, non con l'animo pio di chi cerca di conoscere ciò che crede: aveva non l'" acume per discutere ", non la " pietà per cercare ", come egli dice, ricordando ai fedeli il suo antico errore: " Misero me che, ritenendomi idoneo a volare lasciai il nido (della fede) e caddi prima di volare " 58.

Se allo spirito razionalistico si aggiunge un raffinato gusto per lo stile letterario, si capirà perché si sia così fortemente urtato contro la sostanza, " velata di misteri ", e contro la forma, " indegna di essere paragonata alla maestà tulliana ", delle Scritture 59.

5. Definizione della fede

Fallito questo primo tentativo s'imbatté nei manichei; le sue disposizioni interiori, che contenevano insieme col desiderio della verità un misto di razionalismo e di cristianesimo superficiale, lo indussero ad aderire alla loro dottrina. Infatti i manichei proclamavano il culto della verità: " dicevano: verità, e ne parlavano a lungo ", e lui altro non desiderava che la verità: " O verità, verità, che profondi sospiri salivano anche allora verso di te dall'intimo dell'anima mia! " 60. I manichei ostentavano, inoltre, uno spiccato razionalismo; essi asserivano di lasciar da parte la " terribile " autorità e di voler indirizzare a Dio i loro seguaci con la forza della pura ragione, accusavano la Chiesa di basare il suo insegnamento sul terrore della superstizione, che esige la fede prima della ragione, mentre la loro dottrina non avrebbe obbligato nessuno alla fede, se la verità non fosse stata prima discussa e chiarita 61.

Queste premesse lo sedussero: egli sprezzò la dottrina cattolica " quasi favole da vecchierelle ", e si convinse di trovare presso i manichei " la verità chiara e autentica " 62. Egli era attratto, inoltre, dal fatto che i manichei avevano sul labbro ad ogni momento il nome di Gesù 63, che non aveva trovato, con suo disappunto, in Cicerone; anzi, Mani si presentava al mondo come " apostolo di Gesù Cristo " 64. I suoi seguaci impostavano, poi, la loro propaganda sul problema del male, quel problema che lo tormentò fin dalla prima giovinezza e lo spinse, anzi lo gettò, stanco, nell'eresia 65.

Di questo problema i manichei davano una soluzione fantasticamente attraente e moralmente comoda (anche se assurda sotto l'aspetto metafisico), che liberava gli uomini dalla responsabilità del peccato: " e nella mia superbia mi compiacevo di essere senza colpe..., anzi amavo scusare me e accusare non so quale altro essere, diverso da me ed esistente in me " 66. Infine rientrava nella propaganda dei manichei l'esempio di austerità che, apparentemente, davano gli " eletti " (" offrono un'immagine di vita casta e di straordinaria continenza " 67), invitando, così, l'iniziato all'interiorità e alla " gnosi ".

6. Periodo materialista

Per l'adesione alla dottrina manichea i testi inducono a ritenere che egli fu in una posizione di attesa, senza raggiungere mai la certezza 68; non dette mai perciò l'assenso pieno 69, non aderì ma totalmente alla loro setta (" la ragione m'impediva di aderire pienamente ad essi " 70); ma ebbe fiducia che " sotto questi involucri [di dottrine] essi celassero qualcosa di grande, che avrebbero un giorno svelato " 71. Per questo suo atteggiamento di attesa egli rimase tra quelli che i manichei chiamavano " uditori ", e non salì mai al grado degli " eletti " 72, abbandonando, come essi proclamavano di fare, " l'ambizione della carriera e i piaceri dell'amore " 73.

Bisogna pure ammettere che, malgrado la sua adesione condizionata e guardinga, egli fu un focoso propagandista del manicheismo: conquistò ai manichei Alipio 74, Romaniano, Onorato 75, l'innominato amico della sua infanzia 76, mentre mise in imbarazzo non pochi cristiani scarsamente istruiti 77. Questo duplice inganno di sé e degli altri è così icasticamente ammesso: " Durante nove anni, dal diciannovesimo al ventottesimo anno di età, eravamo sedotti e seducevamo, ingannati e ingannatori " 78. Altrove riassume in tal modo il suo atteggiamento verso i manichei: " Cercai con curiosità, ascoltai con attenzione; in modo sconsiderato acconsentii e tenacemente tentai di persuadere quant'altri potevo e contro altri ostinatamente e focosamente presi le difese " 79. Era convinto (e crediamo che la sua convinzione fosse sincera) della falsità della dottrina cattolica (" Avevo perso la speranza di poter trovare la verità nella tua Chiesa " 80); da questa sua convinzione scaturì l'ardore della lotta contro il cattolicesimo.

Egli, che della dottrina manichea aveva assorbito il materialismo e il dualismo metafisico ed era quindi incapace di concezioni incorporee, accusava la Chiesa di un materialismo ancora più grossolano del suo, deducendo che nella dottrina cattolica non v'era una risposta alle questioni proposte dai manichei. Questi ponevano insistentemente il problema della natura di Dio: ad Agostino pareva di " essere più pio " ritenendo Dio infinito in tutte le parti, tranne quella in cui si opponeva alla massa del male (come insegnava la dottrina manichea), piuttosto che pensandolo sotto l'aspetto umano, limitato da ogni parte (come la supposta dottrina cattolica avrebbe insegnato). Questa, infatti, accettando l'Antico Testamento, ammetteva che l'uomo era stato creato ad immagine di Dio, come insegna la Genesi; Dio quindi aveva una forma corporea come l'uomo. I manichei incalzavano poi col problema del male: " Da dove il male? " Egli pensava fosse " meglio credere " che nulla di male procedesse da Dio, piuttosto che ammettere che la sostanza del male, come allora la pensava, fosse stata creata da Lui. Anche la soluzione che la supposta dottrina della Chiesa avrebbe dato al problema dell'Incarnazione, gli appariva inaccettabile, e si guardava dal credere che il Figlio di Dio si sia fatto carne " per non essere costretto a crederlo inquinato dalla carne " 81. Aderiva pertanto volentieri al docetismo manicheo. Inoltre riteneva inconfutabili gli appunti mossi dai manichei contro la Sacra Scrittura 82. Con questo atteggiamento così fieramente avverso alla dottrina cattolica, pur allontanandosi dalla verità, aveva convinzione di andare verso la verità (" Mentre mi allontanavo dalla verità, credevo di andarle incontro " 83). Un errore fatale che scoprirà molto più tardi 84.

7. Il figlio di codeste lacrime

Questa fase di aberrazione durò per nove anni 85. Terminati frattanto gli studi di retorica nel 374, tornò a Tagaste, dove insegnò per due anni grammatica 86 e contrasse una forte amicizia con un compagno di studi. Quando l'amico morì, non trovando più pace nel suo paese (" Tutto per la mia anima era orrore, persino la luce " 87), in preda alla più cupa disperazione, lasciò Tagaste (" Era per me un tormento la mia città " 88) e tornò a Cartagine, affrettando l'attuazione di un disegno che aveva già vagheggiato con Romaniano, suo amico e mecenate 89. Aprì a Cartagine una scuola di retorica interessandosi nello stesso tempo ai vari problemi filosofici. Si dedicò ad un'attenta e meditata lettura dei testi riguardanti le arti liberali 90. Più di dieci anni prima, quando era appena ventenne, aveva lette e capite da solo le Categorie di Aristotele, ma, per sua stessa confessione, quella lettura, più che aiutarlo a liberarsi del materialismo, gli era riuscita nociva 91. L'interesse per il problema estetico si espresse nell'opera De pulcro et apto, in cui egli, incapace di attingere concezioni spirituali, si limitava alle forme corporee del bello 92. Studiò inoltre astrologia, aderendo alla superstizione degli astrologi 93, e fu incoronato poeta 94. Aveva letto molte opere di filosofi " e me le ricordavo bene " 95.

Mentre egli vive nel suo dramma, Monica piange e prega; ma dalle parole di un vescovo (" possa tu aver vita lunga, com'è vero che il figlio di codeste lacrime non può perire " 96) e dall'interpretazione di un sogno 97 trae la certezza che il suo Agostino sarebbe tornato sulla retta via 98.

8. L'incontro con Fausto di Milevi

Intanto la fiduciosa speranza riposta nella dottrina manichea fu scossa dalle discussioni di Elpidio e dalle argomentazioni di Nebridio.

Un tale Elpidio (di cui null'altro sappiamo), disputando a Cartagine intorno alla Sacra Scrittura, portava tali argomenti a favore della concordanza tra il Vecchio Testamento ed il Nuovo che la risposta dei manichei sembrava ad Agostino molto debole. Essi dicevano, infatti, ma in tutta segretezza, che il Nuovo Testamento era stato falsificato, non si sa da chi, per inserire la legge giudaica nella fede cristiana; ma poi non erano in grado di presentare alcun esemplare che non fosse interpolato 99.

Nebridio, invece, attaccava i manichei sul piano metafisico, chiedendo loro se Dio, principio del bene, fosse incorruttibile o corruttibile: se incorruttibile, cadevano nel nulla le loro asserzioni sulla sostanza divina (l'anima) che, mescolatasi con le tenebre (principio del male), era rimasta corrotta e attendeva di esserne liberata; se corruttibile, l'asserzione stessa di un Dio corruttibile era così grave da apparire riprovevole e falsa 100.

Ma le discussioni di Elpidio e le argomentazioni di Nebridio, sebbene avessero operato una certa impressione sul suo animo, non valsero a scuoterne la fiducia verso i manichei; ancora del tutto immerso nel suo materialismo, era convinto che il problema del male non trovasse altra soluzione se non quella del dualismo manicheo 101.

Avvertì però un vero disagio quando, allargando la sua cultura con la lettura dei filosofi, fu indotto a mettere a raffronto le loro dottrine con i racconti favolosi di Mani; da questo confronto Mani usciva sconfitto. Nelle opere di Mani si trovavano insegnamenti, soprattutto nel campo dell'astronomia, che erano contraddetti dalla scienza. Sebbene questa non fosse materia di religione, tuttavia chi si presentava al mondo con tanta autorità tentando perfino di farsi credere la personificazione dello Spirito Santo, non doveva insegnare errori di alcun genere, per non gettare discredito su tutta la sua dottrina. Ma ancora una volta Agostino pensò che un attento studio di esegesi avrebbe potuto forse conciliare le dottrine dei filosofi con quelle di Mani. Confessò i suoi dubbi ad alcuni manichei, che lo rimandarono, come per altri dubbi precedenti, a Fausto di Milevi, loro vescovo, che aveva fama di grande oratore e di uomo dottissimo 102.

Fausto venne a Cartagine nel 383, ansiosamente atteso; Agostino, fin dall'inizio della sua adesione alla setta, lo aspettava come un oracolo. Lo ascoltò, se ne entusiasmò, lo esaltò come persona simpatica e amabile nel parlare; ma lo giudicò affatto ignaro delle arti liberali, tranne che della grammatica, di cui aveva una conoscenza convenzionale. La modestia con cui si esimeva dall'entrare nella questione di fondo, glielo rese simpatico: gli divenne amico e gli fu guida della lettura degli autori di cui Fausto era tanto appassionato, quanto poco edotto 103. Ma l'attesa fiduciosa era stata delusa e definitivo fu il disincanto verso il manicheismo; infatti egli dice: " Ogni tentativo di far progressi in quella setta, dopo che ebbi conosciuto quell'uomo, cadde del tutto... Così quel famoso Fausto, che era stato per molti un laccio di morte, senza volerlo e senza saperlo, aveva cominciato a rallentare il laccio mio " 104.

Tuttavia neppure allora si distaccò completamente dalla setta: si propose solo di " non difenderla più col solito calore " 105, ma di restarvi finché non gli balenasse un'altra credenza che meritasse d'essere abbracciata 106.

In quell'anno stesso, con una partenza resa drammatica dall'inganno teso alla madre (" e a quella madre " 107), egli si recò a Roma perché era persuaso (fu questa " la causa principale e quasi la sola ") di trovare qui scolari più quieti di quelli " sovvertitori " di Cartagine, divenutigli insopportabili 108. A Roma fu ospite dei manichei (" occultati in grande numero a Roma " 109), i quali l'assistettero in una sua grave malattia e gli furono larghi di aiuto 110: " Anche a Roma mi univo con quei santi falsi e ingannatori: non solo con quelli che erano uditori... ma anche con quelli che chiamano eletti " 111. Quando poi, aperta la scuola, constatò con amarezza che gli alunni romani avevano un vizio diverso da quello degli alunni cartaginesi, ma non meno grave, quello cioè di abbandonare in gruppo il maestro al momento di pagare la mercede pattuita, per mezzo dei manichei ottenne da Simmaco, prefetto di Roma, di essere mandato, dopo aver superata la prova di declamazione, quale professore di retorica a Milano 112. Ciò avvenne nell'anno 384: l'anno seguente, il primo gennaio, recitò a Milano il panegirico per il consolato di Bautone 113.

9. Periodo accademico

Intanto, la disillusione provata nell'incontro con Fausto operava in profondità, aggravata ancora di più dalla scoperta, fatta probabilmente a Roma, della vita scandalosa che gli " eletti " conducevano 114. La "crisi manichea" fu sul punto di diventare "crisi della ragione": Agostino provò l'ansia dolorosa di chi dispera di poter raggiungere la verità. Non aveva più fiducia di trovarla presso i manichei; presso la Chiesa cattolica non la cercava neppure, perché, imbevuto della propaganda avversaria, era convinto che non ci fosse 115; la verità dei filosofi, soprattutto quella degli stoici, non già dei platonici, che non conosceva ancora, non gli bastava, perché in essa non ricorreva il nome di Gesù Cristo 116.

Allora gli " si affacciò al pensiero " che la vita giusta fosse quella seguita dagli accademici. Questi accademici, appartenenti all'Accademia di Mezzo, fondata da Arcesilao (315-240 a.C.), e all'Accademia Nuova, rappresentata da Carneade (219-129 a.C.), secondo l'opinione comune che egli allora condivideva 117, ritenevano che si dovesse dubitare di ogni cosa, asserendo che l'uomo non può conoscere alcuna verità 118. La tentazione accademica divenne seria e non si esaurì in un breve momento (" a lungo gli accademici tennero il mio timone tra i marosi in lotta con tutti i venti " 119); cominciò a Roma e continuò nei primi tempi del soggiorno milanese.

Giunto nella metropoli lombarda, si recò ad ascoltare S. Ambrogio quando teneva discorsi in chiesa, ma solo per giudicare della sua eloquenza, perché non sperava più, ormai, che all'uomo fosse aperta una via per arrivare a Dio 120. Quando, probabilmente nel giugno del 385, lo raggiunse la madre (" che, forte della sua pietà, mi seguiva per terra e per mare "), lo trovò in grande pericolo, affondato nella " disperazione di scoprire la verità " 121. Dubitava ormai di tutto ciò che riguarda la religione (" e non credevo affatto possibile trovare la via della vita " 122). Toccava così il fondo della strada che lo aveva condotto lontano dalla fede: razionalismo, materialismo, scetticismo. La via del ritorno consta anch'essa di tre momenti, i quali rappresentano la vittoria contro lo scetticismo, che è contemporaneamente vittoria sul razionalismo, contro il materialismo e, infine, contro il naturalismo.

10. Vittoria sullo scetticismo

A rigettare lo scetticismo concorse, innanzitutto, l'intuizione iniziale secondo cui Agostino avvertì che la mente umana, così acuta e perspicace, non può ignorare la verità, ma ignora piuttosto la via per conseguirla; egli pensò che questa via fosse un'autorità divina a cui si potesse aderire senza timore di essere ingannati. Egli con ciò tornava sui suoi passi: aveva abbandonato la fede perché l'aveva ritenuta un impedimento alla conquista della sapienza; e ora intravvedeva che proprio la fede era l'unica via verso la sapienza. E così esprime l'ondeggiamento del suo pensiero: " Spesso mi sembrava che (la verità) non si potesse trovare, e allora gli immensi flutti dei miei pensieri si muovevano verso gli accademici. Spesso, invece, considerando attentamente, per quanto mi era possibile, la mente umana... pensavo che non potesse ignorare la verità, senonché ignoravo il modo di cercarla, e questo modo doveva aver inizio da qualche autorità divina " 123.

Alla vittoria di Agostino sullo scetticismo molto contribuì la predicazione di Ambrogio, attraverso la quale scoprì due verità che mettevano a nudo l'inganno dei manichei: lo spiritualismo cristiano e l'interpretazione allegorica del Vecchio Testamento. Questa influenza fu esercitata non con rapporti personali, poiché, dopo la visita ufficiale resagli al suo arrivo a Milano 124, i contatti furono pochi e brevi 125, bensì con le prediche al popolo. Il professore africano andava ad ascoltarlo ogni domenica 126, dapprima per ragioni esclusivamente estetiche 127, in seguito " provando gioia e confusione " quando sentì da lui che la Chiesa, insegnando che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, non insegnava affatto che Dio abbia un corpo: " Di qui la mia confusione, la mia conversione e la mia gioia " 128.

Insieme col concetto della spiritualità di Dio e dell'anima (" notai spesso nei discorsi del nostro vescovo... che quando si pensa a Dio e all'anima, non si deve pensare nulla di corporeo " 129), apprese anche l'interpretazione allegorica della Sacra Scrittura, che evitava il pericolo di quella esegesi troppo letterale, a cui si attenevano strettamente i manichei 130. Ciò nonostante temeva di affidarsi alla Chiesa, perché si pentiva di essersi affidato con eccessiva leggerezza ai manichei: la dottrina cattolica " non appariva più vinta, ma non si mostrava ancora vincitrice " 131. Agostino assomigliava a chi, avendo fatto prova d'un cattivo medico, ha paura di affidarsi nelle mani di uno buono; ed era diventato così diffidente, che voleva vedere la verità con chiarezza matematica, così come vedeva che sette più tre fa dieci; infatti, la tentazione dello scetticismo non lo aveva portato a negare l'evidenza dei principi di matematica: " non ero tanto pazzo da sostenere che nemmeno questo non si potesse comprendere " 132. Decise, pertanto, di abbandonare il manicheismo e di rimanere come catecumeno nella Chiesa cattolica, finché non avesse trovato quello che voleva o non si fosse persuaso che non dovesse più cercarlo 133.

Al conseguimento della vittoria sullo scetticismo, infine, giovò non poco un lungo periodo di riflessione, tormentato da agitazioni interiori sempre più drammatiche. Si ricordi il desiderio inappagato di confidarsi con Ambrogio 134, il tentativo fallito di vivere in comune con amici 135, l'invidia per il mendico alticcio 136, la tentazione di darsi alla dottrina di Epicuro 137. Ma, dopo queste lacerazioni del suo spirito, compì due passi decisivi verso il ritorno a Dio: il primo, allorché intuì l'utilità della fede; il secondo, quando riconobbe l'autorità dei Libri sacri e, conseguentemente, della Chiesa.

Senza la fede non vi è né storia, né amicizia, né vita sociale. È giusto dunque che la religione imponga innanzi tutto la fede: poiché la ragione è troppo debole per comprendere le verità che ci vengono insegnate, la fede costituisce una preparazione per giungere a vedere ciò che si crede 138; è il nido in cui l'uccellino mette le piume prima di poter volare 139. Ma la fede suppone un'autorità a cui affidarsi e Agostino riconobbe che questa autorità poteva derivare soltanto dai Libri sacri. Essi si raccomandano per la venerazione che hanno ottenuto in tutto il mondo (" dei quali hai radicato tanto profondamente l'autorità in quasi tutti i popoli ") e per il loro contenuto. Ne deduce che non è stolto chi crede alla Sacra Scrittura; è stolto, invece, chi non vi crede (" mi convincesti che non merita biasimo chi crede nelle tue Scritture... ma piuttosto chi non vi crede " 140. Questa persuasione si fondava sul concetto che la Provvidenza divina non avrebbe mai permesso che la Sacra Scrittura acquistasse tanta eccellenza e tanta autorità in tutto il mondo, se non avesse voluto che per mezzo di essa gli uomini tornassero a Dio 141. Egli non separava l'autorità dei Libri sacri dall'autorità della Chiesa, ma vedeva che è l'autorità della Chiesa che avvalora la Sacra Scrittura (" garantita dall'autorità della tua Chiesa cattolica " 142). La diffusione della fede cristiana in tutto il mondo gli offrì l'argomento per la sua adesione alla fede: " Non senza motivo, non per nulla l'autorità della fede cristiana s'irradia da tanta altezza sul mondo intero " 143. Così la sua mente aveva riconquistato la fede perduta; sebbene il suo dramma interiore continui, egli ha conquistato ormai questa certezza: l'autorità di Cristo e della Chiesa cattolica è l'unica via per arrivare alla salvezza 144.

Se si considera non già il motivo, bensì il contenuto di questa fede, appare che esso era ancora nel suo animo incerto e fluttuante, con molte zone di ombre e di errori: " una fede ancora rozza in molti punti e fluttuante oltre il limite della giusta dottrina " 145.

Infatti, sul piano filosofico non aveva trovato ancora la soluzione del problema del male (" Ora ricercavo l'origine del male, ma senza esito " 146) e non aveva ancora raggiunta la concezione dell'essere spirituale: pensando a Dio, non sapeva concepirlo se non come qualcosa di corporeo, anche se lo credeva " incorruttibile e inviolabile e incommutabile " 147. Nel campo teologico ignorava il dogma dell'Incarnazione; infatti, in Gesù Cristo riconosceva soltanto l'uomo, il più eccelso e il più sapiente di tutti, ma non già il Verbo incarnato 148, e, conseguentemente, non conosceva il dogma della Redenzione, che avrebbe comportato la grazia e la preghiera: " Non avevo ancora tanta umiltà da possedere il mio Dio, l'umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza " 149. Ma se non aveva coscienza dei suoi errori teologici, intuiva profondamente e tormentosamente quelli di carattere filosofico determinati in lui dal materialismo e dal dualismo metafisico.

11. Vittoria sul materialismo

Dalle seduzioni del materialismo si liberò con la lettura di alcuni libri dei filosofi platonici, tradotti in latino da Mario Vittorino e offertigli da un amico, forse Manlio Teodoro 150. Erano opere non già di Platone (e, pertanto, la lezione contenuta nel De beata vita 1, 4, dev'essere corretta), ma di filosofi platonici, tra cui Plotino, forse Porfirio, e altri.

Acquisì da questa lettura innanzi tutto il " principio dell'interiorità ". Infatti, ammonito dai filosofi antichi a rientrare in se stesso, intuì sopra la sua mente la luce incommutabile del vero e, superata ogni concezione materialistica, conquistò la precisa nozione di Dio (" E ammonito a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore... Vi entrai e scorsi... sopra la mia intelligenza una luce incommutabile " 151). Era la vittoria sul materialismo e la percezione della distanza che passa tra il sensibile e l'intelligibile, quello oggetto dei sensi, questo dell'intelletto.

Inoltre, apprese il principio di partecipazione, che chiarì alla sua mente l'assurdità del dualismo manicheo e lo aiutò a risolvere, sul piano metafisico, il problema che lo aveva per tanti anni logorato: l'origine del male 152. Agostino comprendeva adesso che il male non è una sostanza, ma una privazione e che per tanto non può esistere se non nel bene. La lettura dei platonici gli fu assai utile per intendere i presupposti del cristianesimo, ma non lo aiutò affatto, né d'altronde poteva aiutarlo, ad intendere l'essenza del cristianesimo. Quei libri furono per lui una rivelazione. Spinto dall'entusiasmo, e già preparato dai discorsi di Ambrogio, al quale il pensiero neoplatonico non era estraneo 153, intravide in essi dottrine cristiane, che in realtà in essi non erano affatto contenute, quale la dottrina del Verbo; ma non poté trovarvi nulla intorno all'Incarnazione, alla grazia, alla penitenza e alla preghiera 154.

Le lacune della sua formazione cristiana non erano pertanto colmate. E di esse si avvide quando, inebriato dalla scoperta fatta, ascese dal sensibile all'anima e dall'anima, attraverso le facoltà interiori, alla luce che gli irradiava la mente, " e in un attimo di trepidante intuizione pervenne a ciò che esiste per sé ", ma non fu in grado di tenervi fisso lo sguardo, ché l'occhio suo debole fu respinto verso le cose usuali 155. È l'estasi così detta plotiniana.

12. Vittoria sul naturalismo

Questa sublime esperienza contemplativa, anche se si chiuse con un insuccesso, gli fu di grande utilità. Oltre al ricordo di amore e al desiderio della bellezza incorporea che riportò da essa, comprese in che cosa differiscono la filosofia pura e la religione: l'una conosce la meta, ma ignora la via; l'altra conosce la via e la meta, e conduce gli uomini al suo raggiungimento 156. Agostino non conosceva ancora la via perché non si era mai seriamente proposto il problema della mediazione tra Dio e gli uomini; superbo di aver scoperto la meta e di averne intravisto la spirituale bellezza, pensava di poterla raggiungere con le sue sole forze. L'esperienza sofferta distrusse questa illusione e lo spinse a cercare il rimedio nella Sacra Scrittura. Prese le lettere di S. Paolo e le lesse attentamente e avidamente, con l'animo sospeso in una grande aspettazione: " Così fra perplessità, entusiasmi ed incertezze cominciai a leggere l'apostolo Paolo... Me lo lessi tutto con grande attenzione e interesse " 157. Gli apparve allora, finalmente, il volto della filosofia: " mi si mostrò il volto della filosofia con piena evidenza " 158, quella di Paolo.

La filosofia di Paolo è concentrata tutta sul mistero di Cristo Redentore, e questo augusto mistero, che ignorava ancora, sciolse il suo dramma. Gesù Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini; in lui è la fonte della grazia, che rimette i peccati, che sana le ferite della colpa e che ci unisce alla Bellezza increata. Agostino aveva trovato, dopo tredici anni di ansiosa ricerca, quello che bramava: ormai aderiva con tutta l'anima al cristianesimo 159.

13. Consacrazione alla ricerca della sapienza

La soluzione dei problemi teoretici faceva risorgere un problema antico di carattere pratico: a diciannove anni, dopo la lettura dell'Ortensio, s'era proposto di abbandonare ogni speranza terrena e di consacrarsi alla ricerca della sapienza. Non aveva ancora attuato il suo proponimento, perché era lontano il possesso e la certezza della verità: " se non avevo ancora abbandonato il mondo ed abbracciato il tuo servizio, questo dipendeva dal non essere ancora arrivato al possesso sicuro della verità "; ma ormai non v'erano più scuse: " ormai anche su di essa non avevo più dubbi " 160. L'antico proponimento rinasce ed incalza, confortato dal consiglio d'una via migliore, che aveva trovato nel Vangelo e in Paolo: tra quel proponimento e questo consiglio scorgeva un'armonia perfetta, perché l'ideale evangelico perfezionava l'ideale filosofico. Ma contro ambedue gli ideali combattevano le passioni e si ribellavano le tristi abitudini dei sensi. La brama d'onori e di gloria, la cupidigia di denaro avevano ormai ceduto; gli dispiaceva, quindi, di vivere nel mondo; " ma ero stretto ancora da un legame tenace, la donna " 161. Se si fosse trattato d'intraprendere un'onesta vita coniugale, secondo le esigenze cristiane, Agostino, che per quattordici anni si era conservato fedele alla donna da poco strappatagli " quasi impedimento al matrimonio ", non avrebbe avuto difficoltà: la fidanzata aspettava 162. Invece vagheggiava l'ideale della castità perfetta, che era in contrasto con le abitudini e i suoi istinti, ma aderente alle nobili aspirazioni del suo animo. Da questo dissidio interiore nacque la lotta tra le " due volontà ". Ecco come Agostino si confessa: " Ero ben sicuro che fosse meglio consacrarsi al tuo amore, che cedere alla mia passione; il primo partito mi piaceva e vinceva, il secondo mi allettava e avvinceva " 163. Inquieto ed incerto, si rivolse per consiglio al venerando prete milanese Simpliciano, il quale, dopo aver udito che aveva letto i libri dei filosofi platonici, gli narrò la conversione di Mario Vittorino di cui era stato testimone a Roma. Quel racconto acuì il dramma interiore: " Mi sentii ardere dal desiderio di imitarlo " 164. Poco tempo dopo un altro racconto, quello di Ponticiano sulla straordinaria vita dei monaci, affrettò lo scioglimento del dramma.

Egli ignorava non soltanto la storia, ma anche l'esistenza del monachesimo, sebbene ad esso, per le aspirazioni del suo animo, fosse assai vicino. Quando Ponticiano, suo corregionale, venne a trovarlo e si accorse di ciò, parlò a lungo intorno al monaco egiziano Antonio e del monastero che era fuori le mura di Milano. Narrò, inoltre, il caso occorso a lui stesso a Treviri, dove due amici, ufficiali di corte, imbattutisi un giorno in una capanna abitata da poveri servi di Dio, vi trovarono un codice con la vita di Antonio scritta da Atanasio; lo lessero e, infiammati dall'entusiasmo, stabilirono di consacrarsi subito a Dio, mentre le loro fidanzate, appresa quella decisione, fecero altrettanto. Ponticiano faceva questi racconti amichevolmente, affatto ignaro dell'effetto che avrebbero prodotto nel suo interlocutore, nel quale la grandissima ammirazione era superata soltanto dalla vergogna. Ormai non poteva più fuggire da se stesso e la sua viltà era palese: vedeva che persone indotte rapivano il cielo, mentre a lui non riusciva di distaccarsi dalle passioni nonostante tutta la sua dottrina 165.

Provò allora un bisogno di solitudine e di pianto quale mai aveva provato. Partito Ponticiano, si alzò, prese le lettere di Paolo, che erano sul tavolo da gioco, e, in preda a un visibile turbamento, si ritirò insieme con Alipio, che lo aveva seguito, nella parte più remota del giardino.

La lotta di Agostino contro se stesso durò a lungo, silenziosamente: fremendo d'indignazione, si accusava di stoltezza; mentre decideva di spezzare i vincoli che ancora lo legavano al passato, si levava una voce a difesa di esso: il richiamo dei sensi e l'aspirazione alla castità lo tormentavano 166.

Quando la tempesta stava per scoppiare in un nembo di lacrime, si allontanò da Alipio, si gettò per terra sotto un fico e allentò le redini del pianto: le lacrime " proruppero a fiumi " dai suoi occhi e, insieme con le lacrime, i gemiti d'invocazione al Signore. All'improvviso, dalla casa vicina 167 gli giunse una voce di canto che ripeteva: " prendi e leggi; prendi e leggi " (Tolle, lege; tolle, lege). Non ricordando di averla udita altre volte, le prese come un ordine dal cielo: frenò le lacrime, tornò in fretta dove aveva lasciato Alipio, afferrò le lettere di Paolo, e, apertele, lesse in silenzio la prima sentenza che gli cadde sotto gli occhi: era l'esortazione alla castità 168. Interpretò quella sentenza come il programma della sua vita futura e avvertì subito in sé un mutamento radicale: " balenò nel cuore come una luce di serenità che fece scomparire tutte le tenebre dell'incertezza ". Era ormai convertito ed era deciso di abbracciare il cristianesimo in quella forma che l'Apostolo gli aveva consigliato (" Tu mi avevi convertito a te persuadendomi a non cercare né moglie né altra speranza di mondo " 169). Monica, allorché seppe della conversione del figlio, esultò e benedisse il Signore, consapevole di aver ottenuto assai più di quanto avesse chiesto; ella, che non voleva morire prima di aver veduto il suo Agostino cristiano cattolico, lo vedeva ora consacrato al servizio di Dio, servus Dei 170.

Correva l'anno 386, erano prossime le vacanze della vendemmia, che avevano inizio il 23 agosto: Agostino contava trentadue anni.