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POSSIDIO
VITA DI SANT'AGOSTINO
Prefazione
Precedenti e propositi dell'autore
1. Per ispirazione di Dio creatore e reggitore dell'universo,
memore del proposito di servire nella fede, per grazia del Salvatore, la
Trinità divina e onnipotente, e già da laico e ora nell'ufficio episcopale
desiderando giovare all'edificazione della santa e vera chiesa cattolica di
Cristo Signore con tutto ciò che ho ricevuto d'ingegno e di parola, non ho
voluto passare sotto silenzio ciò che, della vita e dei costumi di Agostino,
predestinato e a suo tempo rivelato ottimo vescovo, in lui vidi e da lui udii.
2. Infatti avevo letto e appreso che anche prima di me questo
era stato fatto da pie persone appartenenti alla santa madre chiesa: essi,
ispirati dallo spirito divino, con la lingua e lo stile di cui ognuno era
fornito fecero sapere sia a voce sia per iscritto, a quanti fossero desiderosi
di apprendere tali cose sia con gli orecchi sia con gli occhi, quali e quanti
uomini avessero meritato di vivere e di perseverare nel mondo fino alla morte
secondo la grazia del Signore che è comune a tutti.
3. Perciò anche io, ultimo di tutti i ministri, con la fede
non simulata (1 Tim. 1, 5) con la quale i fedeli debbono servire e riuscire
graditi a Dio e a tutti i buoni, ho intrapreso a narrare, secondo che Dio me lo
concederà, la nascita, il progresso e la meritoria fine di quel venerabile
uomo, esponendo quanto ho appreso e constatato proprio da lui, poiché per molti
anni sono stato a suo stretto contatto.
4. E prego la somma maestà di poter perseguire e portare a
termine questo compito che ho intrapreso, in maniera da non offendere la verità
del padre delle luci (Giac. 1, 17) e da non deludere per qualche parte la
carità dei buoni figli della chiesa.
5. Non racconterò tutte quelle notizie che lo stesso beato
Agostino ha esposto nei suoi libri delle Confessioni riguardo a se
stesso, quale egli sia stato prima di ricevere la grazia e come viva dopo averla
ricevuta.
6. Egli agì così, come dice l'Apostolo (2 Cor. 12, 6),
perché nessuno avesse di lui stima superiore a quanto sapeva di lui o da lui
aveva appreso. Così egli, secondo il suo costume, non veniva meno alla santa
umiltà, cercando la gloria non sua ma del suo Signore per la propria
liberazione e per i doni che già aveva ricevuto e chiedendo le preghiere dei
fratelli per quelli che desiderava ricevere.
7. In verità, come è stato affermato dall'autorità dell'angelo,
è bene tener celato il segreto del re, ma è lodevole manifestare e
glorificare le opere del Signore (Tob. 12, 7).
Vita e attività di Agostino (cc. 1-18)
Dalla nascita al battesimo
1. 1. Nacque nella provincia d'Africa, nella città di
Tagaste, da genitori dell'ordine dei curiali, di onesta condizione e
cristiani. Fu da loro allevato ed educato con ogni cura e anche con notevole
spesa, e fu inizialmente istruito nelle lettere profane, cioè in tutte quelle
discipline, che chiamano liberali.
1. 2. Così insegnò prima grammatica nella sua città e poi
retorica a Cartagine, capitale dell'Africa. Successivamente insegnò anche al
di là del mare, a Roma e a Milano, dove allora risiedeva la corte dell'imperatore
Valentiniano II.
1. 3. In questa città era allora vescovo Ambrogio, uomo
eccellente fra i migliori e sommamente gradito a Dio. Questi predicava molto
frequentemente la parola di Dio nella chiesa, e Agostino seduto in mezzo alla
gente lo stava a sentire con la massima attenzione.
1. 4. In effetti, tempo prima quando era ancora giovane a
Cartagine, Agostino era stato sviato dall'errore dei Manichei: perciò
assisteva alle prediche di Ambrogio con più attenzione degli altri, per vedere
se fosse detta qualcosa a favore o contro quell'eresia.
1. 5. E per clemenza di Dio liberatore, che ispirò il cuore
del suo sacerdote, avvenne che certe questioni riguardanti la legge fossero
risolte in senso avverso all'errore dei Manichei; così Agostino gradualmente
fu istruito, e a poco a poco per benevolenza divina quella eresia fu cacciata
dal suo animo. In poco tempo fu confermato nella fede cattolica e in lui nacque
l'ardente desiderio di progredire nella religione per ricevere l'acqua della
salvezza nei giorni della Pasqua che erano prossimi.
1. 6. Così, grazie all'aiuto divino, per opera di un
vescovo di tale levatura quale era Ambrogio, Agostino ricevette la dottrina
della chiesa cattolica, apportatrice di salvezza, e i sacramenti divini.
Rinuncia al mondo per donarsi a Dio
2. 1. Subito nel più intimo del cuore abbandonò ogni
speranza che aveva riposto nel mondo, senza più ricercare moglie né figli
della carne né ricchezza, né onori mondani, ma deliberò di servire Dio
insieme con i suoi, studiandosi di essere di quel gregge, cui il Signore si
rivolge con queste parole: Non temete, piccolo gregge, perché il Padre
vostro ha voluto dare a voi il regno. Vendete ciò che possedete e fate
elemosina: fatevi borse che non invecchiano, un tesoro che non viene meno nei
cieli, ecc. (Lc. 12, 32 s.).
2. 2. Quel santo uomo desiderava fare anche quanto dice
ancora il Signore: Se vuoi essere perfetto, vendi tutto ciò che hai e dallo
ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi (Mt. 19, 21).
Desiderava edificare sul fondamento della fede: non legna fieno e paglia, ma oro
argento e pietre preziose (1 Cor. 3, 12).
2. 3. Aveva allora più di 30 anni e gli restava solo la
madre: essa stava sempre con lui e gioiva del proposito che egli aveva
intrapreso di servire Dio più che se avesse avuto nipoti carnali. Suo padre
infatti era morto.
2. 4. Comunicò perciò agli scolari, cui faceva lezione di
retorica, che si provvedessero un altro maestro, poiché egli aveva stabilito di
servire a Dio.
Vita monastica e prime fiamme di zelo apostolico
3. 1. Ricevuta la grazia, insieme con altri concittadini e
amici che ugualmente servivano a Dio, volle tornare in Africa, alla sua casa e
ai suoi campi. Tornato, vi rimase circa tre anni; e dopo aver ceduto quei beni,
insieme con quelli che gli erano vicini viveva per Dio, con digiuni preghiere
buone opere, meditando notte e giorno la legge del Signore.
3. 2. E tutto ciò che Dio faceva comprendere a lui che
meditava e pregava, egli faceva conoscere a presenti e assenti con discorsi e
libri.
3. 3. In quel tempo uno di coloro che sono chiamati agenti d'affari,
che risiedeva ad Ippona, un buon cristiano timorato di Dio, ebbe conoscenza
della buona fama di cui Agostino godeva e della sua dottrina, e desiderò
ardentemente di poterlo vedere, avanzando la promessa che, se avesse meritato di
ascoltare la parola di Dio dalla bocca di quello, avrebbe potuto disprezzare
tutte le cupidigie e le lusinghe di questo mondo.
3. 4. Poiché questo fu fedelmente riferito ad Agostino, egli
desiderando che un'anima fosse liberata dalle insidie di questo mondo e dalla
morte eterna, senza indugiare andò subito in quella città, vide quell'uomo e
gli parlò molte volte e lo esortò, per quanto Dio gli concedeva, a mettere in
pratica il voto che aveva fatto a Dio.
3. 5. Quello prometteva di farlo di giorno in giorno, ma non
lo mise in pratica allora, quando Agostino stava lì. Ma certamente non potette
rimanere inutile e senza effetto ciò che la divina provvidenza operava in ogni
luogo per mezzo di un tale strumento puro e onorevole, utile al Signore e adatto
per ogni opera buona (Rom. 9, 2 1; 2 Tim. 3, 17).
Sacerdote per forza
4. 1. In quel tempo esercitava l'ufficio di vescovo nella
comunità cattolica di Ippona il santo Valerio. Mentre egli un giorno parlava al
popolo di Dio circa la scelta e l'ordinazione di un prete e l'esortava in
proposito, perché così richiedeva la necessità della chiesa, frammisto in
mezzo al popolo assisteva Agostino, sicuro e ignaro di ciò che stava per
succedere: infatti egli era solito - come ci diceva - non frequentare soltanto
le chiese che sapeva prive di vescovo
4. 2. Allora alcune persone, che conoscevano la dottrina di
Agostino e i suoi propositi, gettategli le mani addosso, lo tennero fermo e,
come suole accadere in casi del genere, lo presentarono al vescovo perché fosse
ordinato, mentre tutti unanimi in quel proposito chiedevano che così si
facesse. Mentre insistevano con grande entusiasmo e clamore, egli piangeva a
calde lacrime: alcuni - come egli stesso ci riferì -interpretarono tali lacrime
come manifestazione di superbia e cercavano di consolarlo dicendo che certo egli
era degno di maggiore onore, ma che comunque l'esser prete lo avvicinava alla
dignità episcopale.
4. 3. Invece l'uomo di Dio - come ci disse - osservava la
cosa più a fondo e gemeva prevedendo i molti e grandi pericoli che sarebbero
derivati alla sua vita dal governo e dall'amministrazione della chiesa: per
tal motivo piangeva. Ma infine la cosa si compì secondo quanto voleva il
desiderio del popolo.
Predicatore
5. 1. Fatto prete, subito istituì un monastero accanto alla
chiesa e cominciò a vivere con i servi di Dio secondo il modo e la norma
stabiliti al tempo degli apostoli. Soprattutto, in quella società nessuno
doveva avere alcunché di proprio ma tutto per loro doveva essere in comune, e
ad ognuno doveva esser dato secondo le proprie necessità: proprio questo egli
aveva già fatto precedentemente, allorché era tornato d'oltre mare a casa
sua.
5. 2. Il santo Valerio, che lo aveva ordinato, com'era uomo
pio e timorato di Dio, esultava e rendeva grazie a Dio di aver esaudito le sue
preghiere. Diceva che molto spesso aveva pregato che per volontà divina gli
fosse concesso un uomo che fosse in grado di edificare la chiesa di Dio con la
parola di Dio e con retta dottrina: infatti egli si riconosceva poco adatto a
questa incombenza, in quanto era greco ed era poco versato nella lingua e nelle
lettere latine.
5. 3. Egli affidò al suo prete l'incarico di spiegare in
chiesa il Vangelo alla sua presenza e di predicare frequentemente, contro quella
che è la consuetudine delle chiese d'Africa: per tal motivo alcuni vescovi lo
criticavano.
5. 4. Ma quell'uomo venerabile e previdente, ben sapendo
che nelle chiese d'Oriente così si faceva comunemente e provvedendo all'utilità
della chiesa, non si curava delle critiche dei detrattori, purché fosse
compiuto dal prete ciò ch'egli sapeva non poter esser fatto da lui vescovo.
5. 5. in tal modo la lampada accesa e ardente, posta sul
candelabro, dava luce a tutti coloro che stavano nella casa (Gv. 5, 35; Mt. 5,
15). La fama di questo fatto si diffuse rapidamente, e alcuni preti, seguendo il
buon esempio e ottenutane facoltà dai loro vescovi, cominciarono a predicare al
popolo in presenza del vescovo.
Disputa col manicheo Fortunato
6. 1. In quel tempo ad Ippona la peste dei manichei aveva
infettato e contagiato molti sia cittadini sia stranieri, sviati e tratti in
errore da un prete della setta, di nome Fortunato, che lì risiedeva ed operava.
6. 2. Allora alcuni cristiani, cittadini di Ippona e
stranieri, sia cattolici sia anche donatisti, vanno dal prete Agostino e gli
chiedono d'incontrare quel prete manicheo, ch'essi credevano dotto, e di
discutere con lui intorno alla legge.
6. 3. Quello, che - com'è scritto - era pronto a
rispondere ad ognuno che gli chiedesse spiegazioni intorno alla fede e alla
speranza ch'è rivolta a Dio e ch'era in grado di esortare con sana dottrina
e di confutare chi contraddiceva (1 Pt. 3, 15; Tit. 1, 9), non si sottrasse;
chiese però se anche quello fosse d'accordo.
6. 4. Allora quelle persone riferirono subito ciò a
Fortunato, chiedendo ed insistendo che neppure egli rifiutasse. Infatti
Fortunato aveva già conosciuto a Cartagine il santo Agostino, quando questo era
ancora implicato nel suo stesso errore, e temeva di entrare in discussione con
lui.
6. 5. Tuttavia costretto soprattutto dalle insistenze dei
suoi e spinto da un senso di vergogna, promise d'incontrare Agostino e di
venire a discussione con lui.
6. 6. S'incontrarono nel giorno e nel luogo stabilito, dove
si erano radunati molti che erano interessati alla questione e gran folla di
curiosi: gli stenografi aprirono le tavolette e cominciò la discussione nel
primo giorno per concludersi nel successivo.
6. 7. In essa il dottore manicheo -come riferiscono gli atti
- non fu in grado di confutare la posizione cattolica e non riuscì a confortare
con argomenti validi la dottrina manichea. Alle ultime battute si ritirò,
dichiarando che avrebbe discusso insieme con i suoi superiori gli argomenti che
non era riuscito a confutare: se neppure essi ci fossero riusciti, egli avrebbe
provveduto alla sua anima. In tal modo tutti coloro che lo ritenevano capace e
dotto, giudicarono che egli non aveva avuto alcuna efficacia nel difendere la
sua setta.
6. 8. Fortunato, pieno di vergogna, successivamente partì da
Ippona e non vi fece più ritorno. Così, grazie a questo uomo di Dio, quell'errore
fu cacciato via dagli animi di tutti coloro che o erano stati presenti o assenti
erano venuti a conoscenza di quel che si era svolto, mentre veniva confermata e
rafforzata la veritiera dottrina cattolica.
Con la parola e gli scritti risolleva le sorti della Chiesa
7. 1. Agostino insegnava e predicava, in privato e in
pubblico, in casa e in chiesa, la parola di salvezza (Atti, 13, 26) con piena
fiducia contro le eresie che erano fiorenti in Africa, specialmente contro i
donatisti, i manichei e i pagani. Faceva ciò sia scrivendo libri sia
improvvisando discorsi, circondato da indicibile ammirazione e lode dei
cristiani, che tutto ciò non tacevano, ma appena potevano lo divulgavano.
7. 2. Così per dono divino la chiesa cattolica cominciò in
Africa a risollevare il capo che per lungo tempo aveva avuto oppresso a terra,
sviata e pressata dal vigoreggiare degli eretici, soprattutto perché i
partigiani di Donato ribattezzavano grandi folle di Africani.
7. 3. Questi suoi libri e discorsi, che scaturivano e
derivavano da mirabile grazia divina ed erano sorretti sia da abbondanza di
argomenti razionali sia dall'autorità delle sacre scritture, gli stessi
eretici correvano ad ascoltarli insieme con i cattolici, spinti da intenso
ardore: chiunque voleva e ne aveva possibilità, si valeva di stenografi che
trascrivevano ciò che veniva detto.
7. 4. E ormai di qui si diffondevano e si mettevano in
evidenza per tutta l'Africa l'insigne dottrina e il soavissimo odore di
Cristo (2 Cor. 2, 15; Ef. 5, 2); venuta a sapere tutto questo, ne godeva anche
la chiesa di Dio al di là del mare: infatti, come quando patisce un solo
membro, insieme patiscono tutte le membra, così quando un membro viene
glorificato, gioiscono insieme tutte le membra (1 Cor. 12, 26).
È ordinato vescovo coadiutore d'Ippona
8. l. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più degli
altri esultava e rendeva grazie a Dio per avergli concesso quello speciale
beneficio, considerando quale sia l'animo umano, cominciò a temere che
Agostino fosse richiesto come vescovo da qualche altra chiesa rimasta priva di
pastore, e così gli fosse tolto. E ciò sarebbe già accaduto, se il vescovo,
che era venuto a sapere la cosa, non lo avesse fatto trasferire in un luogo
nascosto, sì che quelli che lo cercavano non riuscirono a trovarlo.
8. 2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole
di essere ormai molto indebolito per le condizioni del corpo e per l'età,
scrisse in modo riservato al primate di Africa, il vescovo di Cartagine: faceva
presente la debolezza del corpo e il peso degli anni e chiedeva che Agostino
fosse ordinato vescovo della chiesa d'Ippona, sì da essere non tanto suo
successore sulla cattedra bensì vescovo insieme con lui. Di risposta ottenne
ciò che desiderava e chiedeva insistentemente.
8. 3. Qualche tempo dopo, essendo venuto Megalio, vescovo di
Calama e allora primate della Numidia, per visitare dietro sua richiesta la
chiesa d'Ippona, Valerio, senza che alcuno se l'aspettasse, presenta la sua
intenzione ai vescovi che allora si trovavano lì per caso, a tutto il clero d'Ippona
ed a tutto il popolo. Tutti si rallegrarono per quanto avevano udito e a gran
voce e col massimo entusiasmo chiesero che la cosa fosse messa subito in atto:
invece il prete Agostino rifiutava di ricevere l'episcopato contro il costume
della chiesa, mentre era ancora vivo il suo vescovo.
8. 4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo che quel
modo di procedere era d'uso comune e richiamando esempi di chiese africane e d'oltremare
a lui che di tutto ciò era all'oscuro: infine, pressato e costretto, Agostino
acconsentì e ricevette l'ordinazione alla dignità maggiore.
8. 5. Successivamente egli affermò a voce e scrisse che non
avrebbe dovuto essere ordinato mentre era vivo il suo vescovo, perché questo
era vietato dalla deliberazione di un concilio ecumenico, che egli aveva appreso
soltanto dopo essere stato ordinato: perciò non volle che fosse fatto ad altri
ciò che si doleva essere stato fatto a lui.
8. 6. Di conseguenza si adoperò perché da concili
episcopali fosse deliberato che coloro che ordinavano dovevano far conoscere a
coloro che dovevano essere ordinati o anche erano stati ordinati tutte le
deliberazioni episcopali: e così fu fatto.
Attività antidonatista
9. l. Diventato vescovo, Agostino predicava la parola di
salvezza eterna (Atti, 13, 26) con più insistenza ed entusiasmo e con autorità
maggiore, non più soltanto in una regione ma dovunque gli chiedevano di venire,
con alacrità e diligenza, mentre la chiesa del Signore si sviluppava e fioriva
sempre di più. Egli era sempre pronto a dare spiegazione a chi lo richiedesse
sulla fede e sulla speranza in Dio; e le sue parole e gli appunti presi
soprattutto i donatisti d'Ippona e dei paesi vicini li riferivano ai loro
vescovi.
9. 2. Costoro ascoltavano e talvolta cercavano di replicare
qualcosa: ma o venivano confutati proprio dai loro seguaci ovvero le risposte
erano riportate ad Agostino. Questi, quando le apprendeva, con pazienza e
dolcezza e - com'è scritto (Fil. 2, 12) - con timore e tremore provvedeva
alla salvezza di quegli uomini, dimostrando che quei vescovi non erano riusciti
a confutare proprio niente e che invece era veritiero e manifesto ciò che crede
e insegna la fede della chiesa di Dio. In tal modo egli si adoperava
costantemente, giorno e notte.
9. 3. Scrisse anche lettere private ad alcuni vescovi
eminenti di quella setta ed a laici, dando spiegazioni e esortando ed ammonendo
che o si emendassero da quell'errore ovvero venissero a discussione.
9. 4. Ma quelli, che non avevano fiducia nella loro causa,
non vollero neppure rispondere ma presi dall'ira e dal furore dicevano che
Agostino era seduttore e ingannatore di anime. Gridavano così in pubblico e in
privato e affermavano anche nelle loro prediche che quello doveva essere ucciso
come un lupo per la difesa del gregge, e che senza dubbio bisognava credere che
Dio avrebbe rimesso tutti i peccati a quelli che fossero riusciti in tale
impresa, senza timore di offendere Dio e di doversi vergognare davanti agli
uomini. Allora Agostino si dette da fare perché tutti venissero a conoscere che
quelli diffidavano della loro stessa causa e che, invitati ad un pubblico
dibattito, non avevano avuto il coraggio di presentarsi.
Conquiste e persecuzioni
10. 1. In quasi tutte le loro chiese i donatisti avevano un
genere di uomini incredibilmente perversi e violenti, che solevano andare in
giro facendo professione di continenza. Si chiamavano circumcellioni e si
trovavano in numero molto ingente in quasi tutte le regioni d'Africa.
10. 2. Essi, istruiti da malvagi dottori, con sfrontata
audacia e illecita temerarietà non avevano riguardo né per i loro compagni di
setta né per gli estranei: contro ogni diritto impedivano alla gente di
procedere nelle cause giudiziarie, e se qualcuno non obbediva, gli arrecavano
danni gravissimi e violenza. Armati con armi di diverso genere, imperversavano
per le campagne e i villaggi e non temevano di arrivare fino allo spargimento di
sangue.
10. 3. Così, mentre la parola di Dio era predicata con zelo
e si trattava di pace con coloro che avevano odiato la pace, costoro senza
ragione facevano violenza a quanti parlavano di queste cose.
10. 4. E poiché la verità si faceva sempre più forte
contro la loro dottrina, quanti dei donatisti avevano volontà e possibilità si
staccavano in maniera più o meno manifesta dalla loro setta e aderivano alla
pace e all'unità della chiesa con quanti dei loro potevano convincere.
10. 5. Perciò i circumcellioni, vedendo diminuire gli
aderenti al loro errore e invidiando l'incremento della chiesa, accesi ed
esaltati da ira grandissima, cominciarono a fare intollerabili persecuzioni
contro quelli che aderivano all'unità della chiesa: aggredivano di notte e di
giorno gli stessi vescovi cattolici e i ministri della chiesa e distruggevano
ogni cosa.
10. 6. Così ridussero a mal partito molti servi di Dio con
le percosse, ad alcuni gettarono negli occhi calce con aceto, altri uccisero.
Per tal motivo questi donatisti che erano soliti anche ribattezzare vennero in
odio perfino ai loro.
Il monastero d'Ippona fucina di apostoli. Scritti di Agostino
11. l. Progredendo intanto l'insegnamento divino, coloro
che nel monastero servivano a Dio sotto la guida del santo Agostino e insieme
con lui, cominciarono ad essere ordinati preti della chiesa di Ippona.
11. 2. Così di giorno in giorno s'imponeva e diventava più
evidente la verità della predicazione della chiesa cattolica, e così anche il
modo di vita dei santi servi di Dio, la loro continenza e assoluta povertà:
perciò dal monastero che quel grande uomo aveva fondato e fatto prosperare con
gran desiderio (varie comunità) cominciarono a chiedere e ricevere vescovi e
chierici, sì che allora prima ebbe inizio e poi si affermò la pace e l'unità
della chiesa.
11. 3. In fatti circa dieci uomini santi e venerabili,
continenti e dotti, che io stesso ho conosciuto, il beato Agostino, richiesto,
dette a diverse chiese, alcune anche molto importanti.
11. 4. D'altra parte costoro, che dal loro santo modo di
vita venivano a chiese di Dio diffuse in vari luoghi, si dettero ad istituire
monasteri, e poiché cresceva lo zelo per l'edificazione della parola di Dio,
preparavano a ricevere il sacerdozio fratelli, che furono messi a capo di altre
chiese.
11. 5. Pertanto progrediva per mezzo di molti e in molti la
dottrina di fede salutare, di speranza e di carità insegnata nella chiesa, non
solo in tutte le parti d'Africa ma anche nelle regioni d'oltremare: infatti
con la pubblicazione di libri, tradotti anche in greco, grazie a quel solo uomo,
con l'aiuto di Dio, tutto il complesso della dottrina cristiana venne a
conoscenza di molti.
11. 6. Allora - com'è scritto - il peccatore a veder
questo s'adirava, digrignava i denti e si struggeva (Sal. 111, 10); invece
i tuoi servi - secondo quanto sta scritto - erano in pace con quelli che
odiavano la pace e quando parlavano erano combattuti da quelli senza motivo (Sal.
119, 7).
Attentati contro Agostino e contro Possidio
12. 1. Alcune volte circumcellioni armati tesero insidie
lungo le strade al servo di Dio Agostino, quando egli richiesto andava a
visitare, istruire, esortare le comunità cattoliche, il che egli faceva molto
di frequente.
12. 2. Una volta avvenne che quei sicari persero l'occasione
in questo modo: successe, certo per provvidenza divina e comunque per errore
dell'uomo che faceva da guida, che il vescovo insieme con i suoi compagni
arrivarono per altra strada al luogo ove erano diretti, e grazie a questo che
dopo seppe essere stato un errore sfuggì alle mani degli empi e insieme con
tutti gli altri rese grazie a Dio liberatore. E quelli secondo il loro modo di
fare non risparmiavano né laici né chierici, come testimoniano i documenti
ufficiali.
12. 3. A tal proposito non si deve passare ora sotto silenzio
ciò che a gloria di Dio fu fatto contro questi donatisti ribattezzatori grazie
all'attività di sì illustre uomo nella chiesa e al suo zelo per la casa di
Dio.
12. 4. Uno di coloro che egli dal suo monastero e dal suo
clero aveva dato a varie chiese come vescovi, visitava la diocesi della chiesa
di Calama affidata alle sue cure e predicava ciò che aveva appreso contro l'eresia
donatista in favore della pace della chiesa. In tale occasione, egli durante il
cammino cadde nell'insidia dei circumcellioni che lo assalirono insieme con i
suoi compagni e, derubatili degli animali e delle loro cose, lo coprirono di
ingiurie e di gravissime percosse.
12. 5. Perché il progresso della pace nella chiesa
non fosse ostacolato da avvenimenti di tal fatta, il difensore della chiesa, che
aveva la legge dalla sua, non passò il fatto sotto silenzio. Allora Crispino,
ch'era il vescovo donatista nella città e nella regione di Calama, uomo
conosciuto e dotto e di età avanzata, fu condannato a pagare una multa
stabilita dalle leggi contro gli eretici.
12. 6. Ma quello presentò opposizione e al cospetto del
proconsole disse di non essere eretico: allora, poiché il difensore della
chiesa si era ritirato , si presentò la necessità per il vescovo cattolico di
fare opposizione e dimostrare che quello era proprio ciò che aveva negato di
essere. Se infatti quello fosse riuscito a nasconderlo, addirittura avrebbero
potuto credere eretico il vescovo cattolico, poiché quello negava di essere
ciò che era, e così da questa trascuratezza sarebbe potuto derivare ai deboli
motivo di scandalo.
12. 7. Allora, grazie alle insistenze pressanti del vescovo
Agostino di beata memoria, i due vescovi di Calama ebbero una pubblica
discussione e per tre volte parlarono l'un contro l'altro sulle divergenze
della loro fede, mentre grande era l'attesa dell'esito da parte di tutte le
comunità cristiane a Cartagine e nell'intera Africa: per sentenza scritta del
proconsole Crispino fu dichiarato eretico.
12. 8. Il vescovo cattolico intercesse per lui perché non
pagasse la multa, e la sua richiesta fu esaudita. Ma poiché quell'ingrato si
era appellato all'imperatore, questi dette alla richiesta la dovuta risposta:
di conseguenza fu ordinato che in nessun luogo dovevano esserci eretici
donatisti e contro di essi dovevano aver vigore tutte le leggi che erano state
emanate contro gli eretici.
12. 9. Perciò il giudice, il tribunale e Crispino stesso
furono condannati a pagare al fisco dieci libbre d'oro ciascuno, poiché non
si era preteso il pagamento della multa. Ma subito allora i vescovi cattolici, e
soprattutto Agostino di beata memoria, si dettero da fare perché quella
condanna fosse rimessa dalla generosità del principe, e con l'aiuto del
Signore ci riuscirono. Di questa sollecitudine e di questo santo zelo la chiesa
si giovò molto.
Frutti di unità e di pace
13. l. Per tutto ciò che Agostino operò in difesa della
pace della chiesa il Signore qui gli concesse la palma e presso di sé gli
riservò la corona di giustizia (2 Tim. 4, 8). Così, con l'aiuto di Cristo,
di giorno in giorno sempre di più aumentava e si diffondeva l'unità della
pace e la fratellanza della chiesa di Dio.
13. 2. Questo si verificò soprattutto dopo la conferenza che
tutti i vescovi cattolici tennero a Cartagine insieme con i vescovi donatisti,
per ordine del gloriosissimo e religiosissimo imperatore Onorio, che per tale
incombenza aveva mandato come giudice in Africa dalla sua corte il tribuno e
notaio Marcellino.
13. 3. In questo dibattito i donatisti, completamente
confutati e convinti di errore dai cattolici, furono condannati dalla sentenza
del giudice; e dopo il loro appello la risposta del piissimo imperatore
condannò quegli iniqui come eretici.
13. 4. Per questo motivo vescovi donatisti col loro clero e
col loro popolo entrarono più del solito in comunione con i cattolici, e
aderendo alla pace cattolica sopportarono molte persecuzioni da parte dei loro,
fino all'amputazione delle membra e all'uccisione.
13. 5. E tutto quel bene, come ho già detto, ebbe inizio e
si realizzò per opera di quel santo uomo, con cui erano d'accordo e
cooperavano gli altri nostri vescovi.
Recriminazioni dei donatisti e vittoria sul loro vescovo Emerito
14. 1. D'altra parte, anche dopo la conferenza che fu
tenuta con i donatisti, non mancarono alcuni di costoro i quali affermarono che
ai loro vescovi non era stato permesso di esprimersi con completezza in difesa
della loro parte presso l'autorità che aveva presieduto la causa, perché il
giudice in quanto cattolico favoriva la sua parte.
14. 2. Ma essi, dopo la sconfitta, avanzavano questo
argomento come un pretesto, poiché gli eretici anche prima della controversia
sapevano che il giudice era cattolico, e quando erano stati invitati da lui con
atto pubblico a presentarsi alla discussione, invece di accettare, avrebbero
potuto rifiutare l'incontro, poiché ritenevano quello non imparziale.
14. 3. Tuttavia la provvidenza di Dio onnipotente fece sì
che tempo dopo Agostino di beata memoria si trovasse a Cesarea, città della
Mauretania, dove lo aveva fatto andare, insieme con altri vescovi, una lettera
della sede apostolica, per provvedere ad alcune necessità della chiesa.
14. 4. In tale circostanza Agostino ebbe occasione di vedere
Emerito, il vescovo donatista di quel luogo che nella conferenza era stato
importante difensore della sua setta, e con lui discusse pubblicamente sempre
sullo stesso argomento, in chiesa alla presenza di appartenenti alle due
comunità. Poiché (i donatisti) sostenevano che Emerito nella conferenza non
aveva potuto dire tutto, Agostino richiamandosi agli atti ufficiali, lo invitò
a non aver esitazione a parlare in quella occasione, in cui non c'era divieto
da parte della pubblica autorità, e a non rifiutare di difendere con coraggio
la sua parte proprio nella sua città, alla presenza di tutti i suoi
concittadini.
14. 5. Ma né questa esortazione né la pressante insistenza
dei parenti e dei concittadini lo convinsero ad accettare: eppure quelli gli
promettevano di ritornare nella sua comunione, anche a rischio dei loro beni e
della loro salute temporale, purché egli riuscisse ad aver la meglio sulla
posizione cattolica.
14. 6. Ma quello non volle né fu capace di dir di più di
quanto è contenuto in quegli atti, se non solo questo: « Ormai gli atti
contengono ciò che i vescovi hanno fatto a Cartagine, se abbiamo vinto ovvero
siamo stati vinti ».
14. 7. E un'altra volta, poiché il notaio lo spingeva a
rispondere, disse: « Fa' tu »; e poiché taceva e così fu a tutti evidente
la sua sfiducia, da tutto ciò la chiesa di Dio risultò aumentata e rafforzata.
14. 8. Chi poi vorrà conoscere più a fondo la sollecitudine
e l'operosità di Agostino di beata memoria in difesa della condizione della
chiesa di Dio, potrà esaminare il resoconto di quei fatti: troverà qui quali
argomenti Agostino abbia proposto, e con quali abbia invitato e spinto il suo
avversario, dotto eloquente e rinomato, a dire ciò che volesse in difesa della
sua parte, e riconoscerà come quello sia stato vinto.
Attività antimanichea. Perde il filo del discorso e guadagna un'anima
15. 1. Ricordo ancora, non solo io ma anche altri fratelli
che allora vivevano con noi nella chiesa d'Ippona insieme con quel santo uomo,
che una volta mentre eravamo insieme a tavola, egli disse:
15. 2. « Vi siete accorti come oggi in chiesa la mia
predica, dall'inizio alla fine, si sia svolta contro quella ch'è la mia
abitudine, perché non ho spiegato completamente il tema che avevo proposto, ma
l'ho lasciato in sospeso? ».
15. 3. Gli rispondemmo: « Infatti ricordiamo di esserci
meravigliati in quel momento ». E lui: « Credo - disse - che proprio per mezzo
della mia dimenticanza e del mio errore il Signore abbia voluto ammaestrare e
risanare qualcuno del popolo che è nell'errore, poiché nelle sue mani siamo
noi e le nostre parole.
15. 4. Infatti, mentre trattavo alcuni punti della questione
che avevo proposta, con una digressione mi sono inoltrato in un altro argomento,
e così, senza spiegare fino in fondo quella questione, preferii terminare la
predica polemizzando contro l'errore dei manichei, piuttosto che continuando a
trattare l'argomento che avevo iniziato ».
15. 5. Uno o due giorni - se non sbaglio - dopo questi fatti
si presenta un commerciante di nome Fermo e alla nostra presenza si getta
gemendo ai piedi di Agostino che stava nel monastero: fra le lacrime scongiurò
il vescovo di pregare insieme con i santi il Signore per i suoi peccati,
confessando di aver seguito la setta dei manichei e di essere vissuto in quella
per molti anni. Per di più aveva versato inutilmente forti somme di danaro ai
manichei, soprattutto a quelli che essi definiscono gli eletti. Ma trovandosi
poco prima in chiesa, per misericordia divina, era stato richiamato sulla retta
via dalla predica di Agostino ed era diventato cattolico.
15. 6. Allora il venerabile Agostino in persona e noi che
eravamo lì presenti gli chiedemmo di indicarci con precisione quale punto
soprattutto di quella predica avesse fatto effetto su di lui; e mentre egli
riferiva e tutti noi richiamavamo alla mente la trama del discorso, ammirammo
con stupore il misterioso disegno di Dio per la salvezza delle anime,
glorificammo il suo santo nome e benedicemmo colui che opera la salvezza delle
anime quando vuole, donde vuole e come vuole, per mezzo di strumenti consapevoli
e inconsapevoli.
15. 7. Da quel momento quell'uomo abbracciò la norma di
vita dei servi di Dio e lasciò il commercio. Poiché si segnalava per i suoi
progressi fra i membri della chiesa, mentre era in un'altra regione, per
volere di Dio richiesto e pressato diventò prete, conservando e custodendo la
sua santa norma di vita. E forse egli, che si è stabilito in un paese oltre
mare, è ancora vivo.
Smaschera i Manichei e li converte
16. 1. A Cartagine poi alcuni manichei, di quelli che
chiamano eletti ed elette, furono sorpresi da Orso, procuratore della casa
imperiale, ch'era di fede cattolica, e tradotti in chiesa da lui stesso,
furono interrogati dai vescovi alla presenza degli stenografi.
16. 2. Fra i vescovi
c'era anche Agostino di beata memoria, che più degli altri conosceva quella
nefanda setta: perciò gli riuscì di mettere in luce i loro riprovevoli errori
con citazioni tratte dai libri che i manichei hanno in uso, e così li indusse a
confessare le loro bestemmie. Quegli atti ufficiali misero altresì in luce, per
confessione di quelle donne, cosiddette elette, le pratiche indegne e turpi che
essi secondo il loro perverso costume erano soliti commettere.
16. 3. Così lo zelo dei pastori procurò incremento al
gregge del Signore e lo difese in maniera adeguata contro i ladri e i predoni.
16. 4. Agostino ebbe anche una pubblica disputa nella chiesa
d'Ippona con un certo Felice, del numero di quelli che i manichei chiamano
eletti, alla presenza del popolo e degli stenografi che trascrivevano ciò che
veniva detto. Dopo il secondo o il terzo dibattito quel manicheo, vedendo
confutati la vanità e l'errore della sua setta, si convertì alla nostra fede
e passò alla nostra chiesa, come risulta anche dalla lettura degli atti.
Contraddittorio col vescovo ariano Massimino
17. l. Provocato da un certo Pascenzio e poiché lo
richiedevano persone di alta condizione, Agostino ebbe a Cartagine una pubblica
discussione con costui. Era questi un conte della casa imperiale, di fede
ariana, esattore molto severo del fisco, che si valeva del suo potere per
contrastare duramente e sistematicamente la fede cattolica, e con le sue
spiritosaggini e la sua autorità tormentava e maltrattava molti sacerdoti di
Dio un po' sempliciotti nella loro fede.
17. 2. Ma l'eretico rifiutò in modo assoluto che si
portassero le tavolette e lo stilo, che il nostro maestro richiese con grande
insistenza prima e durante il dibattito. Quello negava, sostenendo che per
timore delle leggi dello stato non voleva mettersi a rischio con questa
trascrizione: tuttavia Agostino vedendo insieme con altri vescovi che erano
presenti che quel modo di fare era accetto a coloro che assistevano, cioè che
si disputasse in modo privato senza che alcunché fosse messo per iscritto,
accettò il dibattito. Predisse comunque ciò che poi si verificò: che,
terminata la riunione, ciascuno, in assenza di documentazione scritta, sarebbe
stato libero di sostenere di aver detto ciò che non aveva detto e di non aver
detto ciò che aveva detto.
17. 3. Discusse con Pascenzio: sostenne la sua dottrina,
ascoltò ciò che sosteneva l'avversario, con valido ragionamento e con l'autorità
delle scritture insegnò e dimostrò i fondamenti della nostra fede, dimostrò
poi che le proposizioni di Pascenzio non erano suffragate da alcuna evidenza né
dall'autorità della sacra scrittura e le confutò.
17. 4. Ma quando le due parti si divisero, quello ancor più
adirato e furente andava diffondendo molte menzogne per sostenere la sua fede
erronea, vantandosi che Agostino, da tanti esaltato, era stato sconfitto da lui.
17. 5. Poiché queste vanterie erano ormai divulgate,
Agostino fu costretto a scrivere a Pascenzio, pur senza fare i nomi di quelli
che avevano disputato per riguardo al timore che aveva Pascenzio, e nelle
lettere espose fedelmente ciò che le due parti avevano detto e fatto: se quello
avesse negato, egli a comprovare i fatti aveva molti testimoni, cioè quelle
persone di alta condizione che erano state lì presenti.
17. 6. Alle due lettere che gli erano state indirizzate, a
stento quello ne inviò una sola di risposta, nella quale era solo capace di
insultare piuttosto che dare dimostrazione della sua dottrina. Tutto ciò può
esser provato a chi vuole e sa leggere.
17. 7. Ancora con un vescovo ariano, di nome Massimino, che
era venuto in Africa con i Goti, Agostino ebbe una pubblica discussione ad
Ippona, per desiderio e richiesta di molti, alla presenza di persone importanti:
ciò che le due parti esposero, sta scritto.
17. 8. Se gl'interessati vorranno leggere con attenzione,
senza dubbio esamineranno sia ciò che afferma l'astuta e irragionevole eresia
per sviare ed ingannare, sia ciò che professa e insegna la chiesa cattolica
sulla divina Trinità.
17. 9. Ma quell'eretico, tornato da Ippona a Cartagine, in
forza della grande loquacità di cui aveva dato prova nel dibattito, si vantava
falsamente di essere uscito di qui vincitore. E poiché tutto ciò non poteva
essere esaminato e valutato facilmente da persone non versate nelle sacre
scritture, più tardi Agostino ricapitolò per iscritto tutto quel dibattito,
presentando una per una le obiezioni e le risposte. Fu così messo in chiaro che
quello non aveva saputo rispondere alle obiezioni di Agostino, e furono fatte
pure alcune aggiunte, poiché nel ristretto tempo del dibattito Agostino non
aveva potuto dire e far trascrivere tutto. infatti quell'uomo perfido aveva
fatto in modo che il suo ultimo intervento, protratto molto in lungo, occupasse
tutto lo spazio di tempo che rimaneva.
Attività antipelagiana. Frutti delle sue fatiche. Gli scritti
18. 1. Anche contro i pelagiani, nuovi eretici del nostro
tempo, abili polemisti che con arte sottile e nociva scrivevano e parlavano
ovunque potevano, in pubblico e nelle case private, Agostino ebbe a che fare per
circa 10 anni: a tal riguardo scrisse e pubblicò molti libri e molto spesso
predicò in chiesa al popolo su questo errore.
18. 2. Poiché questi perversi con grande attività cercavano
di attirare alla loro perfidia anche la sede apostolica, in maniera pressante
anche concili di vescovi africani si adoperarono perché i papi della città
santa, prima il venerabile Innocenzo e dopo il beato Zosimo suo successore, si
convincessero quanto quella dottrina dovesse essere respinta e condannata dalla
fede cattolica.
18. 3. Quei vescovi di sede tanto importante in tempi diversi
condannarono i pelagiani e li separarono dalle membra della chiesa, e con
lettere inviate alle chiese d'Africa, d'Oriente e d'Occidente, stabilirono
che quelli dovevano essere condannati ed evitati da tutti i cattolici.
18. 4. Anche il piissimo imperatore Onorio, informato di
questo giudizio emanato contro i pelagiani dalla chiesa cattolica di Dio, si
uniformò ad esso e con alcune sue leggi li condannò e decretò che quelli
dovevano essere considerati eretici.
18. 5. Per cui alcuni di loro, che si erano allontanati dal
grembo di santa madre chiesa, vi sono ritornati e altri ancora vi ritornano,
mentre si fa strada e prevale sempre di più contro quel detestabile errore la
verità della retta fede.
18. 6. Quell'uomo memorabile era un importante membro del
corpo del Signore, sempre sollecito e vigile per tutto ciò che riuscisse utile
alla chiesa universale.
18. 7. Per volontà divina gli fu concesso di godere già in
questa vita il frutto delle sue fatiche, innanzitutto nella regione della chiesa
d'Ippona, cui specificamente egli era a capo, e anche nelle altre parti d'Africa:
infatti vedeva che sia per opera sua sia di quelli che egli stesso aveva dato
come vescovi la chiesa del Signore si era amplificata e incrementata, e godeva
che manichei donatisti pelagiani e pagani in gran parte erano venuti meno e si
erano uniti alla chiesa di Dio.
18. 8. Favoriva gli studi e i progressi di tutti i buoni e se ne
rallegrava, e piamente e santamente tollerava certe mancanze di disciplina dei
fratelli, mentre s'addolorava della malvagità dei cattivi, sia di quelli
nella chiesa sia fuori della chiesa; gioiva sempre, come ho detto, di ciò che
recava giovamento alle cose del Signore e s'addolorava per ciò che recava
loro danno.
18. 9. Molti libri furono da lui composti e pubblicati, molte
prediche furono tenute in chiesa, trascritte e corrette, sia per confutare i
diversi eretici sia per interpretare le sacre scritture ad edificazione dei
santi figli della chiesa. Queste opere furono tante che a stento uno studioso ha
la possibilità di leggerle e imparare a conoscerle.
18. 10. D'altra parte, per non defraudare di nulla chi ha brama
di parole di verità, ho stabilito con l'aiuto di Dio di allegare alla fine di
questo libro anche l'indice di quei libri, prediche e lettere. Una volta che
lo avrà letto, chi ama più la verità di Dio che le ricchezze temporali potrà
scegliersi l'opera che vorrà da leggere e conoscere e potrà chiederne copia
anche alla biblioteca d'Ippona, dove troverà esemplari più corretti, ovvero
cercherà dove potrà. Così trascriverà e conserverà le opere che avrà
trovato e senza gelosia le darà da trascrivere anche a chi glielo chiederà.
Agostino nella vita di ogni giorno (cc. 19-27)
Agostino giudice
19. 1. Agostino seguiva anche il consiglio dell'Apostolo
che dice: Chi di voi ha una lite con un altro, oserà appellarsi al giudizio
degl'infedeli e non dei santi? Ignorate forse che i santi giudicheranno il
mondo? E se voi giudicherete il mondo, non siete capaci di giudicare cose
dappoco? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Ma allora non giudicheremo
tanto più le cose del mondo? Perciò, se giudicherete fra di voi cose del
mondo, mettete a presiedere coloro che nella chiesa contano di meno. Vi parlo
così per vostra vergogna. Non c'è fra di voi qualche persona saggia, che
possa giudicare fra i suoi fratelli? E invece il fratello viene a giudizio col
fratello, e questo davanti agli infedeli? (1 Cor. 6, 1 ss.).
19. 2. Richiesto perciò da cristiani e da persone di ogni
religione, ascoltava le cause con religiosa attenzione: aveva sempre presente l'affermazione
di uno che diceva che preferiva giudicare fra persone sconosciute piuttosto che
fra amici: infatti mediante un equo giudizio di uno sconosciuto si poteva fare
un amico, mentre invece avrebbe perso l'amico, cui avesse dovuto dar torto nel
giudizio.
19. 3. Con continuità ascoltava le cause e giudicava,
talvolta fino all'ora di colazione, altre volte per l'intera giornata
rimanendo a digiuno; e in quest'attività considerava il valore delle anime
cristiane, quanto ciascuno progredisse nella fede e nei buoni costumi, ovvero
regredisse.
19. 4. Sapeva cogliere il momento opportuno per spiegare alle
parti la verità della legge divina e l'inculcava in loro, insegnando e
rammentando il modo di conseguire la vita eterna. Da coloro per i quali
attendeva a quest'attività non richiedeva altro se non l'obbedienza e la
devozione cristiana, che è dovuta a Dio e agli uomini, e riprendeva i peccatori
alla presenza di tutti, perché gli altri ne avessero timore.
19. 5. Svolgeva tale attività quasi come sentinella
stabilita dal Signore alla casa d'Israele (Ez. 3, 17; 33, 7), predicando la
parola e insistendo a tempo debito e non debito, riprendendo esortando
rimproverando con ogni pazienza e dottrina (2 Tim. 4, 2), dedicandosi
soprattutto ad istruire quelli che erano adatti ad insegnare anche agli altri.
19. 6. Richiesto anche da alcuni di occuparsi di loro
questioni temporali, mandava lettere a varie persone. Ma riteneva un peso questa
occupazione che lo distoglieva da attività più importanti: infatti gli era
gradito discutere sempre delle cose di Dio, sia in pubblico sia in discussione
fraterna e familiare.
Sollecitudine e discrezione nei rapporti con le autorità
20. 1. Sappiamo anche che egli, pur richiesto da persone a
lui molto care, non scrisse lettere di raccomandazione alle autorità civili: a
tal proposito soleva dire che si doveva osservare la massima di un sapiente, del
quale è scritto che, in considerazione del suo buon nome, non aveva concesso
molto agli amici; e di suo poi aggiungeva che per lo più il potente che concede
qualcosa preme per il contraccambio.
20. 2. Quando poi, pregato, vedeva che era necessario
intercedere, lo faceva così dignitosamente e discretamente che non soltanto non
risultava fastidioso o molesto, ma addirittura era oggetto d'ammirazione. Così
una volta, presentatasi la necessità, egli scrisse a suo modo ad un vicario d'Africa,
di nome Macedonio, per raccomandare un postulante; e il vicario, dopo aver
esaudito la richiesta, gli rispose così:
20. 3. « Ammiro moltissimo la tua sapienza sia nei libri che
hai pubblicato sia in questa lettera che non hai ritenuto gravoso inviarmi per
intercedere a favore di chi si trovava in strettezze.
20. 4. Infatti quelli contengono tanto acume, scienza e
santità che nulla vi è di superiore ad essi; la lettera poi è scritta con
tanta discrezione che, se non accordassi ciò che chiedi, dovrei ritenere che la
colpa è mia e non dipende dalla difficoltà della questione, signore
meritatamente venerabile e padre degnissimo.
20. 5. Infatti tu non insisti, come fanno quasi tutti quelli
di qui, per ottenere ad ogni costo ciò che chiede l'interessato; ma ciò che
ti sembra opportuno chiedere ad un giudice stretto da tante preoccupazioni,
questo tu chiedi con quella delicatezza che fra i buoni è la più efficace per
ottenere cose difficili. Perciò ho accordato ciò che chiedevano le persone che
hai raccomandato: del resto già prima avevo dato loro motivo di sperare ».
Concili e ordinazioni
21. l. Quando poteva, prendeva parte ai concili episcopali
celebrati nelle diverse province`, ricercando in essi non il suo interesse ma
quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21), perché la fede della santa chiesa non
riportasse danno e perché alcuni vescovi e chierici, scomunicati a ragione o a
torto, fossero assolti oppure rimossi.
21. 2. Nelle ordinazioni dei vescovi e dei chierici riteneva
che si dovessero seguire il consenso della maggior parte dei fedeli e la
consuetudine della chiesa.
Semplicità di vita e libertà di spirito. Carità sopra tutto
22. 1. Le sue vesti, i calzari, la biancheria da letto erano
di qualità media e conveniente, né troppo di lusso né di tipo troppo
scadente: infatti a tal proposito gli uomini son soliti o far troppa esibizione
oppure vestirsi troppo poveramente, ricercando in ambedue i casi il proprio
vanto, non l'utile di Gesù Cristo (Fil. 2, 21).
22. 2. Invece Agostino, come ho detto, teneva una via di
mezzo, non eccedendo né da una parte né dall'altra (Num. 20, 17). Usava di
una mensa frugale e parca, che però fra la verdura e i legumi aveva qualche
volta anche la carne, per riguardo agli ospiti o a qualcuno che non stava bene,
e aveva sempre il vino: infatti Agostino conosceva e ripeteva le parole dell'Apostolo:
Ogni creatura di Dio è buona e niente bisogna rifiutare di quel che si
accetta con rendimento di grazie: infatti questo viene santificato dalla parola
di Dio e dalla preghiera (1 Tim. 4, 4 s.).
22. 3. E lo stesso beato Agostino dice nelle Confessioni: «
Non temo l'immondezza del cibo, ma l'immondezza della cupidigia. So che a
Noè fu permesso di mangiare ogni genere di carne che potesse servire da cibo
(Gen. 9, 2 ss.), che Elia fu rifocillato con la carne (1 Re, 17, 6), che
Giovanni, la cui astinenza era oggetto di meraviglia, non fu contaminato dagli
animali che gli servivano da cibo, cioè le cavallette (Mt. 3, 4). So invece che
Esaù fu sedotto dal desiderio di lenticchie (Gen. 25, 29 ss.), che Davide si
rimproverò per il desiderio dell'acqua (2 Sam. 23, 15 ss.), e che il nostro
re fu tentato non con la carne ma col pane (Mt. 4, 3). E anche il popolo nel
deserto meritò di essere rimproverato non perché aveva desiderato carne ma
perché per desiderio di carne aveva mormorato contro il Signore (Num. 11, 1 ss.)
» (Conf., X, 46).
22. 4. Quanto al bere vino, l'Apostolo scrive così a
Timoteo: Non bere soltanto acqua, ma fa' uso anche di un po' di vino per
il tuo stomaco e le tue frequenti malattie (1 Tim. 5, 24).
22. 5. Usava d'argento soltanto i cucchiai, ma il vasellame
per portare i cibi a tavola erano o di terracotta o di legno o di marmo, e ciò
non per povertà ma di proposito.
22. 6. Fu sempre molto ospitale. E durante il pranzo aveva più
cara la lettura o la discussione che non il mangiare e il bere. Contro quella
pessima abitudine degli uomini teneva qui questa iscrizione:
Chi ama calunniare gli assenti,
sappia di non esser degno di questa mensa.
Ammoniva così ogni invitato ad astenersi da chiacchiere
superflue e dannose.
22. 7. Una volta che alcuni vescovi che gli erano molto amici
si erano dimenticati della scritta e parlavano in maniera contraria ad essa,
Agostino indignato li riprese aspramente, dicendo che o quei versi dovevano
essere cancellati dalla mensa o che egli si sarebbe alzato in mezzo al pranzo e
se ne sarebbe andato in camera sua. Possiamo testimoniare questo episodio io ed
altri che prendevamo parte a quel pranzo.
Carità e disinteresse
23. l. Si ricordava sempre dei compagni di povertà e dava
loro attingendo a quel che serviva per sé e per coloro che abitavano insieme
con lui, cioè dalle rendite dei beni della chiesa e anche dalle offerte dei
fedeli.
23. 2. Per evitare che questi beni - come di solito avviene -
fossero fonte di odiosità nei confronti dei chierici, egli soleva dire al
popolo di Dio che avrebbe preferito vivere delle loro offerte piuttosto che
sobbarcarsi la cura e l'amministrazione di quei beni: perciò egli era pronto
a cederli ai fedeli, sì che tutti i servi e i ministri di Dio vivessero così
come nel Vecchio Testamento si legge che chi serviva all'altare, aveva parte
del medesimo (Deut. 18, 1 ss.; 1 Cor. 9, 13). Ma i laici non vollero mai
accettare quella proposta.
Amministrazione dei beni della Chiesa
24. 1. Delegava e affidava a turno ai chierici più abili l'amministrazione
e tutti i beni della casa annessa alla chiesa, senza tenere per sé né chiave
né anello, e quelli che erano stati preposti alla casa segnavano tutte le
entrate e le uscite. Il rendiconto gli veniva letto alla fine di ogni anno,
perché egli sapesse quanto si era ricevuto e quanto si era distribuito o
rimanesse da distribuire. Ma in molti affari dava fiducia all'amministratore
piuttosto che verificare i conti precisi e documentati.
24. 2. Non volle mai comprare casa, campo o villa, ma se
qualcuno spontaneamente donava qualcosa di tale alla chiesa o lo affidava a
titolo di deposito, non rifiutava ma diceva di accettare.
24. 3. Sappiamo però che rifiutò alcune eredità, non
perché sarebbero state inutili ai poveri ma perché riteneva giusto ed equo che
esse venissero in possesso dei figli o dei parenti o dei genitori dei defunti,
ai quali quelli morendo non le avevano voluto lasciare.
24. 4. Un tale fra i cittadini d'Ippona di alta condizione,
che viveva a Cartagine, volle donare una proprietà alla chiesa d'Ippona, e
fatto il documento, mentre tratteneva per sé l'usufrutto, lo mandò senz'altro
ad Agostino di beata memoria. Egli accettò volentieri l'offerta,
rallegrandosi con quello perché provvedeva alla sua salvezza eterna.
24. 5. Ma dopo alcuni anni, mentre io mi trovavo Per caso
presso di lui, ecco che il donatore manda per mezzo di suo figlio una lettera
con la quale pregava di restituire a suo figlio il documento di donazione,
mentre diceva di distribuire ai poveri 100 soldi.
24. 6. Quando il santo venne a conoscenza della lettera, si
addolorò che l'uomo o aveva simulato la donazione ovvero si era pentito della
buona opera, e tutto quanto poté e Dio suggerì al suo cuore, addolorato per
questa resipiscenza, disse a rimprovero e correzione di quello.
24. 7. Subito restituì il documento che quello aveva mandato
spontaneamente e che non era stato né desiderato né richiesto, rifiutò la
somma di danaro e con la lettera di risposta riprese e rimproverò come si
doveva quell'uomo, ammonendolo a dare umilmente soddisfazione a Dio per quella
ch'era simulazione o iniquità, per non uscir di vita con un peccato così
grave.
24. 8. Spesso diceva anche ch'è più sicuro per la chiesa
ricevere legati di defunti piuttosto che eredità che potevano riuscire fonti di
preoccupazioni e danni, e che i legati dovevano essere piuttosto offerti che non
richiesti.
24. 9. Egli non accettava alcun deposito, ma non lo proibiva
ai chierici che volessero accettarli.
24. 10. Non si applicava con zelo e passione ai beni che la
chiesa aveva in proprietà o in possesso, ma era maggiormente interessato e
dedito alle realtà più importanti dello spirito, anche se talvolta si
distoglieva dalla meditazione delle cose eterne per dedicarsi a quelle
temporali.
24. 11. Ma dopo averle disposte ed ordinate, lasciatele da
parte come cose noiose e moleste, riportava l'animo alle realtà interiori e
superiori, sia che meditasse nell'indagine delle realtà divine sia che
dettasse qualcosa che avesse già trovato in argomento sia che correggesse ciò
ch'era stato già dettato e trascritto. Per far questo, lavorava di giorno e
vegliava di notte.
24. 12. Egli era come quella piissima Maria, ch'è simbolo
della chiesa celeste: di lei è scritto che sedeva ai piedi del Signore intenta
ad ascoltare la sua parola; e poiché la sorella si lamentò di lei perché non
l'aiutava mentre essa era occupata in gran da fare, si sentì dire: Marta,
Marta, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc.
10, 39 s.).
24. 13. Non ebbe mai interesse a nuove costruzioni, evitando
di applicare in questioni del genere l'animo che voleva aver sempre libero da
ogni molestia temporale. Non impediva però coloro che volessero costruire,
purché non in maniera troppo lussuosa.
24. 14. Talvolta, quando mancava danaro alla chiesa,
comunicava al popolo dei fedeli che egli non aveva di che distribuire ai poveri.
24. 15. Per aiutare prigionieri e gran quantità di poveri,
fece spezzare e fondere alcuni vasi sacri e distribuì il ricavato a chi ne
aveva bisogno.
24. 16. Non avrei ricordato questo episodio, se non sapessi
che esso contrasta l'opinione di alcuni uomini che pensano secondo la carne.
Del resto anche Ambrogio di venerabile memoria ha detto e scritto che in tali
strettezze senz'altro si deve fare così.
24. 17. Talvolta Agostino, parlando in chiesa, ricordava che
i fedeli trascuravano la cassa dei poveri e quella della sacrestia, dalla quale
si provvede ciò ch'è necessario per l'altare: a tal proposito una volta mi
riferì che, mentre egli era presente, anche il beato Ambrogio aveva trattato in
chiesa lo stesso argomento.
Autorità paterna. La legge del perdono
25. l. I chierici stavano sempre con lui nella stessa casa e
venivano nutriti e vestiti con una sola mensa e con spese comuni.
25. 2. Perché nessuno, troppo proclive a giurare, incorresse
anche nello spergiuro, predicava su questo argomento in chiesa al popolo e ai
suoi intimi aveva proibito di giurare, anche a tavola. Se uno avesse mancato,
perdeva una bevanda di quelle stabilite: infatti era prefissato il numero dei
bicchieri di vino per quelli che vivevano e pranzavano con lui.
25. 3. Mancanze di disciplina e trasgressioni dei suoi dalla
regola retta e onesta tollerava e rimproverava quanto conveniva ed era
necessario: a tal proposito insegnava specialmente che nessuno doveva piegare il
suo cuore a parole cattive per cercare scuse ai suoi peccati (Sal. 140, 4).
25. 4. Ammoniva pure che se uno offriva il suo dono all'altare
e lì si fosse ricordato che un suo fratello aveva qualcosa contro di lui,
avrebbe dovuto lasciare il dono all'altare e andare a riconciliarsi col
fratello e solo allora sarebbe dovuto tornare all'altare e offrire il dono
(Mt. 5, 23 s.).
25. 5. Se poi uno aveva qualcosa contro un suo fratello, lo
doveva trarre da parte: se quello gli avesse dato ascolto, avrebbe guadagnato
quel suo fratello; in caso contrario, avrebbe fatto ricorso ad una o due
persone. Se poi quello non avesse tenuto in alcun conto neppure costoro, si
sarebbe fatto ricorso alla chiesa: se quello non avesse obbedito neppure a
questa, sarebbe stato per lui come un pagano e un pubblicano (Mt. 18, 15 s.).
25. 6. Aggiungeva anche che al fratello che peccava e
chiedeva perdono bisognava rimettere il peccato non sette volte ma settanta
volte sette, come ciascuno chiede ogni giorno al Signore di perdonarlo (Mt. 18,
21 s.; 6, 12).
Presìdi della castità
26. 1. Nessuna donna frequentò mai la sua casa né vi rimase
per qualche tempo, neppure la sua sorella germana, che vedova consacrata a Dio
per molto tempo fino al giorno della sua morte fu preposta alle serve del
Signore, e neppure le figlie di suo fratello ch'erano parimenti consacrate a
Dio: eppure i concili episcopali avevano fatto eccezione per queste persone.
26. 2. Affermava a tal proposito che certo non poteva sorgere
alcun sospetto a causa della sorella e delle nipoti che fossero vissute insieme
con lui; però, poiché quelle non avrebbero potuto vivere insieme con lui senza
la compagnia di altre donne loro amiche e sarebbero venute a visitarle anche
altre donne di fuori, a causa di queste poteva nascere motivo di scandalo per i
più deboli (1 Cor. 8, 9; Rom. 14, 13). Infatti qualcuno di quelli che stavano
insieme col vescovo o con qualche chierico potevano cedere a tentazioni umane a
causa di tutte quelle donne che abitavano insieme o usavano recarsi lì, ovvero
inevitabilmente sarebbe stato diffamato dai malvagi sospetti degli uomini.
26. 3. Perciò affermava che mai donne debbono vivere nella
stessa casa con i servi di Dio, anche castissimi, per evitare - come ho detto -
che tale esempio costituisse motivo di scandalo o di offesa per i deboli. Egli
poi, se veniva invitato da qualche donna a visitarla e salutarla, non si recava
mai da quella senza la compagnia di chierici, e mai parlò con esse da solo a
sole, neppure se si doveva trattare qualche questione riservata.
Carità e prudenza. Umiltà e confidenza in Dio
27. 1. Nel visitare seguiva la norma stabilita dall'Apostolo
(Giac. 1, 27), di non visitare se non gli orfani e le vedove che si trovavano in
strettezze.
27. 2. Se poi veniva richiesto dai malati di pregare per loro
il Signore in loro presenza e di imporre loro le mani, si recava senza indugio.
27. 3. Non visitava monasteri femminili se non in caso di
urgente necessità.
27. 4. Diceva che nella vita e nei costumi dell'uomo di Dio
si dovevano seguire i consigli che egli aveva appreso da Ambrogio di santa
memoria: non cercare moglie per nessuno, non raccomandare chi vuole fare la
carriera militare, stando al proprio paese non accettare inviti a pranzo.
27. 5. Spiegava così i motivi di ognuno di questi consigli:
per evitare che i coniugi, venuti a lite, maledicessero colui per la cui opera
si erano uniti (perciò il sacerdote doveva limitarsi ad intervenire richiesto
dai due che erano già d'accordo, per confermare e benedire il loro accordo);
per evitare che, comportandosi male colui che era stato raccomandato al servizio
militare, la colpa ricadesse su chi l'aveva raccomandato; per evitare infine
che uno, frequentando troppo i banchetti nel suo paese, smarrisse la misura
della temperanza.
27. 6. Ci disse anche di aver udito una risposta quanto mai
sapiente e pia di quell'uomo di beata memoria che si trovava alla fine della
vita, e molto la lodava e magnificava.
27. 7. Quell'uomo venerabile giaceva nella sua ultima
malattia e alcuni fedeli di alta condizione, che stavano intorno al suo letto e
lo vedevano sul punto di passare dal mondo al Signore, si lamentavano che la
chiesa restasse priva dell'opera di un tale vescovo sia nella predicazione sia
nell'amministrazione dei sacramenti e lo pregavano fra le lacrime che
chiedesse al Signore un prolungamento della vita. Ma quello rispose loro: « Non
ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi: ma neppure
temo di morire, perché abbiamo un buon Signore ».
27. 8. In tale risposta il nostro Agostino ormai vecchio
ammirava ed approvava la ponderatezza e l'equilibrio delle parole. Infatti le
parole di Ambrogio « ma neppure temo di morire, perché abbiamo un buon Signore
» dovevano essere intese nel senso che non si doveva credere che egli, perché
fiducioso nella sua purezza di costumi, prima aveva detto: « Non ho vissuto in
maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi ». Aveva detto così in
riferimento a ciò che gli uomini possono conoscere di un uomo; ma in
riferimento all'esame della giustizia divina confidava soprattutto nel buon
Signore, al quale anche nella orazione quotidiana da lui insegnata diceva: Rimettici
i nostri debiti (Mt. 6, 12).
27. 9. Riferiva anche di frequente una risposta su questo
argomento, data da un suo collega di episcopato a lui molto amico: mentre quello
era sul punto di morire, Agostino era andato a visitarlo; quello con la mano
aveva fatto un gesto per indicare che stava per uscire dal mondo ed Agostino gli
aveva risposto che per la chiesa era necessario che egli potesse ancora vivere:
allora quello, perché non si credesse che era trattenuto dal desiderio di
questa vita, aveva replicato: « Se mai, bene. Ma se una volta, perché non ora?
».
27. 10. E Agostino ammirava e lodava questa risposta, che era
stata data da un uomo certo timorato di Dio ma nato e cresciuto in campagna e
che non aveva fatto molte letture.
27. 11. Certo costui era in contrasto con i sentimenti di
quel vescovo, di cui riferisce così il santo martire Cipriano nella lettera che
scrisse sulla pestilenza: « Poiché uno dei nostri colleghi di episcopato,
prostrato dalla malattia e turbato dall'avvicinarsi della morte, chiedeva per
sé un prolungamento della vita, mentre pregava così ed era quasi morto gli si
presentò un giovane venerabile per dignità e maestà, di alta statura e di
aspetto splendente. Era tale che vista umana a stento poteva osservarlo con gli
occhi carnali mentre stava vicino a colui che stava per uscire dal mondo; ma
invece proprio costui lo poteva scorgere. E quel giovane con voce che fremeva
per l'indignazione dell'animo disse: "Avete paura di soffrire, non ve
ne volete andare: che cosa farò per voi?" » (Cipr., Mort., 19).
Ultime vicende e morte (cc. 28-31)
Revisione dei libri. Orrori dell'invasione vandalica e assedio d'Ippona
28. 1. Poco tempo prima della morte fece una revisione dei
libri che aveva composto e pubblicato, sia quelli che aveva scritto ancora da
laico appena si era convertito, sia quelli che aveva composto quando era prete e
vescovo: tutto quello che in essi notò che era stato scritto in difformità
della regola di fede, quando egli non era ancora bene al corrente delle norme
della chiesa, tutto ciò fu da lui rivisto e corretto. Perciò egli
scrisse anche due libri, che si intitolano Revisione dei libri.
28. 2. Si lamentava anche che alcuni libri gli erano stati
portati via da certi fratelli prima che egli li avesse accuratamente corretti,
anche se poi li aveva corretti in un secondo tempo. Sorpreso dalla morte,
lasciò incomplete alcune opere.
28. 3. Poiché voleva essere utile a tutti, a quelli che
possono leggere molti libri e a quelli che non possono, dal Vecchio e dal Nuovo
Testamento estrasse passi contenenti precetti e divieti e, premessa una
prefazione, li raccolse in un volume: così chi volesse leggerlo, vi avrebbe
riconosciuto quanto fosse obbediente a Dio o disobbediente. Volle intitolare
questa opera Specchio.
28. 4. Poco tempo dopo, per volontà e disposizione divina
avvenne che un grande esercito, armato con armi svariate ed esercitato alla
guerra, composto dai crudeli nemici Vandali e Alani, cui s'erano uniti Goti e
gente di altra stirpe, con le navi fece irruzione dalle parti trasmarine della
Spagna in Africa.
28. 5. Gli invasori attraverso tutta la Mauretania passarono
anche nelle altre nostre province e regioni, e imperversando con ogni atrocità
e crudeltà saccheggiarono tutto ciò che potettero fra spogliazioni, stragi,
svariati tormenti, incendi e altri innumerevoli e nefandi disastri. Non
risparmiarono né sesso né età, neppure i sacerdoti e i ministri di Dio,
neppure gli ornamenti, le suppellettili e gli edifici delle chiese.
28. 6. Tali crudelissime violenze e devastazioni quell'uomo
di Dio vedeva e pensava che esse fossero avvenute ed avvenissero non come
pensavano gli altri uomini: ma poiché le considerava in modo più profondo e vi
ravvisava soprattutto il pericolo e la morte delle anime (infatti sta scritto: Chi
aggiunge scienza aggiunge dolore, e un cuore intelligente è un tarlo per le
ossa [Eccli. 1, 18; Prov. 14, 30; 25, 20]), ancor più del solito le lacrime
furono il suo pane giorno e notte ed egli ormai nella estrema vecchiaia
conduceva e sopportava una vita amara e luttuosa più degli altri.
28. 7. Infatti l'uomo di Dio vedeva le città distrutte, e
nelle campagne insieme con gli edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o
fuggiti e dispersi, le chiese prive di sacerdoti e ministri, le vergini
consacrate e i continenti dispersi da ogni parte: di costoro alcuni eran venuti
meno fra le torture; altri erano stati uccisi con la spada; altri ridotti in
schiavitù, persa ormai l'integrità e la fede dell'anima e del corpo,
servivano i nemici con trattamento duro e cattivo.
28. 8. Nelle chiese non si cantavano più inni e lodi a Dio;
in molti luoghi le chiese erano state bruciate; erano venuti meno nei luoghi a
ciò consacrati i sacrifici solenni dovuti a Dio; i sacramenti divini o non
venivano richiesti oppure non potevano essere amministrati a chi li richiedeva,
perché non si trovava facilmente il ministro.
28. 9. Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane e in
grotte e caverne o in altro riparo erano stati alcuni sopraffatti e catturati,
altri erano privi di mezzi di sostentamento a punto tale da morire di fame. 1
vescovi e i chierici che per grazia di Dio o non avevano incontrato gl'invasori
o erano riusciti a sfuggir loro, spogliati di ogni cosa mendicavano nella
miseria più nera, né era possibile aiutarli tutti in tutto ciò di cui
abbisognavano.
28. 10. Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre per
grazia di Dio non sono state distrutte, quelle di Cartagine, Cirta e Ippona, e
restano in piedi le loro città, protette dal presidio divino e umano (ma dopo
la morte di Agostino anche Ippona, abbandonata dagli abitanti, fu incendiata dai
nemici).
28. 11. E Agostino, in mezzo a tali sciagure, si consolava
con la sentenza di un sapiente che dice: « Non sarà grande colui che ritiene
gran cosa il fatto che cadono alberi e pietre e muoiono i mortali ».
28. 12. Era molto saggio, e perciò piangeva ogni giorno a
calde lacrime tutte queste sciagure. Si aggiunse ai suoi dolori e ai suoi
lamenti il fatto che i nemici vennero ad assediare Ippona, che fino allora era
rimasta indenne, poiché si era occupato della sua difesa l'allora conte
Bonifacio con un esercito di Goti alleati. I nemici l'assediarono strettamente
per quasi 14 mesi e le chiusero anche la via del mare.
28. 13. Qui mi ero rifugiato anch'io insieme con altri
colleghi d'episcopato e fummo insieme con lui per tutto il tempo dell'assedio.
Molto spesso parlavamo fra noi e consideravamo che davanti ai nostri occhi Dio
poneva i suoi tremendi giudizi, e dicevamo: Sei giusto, Signore, e retto è
il tuo giudizio (Sal. 118, 137). Tutti insieme addolorati, gemendo e
piangendo, pregavamo il Padre della misericordia e Dio di ogni consolazione (2
Cor. 1, 3) perché si degnasse confortarci in quella tribolazione.
Ultima malattia e ultime opere buone
29. 1. Un giorno, mentre pranzavamo con lui e parlavamo di
questi argomenti, egli ci disse: « Sappiate che in questi giorni della nostra
disgrazia ho chiesto a Dio questo: o che si degni di liberare la nostra città
dall'assedio dei nemici; o, se la sua volontà è diversa, che renda forti i
suoi servi per poter sopportare questa volontà; ovvero che mi accolga presso di
sé, uscito dal mondo».
29. 2. Così diceva e ci istruiva, e quindi, insieme con lui,
noi tutti e tutti quelli che stavano in città pregavamo allo stesso modo il
sommo Dio.
29. 3. Ed ecco, durante il terzo mese dell'assedio si mise
a letto con la febbre e questa fu l'ultima malattia che l'afflisse. Né il
Signore negò al suo servo il frutto della sua preghiera: infatti egli ottenne a
suo tempo ciò che con preghiere miste a lacrime aveva chiesto per sé e per la
città.
29. 4. Venni anche a sapere che, quando era prete e vescovo,
egli era stato richiesto di pregare per alcuni energumeni che soffrivano, ed
egli fra le lacrime aveva pregato Dio, e i demoni si erano allontanati da quegli
uomini.
29. 5. Parimenti, mentre era malato e stava a letto, venne da
lui un tale con un suo parente malato e lo pregò di imporre a quello la mano
perché potesse guarire. Agostino gli rispose che, se avesse avuto qualche
potere per tali cose, in primo luogo ne avrebbe fatto uso per sé. Ma quello
replicò che in sonno aveva avuto un'apparizione e gli era stato detto: « Va'
dal vescovo Agostino perché imponga a costui la sua mano, e sarà salvo ».
Appreso ciò egli non indugiò a fare quel che si chiedeva, e il Signore subito
fece andar via guarito quel malato dal suo letto.
Consigli al vescovo Onorato sulla condotta del clero di
fronte agli invasori
30. 1. A tal proposito non debbo passare sotto silenzio che,
mentre sovrastava la minaccia dei nemici, Onorato, santo uomo nostro collega di
episcopato nella chiesa di Tiabe, per lettera chiese ad Agostino se, quando i
Vandali si avvicinavano, i vescovi e i chierici dovessero allontanarsi dalle
loro chiese oppure no. E con la sua risposta Agostino mise in evidenza ciò che
si dovesse soprattutto temere da quei distruttori del mondo romano.
30. 2. Ho voluto inserire questa lettera nel mio scritto:
infatti è molto utile e necessaria perché i sacerdoti e i ministri di Dio
sappiano come comportarsi.
30. 3. «Al santo fratello e collega nell'episcopato
Onorato, Agostino augura salute nel Signore. Avendo mandato alla tua carità una
copia della lettera che avevo scritto al fratello Quodvultdeus, nostro collega
nell'episcopato, credevo di aver soddisfatto alla richiesta che mi avevi fatto
col chiedermi consiglio su che cosa dobbiate fare in questi pericoli che sono
sopraggiunti ai nostri giorni.
30. 4. Infatti, anche se quella lettera che scrissi era
breve, ritengo di non aver omesso alcunché, che possa essere sufficiente
scrivere da parte di chi risponde e leggere da parte di chi chiede. Dissi
infatti che non si doveva imporre divieto a coloro che, se possono, desiderano
trasferirsi in luoghi fortificati, ma che non si dovevano spezzare i legami del
nostro ministero, con i quali ci ha legati l'amore di Cristo, sì che non
dovevamo abbandonare le chiese, alle quali dobbiamo prestare servizio.
30. 5. Ecco come scrissi in quella lettera: " Poiché il
nostro ministero è così necessario al popolo di Dio che esso non deve
rimanerne privo, nel caso che una parte anche piccola di esso rimanga dove siamo
noi, a noi non resta che dire al Signore: Sia Dio il nostro protettore e la
nostra difesa (Sal. 30, 3) ".
30. 6. Ma questo consiglio non ti soddisfa, se - come scrivi
- tu temi di operare in contrasto col comando del Signore che ci dice che
bisogna fuggire di città in città; ricordiamo infatti le sue parole: Quando
vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra (Mt. 10, 23).
30. 7. Ma chi può credere che con questo consiglio il
Signore abbia inteso che restasse privo del necessario servizio, senza il quale
non può vivere, il gregge che egli si è acquistato col suo sangue?
30. 8. Non ha fatto così egli stesso quando ancor fanciullo,
portato dai genitori, fuggì in Egitto? Ma egli non aveva ancora radunato chiese
che noi possiamo dire essere state da lui abbandonate.
30. 9. Che forse l'apostolo Paolo non fu calato attraverso
una finestra in una cesta, per non essere preso dal nemico, e così riuscì a
sfuggirgli? Ma rimase forse priva del necessario servizio la chiesa che stava lì
e non fu fatto quanto era necessario dai fratelli che lì rimanevano? Infatti l'Apostolo
agì così proprio perché lo volevano i fratelli, per conservare alla chiesa se
stesso, che il persecutore cercava specificamente.
30. 10. Perciò i servi di Cristo, ministri della sua parola
e del suo sacramento, agiscano come egli ha comandato o permesso. Fuggano senz'altro
di città in città, quando qualcuno di loro è cercato nominativamente dai
persecutori, in maniera tale che la chiesa non sia abbandonata dagli altri che
non sono ricercati allo stesso modo, ma questi somministrino nutrimento ai loro
conservi, che essi sanno non poter vivere altrimenti.
30. 11. Ma quando il pericolo è comune per tutti, vescovi
chierici e laici, coloro che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da
quelli di cui essi hanno bisogno. Perciò o si trasferiscano tutti insieme in
luoghi fortificati, ovvero coloro che debbono necessariamente rimanere non siano
abbandonati da coloro che debbono loro fornire quanto è necessario alla vita
religiosa: sopravvivano allo stesso modo o patiscano allo stesso modo ciò che
il Padre di famiglia avrà voluto ch'essi patiscano.
30. 12. Se poi alcuni soffrono di più e altri meno, ovvero
tutti allo stesso modo, sempre si potrà vedere chi sono coloro che soffrono per
gli altri, quelli cioè che, pur potendosi sottrarre con la fuga a questi mali,
hanno preferito restare per non abbandonare gli altri nelle necessità. In tal
modo si dà soprattutto prova di quell'amore che l'apostolo Giovanni
raccomanda con queste parole: Come Cristo ha dato per noi la sua vita, così
anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv. 3, 16).
30. 13. Infatti coloro che fuggono ovvero non possono fuggire
perché impediti da qualche loro necessità, se sono presi e soffrono, soffrono
per sé stessi, non per i loro fratelli. Invece coloro che soffrono perché non
hanno voluto abbandonare i fratelli che avevano bisogno di loro per la salvezza
in Cristo, questi senza dubbio danno la loro vita per i fratelli.
30. 14. Quanto poi alle parole che abbiamo udito da un
vescovo: "Se il Signore ci ha comandato di fuggire in quelle persecuzioni in
cui si può ottenere il frutto del martirio, non dobbiamo tanto più fuggire i
patimenti che non danno frutto, quando c'è un'incursione di barbari ostili":
consiglio vero e accettabile, ma solo da parte di chi non è vincolato da un
ufficio della chiesa.
30. 15. Infatti se uno, pur potendo fuggire, non fugge
dinanzi alle stragi dei nemici per non abbandonare il ministero di Cristo senza
il quale gli uomini non possono né diventare cristiani né vivere come tali,
questo mette in pratica l'amore, più di colui che fugge pensando a sé e non
ai fratelli e che pur poi preso non nega Cristo e ottiene il martirio.
30. 16. Che cosa è poi quel che hai scritto nella tua prima
lettera? Dici infatti: "Se poi dobbiamo rimanere nelle chiese, non vedo in che
cosa gioveremo a noi o al popolo nel vedere gli uomini cadere davanti ai nostri
occhi, le donne violentate, le chiese incendiate, noi stessi venir meno sotto i
tormenti, quando cercano da noi ciò che non abbiamo".
30. 17. Dio può prestare ascolto alle preghiere della sua
famiglia e tener lontani i mali che noi temiamo: ma a causa di questi mali, che
sono incerti, non deve esser certo l'abbandono del nostro ministero, senza il
quale è certa la rovina del popolo nelle cose non di questa vita ma di quell'altra,
di cui ci dobbiamo prender cura in maniera incomparabilmente più attenta e
sollecita.
30. 18. Infatti se fosse cosa certa che questi mali che
temiamo sopravvengono nei luoghi nei quali ci troviamo, di qui fuggirebbero
prima tutti coloro a causa dei quali noi dobbiamo rimanere e così ci
libererebbero dalla necessità di rimanere. Nessuno infatti sostiene che i
ministri di Dio debbono rimanere là dove non c'è nessuno cui prestare la
propria opera.
30. 19. In tal senso alcuni vescovi sono fuggiti dalla
Spagna, poiché il popolo in parte si era disperso nella fuga, in parte era
stato ucciso, in parte era morto durante l'assedio, in parte era stato
disperso in servitù. Ma molti di più sono stati i vescovi che, poiché
rimanevano nelle loro sedi coloro a causa dei quali essi pure dovevano rimanere,
sono restati anch'essi esposti agli stessi innumerevoli pericoli. E se alcuni
hanno abbandonato i loro fedeli, proprio questo noi diciamo che non si deve
fare. infatti costoro non sono stati ispirati dall'autorità divina ma sono
stati o tratti in inganno da errore umano o sopraffatti da umano timore.
30. 20. Come mai infatti essi ritengono che si debba ubbidire
fedelmente al comando divino, quando leggono che si deve fuggire da una città
nell'altra, ma invece non hanno in orrore il mercenario che vede venire il
lupo e fugge, perché non si preoccupa delle pecore (Gv. 10, 12) ? Perché mai
queste due sentenze, che sono proprio del Signore, quella che permette e comanda
la fuga, e quella che la rimprovera e la condanna, essi non cercano di
interpretarle in modo che non risultino fra loro in contraddizione, come
effettivamente non lo sono?
30. 21. E in che modo questo può farsi se non facendo
attenzione a ciò che ho già detto sopra? Cioè che, se la persecuzione
minaccia i luoghi nei quali siamo, i ministri di Dio debbono fuggire, quando o lì
non ci siano più fedeli, cui prestar servizio, ovvero il necessario servizio
può essere espletato da altri che non hanno lo stesso motivo per fuggire.
30. 22. Così fuggì l'Apostolo, come sopra ho ricordato,
calato in una cesta, perché proprio lui era ricercato dal persecutore, mentre
non si trovavano in tale necessità gli altri, che perciò si guardarono bene
dall'abbandonare il servizio della chiesa. Così fuggì il santo Atanasio,
vescovo di Alessandria, poiché l'imperatore Costanzo desiderava catturare
proprio lui e la comunità cattolica che rimaneva ad Alessandria non veniva
abbandonata dagli altri ministri.
30. 23. Ma quando il popolo resta e invece fuggono i ministri
e finisce il servizio, che cosa sarà quest'azione se non la riprovevole fuga
dei mercenari, che non si danno cura delle pecore? Infatti verrà il lupo, non
un uomo ma il diavolo, che spesso ha persuaso ad apostatare i fedeli cui mancava
la quotidiana amministrazione del corpo del Signore. Così, a causa non della
tua scienza ma della tua ignoranza, fratello, perirà il debole per il quale è
morto Cristo.
30. 24. Per quanto poi riguarda coloro che in tale distretta
non sono tratti in fallo dall'errore ma sono vinti dalla paura, perché
piuttosto essi, con l'aiuto del Signore misericordioso, non combattono
coraggiosamente contro il loro timore? Così eviteranno che tocchino loro mali
incomparabilmente più gravi, che perciò sono molto più da temere.
30. 25. Ciò avviene dove arde l'amore di Dio e la
cupidigia del mondo non esala il suo fumo. Dice infatti l'amore: Chi è
debole ed io non son debole? Chi viene scandalizzato ed io non brucio? (2
Cor. 11, 29). Ma l'amore viene da Dio: preghiamo che ci sia concesso da colui
da cui viene comandato. Perciò temiamo che le pecore di Cristo siano colpite
nell'animo dalla spada dello spirito del male più che siano uccise dal ferro
nel corpo, che - quando che sia e come che sia - dovrà morire.
30. 26. Temiamo che, corrotto il senso interiore, venga meno
la purezza della fede, più che le donne vengano violentate nella carne: infatti
la pudicizia non viene violentata dalla violenza, se si conserva nell'anima,
perché neppure la carne è violentata se la volontà di chi subisce non gode
turpemente della sua carne, ma senza acconsentire sopporta ciò che fa un altro.
30. 27. Temiamo che, a causa del nostro abbandono, si
estinguano le pietre vive, più che alla nostra presenza vengano incendiate le
pietre e la legna degli edifici materiali. Temiamo che, prive dell'alimento
spirituale, siano uccise le membra del corpo di Cristo, più che le membra del
nostro corpo siano oppresse e tormentate dall'aggressione del nemico.
30. 28. Non perché questi malanni non debbano essere
evitati, quando è possibile: ma perché debbono piuttosto essere sopportati,
quando non possono essere evitati senza empietà. A meno che uno non voglia
sostenere che non è empio il ministro, che sottrae il servizio necessario. alla
pietà proprio allora quando è più necessario.
30. 29. O forse, quando si arriva a questo estremo pericolo e
non c'è possibilità alcuna di fuggire, non pensiamo quanta gente di ogni
sesso e di ogni età si rifugia in chiesa: alcuni che chiedono il battesimo,
altri la riconciliazione, altri anche l'azione penitenziale, e tutti conforto
e celebrazione e distribuzione dei sacramenti?
30. 30. E se qui mancano i ministri, quanta rovina colpisce
coloro che escono da questa vita o non rigenerati o non assolti? Quanto sarà il
dolore dei fedeli per i loro cari che non potranno insieme con loro godere il
riposo della vita eterna? Quanto infine il pianto di tutti, e quante bestemmie
da parte di alcuni, per l'assenza del servizio e dei ministri?
30. 31. Osserva quali effetti produca la paura dei mali
temporali e quanto facilmente essa sia causa di mali eterni. Se invece ci sono i
ministri, si viene incontro alle necessità di tutti secondo le capacità che
Dio concede: alcuni sono battezzati, altri riconciliati, nessuno è privato
della comunione col corpo del Signore, tutti sono consolati edificati esortati a
pregare Dio, il quale può tener lontani tutti i mali che uno teme: tutti pronti
ad ambedue le sorti, sì che, se non può passare da loro questo calice, si
compia la volontà di colui che non può volere alcunché di male (Mt. 26, 42).
30. 32. Certamente ormai tu vedi ciò che scrivesti di non
vedere, cioè quanto bene venga al popolo cristiano, se nei mali che ci
affliggono non gli manca la presenza dei ministri di Dio; e vedi anche quanto
nuoccia la loro assenza, quando essi cercano il loro vantaggio, non quello di
Gesù Cristo (Fil. 2, 21), e non hanno quell'amore del quale è stato detto: Non
cerca ciò ch'è suo (1 Cor. 13, 5), e non imitano colui che ha detto: Non
cercando ciò ch'è utile a me ma ciò ch'è utile a molti, perché siano
salvi (1 Cor. 10, 33).
30. 33. Questo non si sarebbe sottratto alle insidie del
principe persecutore, se non avesse voluto conservarsi in vita per gli altri, ai
quali egli era necessario. Per questo dice: Sono stretto da due parti,
desiderando andarmene ed essere con Cristo: sarebbe infatti molto meglio; ma è
necessario rimanere nella carne a causa di voi (Fil. 1, 23).
30. 34. A questo punto uno potrebbe osservare che, all'approssimarsi
di tali sciagure, i ministri di Dio debbono fuggire per conservarsi all'utilità
della chiesa nell'attesa di tempi più tranquilli. Giustamente alcuni fanno
così, quando non mancano altri che possano attendere al servizio ecclesiastico
in vece loro, sì che il servizio non venga abbandonato da tutti: abbiamo detto
sopra che così agì Atanasio. Quanto infatti egli sia stato necessario per la
chiesa e quanto a questa abbia giovato il fatto che quello sia restato in vita,
lo sa bene la fede cattolica, che dalla parola e dall'abnegazione di quell'uomo
fu difesa contro gli eretici ariani.
30. 35. Ma quando il pericolo è di tutti, e c'è più da
temere che, se uno fa così, ciò venga attribuito non all'intenzione di
provvedere alla chiesa ma alla paura di morire, e col cattivo esempio della fuga
uno nuoce di più di quanto potrebbe giovare col sopravvivere per il servizio,
allora assolutamente non ci si deve comportare così.
30. 36. Infatti, per evitare che fosse estinta, come sta
scritto, la luce d'Israele, il santo Davide non si espose ai pericoli della
battaglia (2 Sam. 21, 17), ma agì così perché fu pregato dai suoi, non di
propria iniziativa. Altrimenti avrebbe spinto ad imitarlo nella viltà molti, i
quali avrebbero pensato che egli agiva così non in considerazione dell'utilità
degli altri, ma solo perché turbato per il suo pericolo.
30. 37. Qui ci si presenta un'altra questione, che non va
tralasciata. Abbiamo visto che non è da trascurare l'opportunità che alcuni
ministri di Dio fuggano all'approssimarsi di qualche devastazione, al fine che
siano salvi quelli che possano prestare il servizio a quanti dopo il flagello
potranno trovare superstiti: ma allora come ci si deve comportare nel caso che
si preveda la morte di tutti, se qualcuno non fugge?
30. 38. Che cosa diremo se quel flagello imperversa soltanto
col fine di perseguitare i ministri della chiesa? Dovrà forse essere
abbandonata dai ministri che fuggono quella chiesa che pur sarebbe lasciata in
abbandono da quelli miseramente periti? Ma se i laici non sono ricercati a
morte, essi in qualche modo possono nascondere i loro vescovi e i loro chierici,
secondo che li aiuterà colui in cui potere è ogni cosa, che può con la sua
mirabile potenza salvare anche quelli che non fuggono.
30. 39. Ma noi ricerchiamo che cosa dobbiamo fare, proprio
perché non si creda che attendendo miracoli divini in ogni cosa tentiamo il
Signore. Certo questa tempesta, in cui è comune il pericolo di laici e
chierici, non è come quella che minaccia comune pericolo ai marinai e ai
commercianti che stanno su una nave. Non voglio pensare che questa nostra nave
sia considerata così dappoco che la debbano abbandonare tutti i marinai, e
perfino il nocchiero, se si possono salvare passando su una scialuppa o anche a
nuoto.
30. 40. Per coloro infatti che temiamo periscano per il
nostro abbandono, noi temiamo non la morte temporale, che quando che sia
sopravverrà, ma la morte eterna, che può venire, se uno non sta attento, ma
può anche non venire, se uno sta attento.
30. 41. Nel comune pericolo di questa vita perché dobbiamo
credere che, dovunque ci sarà un'incursione di nemici, lì moriranno tutti i
chierici e non anche tutti i laici, sì che finiscano di vivere insieme anche
coloro cui i chierici son necessari? Ovvero, perché non dobbiamo sperare che
alla pari di alcuni laici resteranno in vita anche alcuni chierici, che potranno
amministrare a quelli il necessario servizio?
30. 42. Eppure, volesse il cielo che fra i ministri di Dio ci
fosse gara per chi di loro debbano rimanere e chi di loro debbano fuggire,
perché la chiesa non resti deserta o per la fuga di tutti o per la morte di
tutti! Certo tale gara ci sarà fra loro se tutti ardono di amore e tutti sono
graditi all'Amore.
30. 43. Che se questa contesa non potrà esser risolta in
altro modo, io credo che coloro che debbono restare e coloro che possono fuggire
vadano estratti a sorte. Infatti coloro i quali diranno che essi preferiscono
fuggire o sembreranno pavidi, perché non hanno voluto sopportare la sciagura
incombente, o presuntuosi, perché hanno giudicato sé stessi più necessari, sì
da dover esser salvati.
30. 44. D'altra parte, forse proprio i migliori
sceglierebbero di dare la vita per i fratelli, e così con la fuga si
salverebbero quelli la cui vita è meno utile, perché minore è la loro
abilità nel consigliare e nel dirigere. Proprio questi ultimi, se sapessero
ragionare piamente, si dovrebbero opporre a coloro che sarebbe opportuno
restassero in vita e che invece preferiscono morire piuttosto che fuggire.
30. 45. Perciò, com'è scritto, il sorteggio mette fine
alle contestazioni e decide fra i potenti (Prov. 18, 18). È meglio infatti
che in tali incertezze decida Dio piuttosto che gli uomini, sia che voglia
chiamare al frutto del martirio i migliori e risparmiare i deboli, sia che
voglia rendere costoro più forti per sopportare i mali e sottrarli a questa
vita, perché la loro vita non può essere utile alla chiesa quanto la vita di
quelli. Certo si metterà in opera un mezzo poco usato, se si farà questo
sorteggio: ma se si farà così, chi oserà biasimarlo? Chi non lo loderà
adeguatamente, a meno che non sia inetto o invidioso?
30. 46. Se poi non si vuol fare una cosa di cui non c'è
esempio, nessuno con la sua fuga deve privare la chiesa del servizio necessario
e dovuto soprattutto in così grandi pericoli. Nessuno consideri tanto se stesso
quasi che eccella per qualche grazia, e dica di esser più degno della vita e
perciò della fuga. Chi infatti la pensa così ama troppo se stesso; e chi lo
dice pure, risulta odioso a tutti.
30. 47. Alcuni poi ritengono che vescovi e chierici, non
fuggendo in tali pericoli ma rimanendo dove sono, inducano in inganno i fedeli:
questi infatti non fuggono perché vedono che restano i loro capi.
30. 48. Ma è facile evitare tale rimprovero e l'odiosità
che ne potrebbe risultare, parlando ai fedeli in questo modo: « Non vi tragga
in inganno il fatto che noi non fuggiamo di qui. Infatti rimaniamo qui non per
noi ma proprio per voi, per non mancare di amministrarvi ciò che sappiamo
essere necessario alla vostra salvezza, ch'è in Cristo. Anzi, se vorrete
fuggire, liberate anche noi da questi vincoli che ci legano qui ».
30. 49. Ritengo che così si debba parlare, quando sembra
veramente utile trasferirsi in luoghi più sicuri. Può accadere che, udite
queste parole, qualcuno dica: "Siamo nelle mani di colui, la cui ira nessuno
sfugge, dovunque vada, e la cui misericordia può trovare, dovunque sia", e
non vuole andare, sia perché impedito da certe necessità sia perché non vuole
affaticarsi a cercare un incerto rifugio non per metter fine ai pericoli ma solo
per cambiarli: certamente costoro non debbono esser lasciati privi del servizio
della religione cristiana. Se invece, all'udir quelle parole, preferiranno
andar via, allora non debbono restare neppure quelli che restavano a causa loro,
perché ormai lì non ci son più persone per le quali essi dovrebbero restare.
30. 50. Insomma: chiunque fugge in condizioni tali che la sua
fuga non lasci la chiesa priva del necessario servizio, questi fa ciò che il
Signore ha comandato o permesso. Ma chi fugge e così sottrae al gregge di
Cristo gli alimenti che lo nutrono spiritualmente, questi è il mercenario che
vede venire il lupo e fugge, perché non gl'interessa delle pecore (Gv. 10,
12).
30. 51. Ecco ciò che ho risposto, fratello carissimo, alle
tue richieste, secondo quanto ho ritenuto vero e ispirato da sicuro amore: ma se
tu troverai di meglio, non faccio obiezione al tuo pensiero. D'altra parte,
non possiamo trovare meglio da fare in tali pericoli, se non pregare il Signore
Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Proprio questo, per dono di Dio alcuni
uomini prudenti e santi hanno meritato di volere e di fare, cioè di non
abbandonare le chiese, e non vennero meno al loro proposito a causa della lingua
dei calunniatori.
Ultimi giorni e morte. Eredià di sante opere ed esempi. Congedo. L'eredità
di Agostino. Riepilogo. Conclusione
31. 1. Quel sant'uomo, nella lunga vita che Dio gli aveva
concesso per l'utilità e il bene della santa chiesa (infatti visse 76 anni, e
circa 40 anni da prete e vescovo), parlando con noi familiarmente era solito
dire che, ricevuto il battesimo, neppure i cristiani e i sacerdoti più
apprezzati debbono separarsi dal corpo senza degna e adatta penitenza.
31. 2. In tal modo egli si comportò nella sua ultima
malattia: fece trascrivere i salmi davidici che trattano della penitenza -sono
molto pochi - e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a
letto durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e piangeva
ininterrottamente a calde lacrime.
31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento,
circa dieci giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far
entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo
o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in tutto
quel tempo stette in preghiera.
31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la
parola di Dio ininterrottamente, con zelo e con forza, con lucidità e
intelligenza.
31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la
vista e l'udito, mentre noi eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli -
come fu scritto - si addormentò coi suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2,
10). Per accompagnare la deposizione del suo corpo, fu offerto a Dio il
sacrificio in nostra presenza, e poi fu sepolto.
31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva
motivo di farlo. Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri
la biblioteca della chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di
suppellettili e ornamenti, affidò al prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione
della casa annessa alla chiesa.
31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i
suoi parenti, sia quelli dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel
modo consueto nel mondo. Quando viveva, dava a costoro, se era necessario, quel
che usava dare agli altri, non perché avessero ricchezze ma perché non fossero
poveri e non lo fossero troppo.
31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di
uomini e donne praticanti la continenza con i loro superiori; inoltre,
biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali
si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua grandezza nella
chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal senso un poeta
pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed
elevato, dettò questa epigrafe:
Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte?
Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.
31. 9. Dai suoi scritti risulta manifesto, per quanto è dato
di vedere alla luce della verità, che quel vescovo caro e gradito a Dio visse
in modo retto e integro nella fede speranza e carità della chiesa cattolica; e
ciò possono apprendere quelli che traggono giovamento dalla lettura di ciò ch'egli
scrisse intorno alla divinità. Ma io credo che abbiano potuto trarre più
profitto dal suo contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando di
persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che ebbero pratica della sua
vita quotidiana fra la gente.
31. 10. Infatti fu non solo scriba dotto in ciò che riguarda
il regno dei cieli, che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie (Mt. 13,
52), e commerciante che, trovata una perla preziosa, vendette ciò che aveva e
la comprò (Mt. 13, 15 s.): ma fu anche uno di quelli di cui è stato scritto: Così
parlate e così fate (Giac. 2, 12), e di cui dice il Salvatore: Chi avrà
fatto e insegnato così agli uomini, questo sarà detto grande nel regno dei
cieli (Mt. 5, 19).
31. 11. Prego ardentemente la vostra carità, voi che leggete
questo scritto, che insieme con me rendiate grazie a Dio onnipotente e
benediciate il Signore, che mi ha concesso l'intelligenza (Sal. 15, 7) per
volere e avere la capacità di trasmettere queste notizie alla conoscenza di
uomini vicini e lontani del nostro tempo e di quello a venire. E pregate insieme
con me e per me affinché, dopo esser vissuto, per dono di Dio, in dolce
familiarità con quell'uomo per quasi 40 anni senza alcun contrasto, possa
emularlo e imitarlo in questa vita, e in quella futura godere insieme con lui
delle promesse di Dio onnipotente.
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