TEMPO DI PASQUA:
C
RISTO È RISORTO!

 

DOMENICA DI PASQUA

Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti,
primizia di coloro che sono morti.
Poiché se a causa di un uomo venne la morte,
a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti
.
(1 Cor 11, 20-21)

INTRODUZIONE

"Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Sal 118, 24). E’ il giorno della Resurrezione di Cristo dai morti, che i Padri della Chiesa hanno esaltato con straordinarie espressioni poetiche. Oggi è sorta la luce del mondo, oggi è apparso il grande Giorno, Cristo, che inaugura "il giorno che non conosce tramonto". Siamo nel cuore della fede e della vita della Chiesa. Il Risorto apre il passaggio (transitus, lo definisce Agostino, recuperando la corretta etimologia dell’ebraico "pasqua") dalla morte alla vita, "da questo mondo al Padre". (Gv 13, 1) Di questo passaggio, ancor più straordinario della pasqua storica del popolo di Israele, beneficiano tutti i battezzati: coloro che credono in Cristo, muoiono al peccato nelle acque battesimali e risorgono a vita nuova in forza dell’azione dello Spirito Santo. La creazione stessa partecipa alla nascita dell’uomo nuovo; essa stessa attende il suo destino ultimo, che non sarà quello di una distruzione totale, ma la sua trasfigurazione.

 

Dalle "Lettere" di sant’Agostino, vescovo (Ep. 55, 1, 2-2, 3; 3, 5)

Da morte a vita

Noi celebriamo la Pasqua in modo che non solo rievochiamo il ricordo d'un fatto avvenuto, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, ma lo facciamo senza tralasciare nessuno degli altri elementi che attestano il rapporto ch'essi hanno col Cristo, ossia il significato dei riti sacri celebrati. In realtà, come dice l'Apostolo: Cristo morì a causa dei nostri peccati e risorse per la nostra giustificazione (Rom 4, 25) e pertanto nella passione e risurrezione del Signore è insito il significato spirituale del passaggio dalla morte alla vita. La stessa parola Pascha non è greca, come si crede comunemente, ma ebraica, come affermano quelli che conoscono le due lingue; insomma il termine non deriva da passione, ossia sofferenza, per il fatto che in greco patire si dice , ma dal fatto che si passa, come ho detto, dalla morte alla vita, com'è indicato dalla parola ebraica: in questa lingua infatti passaggio si dice Pascha, come affermano i dotti. A cos'altro volle accennare lo stesso Signore col dire: Chi crede in me, passerà dalla morte alla vita (Gv 5, 24). Si comprende allora che il medesimo evangelista volle esprimere ciò specialmente quando, parlando del Signore che si apprestava a celebrare la Pasqua coi discepoli, dice: Avendo Gesù visto ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre etc. (Io 13, 1). Nella passione e risurrezione del Signore vien messo dunque in risalto il passaggio dalla presente vita mortale a quella immortale, ossia il passaggio dalla morte alla vita.

Presentemente noi compiamo questo passaggio per mezzo della fede, che ci ottiene il perdono dei peccati e la speranza della vita eterna, se amiamo Dio e il prossimo, in quanto la fede opera in virtù della carità (Gal 5, 1) e il giusto vive mediante la fede (Hab 2, 4). Ma vedere ciò che si spera, non è sperare: ciò che infatti si vede, perché sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con paziente attesa (Rom 8, 24). In conformità a questa fede, speranza e carità, con cui abbiamo cominciato a vivere nella grazia, già siamo morti insieme con Cristo e col battesimo siamo sepolti con lui nella morte (2 Tim 2, 12; Rom 6, 4), come dice l’Apostolo: Poiché il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui (Rom 6, 6); e siamo risorti con lui, poiché ci risuscitò insieme con lui, e ci fece sedere nei cieli insieme con lui (Eph 2, 6). Ecco perché l'Apostolo ci esorta: Pensate alle cose di lassù, non alle cose terrene (Col 3, 1, 2). Ma poi soggiunge dicendo: Poiché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi apparirete con lui vestiti di gloria (Col 3, 3); con ciò c'indica chiaramente che vuol farci capire come adesso il nostro passaggio dalla morte alla vita (che avviene in virtù della fede) si compie mediante la speranza della futura risurrezione e della gloria finale, quando cioè questo elemento corruttibile, ossia questo corpo in cui ora gemiamo, si rivestirà dell'immortalità (1 Cor 15, 33).

Il rinnovamento della nostra vita è pertanto il passaggio dalla morte alla vita, che s'inizia in virtù della fede, affinché nella speranza siamo contenti e nella sofferenza siamo pazienti, benché il nostro uomo esteriore si vada disfacendo mentre quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4, 16). Proprio in vista della nuova vita e dell'uomo nuovo di cui ci si comanda di rivestirci (Col 3, 9 s.). Spogliandoci di quello vecchio, purificandoci dal vecchio fermento per essere una pasta nuova, essendo già stato immolato Cristo, nostra Pasqua (1 Cor 5, 7), proprio in vista di questo rinnovamento della vita è stato stabilito per questa celebrazione il primo mese dell'anno, che perciò si chiama il mese dei nuovi raccolti (Ex 23, 15). Inoltre poiché nel volgere dei secoli è adesso apparsa la terza epoca, la risurrezione del Signore è avvenuta dopo tre giorni. La prima epoca infatti è quella anteriore alla Legge, la seconda quella della Legge, la terza quella della Grazia, in cui si rivela il piano misterioso di Dio prima nascosto nell'oscurità delle profezie. Ciò è dunque indicato pure dal numero dei giorni d'ogni fase lunare poiché nelle Scritture il numero sette suol essere simbolo di una certa perfezione e perciò la Pasqua si celebra la terza settimana della luna cioè nel giorno che cade tra il quattordici e il ventuno del mese.

 

In breve...

(Cristo) dormì perché stessimo svegli noi, Lui che era morto perché fossimo vivi noi. (Sermo 221, 4)

Inizio settimana

 

LUNEDÌ DELL’ANGELO

Andate in tutto il mondo
e predicate il vangelo ad ogni creatura
.
(Mc 16, 15)

INTRODUZIONE

Chi fa esperienza di una gioia profonda non è capace di contenerla in sé; anzi, desidera parteciparla ad un numero sempre maggiore di persone, perché è nella condivisione che se ne apprezza la ricchezza. Questo atteggiamento è ancor più vero quando nel nostro cuore conserviamo la buona novella di Cristo. Chi ha conosciuto Cristo, non può trattenere per sé questo dono: egli ne diviene martire, cioè testimone in parole ed opere. Ogni indugio è rimosso: in qualunque spazio e tempo ci troviamo e dinanzi ad una qualsiasi richiesta, siamo chiamati a rendere ragione della fede che è in noi, perché non avvenga che rinnegando Cristo incorriamo nella sventura di essere rinnegati da Lui nel giudizio finale.

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 260/E, 2)

Testimoni della risurrezione

Anche voi, dunque, dite: Non possiamo non parlare di ciò che abbiamo udito; non possiamo non evangelizzare Cristo Signore. Ciascuno lo annunzi dovunque gli è possibile, e così è martire. Capita però, a volte, a certi che non debbano subire persecuzioni ma solo una qualche derisione: eppure si spaventano. Un tale, ad esempio, si trova a pranzo in mezzo a pagani, ed eccolo arrossire perché lo chiamano cristiano. Se ha timore d'un commensale, come potrà tenere incalcolate le minacce d'un persecutore? Suvvia dunque! Parlate di Cristo dovunque potete, con chiunque potete, in tutte le maniere che potete. Quello che si esige da voi è la fede, non l'abilità nel parlare. Parli la fede che vi nasce dal cuore, e sarà Cristo a parlare. Se infatti è in voi la fede, abita in voi Cristo. Avete udito il Salmo: Ho creduto e perciò ho anche parlato (Ps 115, 10). Non poteva aver fede e, insieme, restarsene muto. Chi non dona è ingrato verso colui che l'ha colmato di doni. Ciascuno pertanto deve comunicare le cose di cui è stato riempito. Da lui deve scaturire una fonte che sempre versa e mai si dissecca. Scaturirà in lui una fonte d'acqua che zampilla per la vita eterna (Io 4, 14). E nel vostro annunzio potrete essere tranquilli poiché non vi sarà menzogna in quanto lo attingete dalla fonte della verità: quel che pronunziate con la lingua l'avete ricevuto. Certo, se voleste dire cose vostre, sareste mentitori, come asserisce il Salmo: Io ho detto nella mia estasi: Ogni uomo è mentitore (Ps 115, 11). Che significa: Ogni uomo è mentitore? Ogni Adamo è mentitore. Spògliati di Adamo e rivèstiti di Cristo, e non sarai mentitore. Questo basti alla vostra Carità poiché molte cose restano da fare.

In breve...

Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini, affinché a loro volta gli uomini abbiamo come loro testimone Dio stesso. In Io Ep. 1, 2)

Inizio settimana

 

MARTEDÌ

Beati quelli che pur non avendo visto crederanno.
(Gv 20, 29)

INTRODUZIONE

Toccare Cristo con il cuore: questa è fede sincera! L’espressione di Agostino è senza dubbio ardita e paradossale. La fede vanta una sua "corporeità": conosciamo gli occhi, le orecchie, il tatto del cuore; a tali "organi" parla oggi Cristo! Non dobbiamo allora rammaricarci se non ci è stata concessa la possibilità di accostarci fisicamente a Gesù duemila anni fa. Nella Chiesa riunita nel suo nome la presenza di Cristo è quanto mai viva. Noi siamo da Lui toccati nell’ascolto della sua Parola; noi tocchiamo il Figlio di Dio nel suo corpo, sostenendolo tra le nostre mani quando riceviamo l’Eucarestia; infine noi lo accostiamo in ogni fratello che ci è accanto, aiutando il quale aiutiamo in verità Cristo (cf. Mt 25, 40). "Credetelo così e l’avrete toccato - assicura Agostino -; toccatelo in modo da aderire a Lui; aderite in modo da mai separarvene". (Sermo 229/L, 2)

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 229/K, 1-2)

Toccare Cristo con la fede

Ci interessa come mai il Signore Gesù Cristo, a quella donna fedele che cercava di arrivare al corpo del Signore, che non poté ritrovare al suo posto nel sepolcro, abbia detto: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio (Io 20, 17). Perché se non voleva essere toccato prima di esser risalito al Padre, non era risalito certamente ancora al Padre quando disse ai discepoli: Guardate le mie mani e i miei piedi; palpatemi e guardate (Lc 24, 39). Non voleva essere toccato, mentre qui voleva essere palpato. E allora che significa: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre? Cristo lo si tocca meglio con la fede che con la carne. Toccare Cristo con la fede! Questo è toccarlo veramente. Pensate a quella donna che soffriva di emorragie: con fede si accostò, con la mano toccò la veste, con la fede l'onnipotenza. Ecco che cosa vuol dire toccare. In quel momento il Signore veniva compresso dalla folla, ma da una sola era toccato. Perciò disse: Chi mi ha toccato? I discepoli, stupefatti perché da ogni parte la folla lo comprimeva, dissero: La folla ti stringe da ogni parte, e tu dici: Chi mi ha toccato? Ed egli: Sì, qualcuno mi ha toccato (Cf. Lc 8, 43-48). Ecco, la folla ti schiaccia ma non ti tocca. Chi ti ha toccato? Solo colei che ha creduto.

E adesso, fratelli miei, Gesù è in cielo. Quando era con i suoi discepoli nella sua carne visibile, nella sua sostanza corporale toccabile, fu visto e fu toccato: ma ora che siede alla destra del Padre, chi di noi lo può toccare? E tuttavia guai a noi se con la fede non lo tocchiamo! Tutti lo tocchiamo, se crediamo. Certo, egli è in cielo, certo è lontano, certo non si può immaginare per quali infiniti spazi disti da noi. Ma se credi, lo tocchi. Che dico, lo tocchi? Proprio perché credi, presso di te hai colui nel quale credi. Ma allora, se credere è toccare, anzi se toccare è credere, come si spiega: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio (Io 20, 17)? Che vuol dire? Perché vai cercando la mia carne se ancora non comprendi la mia divinità? Volete sapere come questa donna lo voleva toccare? Essa stava cercando un morto, non credeva che egli sarebbe risorto. Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro (Io 20, 2); e lo piange come uomo. Oh! Toccarlo! Ed egli, vedendola tutta preoccupata nei riguardi della sua condizione di servo e che ancora non sapeva né gustare, né credere, né comprendere quella condizione di Dio per la quale è uguale al Padre, differisce il toccare, perché sia un toccare più completo. Non mi toccare, dice, perché non sono ancora salito al Padre mio. Tu mi tocchi prima che io risalga al Padre e mi credi solo uomo: che ti giova quel che credi? Fammi dunque risalire al Padre. Lassù da dove mai mi sono allontanato, è per te che io salgo, se mi crederai uguale al Padre. Difatti il Signore nostro Gesù Cristo non è disceso dal Padre lasciando il Padre; e anche nel risalire via da noi non si è allontanato da noi. Infatti quando stava per risalire e sedere alla destra del Padre, disse in anticipo ai suoi discepoli: Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo (Mt 28, 20).

In breve...

Ora noi non abbiamo nessuna possibilità di toccare qualche parte del corpo di Cristo, ma abbiamo la possibilità di leggere quello che di Lui si dice. Tutto nelle Scritture parla di Cristo; purché ci siano orecchie ad ascoltare. (In Io. Ep. tr. 2, 1)

Inizio settimana

 

MERCOLEDÌ

Ed essi si dissero l’un l’altro:
"Non ci ardeva forse il cuore nel petto
mentre conversava con noi lungo il cammino,
quando ci spiegava le Scritture?"
.
(Lc 24, 32)

INTRODUZIONE

La Risurrezione di Cristo fa germogliare uomini nuovi, radicati nella fede, nella speranza per la vita eterna e nella carità verso Dio e i fratelli. Non c’è più spazio per il timore e la delusione del Sabato Santo. Cristo risorto si fa compagno di viaggio per coloro che hanno perso ogni speranza e con la sua Parola li conduce a riconoscerlo nel gesto eucaristico dello spezzare il pane. Del racconto dei due discepoli di Emmaus, Luca ricorda un solo nome, quello di Cleofa; il secondo resta nell’anonimato: al suo volto ciascuno può tentare di attribuire il proprio nome, per rivivere nella sua storia l’incontro con il Risorto.

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm 236, 2-3)

I discepoli di Emmaus

Quando Cristo morì, i suoi discepoli lasciarono cadere dal loro animo questa speranza, questo dono, questa promessa, questa grazia così segnalata, e vedendolo morto persero ogni speranza. Osservate! Si riferisce loro che è risorto e le parole di chi reca tale annunzio vengon prese per allucinazioni di menti folli. La verità era diventata quasi una follia. [...] Ecco la situazione in cui si trovavano i discepoli dopo la morte di Cristo: ciò che a noi incute orrore, questo erano diventati loro.  [...] E passiamo a quei due ai quali Cristo apparve lungo la via ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo. Le loro parole manifestano lo stato del loro cuore; la voce è testimone di ciò che passava nel loro animo: testimone, dico, per noi, poiché a Cristo era palese il cuore di per se stesso. Parlavano fra loro della sua morte. Egli si unì a loro come terzo compagno di viaggio. Egli, che era la via, cominciò a dialogare con loro lungo la via e attaccò il discorso. Pur sapendo tutto, chiede di che cosa stiano parlando e, fingendosi ignaro dei fatti, vuol provocare la confessione. Gli dicono: Tra i pellegrini convenuti a Gerusalemme tu sei certo il solo che non sai cosa sia successo in città durante questi giorni, che non sai di Gesù Nazzareno che fu un grande profeta! (Lc 24, 18-19). Non più Signore ma profeta! Dopo la morte di lui, credevano che questo egli fosse stato. Lo veneravano ancora come profeta, sebbene non lo riconoscessero come Signore non solo dei profeti ma anche degli angeli. Continuano: I nostri anziani e i sommi sacerdoti lo consegnarono perché fosse condannato a morte. Ed ecco, questo è il terzo giorno da quando queste cose sono accadute. Eppure noi speravamo che egli sarebbe stato il redentore d'Israele. (Lc 24, 20-21). È questa tutta la vostra pena? Speravate! Siete ora nella disperazione? Come vedete, avevano perduto ogni speranza. Egli allora cominciò a spiegar loro le Scritture, in modo che imparassero a riconoscere Cristo proprio dal punto dove s'erano allontanati da Cristo. Avevano perso la speranza in Cristo perché lo avevano visto morto. Egli al contrario spiega loro le Scritture argomentando in modo che si persuadessero che, se non fosse morto, non sarebbe potuto essere Cristo. Da Mosè, dalle Scritture successive e dai profeti trasse l'insegnamento di quel che aveva loro detto, che era necessario che il Cristo morisse e così entrasse nella sua gloria (Lc 24, 26). Udendo godevano e sospiravano; e, come essi stessi confessano, ardevano; ma non riconoscevano la luce lì presente.

Che sorta di mistero, miei fratelli! Entra in casa loro, si fa loro ospite e, mentre era rimasto sconosciuto lungo tutto il cammino, lo si riconosce allo spezzare del pane (Cf. Lc 24, 30-31). Imparate ad accogliere gli ospiti, nella cui persona si riconosce Cristo. O che non sapete ancora che, tutte le volte che accogliete un cristiano, accogliete Cristo? Non lo dice forse lui stesso: Ero forestiero e mi avete accolto? E se gli replicheranno: Ma quando, Signore, ti abbiamo visto forestiero, risponderà: Tutte le volte che l'avete fatto a uno dei miei fratelli, fosse anche il più piccolo, l'avete fatto a me (Mt 25, 35. 38. 40). Quando dunque un cristiano accoglie un altro cristiano, è un membro che si pone al servizio di un altro membro, e con questo reca gioia al capo, che ritiene dato a sé ciò che si elargisce a un suo membro. Ebbene, finché siamo quaggiù, si dia il cibo a Cristo che ha fame, si dia da bere a lui assetato, lo si vesta quando è nudo, lo si ospiti quand'è pellegrino, lo si visiti quando è malato. Queste cose comporta l'asperità del cammino. Così dobbiamo vivere nel presente pellegrinaggio durante il quale Cristo è nel bisogno: ha bisogno nei suoi, pur essendo pieno di tutto in sé. Ma colui che nei suoi è bisognoso, mentre in sé abbonda di tutto, convocherà attorno a sé tutti i bisognosi. E vicino a lui non ci sarà più né fame né sete, né nudità né malattia, né migrazioni né stenti né dolore. So che tutti questi bisogni lassù non ci saranno, ma non so cosa ci sarà. Che tutte queste cose non ci saranno l'ho potuto apprendere; quanto invece a quel che troveremo lassù, non c'è stato occhio che l'abbia visto né orecchio che l'abbia udito né cuore d'uomo in cui sia penetrato (1 Cor 2, 9). Lo possiamo amare, lo possiamo desiderare; durante il presente esilio possiamo sospirare il possesso di un tanto bene; ma non possiamo raggiungere col pensiero né spiegare adeguatamente a parole quel che esso sia, o, per lo meno, io non ne sono capace. Cercatevi pure, o fratelli, qualcuno che abbia tale capacità, e, se vi riuscirà di trovarlo, trascinate da lui anche me insieme con voi perché divenga suo discepolo. Quanto a me, so una cosa sola, che cioè Dio - come dice l'Apostolo - ha la potenza di compiere opere che superano la nostra facoltà di chiedere e di comprendere (Eph 3, 20). Egli ci condurrà là dove si realizzeranno le parole scritturali: Beati coloro che abitano nella tua casa! Ti loderanno nei secoli dei secoli (Ps 83, 5). Tutta la nostra occupazione sarà la. lode di Dio. E cosa loderemo se non ciò che ameremo? E null'altro ameremo se non ciò che vedremo. Vedremo la verità, e questa verità sarà Dio stesso, di cui canteremo la lode. Lassù troveremo ciò di cui oggi abbiamo cantato: troveremo l'Amen, cioè Quel che è vero, e l'Alleluia, cioè: Lodate il Signore.

In breve...

O Signore, va’ in aiuto a quei discepoli! Spezza loro il pane perché ti riconoscano. Se tu non li riconduci sono perduti. (Sermo 236/A, 3)

Inizio settimana

 

GIOVEDÌ

"La morte è stata ingoiata per la vittoria".
Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria
per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo
.
(1 Cor 15, 54. 57)

INTRODUZIONE

La nota caratteristica del tempo pasquale è la gioia che promana dalla resurrezione di Cristo. La buona novella è tutta contenuta in questo annuncio di fede: "O morte, per cui i morti riprendono vita!". (In Io Ev. 120, 2) Il Redentore ha sconfitto la morte, ha messo in fuga il "catturatore", il principe del mondo che imprigionava gli uomini nel peccato. Ora restituisce l’uomo alla sua vocazione iniziale, la libertà come apertura e corrispondenza piena all’amore del Padre. Pertanto con Agostino possiamo invocare Cristo come il "Liberatore", Colui che comunica la pienezza della vita all’umanità. (Sermo 134, 3.4) Certo sulla terra l’uomo è sottoposto alle prove, alle tentazioni e alla paura della morte; ma non sono tali atteggiamenti che devono trattenerlo dalla ricompensa celeste. Cristo ha assunto su di sé il dolore per indicarci in qual modo, passando per la croce, si possa giungere alla vittoria. Una vittoria già conseguita per sempre.

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 124, 4)

Se hai paura della morte, ama la resurrezione!

Il Signore Gesù Cristo, per mezzo della sua carne, ha fatto bene sperare della nostra carne. Ha preso infatti su di sé ciò che su questa terra ci era comunemente noto, ciò che quaggiù si verifica estesamente e in continuità: nascere e morire. Sovrabbondante sulla terra il nascere e il morire, risorgere e vivere per l'eternità non aveva luogo quaggiù. Vi trovò vili ricompense terrene, vi recò quelle del cielo straniere sulla terra. Se hai paura della morte, ama la risurrezione. Della sua tribolazione ha fatto l'aiuto che ti ha dato, poiché era rimasto senza alcun vantaggio il tuo stato di salute. Pertanto, fratelli, riconosciamo e amiamo quella salute che è straniera in questo mondo, cioè l'eterna, e viviamo noi da stranieri in questo mondo. Riflettiamo che siamo di passaggio in questo mondo e così cadremo di meno nel peccato. Piuttosto rendiamo grazie al Signore Dio nostro avendo voluto che l'ultimo giorno della nostra vita fosse vicino ed incerto. Dalla prima infanzia alla decrepitezza della vecchiaia il tratto è breve. Se Adamo fosse morto oggi, che gli avrebbe giovato aver vissuto tanto a lungo? Che gran tempo è, quando deve finire? Nessuno richiama indietro il giorno di ieri; l'oggi è incalzato dal domani, perché passi. Nel corso di questo breve spazio di tempo, viviamo bene per giungere là dove non dobbiamo passare oltre. Anche adesso mentre parliamo, indubbiamente ci troviamo a passare. Le parole fuggono e le ore volano; tale la nostra età, tali le nostre azioni, tali le nostre glorie, tale le nostre miserie, tale questa nostra felicità. Tutto passa: non sia per noi motivo di spavento: La Parola del Signore dura sempre (Is 40, 8; Pt 1, 25).

In breve...

Se viviamo bene, è segno che siamo morti e risuscitati. (Sermo 231, 3)

Inizio settimana

 

VENERDÌ

Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini
(Mc 1, 17)

INTRODUZIONE

Agostino interpreta in chiave ecclesiologica i due episodi di pesca miracolosa, avvenuti l’uno all’inizio della chiamata dei discepoli da parte di Gesù (Cf. Lc 5, 1-11), l’altro dopo la sua risurrezione (Gv 21, 1-11). Nel suo sviluppo storico la Chiesa accoglie nella sua barca buoni e cattivi, senza operare discriminazioni: anzi è il Signore a favorire la crescita comune di grano e zizzania, secondo la terminologia di un’altra celebre parabola. "La chiesa di questo tempo è come un’aia; lo abbiamo detto spesso, lo diciamo spesso: ha la paglia e il grano" (Enarr. in Ps. 25, 2, 5). La separazione avverrà solo alla fine dei tempi: allora gli eletti, i centocinquantatré pesci della seconda pesca, si riconosceranno popolo di Dio, che partecipa dei beni della vita eterna. Di una tale cifra Agostino offre un’articolata spiegazione per far quadrare i conti: ai nostri occhi potrebbe sembrare un divertente - e forse sterile - esercizio esegetico, ma per il vescovo di Ippona è un modo per trasmettere ai fedeli un contenuto teologico: al di là di ogni disquisizione sulla quantità, gli eletti saranno definitivamente separati dai peccatori ed ammessi alla beatitudine senza fine.

Dai "Discorsi" di sant’Agostino, vescovo (Serm. 251, 1 / 248, 3 )

Le due pesche miracolose

Quando Cristo, nostro liberatore, si mette a pescare avviene la nostra liberazione. Tuttavia nel santo Vangelo ci si informa di due pesche effettuate dal Signore, nel senso che a un cenno della sua parola furono gettate le reti: una al principio quando egli scelse i discepoli (Cf. Lc 5, 1-11; Mt 4, 18-22), e questa seconda avvenuta dopo la resurrezione (Cf. Io 21, 1-11). La prima pesca raffigura la Chiesa com'è al presente, la seconda, quella cioè che avvenne dopo la resurrezione, raffigura la Chiesa come sarà alla fine del mondo. Notiamo infatti come nella prima pesca Cristo comandò che venissero gettate le reti senza specificare da che parte: comandò solo che fossero gettate. E i discepoli le gettarono, ma non ci si dice se a destra o a sinistra. Questo, perché i pesci simboleggiano gli uomini, e se fosse stato detto: A destra, vi sarebbero stati inclusi solo i buoni; se invece fosse stato detto: A sinistra, sarebbero stati inclusi solo i cattivi. Siccome però nella Chiesa si sarebbero dovuti trovare, mescolati insieme, e i buoni e i cattivi, le reti furono gettate in maniera imprecisata,edi modo che potessero essere catturati pesci suscettibili di significare la mescolanza dei buoni e dei cattivi. In piú, nella prima descrizione si narra anche questo, che cioè di pesci ne presero tanti da riempire le due barche e da farle affondare (Cf. Io 21, 1-11), o meglio, da gravarle al punto che stavano per affondare. In effetti, le barche non affondarono ma corsero pericolo di affondare. Perché un tale pericolo? Per i troppi pesci. Segno, questo, che, a causa della gran quantità di gente che la Chiesa avrebbe accolta, la disciplina avrebbe corso pericolo. È un particolare che si aggiunge nel racconto della prima pesca, dove si narra anche che per l'abbondanza dei pesci le reti si squarciavano. Le reti squarciate cosa volevano indicare se non gli scismi che sarebbero sorti in seguito? Tre cose dunque troviamo simboleggiate nella prima pesca: la mescolanza dei buoni e dei cattivi, l'appesantimento causato dalle folle, gli scismi provocati dagli eretici.

Passiamo ora dalla pesca del tempo presente in cui triboliamo, e veniamo a quella che desideriamo con ardore e alla quale aspiriamo sorretti dalla fede. Ecco, il Signore morì ma poi risuscitò e apparve ai discepoli in riva al mare (Cf. Io 21, 1-6). Anche quella volta comandò di gettare le reti, ma non in maniera imprecisata. Statemi attenti! In occasione della prima pesca non aveva loro detto: Gettate le reti a destra o a sinistra. Seinfatti avesse detto: A sinistra, vi sarebbero stati simboleggiati solo i cattivi; se: A destra, solo i buoni. Sicché non disse né a destra né a sinistra, perché dovevano essere presi nella rete i buoni mescolati con i cattivi. Eccoci invece adesso dopo la resurrezione. Quale sarà allora la Chiesa, ascoltatelo con discernimento, godetene e appropriatevene con la speranza. Dice: Gettate le reti a destra (Io 21, 6). È ora che vengano presi quelli della destra: non c'è piú da temere alcun cattivo. Voi infatti sapete che egli separerà le pecore dai capri e che collocherà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra, e sapete ancora che a quanti staranno alla sinistra dirà: Andate al fuoco eterno, mentre a coloro che si troveranno a destra dirà: Prendete possesso del regno (Mt 25, 41. 34). Ecco perché dice: Gettate le reti a destra. E le gettarono e presero del pesce: ne presero un numero ben determinato, poiché lassú non ci sarà nessuno che non rientri in quel numero (Ps 39, 6). Nel tempo presente quanta gente c'è che, pur non rientrando in quel numero, si accostano all'altare, sembrano appartenere al popolo di Dio, mentre non, sono scritti nel libro della vita! Là invece il numero è determinato. E fra, questi pesci cercate d'essere anche voi, non ascoltando solamente e lodando ma comprendendo bene e conducendo una vita buona.

In breve...

Nella pesca dei centocinquantatré pesci viene adombrata la Chiesa quale essa si manifesterà quando sarà formata soltanto dei buoni. (In Io. Ev. tr. 123, 2)

Inizio settimana

 

SABATO

Alla fine dei giorni, / il monte del tempio del Signore
sarà eretto sulla cima dei monti / e sarà più alto dei colli;
ad esso affluiranno tutte le genti. / Verranno molti popoli e diranno:
"Venite, saliamo sul monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri"
.
(Is 2, 2-3)

INTRODUZIONE

Agostino tocca le corde liriche di ogni cuore quando descrive la condizione del sabato eterno, che non conosce tramonto, simbolo del riposo senza fine in Dio Trinità. Dio ha benedetto il settimo giorno al termine di ogni attività creatrice e Cristo ha santificato con la sua passione il primo giorno della settimana, l’ottavo giorno. A tale pace aspira l’uomo, giunto a conclusione del suo pellegrinaggio terreno, quando cessata ogni fatica l’unica attività concessa sarà "una certa indicibile tranquillità che deriva dall’attività di contemplazione". Azione e contemplazione, fatica e riposo sono congiunti a definire in un certo qual modo la caratteristica della vita eterna: lodare Dio. La conclusione delle Confessioni esplicita il desiderio dell’uomo di vivere l’intimità con Dio e in Dio: "Signore Dio, dà a noi la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace che non ha sera" (13, 35). Dio è il termine ultimo, il ritorno supremo per l’uomo inquieto ed orientato a Dio stesso, la quiete per eccellenza.

Dalle "Lettere" di sant’Agostino, vescovo (Ep. 55, 9.17)

Il giorno senza tramonto

Ciò che adesso facciamo con la fede e con la speranza e ci sforziamo di raggiungere con la carità, è precisamente il riposo santo e perpetuo da ogni fatica e da ogni molestia; per giungere ad esso noi compiamo il passaggio da questa vita, che nostro Signore Gesú Cristo ebbe la bontà d'insegnarci e di santificare con la sua passione. Questo riposo però non consiste in un’infingarda inattività, ma in un'ineffabile tranquillità di contemplativa attività. Poiché alla fine delle opere della nostra vita noi ci riposiamo affinché godiamo nell'attività della vita eterna. Ma poiché siffatta attività si compie lodando Iddio senza fatica delle membra e senz'affanno di pensieri, il riposo per cui si passa a tale attività non è seguito da alcuna fatica, ossia l'attività non comincia in modo che finisca il riposo, poiché non è un tornare alle fatiche e agli affanni, ma è un'attività che conserva ciò che costituisce la caratteristica del riposo, ossia agire senza affaticarsi, pensare senza preoccuparsi. Poiché dunque per mezzo del riposo si torna alla prima vita, dalla quale l'anima cadde in peccato, questo riposo è simboleggiato nel sabato. Quella prima vita che si restituisce a coloro che tornano dall'esilio di questa vita e che ricevono il vestito piú bello (Lc 15, 22 s.), è simboleggiata dal primo giorno della settimana, che noi chiamiamo Domenica. Esamina i sette giorni, leggi la Genesi (Gen 2, 2 s.) e troverai il settimo giorno senza sera, poiché simboleggia il'riposo senza fine. La prima vita non fu dunque e terna per l'uomo peccatore, mentre l'ultimo riposo sarà eterno e perciò anche l'ottavo giorno avrà la felicità eterna, poiché il riposo eterno è incluso, non concluso nell'ottavo, altrimenti non sarebbe eterno. L'ottavo giorno sarà quindi come il primo, sicché la prima vita non sarà annullata, ma tramutata in eterna.

In breve...

Se tanto ci esaltano questi giorni che se ne vanno, nei quali con devota solennità ricordiamo la passione e la resurrezione di Cristo, come ci renderà beati quello eterno, in cui vedremo Lui e rimarremo con Lui, del quale il solo desiderio e la speranza ci rendono fin da adesso beati? (Sermo 229/D, 2)

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