CAPITOLO SECONDO

IL CULTO DELL'AMICIZIA

In considerazione di quest'amore per la sapienza, che lo portava incessantemente a scrutarne le ricchezze, si direbbe che Agostino fosse un uomo amante della solitudine, a cui piacesse star solo con i suoi pensieri. Invece Agostino era un uomo che non sapeva e non poteva star solo. L'amicizia costituiva per lui un bisogno non meno grande della sapienza; anzi, la stessa sapienza avrebbe perduto il suo fascino senza l'amicizia. È suo l'enunciato: " In tutte le cose umane nulla è amico per chi non ha un amico " 1.

L'amicizia, infatti, fioriva intorno a lui spontanea, tenera, schietta. Senza ricordare l'episodio del giovane amico di Tagaste, la cui morte improvvisa gli procurò un acerbo dolore e gli suggerì, dopo tanti anni, pagine mirabili 2, troviamo intorno a lui Romaniano, il grande mecenate 3, Alipio, " l'amico del cuore " 4, Nebridio, " l'amico dolcissimo " 5, i quali lo seguirono fino a Milano e ne condivisero gli errori e la ricerca ansiosa della verità. " Anche Nebridio aveva abbandonata la patria vicina a Cartagine e Cartagine stessa... ed era venuto a Milano, non per altra ragione che per vivere con me nell'ardente amore della verità e della sapienza " 6. Dopo la conversione la cerchia degli amici si allarga: Evodio 7, Severo 8, Profuturo 9, Possidio e quanti, prima di diventare vescovi, erano vissuti con lui nel monastero; oltre il mare, Girolamo 10, Paolino 11, Simpliciano 12.

Con tutti Agostino fu amico incomparabile: buono, generoso, umile, espansivo, aveva la gioia di dare e quella, non meno essenziale all'amicizia, di ricevere. Era superiore a molti, ma sapeva dissimulare come pochi la sua superiorità, e lo faceva con quell'amabile modestia che deriva dal convincimento di essere ben lontani dalla perfezione. D'altra parte, sincero, leale, franco per natura, difese, anche di fronte ad amici carissimi e famosi, la libertà dell'amicizia, poiché " la migliore amica è la verità ".

" Vorrei comunque che nelle nostre relazioni - scrive a Girolamo - non ci accontentassimo soltanto della carità ma cercassimo pure la libertà dell'amicizia " 13.

Concepì costantemente l'amicizia in funzione della verità e della sapienza. L'amore per la sapienza è il fondamento e la misura dell'amicizia: Agostino ricorda spesso la definizione di Cicerone 14 e commenta: " La vera amicizia non bisogna giudicarla secondo gli interessi temporali, ma secondo l'amore disinteressato. Nessuno può essere amico dell'uomo se non sia innanzi tutto amico della verità15. D'altra parte lo scopo dell'amicizia altro non è che quello di giungere più presto e più facilmente al possesso della sapienza. Nei Soliloqui, parlando della purificazione, si chiede se l'amore verso gli amici non sia un impedimento su questa via. Tutt'altro, si risponde: è un aiuto. " R.: Ma ti domando, perché desideri che gli uomini che tu ami vivano insieme con te? A.: Per cercare insieme, in piena concordia, le anime nostre e Dio. Così sarà facile a chi ha trovato per primo la verità condurvi gli altri senza fatica... Io non amo per se stessa se non la sapienza: tutto il resto, la vita, la quiete, gli amici, voglio averlo o non averlo in relazione alla sapienza. Ma quale misura mai potrà avere l'amore di quella bellezza, del cui possesso non sono affatto geloso, ma anzi cerco molti che insieme a me la desiderino, la bramino, la posseggano e insieme con me ne godano, certo che mi saranno tanto più amici quanto più l'amata ci diventerà comune? " 16.

Sulla base di questi principi Agostino impresse alle sue amicizie un tono singolare di candore e di espansività. Scrive a Severo: " Tu mi conosci come io conosco me stesso... essendo tu un'altra anima mia, anzi l'anima mia e tua non sono più che un'anima sola " 17; e al senatore Pammachio, che non conosceva di vista ma del quale aveva saputo che si era adoperato con opportune esortazioni a ricondurre alla Chiesa cattolica alcuni suoi coloni donatisti: " Se ti vedessi ogni giorno, non mi saresti tanto familiare come da quando nella luce d'una tua azione ho visto e riconosciuto e amato l'animo tuo... A questo diletto amico ora parlo, a questo scrivo... Ma non misurare, ti prego, da qui quanto ti ami: letta che tu abbia la lettera, mettila da parte; e vieni... col pensiero nel mio petto, e ivi osserva quali sentimenti io nutra a tuo riguardo. S'aprirà allora all'occhio della carità il santuario della carità... e vedrai le delizie della mia gioia per la tua così degna azione, delizie che non posso dire con la lingua, né scrivere con la penna... Grazie a Dio per gli inenarrabili doni suoi " 18.

Solo si rammaricava che i suoi amici fossero spesso così lontani e che non potesse vederli e perfino che non potesse scrivere loro se non raramente 19. Era per lui un grande sacrificio concedere che alcuni di coloro che erano vissuti con lui nel monastero se ne partissero per andare a servire, come sacerdoti o come vescovi, chiese lontane: " Quanto anche tu - scrive a Novato - avrai cominciato ad accordare alle necessità di chiese assai lontane da te coloro che, per essere stati nutriti alla tua mensa, ti sono carissimi e dolcissimi amici, allora capirai da quali desideri, simili a pungenti aculei, io mi senta stimolato perché alcuni, cui mi stringe una grande e dolcissima familiarità, sono lontani corporalmente da me " 20.

Questo candore, che diremmo quasi infantile, e questa espansività non erano turbati dal pensiero che l'amico potesse non esser fedele. Il caso di amici divenuti effettivamente nemici lo accorava e gli strappava lacrime sull'infelicità umana, come quello famoso occorso tra Girolamo e Rufino; ma non lo distoglieva dalla sua fiducia: " Io mi getto interamente, senza riserva, nell'amore degli amici, specialmente quando sono affaticato dagli scandali del mondo; e in quell'amore mi riposo senza affanno: sento proprio che nell'amico c'è Dio, nel quale mi abbandono sicuro e sicuro mi riposo. In questa mia sicurezza non mi turba affatto quell'incerto domani che dipende dalla fragilità umana, su cui ho espresso sopra il mio dolore ". Serenità invidiabile questa di Agostino, che nasce dal vedere e dal trovare Dio nell'amico. " Quando io trovo un uomo ardente di carità cristiana, il quale mi diventa in questa carità amico fedele, qualunque segreto o pensiero io gli confidi, non lo confido all'uomo, ma a Colui al quale egli è unito e nel quale mi è amico. Se poi l'amico fidato diventasse, un giorno, nemico, cerchi pure, l'astuto, qualcosa da inventare contro di me, purché, adirato, non trovi nulla da rivelare. E questo si può ottenere facilmente da chiunque, non già occultando ciò che ha fatto, ma non facendo ciò che vorrebbe occultare " 21.

Come si vede, l'ideale umano dell'amicizia intorno al quale avevano scritto belle pagine Platone, Aristotele, Cicerone, viene perfezionato da Agostino sul piano soprannaturale della carità cristiana, dove trova quell'elemento di universalità, che la filosofia pagana non aveva, e il suo fondamento stabile e sicuro. Agostino, infatti, sostiene che non può esservi vera amicizia se non sul fondamento dell'amore di Dio e del prossimo: lo dimostra con la definizione stessa dell'amicizia proposta da Cicerone (" perfetto accordo sulle cose umane e divine accompagnato da una affettuosa benevolenza "), la quale, osserva Agostino, non si adempie se non quando si è fedeli ai due precetti della carità cristiana. " Se tu dunque - conclude scrivendo all'amico Marziano - insieme con me sarai fedele ad essi, la nostra amicizia sarà vera ed eterna; e non solo ci unirà mutuamente, ma ci unirà ambedue al Signore " 22.

Alcuni aspetti della vita spirituale del santo vanno ricercati in questo ideale dell'amicizia profondamente e cristianamente intesa. Ne ricordiamo due: la scelta della professione monastica sotto la forma cenobitica, cui impresse il carattere di un'amicizia soprannaturale, protesa totalmente verso la sapienza, e la bontà cordiale e generosa che non sa ricusar nulla agli amici e vuol compiacere tutti, anche a costo di gravi sacrifici.

Un giovane di Cartagine gli scrive proponendogli " innumerevoli " questioni intorno ai dialoghi di Cicerone, e lo prega di rispondergli subito perché, dovendo partire per Roma, sarebbe spiacentissimo di non saper rispondere, se interrogato, su simili questioni, e di passare così per ignorante. Agostino approfitta di un breve periodo di convalescenza, che trascorre non lontano dalla città, e gli scrive una lunga e mirabile lettera sull'amore della sapienza e sulle condizioni necessarie per acquistarla, in particolare sull'umiltà cristiana, di cui il giovane vanitoso mostrava di aver gran bisogno. Agostino protesta che rispondere a certe questioni non gli sembra serio per un vescovo, anche se avesse tempo; ed egli tempo non ne ha: stava infatti conducendo a termine proprio allora la lotta contro i donatisti e aveva tra le mani la composizione del De Trinitate e del De Genesi ad litteram. Ma poi il rammarico di lasciar quel giovane triste e disilluso lo vince; e risponde; brevemente, sì, in margine ai fogli di pergamena sui quali erano state scritte, ma risponde a gran parte, se non proprio a tutte, delle questioni propostegli 23.

Sa che una fanciulla vorrebbe rivolgergli delle domande, ma non osa: le scrive subito per esortarla paternamente ad aprirgli il suo animo e l'assicura che le risponderà soddisfacendo ai suoi desideri. " O tu mi chiedi - continua il santo con tanta umiltà quanta sapienza - ciò che io so, e non mi ricuserò di dirtelo; o mi chiedi ciò che non so, ma si tratta di cose che si possono ignorare senza scapito della fede e della salvezza, e te ne esporrò le ragioni, affinché anche tu stia tranquilla; se poi ciò che mi chiedi non lo so e si tratta di cose che non si possono ignorare, allora o impetrerò dal Signore di non essere impari alla tua domanda (spesso il dover dare è un titolo per ricevere) o ti risponderò per dirti a chi ambedue dobbiamo rivolgerci per imparare ciò che ambedue ignoriamo " 24.

La vergine Sapida invia da Cartagine una tunica e lo prega con candida semplicità di volerla indossare: l'aveva preparata con tanto amore per il fratello, diacono della chiesa cartaginese; ma ora che il fratello, morto improvvisamente, non può più indossarla, sarà di gran sollievo al suo dolore il sapere che la indossa il vescovo d'Ippona. Agostino fa uno strappo alla regola che aveva imposto nel suo monastero e che egli stesso osservava severamente, e indossa la tunica.

Ed ecco un ultimo esempio che vale per molti. Un diacono di Cartagine, Quodvultdeus, gli chiede un manuale sulle eresie, opera tanto più difficile quanto più doveva essere breve. Il santo risponde di non poter soddisfare subito il suo desiderio, perché occupato a scrivere le Ritrattazioni e a confutare l'eretico Giuliano (due opere di grande respiro che portava avanti contemporaneamente, l'una di giorno e l'altra di notte); ma gli promette che appena abbia terminato di rispondere ai primi cinque libri che Giuliano aveva scritto contro di lui, se non gli saranno arrivati da Roma gli altri tre, comincerà l'opera richiesta " riservando le ore della notte all'uno e quelle del giorno all'altro lavoro " 25. E mantenne la promessa. Aveva settantaquattro anni.