L'amore per la Chiesa si esplicava in una dedizione totale al suo servizio. Agostino si considerava servo, e ne tirava le conseguenze fino all'eroismo. Le parole pronunziate in occasione d'una consacrazione episcopale tradiscono chiaramente i suoi sentimenti. Eccone il tema. " Chi presiede deve convincersi anzitutto che è servo di molti " 1. Noi, vescovi, " siamo capi e siamo servi: siamo capi se siamo utili " 2. E devono servire come Gesù fino alla morte: " Così deve essere il buon vescovo: se non sarà così, non sarà vescovo " 3; sarà tutt'al più un " un fantoccio di paglia nella vigna " 4.
Tale non era Agostino. Lo zelo per le anime era diventato, dal momento dell'ordinazione, la ragione della sua vita. " Che cosa voglio, che cosa desidero, che cosa bramo, perché parlo? perché qui siedo? perché vivo, se non perché tutti viviamo insieme con Cristo?... Questa è la mia cupidigia, il mio onore, la mia gloria, il mio gaudio, il mio possesso... non voglio essere salvo senza di voi " 5. Animato da questo zelo, pregava il Signore che gli desse la forza di amare i fedeli fino al punto di morire per loro " o di fatto o con l'affetto " 6. In realtà Agostino si prodigava per le anime senza paura di rischiare la vita: " Bramiamo conquistare anime anche a prezzo del nostro sangue " 7. Si ricordi l'atteggiamento minaccioso dei donatisti e la sorte che riservarono a molti sacerdoti d'Ippona.
Amava gli erranti, anche se essi non volevano: " ...Tu vuoi perire, e io non voglio che tu perisca... Richiamerò l'errante, ricercherò la pecorella smarrita; lo voglia o no, lo farò. E se anche, mentre ti cerco, i rovi delle siepi mi lacereranno, mi caccerò nei luoghi più angusti, scuoterò tutte le siepi; finché il Signore, che mi atterrisce con la sua parola, mi darà la forza, batterò tutte le strade... Se non vuoi sopportarmi, non errare, non perire " 8. E come egli faceva, così raccomandava di fare: amiamoli, diceva ai fedeli a proposito dei donatisti, anche se non vogliono. " Dicano contro di noi quel che vogliono: noi li amiamo anche se non vogliono " 9.
La sua azione era piena di bontà e di mitezza. Ai manichei ricordava il suo passato, e ne traeva motivo per dichiarare che altri forse avrebbero potuto essere duri con loro; ma lui no, lui che aveva condiviso il loro cuore e aveva tanto sofferto per liberarsene: " Ma io... non posso in alcun modo infierire contro di voi " 10. Dei donatisti sopportava le persecuzioni e le calunnie, interveniva presso i giudici perché nel punire i loro delitti si ricordassero della mansuetudine della Chiesa 11 ed era sempre pronto a lasciare l'episcopato, se ciò avesse giovato per il loro ritorno all'unità 12. Né si mostrò meno amabile verso i pelagiani. Il metodo seguito traspare da questa esortazione ai fedeli di Cartagine: " Intrattenetevi con loro quanti li conoscete, comportatevi amichevolmente, fraternamente, con serenità, con amore, con dolore: operi la pietà tutto il possibile " 13. Cominciò a confutarne gli errori senza far nomi, sperando così di renderne più facile la correzione; anzi, parlò di Pelagio con parole di lode (" uomo santo, mi si dice, e cristiano di non poca perfezione " 14); più tardi la lotta fu condotta a viso aperto, ma sempre con amore: " Quanto a Pelagio, non solo lo abbiamo amato, ma lo amiamo ancora " 15. L'amore non venne meno anche quando, ribellatosi alla Chiesa, Giuliano intraprese una polemica condita spesso d'ingiurie e di calunnie: lo chiama ancora "figlio" e lo assicura che con tutte le sue ingiurie non riuscirà mai, con l'aiuto di Dio, a strappargli dalle midolle del cuore l'amore per lui 16. E non vi riuscì neppure quando Giuliano trascese all'ingiuria più amara e più volgare, l'ingiuria verso la memoria della madre. Agostino si limitò a ricordargli - gli tremava la mano scrivendo - che i maldicenti non possederanno il regno di Dio 17.
Per concludere, diremo che il vescovo d'Ippona, come aveva ricondotto lo studio delle lettere alla sapienza 18 e la sapienza alla pietà, così ricondusse la pietà all'apostolato. Ma un apostolato accettato per obbedienza e animato dal desiderio, mai appagato abbastanza, della vita di contemplazione. " Nessuno mi vincerebbe nel cercare la tranquillità della vita contemplativa. Nulla di meglio, nulla di più dolce che scrutare, nella quiete, i divini tesori: è dolce, è bene. Predicare, confutare, correggere, edificare, occuparsi di ognuno è una grande molestia, un grande peso, un grande lavoro. Chi non fuggirebbe da questo lavoro? Ma il Vangelo mi atterrisce " 19.