PARTE QUINTA: DOTTRINA TEOLOGICA

CAPITOLO PRIMO

COME AGOSTINO HA FATTO TEOLOGIA

Quando si tratta di un teologo che ha indagato su tanti problemi facendo fare ad essi un grande progresso - si pensi alla teologia del mistero trinitario, della grazia, della Chiesa, dei sacramenti, dell'escatologia -, conoscere il metodo che ha seguito nella sua speculazione è fondamentale. La validità delle conclusioni deriva in gran parte dalla validità del metodo seguito. Chi pertanto vuol capire il suo pensiero deve studiare prima di tutto il suo metodo. Intendo per metodo quel complesso di princìpi che permettono di formulare la nozione stessa di teologia e tirarne le necessarie conclusioni. Dirò pertanto quali siano per Agostino questi princìpi e quale la nozione che ne deriva.

1. Princìpi del metodo teologico

A - Il metodo teologico agostiniano è prima di tutto il metodo dell'autorità; trova infatti nell'autorità della fede il suo fondamento e la sua forza. Ho detto sopra che l'autorità della fede entra anche, come stimolo, nella ricerca filosofica 1, ma nella ricerca teologica entra come principio, misura, alimento. Prima di essere un ardito ricercatore speculativo il vescovo d'Ippona è un aderente sincero ed umile all'autorità della fede che, una nella sua fonte - Cristo 2 -, è triplice nella sua derivazione e manifestazione: Scrittura, Tradizione, Chiesa.

Agostino, se come ricercatore assomiglia ad Origene, come aderente all'autorità assomiglia a Ireneo. Non comprende molte parti della sua teologia chi non tiene presenti questi due atteggiamenti, che egli sa unire insieme con sorprendente armonia.

a) Della Scrittura mette in rilievo l'origine divina 3, l'inerranza 4, la profondità 5, la ricchezza 6. Celebri le parole: trattandosi della Scrittura " non è lecito dire: l'autore di questo libro non ha parlato secondo verità; ma, o il codice è scorretto, o il traduttore ha sbagliato, o tu non capisci " 7.

La Scrittura per lui è veramente l'anima della teologia, della predicazione, della spiritualità. L'amò e la studiò con vera passione 8.

b) Ma Agostino legge la Scrittura nella Chiesa e secondo la tradizione. Ai manichei dice: " Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica " 9; ai donatisti ricorda le due qualità della tradizione apostolica: l'universalità e l'antichità 10; ai pelagiani replica: deve ritenersi per vero ciò che la Tradizione ha tramandato, anche se non si riesce a spiegarlo 11, perché i Padri " hanno insegnato alla Chiesa ciò che hanno imparato nella Chiesa " 12.

In realtà l'insistenza di Agostino sulla tradizione è continua, non solo sulla tradizione ecclesiale dei riti o cerimonie liturgiche e usi che variavano spesso col variare delle chiese, sui quali scrisse un'opera in due libri (= Epp. 54-55), ma anche e soprattutto sulla tradizione apostolica. Ai manichei spiega le forti parole ricordate or ora - " Non crederei al Vangelo... " -, dicendo che i vangeli egli li accetta dalla tradizione apostolica attraverso " l'ininterrotta successione dei vescovi " 13. Nella controversia donatista enuncia il principio che permette di tornare fino agli Apostoli: " Ciò che la Chiesa universale tiene e non è stato stabilito dai concili ma è stato sempre ritenuto, si deve giustamente credere che sia stato tramandato dall'autorità apostolica " 14.

In quella pelagiana, poi, contro la novità difende la fede della chiesa antica attraverso la testimonianza dei Padri che sono stati " gli interpreti delle Scritture " e i trasmettitori della dottrina degli Apostoli. Per questo dedica due libri dei sei del Contra Iulianum a dimostrare l'autorità teologica dei Padri e ad addurre le loro testimonianze: vuol convincere l'avversario che non ha inventato nulla di nuovo quando insegna la dottrina del peccato originale, ma che la novità sta tutta dall'altra parte 15.

c) Scrittura e Tradizione convergono nell'autorità della Chiesa. È infatti la Chiesa che determina il canone della Scrittura 16, che trasmette la Tradizione e interpreta l'una e l'altra 17, che dirime le controversie 18 e prescrive la regula fidei 19. Perciò " resterò sicuro nella Chiesa ", dice Agostino, " qualunque difficoltà si presenti " 20, perché " Dio ha posto la dottrina della verità nella cattedra dell'unità " 21. Perciò - sentenzia altrove - " tutto il mondo può con sicurezza giudicare " 22.

Merita una particolare attenzione l'accenno alla regula fidei e alla cattedra dell'unità. La regula fidei, che occorre consultare nei passi oscuri della Scrittura, consiste nel simbolo 23, contro il quale non si può andare se non errando. Per questo insegna al suo popolo di non ascoltare quelli che propongono dottrine ad esso contrarie, perché sono dottrine eretiche. Nel De agone christiano, dopo aver ricordato appunto le parole del simbolo, fa un elenco di queste dottrine ripetendo per 19 volte la formula: " Non ascoltiamo quelli che dicono... " 24.

In quanto cattedra dell'unità si deve osservare che in essa ha un posto fondamentale e normativo, come si dirà 25, la Sede di Pietro, oltre che i concili. La parola decisiva 2 della "Sede di Pietro" toglie, nelle controversie dottrinali, ogni motivo di dubbio 26 e chiude perciò la questione mossa dagli avversari. Agostino vi si attiene senza esitare. Sono note le sue parole: " La questione è terminata. Voglia il cielo che termini finalmente anche l'errore! " 27.

B. - Il metodo agostiniano si qualifica, poi, per il forte desiderio di raggiungere l'intelligenza della fede. È l'" ama molto di capire " che Agostino enuncia e difende, sostenendo, a ragione, che le Scritture non sono utili se non vengono capite rettamente e che gli eretici non sono tali perché le disprezzano ma perché non le capiscono 28. L'intelligenza della fede dev'essere cercata con grande amore, con grande umiltà, con grande perseveranza. Con grande amore, perché è con l'amore che si bussa ed è all'amore che viene aperto: " Non si perviene alla verità se non tramite la carità " 29. Con grande umiltà, perché l'umiltà è l'unica via che conduce alla sapienza 30. Con grande perseveranza, perché, data la profondità dei misteri e l'importanza della meta, non bisogna mai stancarsi di cercare: " Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede - la fede trinitaria -, per quanto ho potuto... ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l'intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato " 31.

Il metodo per raggiungere questa intelligenza importa un vasto programma di studio che Agostino espone in un'opera restata celebre: la Dottrina cristiana. Essa include: a) la critica testuale, b) la comprensione dei segni, c) le regole dell'ermeneutica, d) la visione globale della Scrittura o teologia biblica.

a) Prima di tutto, dunque, assicurare il testo: " La solerzia di quelli che vogliono conoscere le Scritture deve esercitarsi prima di tutto nell'emendare i codici " 32. Luminoso principio che stabilisce la priorità della critica testuale come base dell'esegesi. Ne segue che i codici meno corretti devono cedere il posto a quelli più corretti, i latini ai greci, alle chiese " più preparate e accorte " le altre 33. Per le traduzioni latine rimanda all'Itala, per il V. T. a quella dei LXX che ritiene munita di " grandissima autorità " 34. Per ragioni pratiche e pastorali non sentì il bisogno di ricorrere, come Girolamo, al testo ebraico 35, ancorché suggerisca la conoscenza della lingua ebraica 36.

b) Alla sicurezza del testo deve seguire l'intelligenza dei segni, che possono essere naturali o convenzionali, propri o traslati, chiari, oscuri, ambigui. Agostino indica le risorse per interpretarli, che sono: la filologia, la storia, le scienze, la retorica, la dialettica e in genere la filosofia. A proposito della filosofia egli appartiene ai più convinti assertori non del rigetto ma dell'assimilazione. Dice infatti: " Se quelli che si chiamano filosofi, soprattutto i platonici, hanno detto qualcosa di vero e di conforme alla nostra fede, non solo non dobbiamo temerlo, ma anzi dobbiamo rivendicarlo a noi... ". Così hanno fatto molti dottori cattolici, tanto latini che greci (" innumerevoli greci ") 37.

c) Le regole di ermeneutica servono soprattutto per interpretare i segni ambigui. Agostino ne dà molte. Quella generale, che serve a distinguere tra espressioni da prendersi in senso letterale ed espressioni che hanno un senso allegorico, è questa: " Tutto ciò che nel discorso divino non si possa riferire propriamente né all'onestà dei costumi né alla verità della fede dev'essere interpretato in senso allegorico ". In ogni modo si tenga presente che " la Scrittura non comanda se non la carità e non condanna se non la cupidigia " 38. Alla legge della carità ci si deve sempre riferire quando si tratta dei costumi, come alla regola della fede quando si tratta della fede. A questa regola generale, per distinguere il senso letterale da quello allegorico, ne seguono altre che trattano casi particolari 39.

Agostino, poi, spiega che la Scrittura - si riferisce di direttamente al V. T. - può essere interpretata secondo la storia, secondo l'eziologia, secondo l'analogia e secondo l'allegoria: quattro modi, osserva, di cui si è servito il Signore e di cui si sono serviti gli Apostoli 40. Questi quattro modi servono molto bene al vescovo d'Ippona per esporre e difendere quattro verità che gli stanno a cuore: il valore storico del V. T., il perché dei cambiamenti tra il V. e il N. T., l'armonia tra i due Testamenti (ciò che è palese nel N. è nascosto nel V.), la ricchezza inesauribile della Scrittura, la quale " racconta Cristo e insegna l'amore " 41.

d) Per la comprensione della Scrittura, in modo da cogliere il pensiero divino o, com'egli dice, il "cuore" delle Scritture 42, espone le sette regole di Tironio (donatista dissidente), non senza notare però che quell'autore " deve essere letto con cautela ", che alcune possono e devono essere espresse meglio e che altre richiedono " molta attenzione per essere capite giustamente " 43.

Nel corso, poi, delle lunghe controversie ne aggiunge due universali e indispensabili, che sono: 1) aver presente, su un determinato argomento, tutta la Scrittura e non solo i passi che fanno al proprio caso; 2) impegnarsi a mostrare la concordia degli aspetti diversi. " A noi tocca, dice energicamente Agostino al pelagiano Celestio, mostrare che le Scritture concordano con se stesse " 44. La via da percorrere per questa illustrazione è andare dalle cose chiare a quelle oscure: " Bisogna rimanere attaccati alle verità che nelle Scritture sono evidenti, perché, partendo da queste, si svelino quelle oscure " 45.

A questi criteri che, insieme all'intelligenza delle Scritture, aprivano la via alla nuova cultura, quella cristiana, si attenne Agostino. Non trascurò il lavoro critico, anche se questo consistette essenzialmente nel confrontare in molti casi i codici latini con i greci 46; usò l'interpretazione letterale, cercando diligentemente il senso dell'autore sacro 47, e quella allegorica: la prima nelle opere teologiche e polemiche, la seconda per esigenze pastorali nelle opere della predicazione; approfondì su molti punti la teologia biblica. Ne ricorderò rapidamente i temi: la teologia trinitaria e cristologica nei primi quattro libri de La Trinità, dove espone le regole per interpretare rettamente la Scrittura 48; la teologia della redenzione e del peccato originale 49; la teologia della giustificazione 50; la teologia dell'imperfezione della giustizia umana 51; la teologia della necessità della grazia e della preghiera 52; la teologia della grazia e della libertà 53; la teologia della Chiesa 54; la teologia della storia 55.

In ognuno di questi casi intende esporre tutta la Scrittura e, leggendola nella Chiesa con lo sguardo fisso alla regola della fede, mostrare l'armonia del suo insegnamento. Non solo il N. T., come volevano i manichei, ma anche il V. T.; non solo Cristo uomo, ma anche Cristo Dio, per cui l'unità della persona diventa la regola " canonica " d'intendere i testi apparentemente opposti; non solo la natura, ma anche la grazia; non solo la libertà, ma anche l'aiuto divino; non solo il valore carismatico, ma anche quello sociale della Chiesa; non solo il libero gioco della volontà umana, ma anche la guida infallibile della Provvidenza divina; non solo la fede, ma anche le opere; non solo la vita eterna come dono, ma anche come premio; non solo la remissione totale dei peccati, ma anche l'imperfezione del giustificato.

In altre parole egli si studiò di non cadere nell'errore che, come ho detto, rimproverava agli avversari, perché " nello stesso N. T. non c'è o lettera dell'Apostolo o libro del Vangelo di cui non si possa mostrare, sulla base di certe frasi, come un libro sia in contrasto con se stesso, se non viene trattato tutto intero il suo contesto con la massima diligenza e attenzione possibili da parte del lettore " 56.

C. - Tutto ciò fu possibile perché il metodo teologico agostiniano era qualificato da un terzo principio fondamentale: il senso profondo del mistero, che rendeva l'indagine teologica ardita e sobria insieme, disponendola ad arrestarsi alle soglie della trascendenza divina. Questo senso del mistero Agostino lo proclamò ripetutamente - " È meglio la fedele ignoranza che la temeraria scienza " 57 - e l'applicò a tutti i misteri cristiani: alla incomprensibilità di Dio - " Se comprendi, non è Dio " 58 -, all Trinità 59, all'Incarnazione 60, al peccato originale 61, alla libertà e la grazia 62, alla predestinazione 63. Perciò occorre cercare e discutere " con santa umiltà, con pace cattolica, con carità cristiana " 64, pronti ad essere corretti sia dai fratelli, sia, quando dicono il vero, dagli avversari 65.

Ma quest'atteggiamento di sapiente modestia non gli impediva di difendere con forza le soluzioni che aveva maturato. A chi lo accusava di errore sulla teologia della grazia, egli, pur dimostrandosi disposto a diventare " più dotto e più corretto per mezzo dei dottori della Chiesa ", non può fare a meno di ricordare che possono essere proprio loro, i suoi critici, a sbagliare: " Coloro poi che pensano che io sbagli, meditino più e più volte con diligenza ciò che ho detto, perché potrebbero essere loro a sbagliare " 66.

D. - Il quarto principio qualificante il metodo agostiniano è lo stretto rapporto tra scienza teologica e amore, o, in altre parole, tra teologia e mistica. L'insistenza sull'aspetto scientifico della teologia, che pur non va negato né dimenticato, ha potuto far perdere di vista questo rapporto: Agostino ce lo ricorda con l'insegnamento e con l'esempio.

La teologia tende all'amore come al proprio fine, perché l'amore è il fine e la pienezza di tutte le Scritture. " La somma di tutto quello che si è detto (nel primo libro della Dottrina cristiana) è questa: che si comprenda che la pienezza e il fine della Legge (Rom 13, 10) e di tutte le Scritture è la cosa di cui si deve godere e la cosa che deve goderne insieme a noi ", cioè l'amore di Dio e del prossimo 67. Occorre perciò " cercare rettamente " 68, cioè " piamente, castamente e diligentemente " 69. Tre avverbi preziosi che descrivono bene le disposizioni dell'anima in ricerca della verità: la " pietà ", il disinteresse, la diligenza; disposizioni che Agostino riassume nel concetto di totalità: cercare con tutta l'anima. Ammonisce infatti: " Non troverai il vero, se non entrerai nella filosofia con tutto te stesso " 70. L'anima che cerca la verità non deve essere da alcuna cosa impedita dall'aderirvi totalmente e di " aderirvi con tutta se stessa " 71. È quanto faceva egli stesso: " Siamo trascinati dal desiderio di cercare la verità ", dice di sé all'inizio della ricerca sulla Trinità 72.

Ma il rapporto tra teologia e mistica ha anche l'aspetto reciproco: l'amore diventa fonte di luminosità teologica, perché, " se è vero che non può essere amato ciò che uno ignora completamente, è vero altresì che quando ama ciò che, sia pure in minima parte, conosce, diventa capace in forza dell'amore di conoscerlo meglio e più pienamente " 73, tant'è vero che il nostro dottore può enunciare il solenne principio: " Nessun bene è pienamente conosciuto se non è pienamente amato " 74.

Di quale luminosità teologica sia l'amore quando è forte e raccoglie intorno alla verità rivelata tutte le forze dello spirito raggiungendo " l'altissimo e segretissimo premio " della contemplazione, lo spiega già ne La grandezza dell'anima con l'esempio della fede nella risurrezione 75. Ma di questo se ne riparlerà a proposito della dottrina spirituale 76.

E. - Qui vale la pena di ricordare un quinto principio, quello del linguaggio. Lo enuncia così: " Liberamente parlano i filosofi e negli argomenti difficili a capirsi non temono di offendere l'udito dei credenti. Noi invece dobbiamo parlare secondo una precisa terminologia, affinché il libero uso delle parole non generi false opinioni anche delle cose che le parole significano " 77. Luminoso principio teologico e pastorale.

Dato lo stretto rapporto tra segno e significato, Agostino s'impegna ad esporre le regole secondo le quali si deve parlare del mistero trinitario. Sono tre, e riguardano: le perfezioni divine assolute 78, le relazioni mutue 79 e l'uso del plurale 80. In quanto ai termini natura e persona occorre distinguere tra uso e studio: l'uso, tanto nel mistero trinitario che in quello cristologico, è preciso e chiaro; lo studio, per ciò che riguarda il termine persona, è problematico. Agostino si chiede se esso, nell'espressione tre persone (i greci: tre ipostasi), sia usato in senso proprio o in senso accomodato. La risposta è: in senso accomodato, come il nome biblico Spirito Santo 81.

Ma non sempre il nostro dottore ebbe la stessa precisione e costanza di linguaggio. Si nota qua e là una certa oscillazione nella complicata e difficile questione della libertà e della grazia; ma anche qui distinse tra libertà di scelta e libertà di possedere " la piena giustizia insieme all'immortalità " o libertà cristiana 82. Ne riparleremo a suo luogo 83.

2. Nozione di teologia

Giova invece tirare la conclusione circa la nozione di teologia: non quella etimologica, facilissima, ma quella reale, più complessa. La prima viene indicata nell'ambito della teologia varroniana (" discorso relativo agli dèi " 84), la seconda mai. Occorre pertanto dedurla, a nostro rischio, dalle premesse. È utile a questo scopo ricordare due distinzioni, l'una riguardante la fede e la scienza della fede, l'altra riguardante la scienza e la sapienza.

Distinguendo tra fede e scienza della fede, ascrive alla prima il compito di condurre l'uomo alla beatitudine, alla seconda il compito di generare, nutrire, difendere, fortificare la fede. " Questa scienza non la possiedono molti fedeli, benché siano nella stessa fede molto vigorosi. Altro infatti è sapere soltanto quello che un uomo deve credere per conseguire la vita beata... altro è saperlo in modo da metterlo a profitto dei buoni e da difenderlo contro i cattivi " 85.

Nella distinzione, poi, tra scienza e sapienza, alla prima appartengono le verità storiche (è infatti " la cognizione razionale delle cose temporali "), alla seconda la contemplazione delle verità eterne, essendo, secondo la definizione agostiniana, " la cognizione intellettuale delle cose eterne " 86.

La teologia è insieme scienza e sapienza. È scienza che, partendo dalla fede e tenendo presenti i principi su esposti, genera, nutre, difende e fortifica la fede stessa attraverso la conoscenza di ciò che Dio ha operato per noi nella storia. Infatti, " tutto ciò che il Verbo fatto carne ha fatto e sofferto per noi nel tempo e nello spazio appartiene alla scienza ". Ma è anche sapienza, perché " ciò che il Verbo è al di fuori del tempo e dello spazio, è coeterno al Padre e tutto intero in ogni luogo; e se qualcuno può, per quanto può, parlare di questo secondo verità, il suo discorso apparterrà alla sapienza " 87. La teologia pertanto s'incentra nel Cristo nostra scienza e nostra sapienza. " Se la differenza tra la sapienza e la scienza consiste in questo, che la sapienza si riferisce alle cose divine e la scienza a quelle umane, riconosco l'una e l'altra in Cristo, e con me lo riconosce ogni fedele di Cristo... Dunque la nostra scienza è Cristo, la nostra sapienza è ancora lo stesso Cristo. È Lui che introduce in noi la fede che concerne le cose temporali, Lui che rivela le verità concernenti le cose eterne. Per mezzo di Lui andiamo a Lui, per mezzo della scienza tendiamo alla sapienza, senza tuttavia allontanarci dal solo e medesimo Cristo, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2, 3) " 88.

3. Sintesi teologica

Posta questa nozione della teologia che abbraccia la storia della salvezza e le realtà divine e trova il suo centro nel Cristo, Agostino, mente universale e fortemente sintetica, ha trattato quasi tutti i temi del vasto panorama teologico lasciando su ciascuno l'orma del suo genio. Quando poi ha voluto offrire una sintesi teologica, non ha seguito un solo metodo.

Ha seguito il metodo tematico nella Dottrina cristiana, dove ha preso per base la nozione del servirsi (uti) e del godere (frui), parlando delle cose " di cui godere " e delle cose " di cui servirsi " 89; nell'Enchiridion invece riassume la teologia intorno alle virtù della fede, della speranza e della carità.

Ha seguito il metodo storico ne La vera religione, dove parla dei due popoli che percorrono " l'evolversi dei tempi " fino a quando non vi sarà più tempo; nel De cathechizandis rudibus insegna a seguire lo svolgersi delle due città dalla creazione ai tempi presenti della Chiesa e poi profeticamente fino all'escatologia; ne La città di Dio illustra ampiamente gli inizi, il percorso e i termini eterni di queste due città.

Ma anche in questa visione che abbraccia la storia della salvezza il punto focale è Cristo, sempre Cristo. Ritengo pertanto che, volendo dare qui una rapida sintesi della teologia agostiniana, sia conforme al pensiero del vescovo d'Ippona non solo prendere l'avvio da Cristo ma anche avere Cristo per punto di riferimento e per centro. Questa scelta del principio ermeneutico ed architettonico della teologia trova la conferma ne La Trinità, l'opera sua dommatica più importante, dove tutto il libro 4º e gran parte del 13º sono dedicati a Cristo, che riconduce all'unità l'uomo e il genere umano dispersi nel molteplice, riportandoli, quale unico mediatore, al Padre 90. Si sa, poi, che Agostino ha commentato tutto il quarto Vangelo (e solo il quarto) affascinato dalle ricchezze e profondità dottrinali di Cristo Dio-uomo, riassunte nel prologo e disseminate in tutte le pagine. Il centro del suo pensiero credo si possa esprimere così: Cristo Dio e uomo, " un'unica persona nella Trinità " 91, espressione in cui sono congiunti insieme, inseparabilmente, i due misteri, trinitario e cristologico, che debbono essere studiati insieme perché ricevano luce l'uno dall'altro.