Gesta collationis carthaginiensis

Conferenza di Cartagine
giugno 411

 

INTRODUZIONE

 

Il verbale ufficiale della Conferenza di Cartagine o Gesta collationis carthaginiensis, che purtroppo è giunto a noi incompleto, resta il documento fondamentale per la conoscenza della Chiesa cattolica e donatista d’Africa, del ruolo dei singoli protagonisti della Conferenza di Cartagine del 411, e del complesso apparato organizzativo che ne ha garantito l’ordinato svolgimento. Soltanto attraverso il resoconto fedele dei Gesta, frutto di un immane lavoro di un’intera squadra di stenografi e segretari, noi possiamo ancora ascoltare dal vivo gli interventi dei membri delle due delegazioni della Conferenza e del giudice moderatore Marcellino. Ma soprattutto possiamo renderci conto, attraverso la lettura coordinata di tutti gli interventi di Agostino, Alipio e Possidio, tramandatici dai Gesta, del ruolo primario avuto dal vescovo di Ippona, coadiuvato dai fedeli colleghi nella vita monastica ed episcopale, e cosí ricostruire il clima tutto particolare di quei giorni storici per il futuro della Chiesa d’Africa.

 

I. I protagonisti della Conferenza

1. Le due delegazioni

Il secondo editto di Marcellino, pubblicato fra il 18-25 maggio 411, prescriveva di eleggere sette membri per l’una e l’altra parte, muniti di regolare mandato controfirmato dai vescovi presenti a Cartagine, ai quali sarebbe spettato il compito di dibattere la causa, affiancati da sette consiglieri senza diritto di parola e da quattro custodi degli atti. I Gesta conservano i nomi di tutti i membri della delegazione cattolica, ma non tutti quelli della delegazione donatista, in quanto non avevano firmato il proprio mandato alla presenza del giudice. Ecco i nominativi della delegazione cattolica: Aurelio di Cartagine, Alipio di Tagaste, Agostino di Ippo Regio, Vincenzo di Culusi, Fortunato di Costantina, Fortunaziano di Sicca, Possidio di Calama (avvocati); Novato di Sitifis, Florenzio d’Hippo-Diarrythus, Maurenzio di Tubursicu, Prisco di Quiza, Sereniano di Mididi, Bonifacio di Cataquas, Scillacio di Scilli (consiglieri); Deuterio, Leone, Asterio, Restituto (custodi degli atti). Ed ecco i membri della delegazione donatista: Primiano di Cartagine, Petiliano di Costantina, Emerito di Cesarea, Protasio di Tubuna, Montano di Zama, Gaudenzio di Thamugadi, Adeodato di Milevi (avvocati); Pellegrino di Sufes, Atto di Tusmos, Clarenzio di Thabraca, Habetdeum di Aurusuliana (consiglieri).

2. I membri dell’ufficio di presidenza

 Il commissario imperiale Marcellino era affiancato da un nutrito gruppo di funzionari, di grado diverso, che si distribuivano le diverse mansioni direttive ed esecutive. Tre protectores domestici, che affiancavano il giudice e rappresentavano l’autorità imperiale: Sebastiano, Massimiano e Pietro; due agentes in rebus: Vincenzo e Taurillo, con funzioni di supervisione e raccordo di tutto il lavoro preparatorio, i quali aiutavano Marcellino a mantenere l’ordine durante il dibattito e facevano rapporto alla corte imperiale. Tutti costoro verosimilmente erano funzionari d’alto rango, che avevano aiutato Marcellino fin dall’inizio a preparare la Conferenza. Seguiva un altro gruppo di cinque funzionari, dipendenti dal prefetto del pretorio, composta da tre ducenarii: Urso, Petronio e Liboso, e due apparitores: Bonifacio ed Evaso, con funzioni subalterne nella preparazione della Conferenza, che prendevano la parola per aprire le sedute e suggerivano di introdurre le parti. Un terzo gruppo di funzionari dipendeva dall’autorità del proconsole, formato da due adiutores cornicularii: Esizioso e Restituto, e tre adiutores commentariorum: Possidio, Quodvultdeus, Colonico, che fungevano da assessori assistenti e responsabili dei registri e degli archivi giudiziari. Infine, due membri dipendenti dall’autorità del vicario d’Africa, cioè un adiutor numerorum o vicecontabile: Navigio, e un adiutor subadiuvarum: Pellegrino, che coadiuvavano i funzionari del proconsole. Tutti costoro, facenti parte dell’amministrazione giudiziaria, erano stati inviati in missione per le province d’Africa per preparare la Conferenza.

 

II. La redazione dei Gesta

1. Il verbale stenografico

La Conferenza tenne tre sedute: la prima, il 1° giugno, che durò dalle prime ore del mattino fino all’ora undecima meridiana, cioè fino alle sette di sera; la seconda, il 3 giugno, che fu molto breve e sospesa per un aggiornamento tecnico dei lavori, cioè per consentire di redigere il verbale delle due sedute precedenti; la terza, l’8 giugno, che fu interminabile: dal levar del sole fino a notte fonda. Tenendo pure conto di qualche incidente o interruzione, il compito dei notisti e della segreteria fu veramente spossante.

Per compiere questo lavoro di registrazione, il commissario imperiale disponeva nella sua segreteria (officium) di una nutrita squadra di segretari (scribae) e copisti (exceptores). Il preambolo dei Gesta, che registra l’inizio delle tre sedute, li presenta nel seguente ordine: uno scriba dell’ufficio del legato del proconsole, Nampio; uno scriba del curatore di Cartagine, Rufiniano; due copisti dell’ufficio del proconsole, Ilaro e Pretestato; un copista del vicario, Fabio; un copista del legato del proconsole, Romolo. Mentre i due scribae verificavano l’autenticità delle firme e procedevano alla lettura di alcuni documenti, i quattro exceptores dei servizi ufficiali assicuravano la registrazione stenografica. A questi ultimi erano affiancati quattro notarii ecclesiastici: Gennaro e Vitale per i Cattolici, Vittore e Cresconio per i Donatisti. In realtà essi furono otto, come attesta l’editto di Marcellino: quattro per parte, i quali dovevano alternarsi nel lavoro sfibrante delle tre sedute. Naturalmente, essi registravano secondo il proprio punto di vista; poi intervenivano i due copisti dell’ufficio del proconsole per integrare eventuali lacune o eliminare eventuali discrepanze nella redazione ufficiale degli Atti. Ciascun gruppo lavorava ininterrottamente per circa sei ore; al momento di lasciare le carte alla seconda squadra, apponeva il suo sigillo sulle raccolte di note (codices o tabulae), quindi usciva, affiancato dai due vescovi archivisti (custodes chartarum). A questo punto iniziava nei locali della cancelleria (scrinia), attigui alla sala delle udienze, il lavoro di stesura in bella copia, cioè in apices evidentes, leggibili a tutti, eliminando per arbitrato eventuali discordanze. I copisti e i sorveglianti (custodes) si dedicavano a questo compito, non solo durante le sedute, dopo essere stati sostituiti, ma anche nell’intervallo fra una seduta e l’altra, secondo le disposizioni dell’editto di Marcellino.

Di fatto, il protrarsi eccessivo della prima seduta impedí loro di terminare in tempo utile il lavoro, tanto che i Donatisti presero il pretesto da ciò per reclamare l’aggiornamento della Conferenza. I segretari dovettero lavorare indefessamente per piú giorni e notti, assecondati dai copisti, per stendere in bella copia diversi esemplari dei verbali delle due sedute, che furono consegnati alle due parti il 6 giugno mattina. Questa prima pubblicazione e diffusione (editio) comportava evidentemente diversi stadi con operazioni e manipolazioni intermedie. Prima gli stenografi trascrivevano gli stenogrammi su fogli di pergamena o cartapecora, riuniti in un grosso volume rilegato in tela; su questa prima trascrizione i vescovi-portavoce delle due parti dovevano autenticare i loro interventi, secondo le disposizioni dell’editto del giudice, ed egli stesso doveva controfirmare i suoi interventi interlocutorii. Dopo di ciò, il testo poteva essere trascritto sotto dettatura dei notarii ecclesiastici. Questa scheda subscripta atque emendata riceveva poi il sigillo del giudice e degli otto vescovi archivisti, divenendo cosí la minuta originale. Da essa venivano trascritte alcune copie: due da inviare alle parti, una al giudice e una al suo officium, una per l’affissione al pubblico. Dunque, ne risultava una tiratura minima di cinque copie, certificate conformi all’originale (authentica): esse costituivano la prima editio ristretta, limitata alle prime due sedute, e già a disposizione nella mattinata del 6 giugno 411.

Le uniche parti complete del testo dei Gesta riguardano le sedute del 1° e del 3 giugno, ed esse ci permettono di seguire nel dettaglio le varie fasi della redazione. Anche per la redazione degli atti della terza seduta, tenuta l’8 giugno, fu naturalmente adottato lo stesso procedimento. Ma, al termine di questa giornata, i giochi erano fatti, e i copisti non avevano piú motivi imperiosi per accelerare il loro lavoro, cosicché gli Atti della terza seduta furono affissi per la pubblicazione il 26 giugno 411, preceduti dall’editto di Marcellino – che non era la sententia cognitoris, pronunziata nella notte dell’8 giugno e oggi perduta – ma era un decreto di applicazione della sentenza, con l’ordine di affiggere la documentazione. A questo punto era pronta l’edizione ufficiale degli Atti della Conferenza, appunto i Gesta collationis carthaginiensis, ai quali tutti si sarebbero sempre riferiti, anche dopo la morte di Agostino, sotto la denominazione di Marcellini gesta. Tuttavia, i due editori privati del nostro testo, Agostino e Marcello, si erano messi a loro volta al lavoro in quegli stessi giorni con intendimenti diversi: il primo per rielaborare e semplificare la materia, il secondo per riordinarla in capitoli.

2. Le edizioni antiche dei Gesta

a) L’edizione di Agostino

Nella Ep. 139, 3, scritta a Marcellino da Ippona fra l’autunno 411 e il 28 febbraio 412, Agostino fa un elenco delle opere che aveva potuto portare a termine in quel periodo. In essa informa che il Breviculus collationis, il quale figura in testa all’elenco, lo ha composto di getto, e con non poca fatica, appena rientrato ad Ippona. Ora, egli si era trattenuto a Cartagine almeno fino al 14 settembre 411 per predicare, ma non fino alla celebrazione del Concilio di Cartagine (autunno 411). Dunque, il Breviculus è stato scritto verso l’inizio dell’inverno 411-412 e precede immediatamente l’Ad Donatistas post collationem, che nell’elenco dell’Ep. 139, 3 segue immediatamente il Breviculus. Lo scopo dell’opera era essenzialmente quello di rendere piú agevole la lettura degli Atti ufficiali, anche ai meno esperti, poiché erano risultati troppo prolissi e disorganici. Per questo adottò anche l’identica numerazione, almeno nei primi due libri. Di fatto però essa non corrisponde esattamente alla numerazione ufficiale. Infatti, forse per semplificare la materia, ha suddiviso il terzo libro in cinque sezioni, evidenziando meglio le varie fasi del dibattimento. Nelle edizioni moderne, la divisione del libro terzo in venticinque capitoli e quarantatré sezioni è arbitraria e risponde a un’altra preoccupazione: quella di precisare le referenze documentarie.

Naturalmente il Breviculus non è un semplice estratto degli Atti ufficiali, arida annotazione di appunti veloci, ma una vera e propria rielaborazione che testimonia la meravigliosa lucidità e la potenza di sintesi del vescovo di Ippona, il quale riesce a districarsi disinvoltamente in una materia ostica e disorganica, rendendola molto scorrevole e chiara. Esso è, dunque, un riassunto fedele quanto all’essenziale, ma è anche un’opera polemica che commenta e precisa quanto espone, talvolta con qualche eccesso di tono e passione, ma mai tendenziosa. Di questo è bene tenere conto soprattutto nella terza parte dei Gesta, purtroppo andata perduta per due terzi, e di cui Agostino resta l’unica fonte insieme a Marcello.

b) L’edizione di Marcello

Marcello, l’autore dei Capitula gestorum, è un personaggio enigmatico, che si conosce solo attraverso la prefazione agli Atti, composta in forma di lettera. Si autodefinisce memorialis, cioè memorialista, e funzionario dei sacra scrinia, cioè della cancelleria imperiale. Egli quindi era addetto, sotto la direzione del magister memoriae, alla raccolta delle petizioni dei sudditi, dei rapporti dei governanti e inviati straordinari, dei rescritti e dei testi legislativi. Stando alla prefazione, il suo ruolo alla Conferenza sarebbe stato quello di condividere con Marcellino il compito di arbitrare la Conferenza; ora, sembra eccessivo che un funzionario di rango modesto abbia potuto affiancare un chiarissimo commissario imperiale. Molto piú verosimilmente egli dovette svolgere funzioni di archivista-segretario nell’officium, il cui nome quindi non figura tra i titolari, menzionati negli Atti.

Stessa incertezza nell’identificare i destinatari della prefazione: Severiano e Giuliano, che sollecitarono questo lavoro. Probabilmente Marcello ha lavorato nelle settimane o mesi successivi alla Conferenza, come Agostino, utilizzando o la copia ufficiale o quelle autentiche per il pubblico. Egli non si accontentò di redigere una sorta di tavola delle materie (capitula), ma volle collocarla all’inizio degli Atti perché costituisse una guida alla lettura per una sorta di gioco di concordanze numeriche. Un lavoro in sé utile, ma condotto senza un metodo rigoroso; talvolta infatti egli, estrapolando il testo, introduce alcune sezioni che includono interventi estranei delle parti e del giudice, oppure inserisce brani di letture del segretario dei documenti ufficiali. Tutto questo comporta necessariamente interventi arbitrari per poter inserire in determinate sezioni dei Gesta interventi avvenuti in altro momento o per tagliare alcune fasi delle sedute. A ciò si aggiunga il fatto che Marcello si serve di una copia, che doveva essere già stata parzialmente rimaneggiata, e talvolta dimostra di non saper interpretare bene il contenuto del testo. Malauguratamente, per un incidente di trascrizione, anche la capitolazione del testo di Marcello ci è pervenuta mutila.

 

III. Tradizione manoscritta ed edizioni dei Gesta

Possediamo un solo manoscritto: il Codex Parisinus 1546 (P; olim Colbertinus 601), e due manoscritti apografi di epoca umanistica: i Reginenses 993 e 1032 della Biblioteca Vaticana.

Jean Masson pubblica per la prima volta i Gesta a Parigi nel 1588, sotto il titolo: Gesta collationis Chartagini habitae, Papirii Massoni studio atque opera nunc primum in lucem editum. La seconda edizione viene curata nel 1596 da Pierre Pithon. Nel 1683 esce la terza edizione critica di Etienne Baluze. Nel sec. XVIII escono altre due edizioni: quella di L. E. Dupin (1702) e di Franz Oberthur a Wurzburg (1789). Il Mansi riproduce il Baluze nella Storia dei Concili (Firenze 1760), mentre il Migne riproduce il Dupin (arricchito di note e di molti documenti sul Donatismo).

 

Eugenio Cavallari