TEMPO DI PASQUA
LA CARITÀ:
"UNA SCINTILLA DI AMORE BUONO"

(Serm. 178, 11)

 

V DOMENICA

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli,
se avrete amore gli uni per gli altri
.
(Gv 13, 35)

INTRODUZIONE

Amare Dio: è in assoluto il primo dei comandamenti. Amare il prossimo: è il comandamento che per primo mettiamo in pratica, se vogliamo testimoniare nella quotidianità l’amore per Dio. Agostino conclude: con quale coerenza pretendiamo di amare Dio che non vediamo, quando invece non dimostriamo amore per il fratello che ci è accanto? (cf. 1 Gv 4, 20)

La legislazione mosaica aveva codificato al vertice delle sue 613 prescrizioni la duplice forma di amore per Dio e per i fratelli. La novità del comandamento, così come risuona sulle labbra di Cristo, nasce dall’esperienza della Pasqua. Nel cenacolo il Figlio di Dio inaugura la nuova alleanza nel suo sangue, divenendo maestro ed interprete di un amore paradossale, totale ed unico, che si dona fino alla morte in croce. Non basta più amare il prossimo come se stessi; occorre amarlo assieme ai nemici, nella maniera indicataci da Cristo: Come io vi ho amati, così anche voi amatevi gli uni gli altri. (Gv 13, 34) L’amore diventa il segno distintivo del cristiano, il carattere impresso dal fuoco dello Spirito nell’acqua del battesimo.

 

Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 87, 1)

Il comandamento nuovo

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 15, 17). È precisamente questo il frutto che egli intendeva quando diceva: Io vi ho scelti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto sia durevole. E quanto a ciò che ha aggiunto: Affinché il Padre vi dia ciò che chiederete nel mio nome, vuol dire che egli manterrà la sua promessa, se noi ci ameremo a vicenda. Poiché egli stesso ci ha dato questo amore vicendevole, lui che ci ha scelti quando eravamo infruttuosi non avendo ancora scelto lui. Egli ci ha scelto e ci ha costituiti affinché portiamo frutto, cioè affinché ci amiamo a vicenda: senza di lui non potremmo portare questo frutto, così come i tralci non possono produrre alcunché senza la vite. Il nostro frutto è dunque la carità che, secondo l'Apostolo, nasce da un cuore puro e da una coscienza buona e da una fede sincera (1 Tm 1, 5). È questa carità che ci consente di amarci a vicenda e di amare Dio: l'amore vicendevole non sarebbe autentico senza l'amore di Dio. Uno infatti ama il prossimo suo come se stesso, se ama Dio; perché se non ama Dio, non ama neppure se stesso. In questi due precetti della carità si riassumono infatti tutta la legge e i profeti (cf Mt 22, 40): questo il nostro frutto. E a proposito di tale frutto ecco il suo comando: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. Per cui l'apostolo Paolo, volendo contrapporre alle opere della carne il frutto dello spirito, pone come base la carità: Frutto dello spirito è la carità; e ci presenta tutti gli altri frutti come derivanti dalla carità e ad essa strettamente legati, e cioè: la gioia, la pace, la longanimità, la benignità, la bontà, la fedeltà, la mitezza, la temperanza (Gal 5, 22). E in verità come ci può essere gioia ben ordinata se ciò di cui si gode non è bene? Come si può essere veramente in pace se non con chi sinceramente si ama? Chi può essere longanime, rimanendo perseverante nel bene, se non chi ama fervidamente? Come può dirsi benigno uno che non ama colui che soccorre? Chi è buono se non chi lo diventa amando? Chi può essere credente in modo salutare, se non per quella fede che opera mediante la carità? Che utilità essere mansueto, se la mansuetudine non è ispirata dall'amore? E come potrà uno essere continente in ciò che lo contamina, se non ama ciò che lo nobilita? Con ragione, dunque, il Maestro buono insiste tanto sull'amore ritenendo sufficiente questo solo precetto. Senza l'amore tutto il resto non serve a niente, mentre l'amore non è concepibile senza le altre buone qualità grazie alle quali l'uomo diventa buono.

 

In breve...

Chi ama Dio, non può non tener conto del suo precetto di amare il prossimo; e chi ama il prossimo di un amore sincero e santo, che cosa ama in lui se non Dio? (In Io. Ev. tr. 65, 2)

Inizio settimana

 

LUNEDÌ

Prima della festa di Pasqua Gesù,
sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre,
dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine
.
(Gv 13, 1)

INTRODUZIONE

Agostino si rivela infaticabile cantore della carità: "Io non mi sazio parlando della carità" (In Io. Ep. tr. 9, 11), perché in essa individua la radice della esperienza cristiana, se unita all’umiltà e alla verità. "A qualsiasi pagina si apra la Scrittura, echeggia la carità" (Serm. 350/A, 1) e ciò non può stupire se la Scrittura individua nella Carità l’altro nome di Dio (1 Gv 4, 6). L’amore di Dio per gli uomini non conosce limiti, dal momento che si spinge sino al sacrificio supremo del Figlio Unigenito. Quando Dio ama, lo fa in modo autentico e totale; non si risparmia, non attende alcuna ricompensa in cambio: ama gratuitamente. Dio non può non amare, Lui che nel suo stesso essere è Amore. Nella sua bontà non si lascia precedere dall’uomo: pur infondendo nelle sue creature la capacità di amare e lodare il Creatore, tuttavia lascia spazio alla libertà umana, nel momento in cui attende l’adesione convinta dell’uomo al suo progetto di salvezza. Il fiat del Creatore "dipende" dal della creatura: Maria è l’esempio più eclatante.

 

 

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 34, 2-3; 7-8)

Amare senza riserve

Non c'è nessuno che non ami; quel che si domanda è che cosa ami. Non ci si esorta a non amare ma a scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare. Ascoltate l'apostolo Giovanni. [...] Noi amiamo perché lui ci ha amati precedentemente (1 Gv 4, 10). Molto aveva concesso all'uomo - parlava infatti di Dio! - quando aveva detto: Noi amiamo. Chi ama? Chi è amato? Gli uomini amano Dio, i mortali l'immortale, i peccatori il giusto, i fragili l'immutabile, le creature l'artefice. Noi abbiamo amato. Ma chi ci ha dato questa facoltà? Poiché egli ci ha amati antecedentemente. Cerca come possa l'uomo amare Dio: assolutamente non lo troverai se non nel fatto che egli ci ha amati per primo. Ci ha dato se stesso come oggetto da amare, ci ha dato le risorse per amarlo. Cosa ci abbia dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita dall'apostolo Paolo, che dice: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori. Ma come? Forse per opera nostra? No. Ma allora come? Attraverso l'azione dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5, 5).

Poiché dunque tanto grande è la fiducia che abbiamo, amiamo Dio attraverso Dio. Senz'altro! Siccome lo Spirito Santo è Dio, noi amiamo Dio attraverso Dio. Cosa potrei dire di più che amiamo Dio attraverso Dio? Effettivamente, se ho potuto affermare che l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori attraverso l'azione dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5), ne segue che, essendo lo Spirito Santo Dio, noi non possiamo amare Dio se non per mezzo dello Spirito Santo, cioè non possiamo amare Dio se non attraverso Dio.

Bene, miei fratelli! Interrogate voi stessi, esaminate le vostre celle interiori. Guardate e riflettete su quanto siate ricchi in fatto di carità; e poi accrescete quel che avete riscontrato. Badate a tale tesoro, perché possiate essere interiormente ricchi. Anche delle altre cose che hanno un gran pregio si dice, è vero, che son cose care, e ciò non invano. Osservate il vostro modo di parlare. Questo - dite - è più caro di quello. Che significa «più caro» se non più prezioso? Se si dice «più caro» ciò che è più prezioso, che cosa, miei fratelli, sarà più caro della carità in se stessa? Quale pensiamo possa essere il suo prezzo (cf. Prov 31, 10)? Dove si trova il suo prezzo? Prezzo del grano è qualche tua moneta, prezzo d'un campo è l'argento, prezzo di una pietra preziosa è l'oro; prezzo della carità sei tu stesso. Cerchi dunque come possedere un campo, una pietra preziosa, un giumento. Cerchi come comprare un campo e lo cerchi in tasca tua. Se però vuoi possedere la carità, cerca te stesso, trova te stesso. Forse che stenti a darti per paura di consumarti? Tutt'altro! Se non ti darai sei perduto. La stessa carità ti parla per bocca della Sapienza e ti dice qualcosa che t'impedisce d'avere paura delle parole: Da' te stesso (cf. Prov 23, 26). Se infatti qualcuno volesse venderti un campo ti direbbe: Dammi del tuo oro, e se qualche altro volesse venderti cose simili, dammi tue monete - ti direbbe -, dammi del tuo argento. Ascolta cosa ti dice la carità per bocca della Sapienza: Dammi il tuo cuore, o figlio (Prov 23, 26). Dice: Dammi. Che cosa? Il tuo cuore, o figlio. Era male quando esso era dalla parte tua, quando era tuo. Ti lasciavi infatti attrarre da vanità e da amori lascivi e perniciosi. Toglilo da lì! Dove lo trasporterai?dove lo porrai? Dice: Dammi il tuo cuore. Appartenga a me e non perirà per te. Osserva infatti se ha voluto lasciare in te qualche possibilità d'amare te stesso colui che e ti dice: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima (Dt 6, 5). Cosa resta del tuo cuore per amare te stesso? Cosa della tua anima o della tua mente? Dice: Con tutto. Esige tutto te colui che ti ha creato. Ma non rattristarti quasi che non ti rimanga nulla di cui godere. Si allieti Israele, non in sé, ma in colui che l'ha creato (Sal 149, 2).

Mi replicherai dicendo: Se non mi rimane alcuna risorsa per amare me stesso - dal momento che mi si ingiunge di amare colui che mi ha creato con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente (Dt 6, 5) - come nel secondo precetto mi si comanda di amare il prossimo come me stesso? (cf. Mt 22, 39) Questo significa piuttosto che devi darti al prossimo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente. Come? Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mt 22, 39). Dio con tutto me stesso, il prossimo come me stesso. Così me, così te. Vuoi ascoltare come debba amare te? Ami te stesso, se ami Dio con tutto te stesso. Credi che giovi a Dio il fatto che tu lo ami? Forse che, per il fatto che lo ami, Dio ci acquista qualcosa? Se non lo ami, chi ci perde sei tu. Quando lo ami, tu te ne avvantaggi; tu sarai là dove non si perisce. Mi risponderai dicendo: Ma quando non mi sono amato? Non ti amavi certamente quando non amavi Dio, tuo Creatore. Ma tu, pur odiandoti, credevi di amarti. Difatti chi ama l'iniquità odia la sua anima. (Sal 10, 6)

 

In breve...

Fate la vostra scelta: amate! Tale è infatti la fede che distingue i cristiani dai demoni. (Serm. 234, 3)

Inizio settimana

 

MARTEDÌ

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
(Mt 5, 8)

INTRODUZIONE

Nel volto del fratello riconosciamo il volto di Dio, perché Dio continuamente si incarna nella membra della comunità cristiana. Ci si inoltra in un tale mistero con l’ausilio della carità. Ai fedeli di Cartagine Agostino raccomanda: "Tu non vedi Dio. Ama e lo possiedi"; e più avanti: "(Dio) ci grida: Amatemi e mi possederete, perché se non mi avreste, non potreste nemmeno amarmi". (Serm. 34, 5) Quale coinvolgimento emotivo Agostino è capace di suscitare nell’uditorio! Il popolo approva il messaggio del pastore, applaude, acclama, esalta la dolcezza della carità. Simili manifestazioni di compiacimento non distolgono il vescovo dall’ammonire i fedeli circa la necessità di ricercare, abbracciare e custodire nel cuore la carità come tesoro prezioso.

 

Dal "Commento allaPrima Lettera di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ep. tr. 7, 10)

Amore, l’altro nome di Dio

Se vuoi vedere Dio, hai a disposizione l'idea giusta: Dio è amore. Quale volto ha l'amore? quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire. Esso tuttavia ha i piedi, che conducono alla Chiesa; ha le mani, che donano ai poveri; ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere colui che è nel bisogno; dice il salmo: Beato colui che pensa al povero ed all'indigente (Sal 40, 2). La carità ha orecchie e ne parla il Signore: Colui che ha orecchie da intendere, intenda (Lc 8, 8). Queste varie membra non si trovano separate in luoghi diversi, ma chi ha la carità vede con la mente il tutto e allo stesso tempo. Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te; resta in essa ed essa resterà in te. È mai possibile, o fratelli, che uno ami ciò che non vede? Perché allora, quando si fa la lode della carità, vi sollevate in piedi, acclamate, date lodi? Che cosa vi ho mostrato? Vi ho forse mostrato alcuni colori? Vi ho messo innanzi oro e argento? Vi ho sottoposto delle gemme tolte da un tesoro? Che cosa di grande ho mostrato ai vostri occhi? Forse che il mio volto nel parlarvi si è mutato? Io sono qui in carne ed ossa, sono qui nella stessa forma in cui ho fatto il mio ingresso; anche voi siete qui nella stessa forma in cui siete venuti. Ma si fa la lode della carità e uscite in acclamazioni. Certamente i vostri occhi non vedono nulla. Ma come essa vi piace quando la lodate, così vi piaccia di conservarla nel cuore. Capite, o fratelli, ciò, che voglio dire: io vi esorto, per quanto il Signore lo concede, a procurarvi un grande tesoro. [...] A voi vien fatto l’elogio dellacarità. Se essa vi piace, abbiatela, possedetela; non è necessario che facciate un furto a qualcuno, non è necessario che pensiate di comprarla. Essa è gratuita. Tenetela, abbracciatela: niente è più dolce di essa. Se di tal pregio essa è quando viene presentata a voce, quale sarà il suo pregio quando è posseduta?

 

In breve...

Ciascuno è tale quale l’amore che ha. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Dovrei concludere: Tu sarai Dio. Ma non oso dirlo io e perciò ascoltiamo la Scrittura: Io ho detto: Voi siete dèi e figli tutti dell’Altissimo (Sal 81, 6).

Inizio settimana

 

MERCOLEDÌ

Gente infedele!
Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo
si rende nemico di Dio
.
(Gc 4, 4-5)

INTRODUZIONE

Nel Vangelo di Giovanni il termine mondo indica, a seconda del contesto, ora l’universo creato; ora il genere umano; ora coloro che rifiutano Dio e perseguitano il Cristo, vivendo nelle tenebre di satana, il "principe di questo mondo". Agostino riprende questa accezione negativa del mondo per riassumere la visione cristiana della storia a partire dalla forza dell’amore. Sulla base della finalità che riconosciamo all’amore, Dio o il mondo, se ne ricava una distinzione tra amore privato ed amore sociale. Il primo è amore egoistico, chiuso in se stesso, privo di un’apertura verso Dio ed il prossimo; è l’amore che soddisfa il culto della propria persona, che proietta verso l’idolatria: se stessi e tutti i possessi terreni diventano idoli, da adorare e ricercare al posto dell’unico e vero Dio. L’amore sociale invece si muove su un versante diametralmente opposto: è l’amore che ricerca la comunione con Dio e con il prossimo, sino al disprezzo di se stessi; è l’amore che Dio stesso infonde nell’uomo con il dono dello Spirito Santo; è l’amore divino che realizza nella comunione l’unità e nell’unità la felicità.

Nella Città di Dio (14, 28) Agostino opera una sintesi mirabile in un testo che gli studiosi citano senza sosta quando devono illustrare la riduzione della storia, nel pensiero agostiniano, alle due città, l’una celeste, l’altra terrena: "Due amori hanno dunque fondato due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio ha generato la città terrena, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé ha generato la città celeste".

 

Dal "Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ep. tr. 2, 8-9

L’amore verso Dio si oppone all’amore per il mondo

Ma come ameremo Dio, se amiamo il mondo? Egli vuole farsi accogliere in noi mediante la carità. Ci sono due amori: quello del mondo e quello di Dio; se alberga in noi l'amore del mondo, non potrà entrarvi l'amore di Dio. Si tenga lontano l'amore del mondo e resti in noi l'amore di Dio; abbia posto in noi l'amore migliore. Se prima amavi il mondo, ora non amarlo più; se saziavi il tuo cuore con gli amori terreni, dissetati ora alla fonte dell'amore di Dio, e incomincerà ad abitare in te la carità, dalla quale nulla di male può derivare. Date dunque ascolto alla voce di colui che ora vi purifica. Quasi come un campo trova i cuori degli uomini. Come trova questi cuori? Se li trova simili ad una selva, incomincia allora ad estirparla, ma se li trova come un campo già purgato, si dà subito a seminarlo. Vuole piantarvi l'albero della carità. E quale è la selva che egli vuole estirpare? L'amore del mondo. Senti come Giovanni parla della estirpazione della selva: Non vogliate amare il mondo; e prosegue: né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui (1 Gv 2, 15).

Dunque avete sentito: Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. Nessuno pensi che queste dichiarazioni siano false. È Dio che parla, è lo Spirito Santo che ha parlato per mezzo dell'Apostolo e nulla v'è di più vero. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. Vuoi avere l'amore del Padre, per poter essere coerede col Figlio? Non amare il mondo. Scaccia l'amore malvagio del mondo, per riempirti dell'amore di Dio. Sei come un vaso che è ancora pieno; butta via il suo contenuto, per accogliere ciò che ancora non possiedi.

 

In breve...

Egli ti vuole dare assai di più, cioè vuole darti se stesso. Ma se avrai amato le cose, pur fatte da Dio, se avrai trascurato il loro Creatore per amare il mondo, il tuo non può essere giudicato altro che un amore adultero. (In Io Ep. 2, 11)

Inizio settimana

 

GIOVEDÌ

Mediante la carità siete a servizio gli uni degli altri.
(Gal 5, 13)

INTRODUZIONE

Il servizio (ministrare nel vocabolario di Agostino) è la nota peculiare di tutta la vicenda del Gesù storico. Ai Sinottici non sfugge una simile caratteristica: l’evangelista Marco (10, 45) ricorda come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Il discepolo, che si pone alla sequela di Cristo, deve impegnarsi nell’esercizio della carità della diakonìa, del ministero, non solo nell’annuncio del Vangelo (Paolo infatti ne parla in questi termini), ma anche nel conforto a vantaggio dei bisognosi. Ogni cristiano è dunque ministro per Cristo e in nome di Cristo. La sua azione deve compiersi in maniera gratuita e disinteressata: amare solo per il bene dell’amore e non in vista di una ricompensa, anche se soprannaturale. I mistici ci aiutano a meditare su livelli che oltrepassano il nostro comune modo di accostarci alla fede cristiana. Di tale purezza deve rifulgere il nostro amore per Dio e per i fratelli, al punto che sarebbe una "grazia" andare all’inferno, anche solo se fosse Dio a comandarlo!

 

Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 51, 11-12

La carità a servizio del prossimo

Chi mi vuol servire mi segua (Gv 12, 26). Che vuol dire mi segua, se non mi imiti? Cristo infatti soffrì per noi - dice l'apostolo Pietro - lasciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1 Pt 2, 21). Questo è il senso della frase: Chi mi vuol servire mi segua. E con quale frutto, con quale ricompensa, con quale premio? E dove sono io - dice - ivi sarà anche il mio servo. Amiamolo disinteressatamente, per ottenere, come ricompensa del nostro servizio, di essere con lui. Come si può star bene senza di lui, o male con lui? Ascolta che parla in maniera più esplicita: Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà (Gv 12, 26). Con quale onore, se non con quello di poter essere suo figlio? Questa frase: Il Padre mio lo onorerà, appare come una spiegazione di quella precedente: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo. Quale maggiore onore può ricevere il figlio adottivo di essere là dove è il Figlio unico, non uguagliato nella sua divinità, ma associato a lui nell'eternità?

Piuttosto, dobbiamo chiederci cosa si intende per servire Cristo, servizio al quale viene riservata una così grande ricompensa. Se per servire Cristo intendiamo provvedere alle sue necessità corporali, cucinare e servirlo a tavola, versargli da bere e presentargli la coppa, ebbene questo è quanto fecero coloro che poterono godere della sua presenza fisica, come Marta e Maria allorché Lazzaro era uno dei commensali. In questo senso, però, anche il perfido Giuda servì Cristo. Egli infatti teneva la borsa; e, quantunque fosse solito rubare sacrilegamente il denaro che vi metteva dentro, tuttavia provvedeva il necessario (cf. Gv 12, 26). Perciò, quando il Signore gli disse: Ciò che devi fare, fallo al più presto, alcuni credettero che il Signore gli avesse ordinato di preparare il necessario per la festa, o, di dare qualche elemosina ai poveri (cf. Gv 13, 27-29). Il Signore non pensava certo a siffatti servitori quando diceva: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, e: se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà. Vediamo infatti che in tal senso Giuda era servitore di Cristo, condannato e non onorato. Ma perché cercare altrove cosa si deve intendere per servire Cristo, quando possiamo apprenderlo da queste medesime parole? Dicendo infatti: chi mi vuol servire, mi segua, egli ha voluto farci intendere che chi non lo segue non lo serve. Servono dunque Gesù Cristo, coloro che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21). Mi segua vuol dunque dire: segua le mie vie, non le sue, così come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare così come egli camminò (1 Gv 2, 6). Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità, non deve cercare in quel gesto altro che l'opera buona, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra (cf. Mt 6, 3) di modo che l'opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo; e giustamente sarà detto di lui: Ogni volta che l'avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40). Chi compie per Cristo non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona - e qualsiasi opera è buona se tiene conto del principio che il fine di tutta la legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10, 4) -, egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo. Perché anche questo dirà riferendosi ai suoi membri: Quanto hai fatto per essi, lo hai fatto per me. A questo riguardo egli stesso si degnò farsi e chiamarsi servo, quando disse: Come il Figlio dell'uomo non venne per farsi servire ma per servire, e dare la sua vita per molti (Mt 20 28). Donde ne segue che ciascuno è servo di Cristo per quelle medesime opere per cui anche Cristo è servo. E chi serve Cristo in questo modo, il Padre suo lo onorerà con quel singolare onore di accoglierlo con suo Figlio in una felicità senza fine.

 

In breve...

Animato dalla carità, ti sarà facile tutto ciò che prima era assai faticoso; sorretto da essa, ti sarà leggero tutto ciò che giudicavi pesante. (Serm. 68, 13)

Inizio settimana

 

VENERDÌ

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio,
perché vi esalti al tempo opportuno
.
(1 Pt 5, 6)

INTRODUZIONE

Anche nel fare il bene si rischia di cadere nella trappola dell’orgoglio, quando - cedendo alla superbia - l’uomo attribuisce a se stesso il merito di ogni opera buona, trascurando Colui che rende buoni. Il punto focale è nel riconoscere in Dio il senso ultimo di ogni nostra decisione o azione: questa è la vera gloria che l’uomo gli può tributare; in caso contrario, quando il centro dell’attenzione si sposta dal Creatore alla creatura, si cade nella vanagloria. La ricetta per superare un simile crollo è data da due ingredienti: la carità e l’umiltà. Scrivendo alle vergini consacrate Agostino raccomanda di fuggire la superbia e così conclude: "dove arde la carità, è impossibile che manchi l’umiltà". (La verginità consacrata, 53. 54) Occorre dilatare lo spazio della carità e dell’umiltà, per riconoscere come tutto provenga da Dio, sia la nostra capacità di operare secondo lo spirito evangelico sia la nostra condizione di preservati dal commettere taluni peccati. Se non incappiamo in gravi colpe il merito non appartiene alle nostre deboli forze, ma al sostegno di Dio che da tali colpe ci tiene lontani. Una simile riflessione ci conduce a guardare a Maria, colei che è totalmente aperta a riconoscere l’azione della grazia divina nella sua vita: in lei tutto è opera di Dio, per questo la invochiamo come la piena di grazia.

 

Dal "Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ep. tr. 8, 9

Le insidie della superbia

Vedete le opere grandi che la superbia compie: fate bene attenzione come esse siano tanto simili e quasi pari a quelle della carità. La carità offre cibo all'affamato, ma lo fa anche la superbia: la carità fa questo, perché venga lodato il Signore; la superbia lo fa per dare lode a se stessa. La carità veste un ignudo e lo fa anche la superbia; la carità digiuna, ma digiuna anche la superbia; la carità seppellisce i morti, ma li seppellisce anche la superbia. Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, ne mette in moto, all'opposto, altrettante la superbia e le mena attorno come suoi cavalli. Ma la carità è nel cuore e toglie il posto alla malmossa superbia: non mal movente bensì malmossa. Guai all'uomo che tiene la superbia a proprio auriga, perché necessariamente finirà nel precipizio. Ma come sapere se sia la superbia a muovere le azioni buone? Chi la vede? Quale il segno di riconoscimento? Vediamo le opere: la misericordia offre cibo, lo fa anche la superbia; la misericordia accoglie un ospite lo fa anche la superbia; la misericordia intercede per un povero, lo fa anche la superbia. Che significa ciò? Che non riusciremo a capire, se esaminiamo le opere. Io oso dare una qualche risposta, non proprio io, ma lo stesso Paolo: la carità muore; cioè l'uomo, che ha la carità, confessa il nome di Cristo e va al martirio; anche la superbia confessa Cristo e va al martirio. Il primo uomo ha la carità, il secondo non ha la carità. Colui che non ha la carità senta che cosa dice l'Apostolo: Se distribuirò tutti i miei beni ai poveri, e se darò il mio corpo per farlo bruciare, ma non ho la carità, nulla mi vale (1 Cor 13, 3). La divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c'invita a tornare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa superficialità che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini. Torna all'intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare ciò che fiorisce di fuori, ma quale sia la radice che sta nascosta in terra. Ha preso radici in te la cupidità del denaro? Può darsi che ci sia un'apparenza di opere buone, ma opere veramente buone non potranno esserci. Ha preso radici dentro di te la carità? Sta' sicuro, nessun male ne può derivare. Il superbo accarezza, l'amore castiga. L'uno riveste, l'altro colpisce. Il superbo dona dei vestiti per piacere agli uomini: chi possiede l'amore invece colpisce per correggere con la disciplina. Si riceve di più dal castigo che proviene dall'amore, che dall'elemosina che proviene dalla superbia. Ritornate in voi stessi, o fratelli. In tutte le cose che voi fate, guardate a Dio come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal momento che egli vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa che agite a motivo di superbia, orbene, state sicuri. Non temete, quando agite bene, che altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere lodato. Gli altri ti vedano ma ne lodino il Signore. Se ti nascondi agli occhi dell'uomo, ti nascondi in realtà all'imitazione dell'uomo e sottrai la lode dovuta a Dio. Due sono le persone a cui fai elemosina, poiché due sono le persone che hanno fame: l'uno di pane, l'altro di giustizia. Poiché è stato detto: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati (M t 5, 6), tu sei stato posto come buon operaio tra questi due affamati; se la carità è il motivo del tuo atto, essa deve aver pietà di ambedue e portare aiuto ad ambedue. Il primo chiede qualcosa da mangiare, il secondo chiede qualcosa da limitare. Dài da mangiare al primo, dài te stesso come esempio all'altro. Hai dato l'elemosina ad ambedue; hai reso il primo più sollevato, per aver eliminato la sua fame; hai reso il secondo tuo imitatore, proponendogli l'esempio da imitare.

 

In breve...

Se ogni altro vizio spinge a compiere azioni cattive, la superbia tende insidie anche alle buone per guastarle; e che giova spogliarsi dei propri beni dandoli ai poveri e diventare povero, se la misera anima nel disprezzare le ricchezze diviene più superba che non quando le possedeva? (Regola ad servos Dei I, 8)

Inizio settimana

 

SABATO

Io sono infatti persuaso che né morte né vita...
né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio,
in Cristo Gesù, nostro Signore
.
(Rom 8, 38-39)

INTRODUZIONE

Il cristiano vive la sua vicenda storica nella forma di un pellegrinaggio terreno; come il popolo di Israele, attraversa il deserto per giungere alla terra promessa. Egli non può indugiare, trattenuto nel suo cammino dalle lusinghe del mondo; sospira e geme di raggiungere la vita eterna, di cui già pregusta la dolcezza nei beni che il Signore elargisce anche dopo il peccato. Quale riposo ci attende nella patria celeste? Per evocarlo, Agostino si affida alla poesia. Affiancando termini tra loro opposti (figura retorica dell’ossimoro), parla di una "attività contemplativa" (negotium otiosum), di una "insaziabile sazietà"; di una "fine che non conosce fine". "Ci riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo: ecco ciò che sarà alla fine senza fine". (De civ. Dei 22, 30, 5) E’ il sabato eterno, che descrive in conclusione alle Confessioni: l’uomo, unito a Dio, entrerà nell’ottavo giorno, memoriale della risurrezione di Cristo. E venute meno la fede e la speranza, godrà della sola carità.

 

Dal "Commento al Vangelo di S. Giovanni" di sant’Agostino, vescovo (In Io. Ev. tr. 32, 9)

L’ardore vivo della carità

Nell'attesa della nostra risurrezione la nostra carità arda vivamente, consumi ogni attaccamento mondano, e tutta intera corra verso Dio. A questo mondo, dove si nasce e si muore, non ci si può attaccare. Per mezzo della carità, con cui amiamo Dio, migriamo da questo mondo e, per mezzo di essa, abitiamo già in cielo. Durante questa nostra vita di peregrinazione non ci abbandoni mai il pensiero che non abbiamo fissa dimora quaggiù, e riusciremo, vivendo bene, a prepararci lassù quel posto che mai dovremo lasciare. Il Signore nostro Gesù Cristo, infatti, dopo che è risorto non muore più - dice l'Apostolo -, la morte non avrà più alcun potere su di lui (Rm 6, 9). Ecco che cosa dobbiamo amare. Se viviamo, se crediamo in colui che è risorto, egli ci darà cose ben diverse da quelle che qui amano quelli che non amano Dio, i quali tanto più amano le cose di quaggiù quanto meno amano Dio, e tanto meno quanto più amano lui. Ma vediamo che cosa ci ha promesso: non ricchezze terrene e temporali, non onori e potenza di questo mondo; come vedete, tutte queste cose vengono concesse anche ai cattivi, affinché i buoni non abbiano a tenerle in gran conto. Non ci ha promesso nemmeno la salute del corpo; non perché non sia lui a concederla, ma perché, come potete vedere, la concede anche alle bestie. Non una vita lunga; per quanto si può dire lungo ciò che finisce. Non ha promesso a noi credenti, come fosse una gran cosa, la longevità, l'estrema vecchiaia, che tutti desiderano prima che venga, ma di cui tutti si lamentano quando viene. Non la bellezza del corpo, che le malattie o la stessa desiderata vecchiaia distruggono. Uno vuole essere bello, e vuol essere vecchio; due cose inconciliabili: se sarai vecchio non sarai bello, perché quando giunge la vecchiaia, la bellezza se ne va; e nel medesimo uomo non possono abitare insieme il vigore della bellezza e il lamento della vecchiaia. Niente di tutto questo ci ha promesso colui che ha detto: Chi crede in me venga e beva; e dal suo seno fluiranno torrenti d'acqua viva (Gv 7, 38). Ci ha promesso la vita eterna, dove niente dovremo temere, dove saremo al sicuro d'ogni turbamento, da dove non partiremo, dove non morremo; dove non si piangono partenze, dove non si attendono arrivi.

 

In breve...

Se vuoi amare Dio, amalo con tutte le tue viscere e con casti sospiri. Siine innamorato, ardi per lui, anela a Colui del quale non troverai niente di più gioioso, niente di più eccellente, niente di più lieto, niente di più duraturo. Che cosa infatti potrà durare più di ciò che è eterno? (En. in ps. 85, 8)

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