PARTE PRIMA

AGOSTINO FILOSOFO E TEOLOGO DELLA LIBERTA'

Non dispiaccia questo titolo. E' così. Lo vedremo subito. Agostino difese la libertà contro i manichei, contro i fatalisti, nonostante la prescienza divina (contro Cicerone che la negava per salvare la libertà). La difese con le armi della ragione e con quelle della fede, la libertà di scelta e la libertà cristiana (o dal male); sostenne che la libertà non consiste nel posse peccare e lesse la storia umana in chiave di libertà, dall'inizio della creazione al termine escatologico della beatitudine. Ma cominciò male. Cominciò coll'aderire ai manichei, i quali, negando la responsabilità personale dell'uomo nel peccato, negavano la libertà 1. Vediamo anzitutto questo punto di partenza.

CAPITOLO PRIMO

DIFESA DELLA LIBERTÀ CONTRO I MANICHEI

Si sa che la soluzione manichea del problema del male era fondata sulla teoria metafisica dei due princìpi coeterni e contrari. Il dualismo metafisico diventava necessariamente dualismo antropologico.

1. Antropologia manichea

Due i princìpi metafisici, due le anime nell'uomo, una buona e una cattiva, in perpetuo conflitto fra loro. La vittoria dell'una o dell'altra è la vittoria del principio del bene o del principio del male operanti nell'uomo. In questa visione antropologica non poteva esserci posto, e non c'era di fatto, per la responsabilità personale, cioè per la libertà.
Ecco come Agostino riassume questa dottrina recensendo il De duabus animabus: ammettono due anime, " delle quali dicono che una è parte di Dio, l'altra è parte della gente delle tenebre, non creata da Dio e a Dio coeterna. Le due anime, una buona e l'altra cattiva, così asseriscono, appartengono insieme allo stesso uomo: quella cattiva è propria della carne la quale proviene dalla gente delle tenebre; quella buona invece dalla parte avventizia di Dio che ha ingaggiato la lotta contro la gente delle tenebre. Così le due anime si sono mescolate insieme. Di conseguenza tutto il bene che l'uomo compie l'attribuiscono all'anima buona, tutto il male all'anima cattiva " 2.
Nel De haeresibus dopo qualche anno conferma: " L'origine dei peccati non l'attribuiscono al libero arbitrio della volontà ma alla sostanza della gente avversa... La concupiscenza carnale per cui la carne ha desideri contrari allo spirito ( Gal 5,17) non ammettono che sia un'infermità derivante in noi dalla natura viziata nel primo uomo, ma che sia una sostanza contraria che aderisce a noi in modo che quando ne siamo liberati e purificati, venga separata da noi e viva nella sua natura anch'essa immortale. Asseriscono, poi, che queste due anime o due menti, una buona e l'altra cattiva, vengono in conflitto tra loro nell'unico uomo... " 3.
Nel De duabus animabus contra manichaeos concludendo esprime la convinzione che l'opposizione tra l'anima buona e l'anima cattiva rappresenti il nucleo centrale del manicheismo, quello da cui dipende il suo essere, o il buon essere. " Smettano ormai di sostenere e d'insegnare quei due generi di anime, l'uno da cui non procede nulla di male, l'altro da cui non procede nulla di bene ". Il determinismo psicologico non poteva essere espresso più efficacemente: da una solo il bene, dall'altra solo il male. E continua: " Se lo faranno, cesseranno certamente di essere manichei, poiché tutta quella sètta si basa su questa bicipite o piuttosto precipite distinzione di anime " 4.
Si può aggiungere un testo significativo tratto da un discorso al popolo, dove parlando degli eletti manichei dice: " Ma chi sono questi eletti? Sono gente che, se le vai a dire che ha peccato, subito la senti pronunziare, a sua discolpa, parole empie, peggiori e più sacrileghe di quelle che usano gli altri. Dicono: Non ho peccato io, ha peccato il popolo delle tenebre. Ma chi è questo popolo delle tenebre? Un popolo che fece guerra a Dio. E allora? Quando tu pecchi, pecca questo popolo? Certamente, rispondono, e ciò in quanto io sono mescolato con esso " 5.
Non c'è bisogno di esporre più a lungo la dottrina manichea. Basta quanto si è detto per capire l'atteggiamento, che qui interessa, di Agostino, il quale prima accettò e poi, faticosamente, si liberò da un determinismo tanto insidioso; insidioso perché comodo anche se, insieme, distruttivo; comodo per il fatto che liberava l'uomo dalla responsabilità del peccato; distruttivo, per il fatto che, privandolo della parte più profonda e più nobile di sé, la libertà - " lo maggior don che Dio fesse creando " (Dante) -, lo riduceva ad un automa, ad un campo di battaglie non sue, ma che si combattevano in lui.

2. Agostino accetta l'antropologia manichea

Può sembrare strano, ma è così: Agostino accettò questa dottrina. Ecco le sue parole: " Ero tuttora del parere che non siamo noi a peccare, ma un'altra, chissà poi quale natura pecca in noi. Lusingava la mia superbia l'essere estraneo alla colpa, il non dovermi confessare autore dei miei peccati affinché tu guarissi la mia anima rea di peccato contro di te. Preferivo scusarla accusando un'entità ignota, posta in me stesso senza essere me stesso " 6.
" Ero tuttora del parere... ". Questa dottrina l'aveva accettata sin dall'inizio. L'angosciosa domanda: unde malum? su cui i manichei intessevano il loro insegnamento e la loro propaganda, che l'aveva tormentato molto nella sua adolescenza e che lo gettò, stanco di cercare, nelle loro braccia 7, riguardava non solo il male che l'uomo soffre, ma anche - e forse principalmente - il male che l'uomo fa. Per liberarlo dalla consapevolezza di questo male, la risposta manichea era seducente. Se anche non credeva che fosse vera, Agostino volle che lo fosse. " Finii per approvare qualsiasi cosa dicessero, non perché capissi che era vero, ma perché desideravo che lo fosse " 8. Accettarla fu facile, difficile il liberarsene.

3. Si libera dall'antropologia manichea

Faticosamente, ma se ne libera. Come? Attraverso una constatazione interiore, l'esperienza personale. Egli avverte, prima timidamente e poi con fermezza, che quando vuole o non vuole è lui a volere, non un altro. " Una cosa mi sollevava verso la tua luce: la consapevolezza di possedere una volontà non meno di una vita. In ogni atto di consenso o rifiuto ero certissimo di essere io, non un altro, a consentire o rifiutare; e qui era la causa del mio peccato, lo vedevo sempre meglio " 9.
Siamo agli inizi d'una salutare constatazione. Presto diventerà certezza. Quando, poco dopo, lotterà con se stesso per prendere una difficile decisione (quella di abbandonare ogni speranza terrena, anche la speranza di formarsi una famiglia), e sente in sé un terribile conflitto tra la volontà nuova che vuol sovrastare la volontà vecchia ma non riesce perché non lo vuole completamente, scrive: " Io, mentre stavo deliberando per entrare finalmente al servizio del Signore Dio mio, come da tempo avevo progettato di fare, ero io a volere, io a non volere, ero io e io. Né pienamente volevo, né pienamente non volevo. Da questo fatto nasceva la lotta con me stesso, la scissione di me stesso, scissione che, se avveniva contro la mia volontà, non dimostrava però l'esistenza di un'anima estranea, bensì il castigo della mia " 10. La lotta tra la carne e lo spirito ( Gal 5,17) non ha una causa ontologica come volevano i manichei - presenza di due anime o due nature nell'uomo -, ma una causa teologica (peccato originale) e una psicologica (tendenza al male e volontà di bene). Agostino lo ridirà mille volte durante la controversia pelagiana 11.
Dopo questa dura esperienza personale si comprende perché egli, parlando al suo popolo, insista tanto sulla responsabilità personale nei confronti del peccato. Chi pecca non deve cercare scuse, ma deve dire soltanto: " Dio mi ha creato con il libero arbitrio: se ho peccato, io ho peccato... io, io, non il fato, non la fortuna, non il diavolo... " 12. E altrove quasi con le stesse parole: " Il peccatore che si converte a Dio e vuol lodarlo dice: Ho peccato io, non la sorte, non il fato, non il popolo delle tenebre " 13.

4. Combatte l'antropologia manichea

L'azione che Agostino intraprese per chiarire ai manichei, suoi antichi correligionari, le nuove convinzioni che aveva acquisito cominciò molto presto e non durò poco. Cominciò qui a Roma, continuò a Tagaste, terminò ad Ippona verso il 400. Per l'argomento che qui ci riguarda le opere principali sono: il De libero arbitrio e il De duabus animabus contra manichaeos.
1) Il libero arbitrio. Nella prima, cominciata qui a Roma e terminata 14 a Ippona, la tesi di fondo è questa: il male deriva dal libero arbitrio. Si tratta del male che l'uomo fa, non di quello che subisce 15. Anche questo deriva dal libero arbitrio, ma da quello del primo uomo. Il discorso diverrebbe più lungo. Agostino lo farà contro i pelagiani 16. Qui ha in vista il male che l'uomo fa peccando, una questione che lo turbava già prima che incontrasse i manichei 17. Questo dipende dal libero arbitrio, non da una natura contraria, presente nell'uomo. Ragione: altrimenti Dio non potrebbe giudicarlo giustamente. " Le azioni malvagie sono punite dalla giustizia di Dio. Ma non sarebbero punite giustamente se non fossero compiute con un atto di libera volontà " 18, cioè liberamente. Si noti questa ragione: essa tornerà fino al termine della sua vita in tutta la controversia sulla grazia 19. Posta questa ragione, l'opera è tutta intenta a definire la natura della libertà e la natura del peccato, che restano tali nonostante la prescienza di Dio e le passioni dell'uomo.
La libertà è nella volontà come un " cardine " che le permette di volgersi da una parte o dall'altra. Infatti " se il movimento con cui la volontà si volge qua e là non fosse volontario e posto in nostro potere, non si dovrebbe approvare l'uomo quando torce verso l'alto il perno, per così dire, del volere e non si dovrebbe rimproverare, quando lo torce verso il basso " 20.
Nel testo citato c'è un'equazione che va messa in rilievo: se l'atto non fosse volontario e se non fosse in nostra positus potestate. Questo vuol dire che l'atto volontario o libero e atto in nostro potere dicono la stessa cosa. Ora un atto è in nostro potere quando lo poniamo se lo vogliamo, non lo poniamo se non lo vogliamo. Non è in nostro potere nisi quod cum volumus facimus 21. Concetto questo che Agostino ripete in un'importante opera della controversia pelagiana, il De spiritu et littera: " Si dice che ciascuno ha in potere ciò che fa se vuole e non fa se non vuole " 22.
La libertà dunque suppone il dominio dei propri atti, suppone la scelta, la decisione, l'autodeterminazione. Anzi volontà e libertà coincidono. Infatti " nulla è tanto in nostro potere quanto la stessa volontà " 23. " Perciò la nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere. Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera " 24.
Conforme alla nozione della libertà è la nozione del peccato. Non è peccato fare ciò che non si può evitare. Ecco il ragionamento agostiniano: " Non si può ragionevolmente imputare un peccato, se non a chi pecca. Quindi ragionevolmente si imputa soltanto a chi vuole " 25. " Qualunque sia la causa della volontà, se non è possibile resisterle, si cede ad essa senza peccato; se è possibile, non le si ceda e non si peccherà. Ma forse può ingannare un incauto? Dunque si guardi per non essere ingannato. Ma ha tanto potere d'ingannare che proprio non è possibile guardarsene? Se è così, non si danno peccati. Non si pecca in condizioni che è assolutamente impossibile evitare " 26.
Di questi testi si serviranno i pelagiani contro lo stesso Agostino, ma questi risponde e spiega. Qui si tratta del peccato personale, non di quello originale che è insieme peccato e pena del peccato, né, difendendo la libertà, si nega la necessità della grazia 27.
2) Le due anime contro i manichei. L'opera fu scritta, ad Ippona, da Agostino appena sacerdote. Prende in esame, direttamente, la tesi manichea delle due anime. Vi ritroviamo la stessa ragione per la difesa della libertà: il giudizio divino che condannerebbe ingiustamente chi non ha peccato. " Tutti ammettono che le anime cattive vengono condannate giustamente, mentre verrebbero condannate ingiustamente quelle che non hanno peccato " 28. Vi troviamo altresì la stessa nozione della libertà e del peccato.
Ecco la prima: " La volontà è un movimento dell'animo, esente da ogni costrizione, per non perdere o per acquistare qualcosa " 29. Esente da ogni costrizione: è il punto essenziale. Non si può insieme volere e non volere; perciò dove c'è la costrizione non c'è il volere ma il non volere, che è il suo opposto. Volere per costrizione o volere invitus è un non senso, un volere senza volere. Mentre " chiunque agisce volontariamente, agisce senza costrizione, e chiunque è esente da costrizione o agisce volontariamente o non agisce affatto " 30.
Ecco la seconda: " Il peccato è la volontà di ritenere e di conseguire ciò che la giustizia vieta e da cui ci si può liberamente astenere. Benché se non c'è la libertà, non c'è la volontà " 31. Per confermare questa sua definizione si appella al consenso del genere umano. Continua infatti: " Non è questo forse che cantano i pastori sui monti, i poeti nei teatri, gli indotti nei circoli, i dotti nelle biblioteche, i vescovi nei luoghi sacri, il genere umano nell'orbe terrestre? " 32.
Si noti di nuovo l'identificazione tra libertà e volontarietà. Nella definizione riportata Agostino ha voluto inserire il primo termine invece del secondo per offrire un'idea più facile perché meno sottile: malui grossius quam scrupolosius definire 33. Ma questa identificazione pone qualche problema di cui parlerò in seguito 34. Per ora basti ricordare che la nozione della libertà, legata essenzialmente a quella di responsabilità e perciò di giustizia, Agostino la difenderà non solo contro i manichei, ma anche nel bel mezzo della controversia pelagiana. Questa volta con argomenti non più filosofici ma teologici. Lo vedremo. Intanto è utile e importante vedere come l'abbia difesa contro il fatalismo, tanto diffuso negli ambienti culturali del tempo, e non solo allora.

CAPITOLO SECONDO

DIFESA DELLA LIBERTA' CONTRO IL FATALISMO

Il fatalismo è un'altra forma di negazione della libertà, diversa da quella dei manichei ma non meno grave; anzi, occorre dire, più grave, perché, se quella toglieva la responsabilità al singolo per attribuirla al principio cattivo, questa la toglieva all'universo per sottomettere la totalità dei fatti a una causa inflessibile che tutto determina: l'uomo, il cosmo, gli dèi. Una dottrina ampia e complessa che occupava lo spazio che nell'insegnamento cristiano è occupato dalla Provvidenza.
I trattati De fato sono numerosi nella letteratura greco - romana e non c'è bisogno di ricordarli qui 1. Tra essi quello di Cicerone, più vicino ad Agostino. Questi non poteva non intervenire, e intervenne; non solo per una ragione teorica - egli aveva fatto della Provvidenza, in cui sempre credette 2, il punto focale del suo pensiero -, ma anche per una ragione personale: in gioventù era stato vittima d'una forma di fatalismo, quello astrologico, cui aderì e da cui si liberò. Vediamo dunque per primo questo aspetto.

1. Fatalismo astrologico

Un particolare non molto conosciuto dell'animo del giovane Agostino è la sua fiducia nelle previsioni degli astrologhi o, com'egli dice, dei " matematici ". Questi, studiando gli influssi stellari sul mondo e sull'uomo, predicevano il futuro e negavano di fatto la libertà umana, in particolare la responsabilità nel peccato. " Dicevano: Dal cielo ti viene la causa inevitabile del peccato, e: E' opera di Venere, oppure di Saturno, oppure di Marte; evidentemente per rendere l'uomo senza colpa " 3. La loro dottrina, così spiega Agostino al popolo, altro non è che una difesa del peccato. " Sarai adultero, perché tale hai Venere, sarai omicida perché tale hai Marte. Marte dunque è omicida, non tu; Venere è adultera, non tu " 4.
Nella Città di Dio parla lungamente di questa concezione deterministica, che trasferisce alle stelle le sorti e le responsabilità degli uomini, ne ricorda le diverse espressioni, ne confuta le affermazioni. Quando gli uomini sentono parlare di fato " lo intendono secondo l'accezione comune come l'influsso della posizione degli astri quale si determina al momento della nascita o del concepimento " 5. Osserva poi che, " secondo l'opinione di uomini non mediocremente dotti, le stelle sono segni più che cause degli avvenimenti, quasi un linguaggio che annuncia il futuro, non lo realizza. I 'matematici' però - continua -, non intendono questo, e non dicono: Questa posizione di Marte indica un omicidio, ma: Commette un omicidio " 6. L'opinione qui ricordata era stata di Plotino, il quale, distinguendo tra annunzio e realizzazione, voleva mettere in salvo la libertà umana 7.
Ma da giovane Agostino non conosceva queste sottigliezze filosofiche: la sua adesione alle previsioni degli astrologhi fu piena e tenace. Pur decisamente avverso alle pratiche degli aruspici, i quali con sacrifici di animali proclamavano di assicurare il futuro 8, non desisteva dal consultare gli astrologhi che predicevano il futuro senza praticare sacrifici o pregare spiriti 9.
Da questa fiducia non lo ritrassero né le amabili esortazioni del dotto e nobilissimo Vindiciano che, quale proconsole, a Cartagine gli aveva messa sul capo la corona vinta nelle gare poetiche, né le amichevoli derisioni di Nebridio. Più di tutto valeva per lui l'autorità di quegli autori, né del resto, aggiunge, " avevo trovato ancora una prova certa, quale cercavo, che mi mostrasse senza ambiguità come le predizioni degli astrologhi consultati predicessero il vero per fortuna o sorte, non per l'arte di osservare le stelle " 10.
Questa ragione la troverà a Milano dopo una conversazione con l'amico Firmino, educato nelle arti liberali e buon parlatore, ma anche solerte nel consultare gli astrologhi e ricercatore avido di responsi. Era andato a trovare Agostino perché gli traesse l'oroscopo su certi suoi interessi. Agostino fece qualche previsione e poi disse che ormai era pressoché convinto della ridicola vanità di quelle pratiche. Firmino allora gli raccontò quanto era accaduto a suo padre e ad alcuni suoi amici grandi cultori, anch'essi, di astrologia; cioè degli oroscopi che avevano tratto su due bambini, nati nello stesso istante, uno da una padrona l'altro da una schiava; oroscopi uguali, data la simultaneità della nascita, ma che riuscirono fallaci perché la sorte dei due fu molto diversa.
Questa narrazione, data l'autorità del narrante, fece cadere ogni esitazione in Agostino e lo indusse a tirare questa conclusione: " I responsi veritieri ricavati dall'osservazione delle costellazioni non derivano dall'arte, ma dalla sorte; i falsi non da ignoranza dell'arte, ma da inganno della sorte " 11.
Si confermò nell'avversione a quelle ridicole vanità, cercò di dissuaderne l'amico che ne era ancora impigliato e si diede a studiare tutta la faccenda per essere in grado di rispondere alle obiezioni dei cultori di astrologia che non si davano facilmente per vinti. Studiò in particolare il caso dei gemelli 12, un caso classico per tutti gli oppositori di quella falsa scienza 13. Per il pensatore cristiano c'era l'esempio biblico di Esaù e Giacobbe, due gemelli che ebbero sorte tanto diversa. Agostino vi ricorre ogni volta che deve confutare quest'errore tanto superstizioso e pur tanto diffuso.
Oltre che nelle Confessioni, delle quali si è detto, lo confuta nelle Diverse 83 questioni 14, nella Dottrina cristiana 15, nella Genesi alla lettera 16 e, più a lungo, nella Città di Dio 17 e nella Epistola 246. Dovunque lo bolla come " un grande errore e una grande pazzia " 18, adduce in contrario l'esempio dei gemelli e ne ricorda le disastrose conseguenze per la vita etica dell'uomo. Perciò " quanto concerne i fati e tutte le sottigliezze quasi da documenazioni sperimentali dell'astrologia che chiamano apotelesmata 19, respingiamolo totalmente come alieno dall'integrità della nostra fede " 20. Ed enumera, nella Genesi alla lettera, quattro ragioni: 1) toglie la ragione stessa della nostra preghiera; 2) sopprime la giusta punizione della colpa; 3) afferma che gli uomini soli siano sottomessi agli astri; 4) tira, data l'impossibilità di precisare il momento della nascita, conclusioni senza fondamento 21.
Nella Città di Dio la confutazione diventa più lunga perché la tesi da dimostrare è più impegnativa. Si trattava della causa della grandezza dell'Impero romano. Agostino afferma che questa grandezza non fu " né fortuita né fatale, secondo la terminologia di coloro che consideravano fortuiti gli eventi che non hanno alcuna causa e non provengono da un ordinamento razionale, fatali quegli eventi che per deterministica necessità di un ordinamento si verificano indipendentemente dal volere di Dio e degli uomini. Al contrario gli imperi umani sono determinati direttamente dalla divina Provvidenza " 22. Occorreva perciò respingere tanto l'assoluta contingenza o il caso, quanto l'assoluta necessità o il fato. In quanto al fato, prima di tutto quello di origine stellare. Agostino ne descrive la natura, ricorda alcuni autori che ne hanno parlato - il famoso medico Ippocrate, Posidonio di Apamea, Nigidio il Figulo, Cicerone - ne mostra le vanità e le disastrose conseguenze, ne adduce gli argomenti in contrario - tra questi quello dei gemelli 23 - e ne conclude: " Dopo queste considerazioni si può fondatamente pensare che i molti responsi stranamente veri degli astrologhi sono dovuti all'occulta suggestione di spiriti del male... e non all'arte di leggere e scrutare l'oroscopo, che non esiste " 24.
Questa conclusione, se si prescinde dall'accenno alla suggestione degli spiriti del male - forse ha preferito questa spiegazione perché l'altra, quella della causa fortuita, gli presentava altri problemi -, contiene l'ultimo giudizio di Agostino sull'astrologia come arte divinatoria: non esiste. Vi era peró un altro fatalismo che occorreva prendere in considerazione: non più quello degli astrologhi, ma quello dei filosofi.

2. Fatalismo filosofico

E' quello non più legato alla posizione degli astri, ma " alla serie e alla connessione di tutte le cause per cui accade tutto ciò che accade " 25. Non più dunque la dipendenza dagli astri, ma il nesso ordinato di tutti i fenomeni che assoggetta alla necessità e determina tutte le cose. Un fatalismo molto presente nella filosofia antica - e non solo in quella -, che raggiunse la forma coerente e rigida - così si ritiene - nello stoicismo con la dottrina dell'ananke e con l'amor fati di cui la prima rappresenta la connessione necessitante delle cause, il secondo l'atteggiamento dell'uomo sapiente.
Agostino, che conosce gli stoici ed è molto contrario a diverse loro dottrine (alla nozione delle passioni 26, all'uguaglianza dei peccati 27, alla nozione della beatitudine 28 ), su questo argomento dà un'interpretazione benevola. Egli ritiene che essi attribuiscano l'ordine e il nesso delle cause al volere e al potere di Dio; perciò non trova necessario polemizzare su una controversia di parole 29. Poco prima aveva scritto: " se qualcuno chiama fato il volere e il potere di Dio, sententiam teneat, linguam corrigat " 30. Non vuole usare la parola fato, ma vuole discutere sul contenuto. A lui basta che l'ordine delle cause venga attribuito a Dio " del quale si ritiene con fede veracissima ed ottima che conosca tutte le cose prima che avvengano, che nulla lasci fuori dell'ordine e che da lui dipendono tutti i poteri, ma non il volere di tutti " 31. Con quest'ultimo inciso Agostino ribadisce una importante distinzione tra potere, che viene da Dio, e volere che, se ha per oggetto il male, non viene da Dio, ma solo dall'uomo. Tornerò subito sull'argomento, perché vi tornerà lo stesso Agostino.
Per dimostrare che gli stoici ascrivono al sommo Dio la connessione delle cause, cita le parole di Seneca, quelle celebri: ducunt volentem fata, nolentem trahunt, che nel contesto vengono riferite al " sommo padre e dominatore dell'alto cielo " 32. Cita altresì le parole di Omero, ricordate e tradotte da Cicerone: " lo spirito degli uomini è come la luce con cui Giove padre illumina la terra feconda " 33. Citando queste parole i filosofi dichiararono apertamente " la loro dottrina sul destino, perché consideravano Giove come il sommo Dio da cui, secondo loro, dipende la connessione dei destini " 34. Difatti " gli stoici si affaticarono per esimere dalla necessità delle cause alcune realtà. Fra quelle che considerarono libere dalla necessità hanno posto anche le nostre volontà perché non sarebbero libere se fossero soggette alla necessità " 35.
Agostino distingue, poi, le cause fortuite, quelle naturali, quelle volontarie; le prime sono, sì, cause ma nascoste (da qui il nome di caso o fortuna), le seconde sono necessitanti ma non sono sottratte alla volontà di Dio " perché egli è autore e principio di ogni natura ", le ultime - le cause volontarie - " sono o di Dio o degli angeli o degli uomini... ". " Quando parlo della volontà degli angeli, intendo tanto di quelli buoni che chiamiamo semplicemente angeli di Dio, come di quelli cattivi che chiamiamo angeli del diavolo o anche demoni. Altrettanto si dica degli uomini tanto dei buoni come dei cattivi " 36.
Sempre sollecito di salvare il sommo potere di Dio e la libertà dell'uomo (e degli angeli) Agostino conclude: " Nella volontà di Dio è il sommo potere, il quale aiuta le volontà buone degli spiriti creati, giudica le cattive, le ordina tutte - bonas voluntates adiuvat, malas iudicat, omnes ordinat - e ad alcune concede i poteri ad altre no ". Ripete qui, e spiega, il principio ricordato sopra che esime dalla causalità di Dio le volontà cattive. " Dio come è creatore di tutte le nature, così è datore di tutti gli influssi causali, ma non di tutti i voleri. Il volere cattivo infatti non è da lui perché è contro la natura che è da lui " 37. Avremo occasione di ricordare e di illustrare questo fondamentale principio agostiniano che illumina tutta la non facile dottrina della predestinazione e della grazia 38. Intanto vediamo la difesa della libertà contro un'altra forma di fatalismo o determinismo, quello teologico.

3. Fatalismo (o determinismo) teologico

Intendo per fatalismo o determinismo teologico quello che deriverebbe secondo alcuni, che poi non sono pochi, dalla prescienza divina, nella quale tutto è presente, anche il futuro delle nostre libere azioni. Come dunque libere se determinate? La difficoltà è ovvia; sa proporla e la propone chiunque, anche l'uomo della strada. Agostino non poteva ignorarla. La propone infatti e la risolve nel Libero arbitrio e nella Città di Dio, ivi in sede teorica, qui in sede storica; ivi dialogando con Evodio che rappresenta, per così dire, l'uomo della strada, qui confutando Cicerone, il quale, per salvare la libertà dell'uomo, non aveva trovato di meglio che negare la prescienza divina.
1) Ecco, nel Libero arbitrio, la difficoltà di Evodio: " Non veggo ancora in che modo non si escludano questi due termini: la prescienza divina dei nostri peccati e il nostro libero arbitrio nel peccare. Dobbiamo infatti innegabilmente ammettere che Dio è giusto e previdente. Ma vorrei sapere con quale giustizia punisca peccati che si commettono per necessità, o come non per necessità si verifichino eventi di cui ha prescienza che avvengano, o come non si debba imputare al Creatore tutto ciò che nella sua creatura avviene per necessità " 39.
La difficoltà di fondo è chiara: libertà e prescienza divina appaiono inconciliabili. Dunque la seconda toglie la prima. Ma se non c'è la libertà, come può esserci la giustizia quando Dio giudica il peccatore? Di nuovo una conclusione che esprime una preoccupazione dominante di Agostino e una tesi di fondo della sua antropologia: se l'uomo non è libero, non può essere giudicato giustamente. Il discorso tornerà a proposito della condanna dei reprobi. Ma per ora ascoltiamo la risposta alla difficoltà di Evodio.
Agostino osserva prima di tutto che prescienza non vuol dire costrizione. Infatti se per ipotesi uno sapesse con certezza ciò che farà un altro nel futuro, questi non sarebbe determinato a farlo dalla prescienza dell'altro. " Come dunque non sono opposti questi due termini, che tu per tua prescienza sai ciò che un altro compirà con la propria volontà, così Dio, sebbene non costringe nessuno a peccare, prevede però coloro che per propria volontà peccheranno " 40.
Ma perché non si pensasse che il ragionamento partiva da un'ipotesi impossibile, porta per esempio la memoria. Dice: " Come tu con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri. E come tu ricordi alcune azioni che hai compiute, così Dio ha prescienza di tutte le cose, di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose, di cui ha prescienza " 41.
La conclusione non poteva essere che questa: " Perché dunque Dio non dovrebbe punire con la giustizia le azioni che non ha condizionato con la prescienza? Pertanto quorum non est malus auctor, iustus est ultor: è giusto punitore di tutte le azioni di cui non è ingiusto autore " 42.
Ma prima di passare alla Città di Dio, dove non si tratta più di una difficoltà accademica ma di una difficoltà storica, vale la pena di mettere in rilievo un'espressione su cui bisognerà tornare perché ci ritorna il nostro dottore: Dio ha la prescienza di tutte le cose di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose di cui ha la prescienza. Si tratta, come si vede, della distinzione tra predestinazione e prescienza, per cui la seconda può essere, e di fatto è, quando v'è di mezzo il peccato, senza la prima: distinzione fondamentale per capire la dottrina agostiniana della grazia e che molti critici dimenticano o, peggio ancora, accusano il vescovo d'Ippona di averla ignorata dando occasione ad interpretazioni errate della sua dottrina 43. Ma per ora andiamo avanti e vediamolo difendere insieme libertà e prescienza contro Cicerone.
2) Cicerone è un deciso avversario del fatalismo e combatte contro gli stoici, ma ritiene che nessun argomento è valido contro di loro se non si elimina la divinazione, e con ciò la conoscenza del futuro e la prescienza di Dio. Agostino, che conosce bene le opere di Cicerone, attinge al De fato, al De divinatione e al De natura deorum 44. Ne conclude che egli " combatte apertamente la prescienza del futuro. E, come sembra, tutto il suo impegno consiste nel non ammettere il fato per non negare la libera volontà. Pensa infatti che data la premessa della conoscenza del futuro si ha la conclusione assolutamente innegabile dell'esistenza del fato " 45.
Al filosofo di Arpino premeva difendere la libertà, senza la quale, osserva giustamente: " omnis humana vita subvertitur, tutta la vita umana viene sconvolta, è inutile fare le leggi, è inutile usare punizioni e lodi, rimproveri e consigli e contro ogni giustizia sono stabiliti premi per i buoni e pene per i cattivi " 46.
Agostino è d'accordo nella difesa della libertà, ma non nella negazione della prescienza divina: il dilemma posto da Cicerone non è un dilemma. Negare a Dio la prescienza del futuro è lo stesso che negare l'esistenza di Dio: un Dio senza prescienza non è Dio 47. Ma l'esistenza di Dio non si può ragionevolmente negare, né a Dio si può negare la prescienza del futuro, come pure non si può negare, senza misconoscere un fatto di esperienza ed accettare disastrose conseguenze, la libertà dell'uomo. Cicerone ha voluto rendere gli uomini liberi, bene; ma li ha resi sacrileghi, e qui sta il male: dum vult facere liberos, fecit sacrilegos 48. Resta dunque il dovere di non scegliere, trasformando il falso dilemma ciceroniano in un vero binomio cristiano: libertà e prescienza. " Una coscienza religiosa sceglie l'uno e l'altro, ammette l'uno e l'altro, mediante la pietà fedele afferma l'uno e l'altro. E come? " 49. Agostino risponde dimostrando che le ragioni di Cicerone sono false e che, perciò, libertà e prescienza non sono inconciliabili. " Noi - dice egli - sosteniamo che Dio conosce tutte le cose prima che avvengano e che noi facciamo con la nostra volontà tutte le azioni che abbiamo coscienza e conoscenza di fare soltanto perché lo vogliamo... Non neghiamo però la serie delle cause in cui la volontà di Dio ha il massimo potere... " 50, ma affermiamo, riassumo le parole agostiniane, che nella serie delle cause ci sono anche quelle della libera decisione dell'uomo. L'ho ricordato sopra. Ecco le parole conclusive del nostro dottore: " Se davanti a Dio è certo l'ordine di tutte le cause, non ne segue che nulla è in potere dell'arbitrio della nostra volontà. Anche le nostre volontà rientrano nell'ordine delle cause che sono certe davanti a Dio e sono contenute nella sua prescienza, perché anche le nostre volontà sono causa di azioni umane. Così egli che ha avuto prescienza delle cause di tutti gli avvenimenti non ha potuto certamente non conoscere in quelle cause anche la nostra volontà di cui sapeva per prescienza che sarebbe stata causa delle nostre azioni " 51.
Ritroviamo l'Agostino del De libero arbitrio, con l'aggiunta che qui si trattava di combattere con un " uomo eccellente e dotto che molto e con competenza si preoccupava per la vita umana " 52. Anche il vescovo d'Ippona ne era preoccupato, ma non lo era meno di affermare la prescienza di Dio. " Noi cristiani - scrive - accettiamo l'uno e l'altro, affermiamo per fede e ragione l'uno e l'altro, la prescienza per credere bene, l'arbitrio per vivere bene ".
Il dilemma dunque è trasformato in binomio. " Non sia mai che noi, per salvare il libero volere, neghiamo la prescienza di Dio con il cui aiuto siamo o saremo liberi ". Non sono inutili le leggi, i premi e i castighi, non inutili le preghiere per ottenere ciò che Dio ha previsto di concedere; anzi influiscono molto, perché Dio ha previsto che avrebbero influito.
In quanto poi al peccato, che è sempre l'argomento più difficile perché richiama la giustizia di Dio che lo giudica e lo punisce, ecco l'affermazione e la spiegazione di Agostino: " L'uomo non pecca perché Dio ha conosciuto per prescienza che avrebbe peccato. Anzi è innegabile che pecca, quando pecca, perché Dio, la cui prescienza non può fallire, non ha conosciuto per prescienza che il fato o la fortuna o qualcos'altro di simile, ma che proprio l'uomo avrebbe peccato. Se l'uomo non vuole, certamente non pecca, ma se non vorrà peccare, anche questo Dio ha conosciuto per prescienza " 53.
In questo modo il vescovo d'Ippona combatte contro il fatalismo in difesa della libertà e contro la miscredenza in difesa della prescienza divina. Vale la pena di osservare che l'opposizione tra l'una e l'altra non fu solo Cicerone a vederla; la vide nei tempi moderni anche Lutero. E, contrariamente a quanto aveva fatto Agostino, anche Lutero scelse. Ma, da uomo religioso qual era, non scelse la libertà contro la prescienza, ma la prescienza contro la libertà 54, tornando a una forma di fatalismo o determinismo teologico che il vescovo d'Ippona aveva tanto combattuto.

4. Strana sorte di Agostino

La sorte strana è questa: un uomo come lui, che aveva difeso con tanta convinzione e tenacia la libertà umana contro ogni forma di fatalismo, e non solo nella controversia manichea, ma anche nel bel mezzo di quella pelagiana 55, è accusato di fatalismo. Ad accusarlo furono i pelagiani e i semipelagiani, e sono i moderni critici. Perché? Per la sua dottrina della grazia, in particolare per la difesa della gratuità di essa. L'affermazione che la salvezza è un dono di Dio è parsa a molti un ritorno al fatalismo. Così i pelagiani sostennero che Agostino difendeva il fato sotto il nome di grazia: sub nomine gratiae ita fatum asserunt... 56. Enunziarono poi l'affato: si compie per fato ciò che non si compie per merito. " E' vostra, non nostra, la sentenza - scrive Agostino - fato fieri quod merito non fit " 57. La stessa accusa, e in sostanza per la stessa ragione, presso i semipelagiani 58. La stessa presso i moderni critici 59. Altri poi, i predestinaziani, hanno preso per buone queste accuse e le hanno trasformate in lodi.
Ma non è questo il momento d'intrattenerci sul tema indicato. Basta averlo accennato, per offrire al lettore l'opportunità di avere subito un'idea di ciò che è capitato al dottore della grazia. E' utile invece continuare a seguirlo nella difesa della libertà. Fin qui ha difeso una verità, che è insieme di fede e di ragione, con le armi della ragione. Vediamo ora come la difenda con quelle della fede, cioè della Scrittura, trasformandosi da filosofo in teologo della libertà.

CAPITOLO TERZO

LA LIBERTA' DI SCELTA

Nel forte della controversia pelagiana, lungi dal negare la libertà per difendere la grazia, come spesso e, bisogna pur dirlo, con tanta superficialità si afferma ripetendo pari pari le accuse dei pelagiani, Agostino diventa il teologo della libertà, non solo della libertà dal male o libertà cristiana, di cui è convinto assertore e inesauribile cantore, ma anche della libertà di scelta, quella che aveva difeso contro i manichei e contro il fatalismo: la grazia che dona la prima, non toglie la seconda. Parliamo dunque di questa. Non faccia meraviglia il cambiamento di argomentazione: erano cambiati gli interlocutori. Questi ammettevano la Scrittura e ne accettavano l'autorità. Era dunque metodologicamente esatto e polemicamente efficace combattere non più con le armi della ragione, ma con quelle della Scrittura. Del resto, parlando a cristiani, Agostino voleva far capire che, difendendo la libertà e la grazia, non diceva nulla di suo, ma attingeva esclusivamente alla fonte della Rivelazione.

1. L'utrumque o il grande binomio.

Fin dall'inizio della controversia pelagiana imposta il problema sui termini fissi di libertà e grazia. Questa impostazione non fu più cambiata, anzi fu continuamente ribadita e chiarita. L'insegna dunque della sua dottrina è l'utrumque che tante volte ripete. Studiamola alla luce di quest'insegna e non sbaglieremo ad interpretarla. Come nella questione della libertà e della prescienza non scelse, ma affermò l'una e l'altra, dimostrando poi che non sono inconciliabili, così qui afferma l'una e l'altra - libertà e grazia - e indica poi, sia pure con grande modestia data la profondità dell'argomento, la via per vederne, in qualche modo, la conciliabilità. Di questa si parlerà a suo luogo nelle pagine seguenti 1. Qui interessa prima di tutto esaminare le due tesi di fondo. Parliamo innanzitutto della libertà. Forse ci stupiremo dell'insistenza di Agostino. Ma egli prevedeva o sentiva le difficoltà degli avversari. Del resto, anche senza di essi non avrebbe taciuto; non poteva infatti tacere di una verità fondamentale e insostituibile dell'antropologia umana e dell'economia della salvezza.
L'utrumque si trova già nella celebre preghiera delle Confessioni: Da quod iubes, et iube quod vis 2 che tanto dispiacque a Pelagio 3. V'è in essa l'espressione breve ed efficacissima della necessità della grazia e della disponibilità dell'uomo a compiere i divini comandamenti.
Nelle prime opere antipelagiane ribadisce questo concetto e ne indica il fondamento biblico. Vale la pena di riportare un lungo passo del Castigo e perdono dei peccati, che tra le prime è la prima. Vi s'insiste insieme sui comandi che Dio dà all'uomo e sulla preghiera dell'uomo che implora la grazia per osservarli: col comando Dio interpella la volontà dell'uomo, con la preghiera l'uomo ricorre alla misericordia di Dio. " Quando Dio ci comanda: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, e noi gli diciamo: Convertici, o Dio, nostro Salvatore, convertici Dio degli eserciti, che altro diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Cercate di capire, o insensati del popolo, e noi gli diciamo: Dammi l'intelligenza perché io capisca la tua legge, che altro gli diciamo, se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Non andare dietro alle tue concupiscenze, e noi gli diciamo: Sappiamo che nessuno può essere continente se Dio non glielo concede, che altro diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Praticate la giustizia, e noi gli diciamo: Ammaestrami nella tua giustizia, che altro gli diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? " 4.
Quasi a conclusione di questo ricamo biblico sul da quod iubes, e iube quod vis, un commento molto opportuno alle parole del Salmo: Dio è nostro aiuto ( Ps 61,9): " Non può essere aiutato se non chi si prova a fare qualcosa anche da sé. Dio infatti non opera in noi la nostra salvezza come se fossimo delle pietre insensibili o dei viventi alla cui natura egli non abbia dato la ragione e la volontà " 5. L'esempio, efficacissimo, illumina e conferma l'insegnamento: Dio ha dato all'uomo la libera volontà e, nel condurlo alla salvezza, tiene conto di questo suo dono.
La preghiera delle Confessioni - ad Agostino gli stava proprio a cuore per la sua brevità ed efficacia - torna nella seconda opera della controversia pelagiana, lo Spirito e la lettera, dove si discorre a lungo della legge delle opere che comanda (lettera) e della legge della fede che implora la grazia di fare quello che viene comandato (spirito). " Dove la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impera credendo... Perciò con la legge delle opere Dio dice: 'Fa' quello che comando', con la legge della fede si dice a Dio: Da' quello che comandi. Infatti la legge comanda perché la fede ammonisca l'uomo su ciò che deve fare, di modo che colui che riceve il comando, se non può ancora fare, sappia a chi chiedere... " 6.
Ma perché nessuno pensi che questo binomio - libertà e grazia - sia stato enunciato solo nelle prime opere antipelagiane e fatto cadere poi, ecco tre opere che coprono l'ultimo periodo della vita di Agostino, dal 400 alla morte. Si tratta della Risposta alle lettere di Petiliano, delle Ritrattazioni (426-427) e dell' Opera incompiuta contro Giuliano (429-430). Dice nella prima, dopo aver ricordato la difficoltà di conciliare la libera scelta dell'uomo e l'azione divina con cui il Padre trae gli uomini al Figlio: " Eppure utrumque verum est " 7.
L' utrumque torna nelle Ritrattazioni, dove corregge un suo errore giovanile circa l'inizio della fede. Vi ribadisce ciò che aveva difeso apertamente in tante opere. Sia il credere che l'operar bene sono nostri e di Dio, di Dio per la grazia, nostri per il libero arbitrio: utrumque ergo nostrum est propter arbitrium voluntatis et utrumque tamen datum est propter spiritum fidei et caritatis 8.
Quest' utrumque rivelatore ritorna nell'opera che la morte non gli permise di portare a termine. Scrive: " Utrumque verum est e che Dio prepari i vasi per la gloria (cf. Rom 9,23) e che questi vasi preparino se stessi. Infatti perché l'uomo operi, Dio opera, per la ragione che l'uomo ama perché Dio lo ha amato per primo (1 Gv 4,19) " 9. Nell'altra opera scritta poco prima dell'Opera incompiuta, che è, poi, quella più profonda e più difficile di quante ne ha scritte sulla grazia, se non ricorre materialmente l'utrumque, ricorre il senso. Scrive: " I figli di Dio vengono mossi dallo Spirito di Dio ( Rom 8,14), perché agiscano, non perché da parte loro non facciano nulla " 10.

2. La libertà nella Scrittura

Il grande binomio, libertà e grazia, tante volte ripetuto da Agostino prima della controversia pelagiana e dopo, nasceva da una profonda convinzione filosofico-teologica. Perché la convinzione teologica trovasse lo spazio per esprimersi ci voleva un'occasione. Questa gliela offrirono i monaci di Adrumeto; questi, letta la famosa lettera 194, ne conclusero che tra libertà e grazia non c'è possibilità di conciliazione, occorreva scegliere. Essi, manco a dirlo, sceglievano la libertà 11. Agostino lo seppe e rispose, dando, con maggiore ampiezza di quanto non avesse fatto fino allora, le ragioni bibliche del binomio che gli stava a cuore o, per usare ancora una volta la sua espressione preferita, dell' utrumque, e inviò il libro a quei monaci.
La visione teologica agostiniana appare già dal titolo: De gratia et libero arbitrio. Non poteva essere più significativo, precisamente come quello di molti anni prima: De natura et gratia, che dimostrava, contro Pelagio, che aveva scritto il De natura, quale dovesse essere l'atteggiamento del cristiano: non scegliere, ma abbracciare in una visione unitaria l'una e l'altra verità, perché l'una e l'altra ci è stata rivelata da Dio.
Per ciò che riguarda la libertà, ecco la tesi e gli argomenti di Agostino.
1. La tesi. Il Signore " ci ha rivelato per mezzo delle sue sante Scritture che c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà. In qual maniera poi lo abbia rivelato, ve lo ricordo non con le mie parole umane, ma con quelle divine " 12. La tesi è chiara: non meno chiaro il metodo. Parlando a cristiani, Agostino non si attarda ad usare argomenti di ragione ma si appella immediatamente alla fede: chi crede non potrà negarli. Farà lo stesso poco dopo per l'altra verità di fondo, la grazia. " Fin qui, carissimi, abbiamo provato con le testimonianze citate sopra dalle sante Scritture che per vivere bene ed agire rettamente c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà; ma adesso vediamo anche quali siano le testimonianze divine sulla grazia di Dio, senza la quale nulla di buono possiamo compiere " 13.
2. Gli argomenti. Vediamo gli argomenti della prima tesi. Si possono ridurre a tre: 1) le affermazioni esplicite sulla libertà dell'uomo; 2) i precetti della legge che la suppongono e l'includono; 3) il giudizio divino che non s'intenderebbe senza che ci fosse in noi la responsabilità nel compiere il bene e il male.
1) Per le affermazioni esplicite viene citato il celebre passo dell' Ecclesiastico (Siracide) 15, 11-18, dove nel bel mezzo si dice: " Il Signore creò l'uomo all'inizio e lo lasciò in mano del proprio consiglio. Se vorrai, osserverai ciò che ti viene prescritto e la completa fedeltà a ciò che a lui piace ". Questo testo biblico è commentato con le seguenti parole: " Ecco che vediamo espresso nella maniera più lampante il libero arbitrio della volontà umana " 14.
2) L'argomento tratto dai precetti divini è preceduto da questa premessa che, attraverso interrogativi retorici, ne indica la conclusione. " E che significa il fatto che Dio ordina in tanti passi di osservare e compiere tutti i suoi precetti? Come lo può ordinare, se non c'è il libero arbitrio e quel beato di cui il Salmo dice che la sua volontà fu nella legge del Signore, non chiarisce forse abbastanza che l'uomo perdura di propria volontà nella legge di Dio? " 15. Dopo questa premessa il nostro dottore cita una lunga serie di testi - oltre venti - in cui Dio si rivolge all'uomo interpellando la sua volontà con la formula imperativa: non volere... non vogliate, o condizionale: chi vuole... se vuoi... 16.
Al termine questo commento: " Quando si dice: non voler fare questo e non fare quello, e quando negli ammonimenti divini a fare o non fare qualcosa si richiede l'opera della volontà, il libero arbitrio risulta sufficientemente dimostrato. Nessuno dunque, quando pecca, accusi Dio nel suo cuore, ma ciascuno incolpi se stesso; e quando compie un atto secondo Dio, non ne escluda la propria volontà " 17.
Spiega poi per quale scopo vengono dati i comandamenti divini, affinché, cioè, nessuno porti la scusa dell'ignoranza e questa, in ogni caso, non abbia altra ragione se non la volontà di non apprendere per non agire bene (Rom 12,21); cita ancora un testo dell'Apostolo: Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rom 12,21), e conclude: " Appunto se a uno è detto: Non voler essere vinto, si fa richiamo senza dubbio all'arbitrio della sua volontà. Infatti volere e non volere appartengono alla volontà dell'individuo " 18.
3) La terza ragione, dedotta dal giudizio di Dio, nell'opera che sto commentando viene accennata qua e là, mentre la si trova esposta apertamente in una lettera che la precede e la riguarda. Agostino, come fa per molti altri problemi, riduce la questione della libertà e della grazia ad un motivo cristologico: Cristo è salvatore e giudice. Scrive ai monaci di Adrumeto: " Innanzitutto il Signore Gesù, come sta scritto nel Vangelo dell'apostolo Giovanni, è venuto non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui. Ma in seguito, come scrive l'apostolo Paolo: Dio giudicherà il mondo e lo giudicherà quando verrà a giudicare i vivi ed i morti, come confessa tutta la Chiesa nel Simbolo. Se, dunque, non c'è la grazia di Dio, in qual modo Dio salverà il mondo? E se non c'è il libero arbitrio, in qual modo giudicherà il mondo? " 19. Non c'è bisogno di ricordare che questo pensiero del giudizio di Dio dominava l'animo di Agostino: Dio è giusto e non può condannare nessuno se non ha commesso liberamente il male.

3. La risposta ai pelagiani

Sul tema della libertà - la libertà di scelta - Agostino ebbe una forte polemica con i pelagiani. Questi ponevano al centro del loro sistema la difesa della libertà 20. Come emblema della loro dottrina si possono prendere queste parole che furono contestate a Pelagio dal sinodo di Diospoli in Palestina: Tutti sono governati dalla propria volontà. Pelagio rispose: " Questo l'ho detto per il libero arbitrio, al quale Dio presta il suo aiuto nello scegliere il bene. Quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, dotato com'è di libero arbitrio ". I vescovi approvarono la risposta. Agostino commenta: " Chi infatti condannerebbe o negherebbe il libero arbitrio, se insieme ad esso si sostiene l'aiuto di Dio? " 21. Ma il modo col quale i pelagiani ammettevano l'aiuto di Dio era parziale e insufficiente. Il dottore della grazia precisa: non basta parlare di aiuto divino o di grazia solo a proposito della creazione, della rivelazione e della remissione dei peccati; occorre parlarne anche in un quarto modo, a proposito cioè dei peccati da evitare. Infatti senza l'aiuto di Dio non si possono evitare i peccati 22.
Questa dottrina i pelagiani non vogliono accettarla e passano al contrattacco accusando Agostino di negare la libertà. Questi risponde energicamente: " Ma chi di noi dice che col peccato del primo uomo è perito il libero arbitrio del genere umano? La libertà certo è perita per mezzo del peccato, ma quella che ci fu in paradiso, cioè quella di avere la giustizia e l'immortalità. Perciò la natura umana ha bisogno della grazia secondo le parole del Signore: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8,36) " 23. Anche dopo il peccato e nonostante il peccato il libero arbitrio dell'uomo resta. Né la grazia si oppone ad esso, ma lo libera perché possa operare la giustizia e raggiungere la salvezza. Anche nel forte della polemica a favore della grazia non dimentica mai l'altro polo del problema: la libertà.
Possiamo concludere questo importante argomento sul grande binomio che egli tenne sempre strettamente unito come un'esigenza fondamentale della ragione e della fede, con le parole della lettera ad Ilario siracusano, dove scrive, a proposito della libertà e della grazia: " L'arbitrio della volontà non viene tolto per il fatto che viene aiutato, ma viene aiutato proprio perché non viene tolto: Neque enim voluntatis arbitrium ideo tollitur, quia iuvatur; sed ideo iuvatur, quia non tollitur " 24. Queste parole riassumono e fissano in modo epigrafico una dottrina costantemente ritenuta e chiaramente proposta. Da esse si può giudicare se abbia ragione lo Jaspers, che pur ha scritto belle cose su Agostino, quando dice che " la sua dottrina della libera volontà finisce quasi per spegnersi interamente nella dottrina della grazia " 25.

4. Ma allora perché?

A questo punto non ci si può non fermare un momento per fare una riflessione. Se la dottrina agostiniana è questa - e i testi riportati dicono chiaramente che è questa - come si è potuto ripetere con tanta frequenza, e con parole anche più forti dello Jaspers, che Agostino difendendo la grazia ha finito per negare la libertà?
La domanda è legittima, ma la risposta non è facile. Non lo è, perché le ragioni sono molte, e riguardano sia la storia dell'agostinismo sia il testo agostiniano. L'agostinismo ha una storia, come tutti sanno, molto singolare, dovendo registrare interpretazioni da destra e da sinistra: le accuse dei pelagiani e le lodi dei predestinaziani, ripetute, le une e le altre, dai moderni.
Ma per restare al testo agostiniano e confermare sia pure sommariamente un'affermazione fatta all'inizio di questo argomento e ripetuta qui sotto forma appunto di questione, si può dire che le ragioni di questo fenomeno singolare e grave si possono ridurre a tre:
1) l'insistenza su la libertà cristiana, di cui il nostro dottore parlò a lungo e sempre con l'entusiasmo d'un innamorato;
2) la natura della libertà di scelta le cui radici sono nascoste nel profondo del nostro essere;
3) la difficoltà di comprendere la grazia, la quale toccando le soglie del mistero richiede, per essere compresa, non solo l'acume teologico e l'assiduo studio della Scrittura, ma anche l'umiltà della mente e l'assiduità della preghiera.
L'argomento tornerà nelle pagine seguenti. Qui si può dire brevemente così:
1) l'insistenza di Agostino sulla libertà dal male o libertà cristiana, che indubbiamente nel quadro dei suoi pensieri sta al primo piano, ha potuto far dimenticare ad alcuni e portarli a non vedere, che nel sottofondo fosse presente, sempre supposta e di quando in quando esposta, la libertà di scelta, tanto più che questa nelle discussioni posteriori, quelle scolastiche e moderne, è diventata prevalente e ha portato chi scrive o legge a identificare libertà e libertà di scelta;
2) la libertà di scelta richiede il concorso dell'intelletto e della volontà, va soggetta all'influsso delle passioni ed è destinata alla beata necessitas del non posse peccare: tutte questioni che sono ben lungi dall'essere a tutti chiare;
3) la grazia opera negli ingranaggi della libertà umana, interiormente, profondamente. Nella convinzione di Agostino, Dio ha in potere la nostra volontà più di quanto non l'abbiamo in potere noi stessi e, avendola creata, opera in essa dal di dentro, con tanta soavità da volgerla al bene quando vuole e come vuole, senza violarne peraltro la natura. Dico: al bene, perché al male purtroppo la volontà si volge da se stessa. Ora quest'azione di Dio tocca le soglie del mistero. E' più facile la soluzione di chi, come Giuliano, considera la volontà " emancipata " da Dio; più facile, ma difforme, metafisicamente e religiosamente, dalla verità 26.
Le pagine che seguono cercheranno di chiarire il significato e il valore di queste ragioni. Comincerò dalla prima.

CAPITOLO QUARTO

LA LIBERTA' DAL MALE, O LA LIBERTA' CRISTIANA

Diciamo subito che se Agostino, attingendo alla luce della ragione e della fede, difende con fermezza la libertà di scelta come un postulato essenziale della persona umana, parla più a lungo, con insistenza e passione, di un'altra libertà, quella che ci viene da Cristo, la libertà dal male. Ne parla più a lungo per ragioni pastorali, per ragioni polemiche, per ragioni esperienziali. Infatti: 1) occorreva insistervi presso il popolo cristiano perché imparasse ad amare, a cercare, a invocare questa preziosa libertà che prelude a quella suprema e definitiva dei tempi escatologici, assicura il pacifico sviluppo della persona umana e anima la preghiera con l'ultima petizione del Padre nostro: ma liberaci dal male; 2) contro i pelagiani poi, che negavano la necessità della grazia per evitare il peccato, occorreva insistere sulla schiavitù che proviene dal peccato e dalla concupiscenza disordinata e sul male della morte: da questi mali può liberarci solo la grazia di Cristo; 3) il ricordo della dura servitus 1 che aveva sofferto in gioventù quando, scoperta la verità attraverso la fede cattolica, voleva dedicarsi totalmente alla ricerca della sapienza: questa circostanza rendeva più efficace, se ce ne fosse stato bisogno, il suo insegnamento colorendolo con la luce della sua esperienza.
Parliamo dunque di quest'aspetto essenziale dell'opera redentrice di Cristo della quale Agostino sentì il dovere di esporre e chiarire e difendere la necessità, la centralità, l'insostituibilità.

1. Questione semantica

Prima di tutto si pone una questione semantica: l'uso dei termini liberum arbitrium e libertas. Si è visto sopra che Agostino, rispondendo ad una accusa dei pelagiani, distingue tra l'uno e l'altro termine, attribuendo il primo al potere che la volontà ha nei propri atti, il secondo al possesso della giustizia e dell'immortalità. Vale la pena di ripetere le sue parole. " Chi di noi dice che col peccato del primo uomo il libero arbitrio è perito dal genere umano? La libertà, certo, è perita col peccato, ma quella che l'uomo ebbe in paradiso, quella di avere la piena giustizia congiunta all'immortalità " 2. La distinzione semantica sarebbe stata preziosa se Agostino vi fosse restato fedele. Ma purtroppo questo non è avvenuto.
Vi resta fedele, per esempio, quando, esponendo la visione universale della storia umana, parla di libertas minor e di libertas maior 3, o parla della libertà necessaria per vincere gli errori, i terrori, gli amori di questo mondo 4, o afferma che " la prima libertà è quella di esser privi di peccati gravi (crimina) " 5, o enuncia il principio generale che dopo il peccato la vera libertà ci viene dalla grazia 6, o sostiene che la libertà perfetta è quella che importa la desideranda necessitas di volere il bene e di non poter non volerlo 7, o ricorda che l'immutabile libertà dell'uomo è quella di voler essere beati 8.
Invece non vi resta fedele altre volte quando usa il termine liberum arbitrium mentre ci si aspetterebbe libertas. Primum liberum arbitrium posse non peccare, novissimum non posse peccare 9. In questo caso non si può risolvere la questione sul piano semantico: occorre ricorrere a quello contenutistico, che non presenta del resto grosse difficoltà, almeno per chi legge tutti i testi di Agostino e vuole, come si è detto cominciando, concordarli tra loro.

2. L'insegnamento biblico

In questo come negli altri argomenti teologici Agostino prende l'avvio dalla Scrittura e ad essa si richiama di continuo per controllare le affermazioni e i giudizi. Sulla libertà i testi principali che cita e commenta sono tre: 1) Gv 8,32: cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos 10; 2) Gv 8,36: Si vos Filius liberaverit, vere liberi eritis 11; 3) Mt 6,13: l'ultima petizione del Padre nostro: sed libera nos a malo 12.
Sul primo testo vale la pena di citare, in parte almeno, un commento agostiniano: " Il premio [per chi rimane fedele alla parola di Cristo] qual è? Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. O premio! Conoscerete la verità. Forse dirà qualcuno: e che mi giova conoscere la verità? E' la verità a farvi liberi. Se non vi attrae la verità, vi attragga la libertà... Essere liberato vuol dire propriamente essere reso libero; come salvato, fatto salvo; sanato, reso sano... Nella lingua greca questo significato è più evidente e non può essere inteso in un altro modo. Perché sappiate che non può essere inteso in un altro modo, [sentite] che cosa rispondono i giudei alle parole del Signore: Noi non abbiamo mai servito a nessuno, come tu dici: la verità vi farà liberi? Cioè, come puoi dire a noi: la verità vi farà liberi, se noi non abbiamo mai servito a nessuno? " 13. La verità che libera non vuol dire soltanto, dunque, osserva Agostino, la verità che ci scampa da un pericolo, ma che da servi che eravamo ci fa liberi.
Sul secondo testo giova ricordare una polemica con Giuliano. Questi replica al testo agostiniano riportato sopra 14 e interpreta il liberabit vos come liberazione dai peccati commessi personalmente, che costituiscono l'unica servitù dell'uomo. Agostino controreplica intendendo il qui facit peccatum (non qui fecit come leggeva Giuliano) servus est peccati in un senso più universale includendo in esso anche la servitù dalle passioni disordinate e quindi intende in senso più universale la liberazione che ci viene da Cristo 15.
Sul terzo testo val la pena di osservare che il nostro dottore nell'ampio quadro della vita spirituale che traccia mettendo in relazione beatitudini, doni dello Spirito Santo e petizione del Padre nostro 16, ravvicina il libera nos a malo alla sapienza, che è il più alto dei doni di Dio, e alla beatitudine della pace, che è la più alta delle beatitudini 17. La liberazione dal male coincide con la giustificazione ed ha lo stesso raggio d'azione: dalla Chiesa peregrinante alla Chiesa escatologica 18, quando " la creazione... [sarà] liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio " (Rom 8,21).

3. Le sei grandi libertà cristiane

L'ampio discorso che Agostino fa sulla libertà cristiana si può ridurre a sei temi fondamentali: la libertà dall'errore, dal peccato, dal disordine delle passioni, dalla legge, dalla morte, dal tempo. Queste sei libertà vengono elargite agli uomini - soggetti appunto all'errore, al peccato, alle passioni, alla legge, alla morte e al tempo - dai doni divini della fede, della giustificazione, della grazia adiuvante, dell'amore, della risurrezione, dell'eternità.
Sei libertà che il vescovo d'Ippona, capace ed amante delle grandi sintesi, riduce ad una sola, a quella dell'amore: lex libertatis, lex caritatis 19. Ora il cuore di tutta la Scrittura è per Agostino l'amore 20. Perciò la libertà cristiana altro non è che la libertà dell'amore: libertas caritatis 21: quando l'amore sarà pieno e perfetto, sarà piena e perfetta anche la libertà.
Il panorama qui riassunto è immenso. Esso induce a meditare lungamente sulla redenzione di Cristo e sui frutti che ne derivano all'umanità. Agostino vi meditò molto e ne ridisse i risultati nei suoi scritti; vi meditò e ne scrisse per molte ragioni: teologiche, polemiche e mistiche, ed anche filosofiche. Egli, anche come filosofo, non sa capire la storia dell'umanità senza l'influsso negativo del peccato e l'influsso positivo della redenzione di Cristo 22. Giova seguirlo su questo campo, sia pur brevemente.
1) La libertà dall'errore. La libertà di errare è da lui considerata come la peggiore morte dell'anima: Quae peior mors animae - esclama - quam libertas erroris? 23. Questa interrogazione retorica esprime con efficacia la triste esperienza dell'errore che egli stesso aveva fatto fuori della fede cattolica. Questa esperienza ne fece l'assertore convinto e indefesso dell'utilità della fede. Ma prima di tutto gli suggerì l'affermazione di fondo: la nostra libertà è questa: essere soggetti alla verità. Alla luminosa affermazione fanno seguito le prove, quella biblica con la citazione di Io 8, 31 - 32 e quella filosofica con la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è sicura. " La stessa Verità, che è anche Uomo in dialogo con gli uomini, ha detto a coloro che lo credono: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi libererà. L'anima infatti non gode di un bene con libertà, se non ne gode con sicurezza. Ora non si è sicuri di quei beni che si possono perdere indipendentemente dalla volontà " 24.
Per quel principio e per queste ragioni la difesa dell'utilità della fede diventava obbligatoria e naturale. Il vescovo d'Ippona la intraprese subito dopo la conversione 25 e, appena all'inizio del suo sacerdozio, scrisse un'opera dal titolo significativo e programmatico: L'utilità del credere. La fede è utile per tutti, anche per il filosofo. Essa è la fortezza inespugnabile che assicura e difende chiunque dalla molteplicità degli errori 26, è il nido dove mettiamo le penne per poter volare con sicurezza verso gli orizzonti del vero 27, è la medicina che sana l'occhio dello spirito perché possa fissarsi nelle verità più alte 28, è l'accorciatoia che permette di conoscere presto, senza grande sforzo e senza errori, quelle verità essenziali che sono indispensabili affinché l'uomo possa condurre una vita sapiente 29.
2) La libertà dal peccato. E', insieme alla liberazione dall'errore, la grande libertà che proviene da Cristo. Prima libertas - esclama Agostino parlando al popolo - est carere criminibus 30. Inutile ricordare che qui crimina sta per " peccati gravi ", cioè quei peccati che escludono dal regno di Dio, dei quali parla l'Apostolo in Gal 5,19 - 21 31. L'insistenza su questa libertà è pari alla profonda convinzione che gli veniva dall'esperienza personale e dalle parole del Vangelo ricordate sopra: Omnis qui facit peccatum, servus est peccati (Gv 8,34). " Oh, miserabile schiavitù! - esclama Agostino - Accade che uomini schiavi di duri padroni chiedano di essere venduti, non per non avere più padrone, ma almeno per cambiarlo. Che farà chi è schiavo del peccato?...La cattiva coscienza non può fuggire da se stessa...Ricorriamo tutti a Cristo, invochiamo contro il peccato l'intervento di Dio liberatore, chiediamo di essere venduti, ma per essere ricomprati con il suo sangue " 32. Non c'è bisogno di dire che per Agostino il peccato è vera alienazione dell'uomo e che l'uomo non si ritrova se non trovando Dio.
La liberazione dal peccato avviene per opera di Colui che non ha conosciuto il peccato: " Solo il Signore ci può liberare da questa schiavitù: egli che non la subì, ce ne libera; perché egli è l'unico che è venuto in questa carne senza peccato " 33; avviene nella giustificazione nella quale la remissione dei peccati è " piena e totale ", " piena e perfetta " 34 e l'uomo da servo del peccato diventa servo della giustizia: liber peccati, servus iustitiae 35. Ma mentre la remissione dei peccati è totale ed immediata, il rinnovamento interiore è vero e reale in quanto viene restaurata l'immagine di Dio nell'anima e operata la " deificazione " attraverso l'inabitazione dello Spirito Santo; è vero e reale, ma non perfetto: la nostra giustizia qui in terra è sempre imperfetta, la pretesa pelagiana dell'impeccantia non è conforme all'insegnamento della Scrittura 36. Perciò abbiamo bisogno di un'altra libertà.
3) Libertà dalle passioni disordinate. Questo bisogno deriva dal fatto che la nostra giustificazione, se è immediata in quanto alla remissione dei peccati, è progressiva in quanto al rinnovamento interiore 37. Resta infatti la lotta tra la carne e lo spirito, resta la infirmitas (la iniquitas è stata rimessa nel battesimo), che dev'essere curata per tutta la vita, restano le passioni disordinate che devono essere ricondotte all'ordine, affinché l'uomo possa vivere nella giustizia. Si sa, e Agostino lo afferma perentoriamente, solo il giusto è libero: solus iustus est liber 38. Perciò la libertà cresce col crescere della giustizia che qui vuol dire rettitudine morale, santità, ordine.
Dice parlando al suo popolo, dopo aver ricordato i crimini o peccati gravi quali l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, ecc.: " Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta. Perché, domanderà qualcuno, non è la libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione ". E subito dopo: " Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà ". E poi ancora: " Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci procura questo diletto; dilectio enim delectat " 39.
Questa libertà s'identifica con la sanità dell'anima: ipsa sanitas est vera libertas, s'identifica, cioè, con l'equilibrio interiore che permette all'uomo di dominare le sue passioni e di farle rientrare nell'ordine. Perciò " la libera volontà sarà tanto più libera quanto più sarà sana e tanto più sana quanto più sarà sottomessa alla misericordia e alla grazia divina " 40.
Inutile dire che questa progressiva libertà è opera dell'uomo, ma è prima di tutto e soprattutto, opera della grazia adiuvante della cui necessità ha tanto scritto Agostino nella controversia pelagiana 41. Quella controversia egli la sostenne, e senza risparmio di tempo e di energie, non solo per conservare integro l'insegnamento della fede, ma anche per difendere la libertà dell'uomo, quella vera.
4) La libertà dalla legge. E' un tema caro a S. Paolo. Agostino, grande studioso delle lettere paoline, non poteva ignorarlo. Lo tratta infatti e con grande compiacenza. Scrive a proposito della giustificazione: " Giustificati gratuitamente per la sua grazia (Rom 3,24). Dunque non giustificati per la legge, non giustificati per la propria volontà, ma giustificati gratuitamente per la sua grazia. Non che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la nostra volontà si dimostra inferma davanti alla legge, perché la grazia guarisca la volontà, e la volontà guarita osservi la legge, non più soggetta alla legge, né bisognosa della legge " 42. Non bisognosa della legge: è l'eco delle parole della lettera prima a Timoteo: la legge non è fatta per il giusto, parole che Agostino commenta spesso 43. Spiega: " Non è lo stesso essere nella legge o sotto la legge; colui che è nella legge, opera in conformità ad essa; chi è sotto la legge, è costretto a muoversi secondo essa. Il primo è libero, il secondo è servo. Di conseguenza una cosa è la legge scritta e imposta al suddito, un'altra la legge accolta nell'anima da colui che non ha bisogno del precetto scritto " 44.
In un'opera tra le prime, scritta da presbitero, chiarisce che questa libertà - la libertà dalla legge - è propria di chi non vive più la propria vita, ma la vita di Cristo, ed è, come l'apostolo Paolo, in alto nella perfezione. Scrive infatti: " La legge non è posta per il giusto, cioè non gli è imposta quasi fosse sopra di lui. In realtà il giusto è nella legge piuttosto che sotto la legge, perché non vive di se stesso per il cui freno è imposta la legge. Per dir così, egli vive in qualche modo con la stessa legge quando vive giustamente con l'amore della giustizia e gode non del bene proprio e transitorio, ma del bene comune e stabile ". Porta l'esempio di S. Paolo che diceva di sé: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20), cui pertanto non si poteva imporre la legge, e conclude: " Chi oserebbe imporre la legge a Cristo che vive in Paolo? " 45.
In un'opera della maturità più brevemente: " La legge è buona... ma non è fatta per il giusto, perché questi non ha bisogno della lettera che l'atterrisca dato che si diletta della stessa giustizia " 46. Questa preziosa libertà, propria dei cristiani perfetti che hanno trasformato il dovere in bisogno e son divenuti legge a se stessi, è la preparazione di un'altra libertà che non è meno preziosa, che anzi, sotto l'aspetto teologico, lo è molto più.
5) La libertà dalla morte. Questo argomento ha tanta ampiezza e profondità che un breve accenno non può che impoverirlo. Si tratta della grande verità, vanto dei cristiani, della risurrezione. Agostino ne ha parlato molto, come catechista che spiega il Simbolo della fede al suo popolo 47, come pastore che commenta i grandi misteri cristiani 48, come teologo che precisa e illustra l'oggetto proprio del domma 49, come filosofo e apologeta che risponde alle difficoltà e difende l'insegnamento cristiano 50.
Qui basti l'enunziazione generale nei confronti della libertà: " La libertà piena e perfetta, dono del Signore che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8,36), ci sarà quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica che è la morte (1 Cor 15,26) " 51. La libertà piena dunque è la vittoria sulla morte.
Questo non vuol dire che lo spirito la raggiunge quando si sarà liberato dal corpo, come volevano i platonici, particolarmente Porfirio col suo sbandierato omne corpus fugiendum - contro questa opinione Agostino combatte con somma energia 52 -, ma vuol dire che sarà pienamente libero solo quando, nella risurrezione, si sarà rivestito non più del corpo corruttibile, quello che ne appesantisce il volo, bensì del corpo incorruttibile, il quale, anche se corpo, essendo spirituale e perciò docile ai suoi voleri, ne asseconda e ne perfeziona ogni movimento 53.
A questa sublime libertà ne va congiunta un'altra, l'ultima, la più alta.
6) La libertà dal tempo. Congiunta alla libertà dalla morte, ne è il compimento. Cristo, Verbo del Padre, è entrato nel tempo per rendere eterni coloro che vivevano nel tempo. " O Verbo - esclama Agostino dopo aver confrontato tempo ed eternità - o Verbo che esisti prima di ogni tempo, per mezzo del quale furono fatti i tempi, eppure nato nel tempo perché sei tu la vita eterna che chiami gli uomini viventi nel tempo e li rendi eterni " 54. Li rendi eterni. Proprio così. Quale libertà sia questa, lo intende, sia pure nel barlume della ragione e della fede, chiunque sente il logorio del tempo, che risucchia ed annulla la vita, e ne geme. Che cos'è appunto la vita nel tempo? Una voce tra due grandi silenzi, tra il silenzio del passato che non è più e il silenzio dell'avvenire che non è ancora 55. Vivere nel tempo è un continuo morire. Solo l'eternità è vita. Qual è dunque la via per vivere senza morire? Trascendere il tempo: ut ergo et tu sis trascende tempus. Ma chi può trascenderlo senza il Cristo? 56 " Dobbiamo dunque amare Colui per mezzo del quale fu creato il tempo, se vogliamo essere liberati dal tempo e immersi nell'eternità, dove non ci sarà più alcun movimento temporale " 57. Chi vuol sapere quanto Agostino abbia amato questa libertà, legga il molto che ha scritto sul tempo 58.
Dal poco che si è detto appare chiaro che il vescovo d'Ippona fu della libertà cristiana un cantore innamorato e un teologo acuto. Se si vuole una conferma, la si può trovare nella visione della storia.

4. La storia vista in chiave di libertà

Essa si svolge, come ho già accennato, tra la libertas minor e la libertas maior ed ha per oggetto il peccato, le passioni (disordinate), la morte, secondo che potevano non esserci, non possono non esserci, non potranno esserci. Tre momenti essenziali senza i quali non si comprende la storia.
All'inizio dei tempi l'uomo ebbe una grande libertà anche se non somma. Essa consisteva essenzialmente in tre invidiabili poteri: 1) poter non peccare; 2) poter non avere passioni ribelli alla ragione; 3) poter non morire.
Col peccato di Adamo, incommensurabilmente grande, seguì la perdita di quei poteri e di quella libertà. L'uomo per giusto giudizio di Dio si ritrovò con tre mali: 1) il non poter agire bene (in ordine alla salvezza); 2) il non poter non sentire il disordine delle passioni; 3) il non poter non morire. Della libertà che aveva ricevuto non restava che l'ombra. Ma Cristo è venuto per restituirla, anzi per portare l'uomo " oltre l'antico onor " sia pure, come si è accennato, col metodo della progressività.
Perciò alla fine dei tempi l'uomo riavrà nel Cristo una libertà maggiore, quella somma, cioè: 1) il non poter peccare; 2) il non poter sentire passioni disordinate; 3) il non poter morire.
I testi agostiniani più sintetici sono due. " La prima libertà del volere era poter non peccare; l'ultima sarà molto maggiore: non poter peccare. La prima immortalità era poter non morire; l'ultima sarà molto maggiore: non poter morire. La prima potestà della perseveranza era poter non abbandonare il bene; l'ultima felicità della perseveranza sarà non poter abbandonare il bene " 59. " Come la prima immortalità, che l'uomo perdette peccando, fu poter non morire, così il primo libero arbitrio fu di poter non peccare, l'ultimo di non poter peccare. Sarà infatti inamissibile la volontà del bene e dell'equità, com'è inamissibile quella della felicità... Dunque quella città [celeste] avrà una volontà libera, una in tutti e inseparabile in ciascuno; liberata da ogni male e ricolma di ogni bene... " 60.
Non si può negare che la concezione agostiniana della libertà - libertà di scelta e libertà dal male - sia davvero grandiosa e che, penetrando nei tessuti della persona umana e della storia, esprima l'antropologia cristiana nel modo più alto e più bello, ed offra il valido fondamento per ogni altra libertà, compresa quella sociale ed economica. Ma occorre seguirlo ancora. Questa volta non nell'esposizione ma nella difesa della sua concezione.

CAPITOLO QUINTO

LA NATURA DELLA LIBERTA'

Da quanto si è detto or ora sulla libertas minor e sulla libertas maior risulta chiaro che la perdita del posse peccare non è una perdita ma un guadagno: non toglie la libertà, ma la perfeziona, e a tal punto che la rende piena e totale. Ma in che consiste dunque la libertà secondo Agostino? La risposta non può essere che articolata. Certamente, non consiste nel poter peccare e poter non peccare. Questa era l'opinione di Giuliano, cui Agostino risponde per le rime. Ma la questione non è chiusa. Ci si chiede: consiste forse nel potere della volontà di volere o non volere, come si è detto sopra parlando della libertà di scelta, o consiste nel volere il bene con tanta forza e in modo tale da non poterlo non volere?
Anche qui come altrove il nostro dottore è per l'esclusione dei facili aut aut. Alla questione così posta risponde ricusando, ancora una volta, di scegliere. Non ha scelto tra prescienza e libertà, non ha scelto tra libertà e grazia, non sceglie neppure qui: proposta un'importante ( e necessaria) distinzione, sostiene che l'uno e l'altro è vero: è libertà il potere di volere e non volere, ma è anche libertà il volere il bene senza il potere di non volerlo. Anzi questa è la forma più alta ed ultima della libertà perché pienamente conforme alla natura stessa della volontà, la quale, creata per amare il bene, non può non trovare la sua perfezione nel volerlo in modo pieno, totale, irreversibile.

1. La libertà non consiste nella possibilità di peccare o di non peccare

Era la nozione che ne dava ripetutamente Giuliano. Ecco le sue parole: " La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato o di astenersi dal peccare " 1. Giuliano v'insiste: " L'uomo non poteva esser capace del proprio bene, se non fosse stato capace anche del male " 2. In questa definizione Agostino trova due gravi difetti.
Il primo riguarda il particolare dell'uomo che con il libero arbitrio sarebbe emancipato da Dio. Egli osserva: " Dici l'uomo emancipato da Dio, e non ti rendi conto che con l'emancipazione si ottiene che l'emancipato non appartenga alla famiglia del padre " 3. Osservazione breve ma significativa. Il libero arbitrio non rende l'uomo estraneo a Dio, indipendente dalla sua azione o, peggio ancora, in concorrenza con essa. La concezione agostiniana della libertà e quella di Giuliano erano davvero molto lontane. Questo fatto rendeva incomprensibile il discorso sulla grazia. Lo vedremo nelle pagine seguenti.
Il secondo grave difetto toccava la definizione stessa della libertà: " T'inganna, gli dice Agostino, la definizione che hai dato del libero arbitrio. Hai detto: 'Il libero arbitrio non è altro che la possibilità di peccare e di non peccare...'. Con questa definizione tu togli il libero arbitrio a Dio... Inoltre gli stessi santi nel regno di Lui perderebbero, poiché non possono peccare, il libero arbitrio " 4. E altrove: " ...tu ritieni che appartenga alla natura del libero arbitrio potere l'uno e l'altro, cioè peccare e non peccare, e pensi che per questo l'uomo sia stato fatto ad immagine di Dio. Eppure Dio non può l'uno e l'altro. Infatti nessuno, neppure se pazzo, dirà mai che Dio possa peccare, né tu osi dire che Dio non ha il libero arbitrio..., in Dio, che non può peccare, il libero arbitrio è sommo " 5.
La forza dell'argomentazione agostiniana sta nei due esempi addotti: Dio e i beati. Ma hanno valore questi esempi? In che senso Dio è libero? In che senso lo sono i beati? Sulla libertà divina non ci sono né dubbi né difficoltà quando si tratti delle opere ad extra, per esempio l'opera della creazione. Intorno alla creazione si sa che Agostino difese tenacemente e acutamente la creazione nel tempo e la piena libertà di Dio nel creare: Dio ha creato perché ha voluto, e poteva non volere senza per questo diventare mutabile. Lo fece contro i neoplatonici che sostenevano e la creazione ab aeterno e la necessità della creazione. Dio non crea, sentenzia in contrario Agostino, per indigentiae necessitatem, ma per abundantiam beneficentiae 6; e crea liberamente, nel tempo, anzi col tempo. Nella Città di Dio spiega, con profonda intuizione metafisica, come ciò non appaia impossibile anche tenuta presente l'immutabilità divina 7.
Ma la difficoltà nasce dal secondo esempio. In che senso i beati sono liberi? Occorre premettere che contro la beatitudine ciclica proposta dai neoplatonici Agostino difese con forza due affermazioni di fondo: 1) la beatitudine non è vera se non è eterna; 2) i beati non sono beati se non sanno che la beatitudine raggiunta è inamissibile; se invece la beatitudine fosse amissibile ed essi lo ignorassero, la loro beatitudine sarebbe fondata sull'ignoranza, che è un assurdo 8. Ma posti questi due princìpi dov'è la libertà dei beati? Qui per spiegarsi bisognava fare alcune distinzioni.

2. Distinzioni necessarie e importanti

La prima corre tra la libertà di voler essere beati e la libertà di volere il bene per giungere alla beatitudine: quella è congenita all'uomo ed è assolutamente inamissibile, questa no; quella infatti non l'abbiamo perduta neppure col peccato - " la volontà di esser beati non l'abbiamo perduta neppure dopo aver perduto la felicità " 9 -, questa abbiamo bisogno che ci venga restituita dalla grazia di Cristo. " Se cerchiamo il libero arbitrio dell'uomo a lui congenito e assolutamente inamissibile, è quello con il quale tutti vogliono essere beati, anche coloro che non vogliono ciò che conduce alla beatitudine " 10. E poco dopo, insistendo sullo stesso concetto, scrive: " La libertà immutabile della volontà, con la quale l'uomo è stato creato ed è creato, è quella per cui tutti vogliamo essere beati e non possiamo non volerlo; ma questa libertà non basta perché ognuno sia beato, perché non è congenita all'uomo l'immutabile libertà della volontà con la quale voglia e possa agir bene come gli è con genita quella di voler essere beato: questo lo vogliono tutti, anche quelli che non vogliono agire rettamente " 11.
A questa prima distinzione ne segue una seconda che riguarda la libertà del merito e la libertà del premio. E' molto importante. La enuncia il nostro dottore al termine della Città di Dio. " Dio non può peccare per natura, ma la creatura partecipe di Dio, riceve da Lui il non poter peccare. Nel dono divino doveva osservarsi come una graduazione: prima il libero arbitrio con il quale l'uomo potesse non peccare, poi, per ultimo, il libero arbitrio con il quale non potesse peccare; quello per acquistare il merito, questo per ricevere il premio: illud ad comparandum meritum, hoc ad recipiendum praemium " 12. Va osservato che per Agostino tra la libertà del merito e la libertà del premio c'è una profonda differenza: quella richiede il potere di volere e di non volere ed è propria dell'uomo in via verso la beatitudine, questa propria dell'uomo che ha raggiunto la beatitudine. " Si deve ritenere piuttosto - risponde a Giuliano, sempre sul tema della natura della libertà - che l'uomo sia stato creato all'inizio capace del bene e del male, affinché, amando il bene, acquistasse il merito col quale fosse poi capace o del solo bene o del solo male " 13, secondo i debiti fines delle due città.
Alla seconda distinzione se ne aggiunge quindi una terza. Agostino la propone sempre in polemica con Giuliano sulla natura della libertà: riguarda la virtus minor e la virtus maior; distinzione configurata semanticamente a quella di libertas minor e libertas maior che abbiamo visto. Giova riportare le sue parole: " Quando ci sarà concesso di non allontanarci dal Signore perché non potremo non vederlo, neppure allora vivremo senza virtù... Ora non ci sarebbe in noi la virtù altrimenti che in questo modo: non avere la volontà cattiva e avere il potere di averla; ma in merito di questa virtù minore doveva esserci data, come premio, la virtù maggiore, quella di non avere la volontà cattiva e non avere il potere di averla ".
Dopo queste parole Agostino esclama: O desideranda necessitas! 14. Esclamazione che dice da sola quanta importanza egli annettesse a questa libertà definitiva, che è necessità, perché la volontà vuole il bene senza poter volere il male; ma è una necessità sommamente desiderabile, perché con questa l'uomo raggiunge la perfezione ultima, e perciò la libertà piena. " Allora saremo più felicemente liberi - felicius liberi erimus - quando non potremo servire al peccato, come lo stesso Dio; ma noi per sua grazia, Egli invece per sua natura " 15. La nostra libertà dunque è tanto più perfetta quanto più è vicina a quella di Dio: la libertà di volere il bene e il male è una condizione provvisoria, una preparazione a quella con cui potremo volere solo il bene.

3. Alcune considerazioni

Non si può chiudere questo argomento senza fare alcune considerazioni, almeno tre.
1) La prima riguarda la virtù minore a cui è legato il merito. Questo e quella abbracciano tutta la vita presente. Si sa che Agostino difese il merito del giustificato - lo si è detto altrove 16 e si tornerà a dirlo 17 -; ma il merito suppone nella volontà il potere di volere e di non volere, volere il bene e poter non volerlo. Tutto quello che ha detto contro i manichei 18, lo conferma qui contro i pelagiani. Le prime opere devono essere capite, quanto sia necessario, alla luce delle ultime. Ora nell'ultima, anzi nel libro ultimo dell'ultima opera restata incompiuta, il vecchio maestro dice esplicitamente che la virtù minore suppone nella volontà il non volere il male ma unito al potere di volerlo: non dire di no al bene ma essere in grado di dirlo o, in forma positiva, dire di sì col potere di dire di no.
Per usare una distinzione posteriore, si può dire che per acquistare il merito (o il demerito) non basta la libertà dalla coazione; si richiede anche la libertà dalla necessità. Se ne deve concludere che quando Giansenio sostiene che per meritare o demeritare basta la prima libertà e non c'è bisogno della seconda 19, non interpreta rettamente il pensiero agostiniano, anzi, occorre pur dirlo, lo tradisce.La Chiesa condannandone questa affermazione - è la terza delle cinque proposizioni condannate 20 - è restata fedele alla sua propria dottrina e a quella del vescovo d'Ippona.
Se è vero che nelle prime opere questi sembra identificare l'atto libero con quello volontario, ciò dev'essere interpretato, alla luce delle ultime, nel senso che la volontà, non potendo essere interiormente necessitata che dal bene assoluto e beatificante - la desideranda necessitas -, resta sempre, fuori del possesso di quel bene, padrona dei suoi atti, sempre in potere di volere o non volere. La grazia non toglie mai questo potere, ma lo rispetta e lo fa servire con la " liberale soavità " dell'amore 21 al bene della salvezza, cioè al raggiungimento della libertà maggiore, quella ultima e definitiva. La permanenza qui in terra della libertà di scelta è la ragione dell'utrumque su cui tanto insiste Agostino, e di cui si è parlato 22.
2) La seconda osservazione riguarda la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è consapevolmente eterna. Questo vuol dire che i beati possiedono il bene beatificante, che è Dio, e lo amano in modo da non poterlo non amare. In caso contrario, cioè se essi, per ipotesi, conservassero il potere di allontanarsi da Dio, si ricadrebbe nel concetto platonico della beatitudine ciclica e, per la legge dei contrari, nella possibilità del ritorno a Dio del diavolo, che era, secondo quanto riteneva Agostino, l'errore di Origene, che la Chiesa, egli dice, ha giustamente riprovato 23. Perciò a Giuliano che insisteva nella sua definizione della libertà - poter peccare e non peccare -, rimprovera che in questo modo egli finisce per rinnovare l'errore di Origene: Origenis nobis instaurabis errorem 24.
Interessante! L' " aristotelico " Giuliano 25 sembra inclinare o aderire addirittura all'opinione platonica della beatitudine ciclica, mentre il " platonico " Agostino, in nome della ragione (e della fede), ne è decisamente contrario e la combatte. Concepisce infatti l'ultima libertà, quella piena e definitiva, come impossibilità di volere il male. Le due nozioni della libertà, e perciò le due antropologie, erano molto lontane. Questa diversità non poteva non influire sulle discussioni intorno alla grazia. Quando Agostino parla di grazia Giuliano intende fato 26: sono agli antipodi. Ma l'opposizione è prima di tutto teologica, non filosofica: l'impossibilità di peccare per i beati è per Agostino una conclusione filosofica, sì, ma è prima di tutto un dato teologico.
3) La terza osservazione infine riguarda le radici metafisiche della peccabilità e dell'impeccabilità: quella deriva dalla creazione dal nulla, questa dal dono della grazia. Non già che l'uomo pecchi perché creato dal nulla (questa era l'affermazione che Giuliano attribuiva ad Agostino e che questi respingeva energicamente), ma può peccare perchè creato dal nulla 27. Infatti perché creato dal nulla, è limitato, mutabile, defettibile, e perciò può peccare. L'impeccabilità pertanto, cioè l'indefettibile determinazione della volontà nel bene, non può essere che un dono della grazia la quale rende la creatura mutabile, l'uomo, partecipe dell'immutabilità divina. Questo tema del passaggio, per dono di grazia, dal mutabile all'immutabile è tanto frequente nel vescovo d'Ippona da rappresentare una sintesi profonda del suo pensiero filosofico, teologico e spirituale 28.

4. Ingranaggi della libertà

Sono delicati. Riguardano l'intelletto e la volontà e prendono in considerazione tutto ciò che influisce sull'uno e sull'altra. Sull'intelletto influisce, negativamente, l'ignoranza, il dubbio, l'incertezza; sulla volontà la debolezza, il timore, le passioni disordinate. " Gli uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia giusto e perché non è dilettevole ". " Infatti - continua Agostino - fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta ". E conclude: " Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da un'opera cattiva: Ignorantia igitur et infirmitas vitia sunt, quae impediunt voluntatem " 29.
L'insistenza di Agostino è sul " vizio " della debolezza 30; è soprattutto questa che impedisce all'uomo di volere il bene. " Infatti - scrive il nostro dottore - il libero arbitrio non vale che a peccare 31, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene: ...nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur " 32.
Questa insistenza è particolarmente significativa. Essa dice che Agostino, pur richiedendo, com'era ovvio, la conoscenza della verità perché un atto sia libero, mette l'accento sul dominio della volontà la quale opera per amore. Senza l'amore e la dilettazione l'uomo non opera il bene. Nell'atto libero la volontà resta al centro: è la sua decisione che costituisce l'atto buono o cattivo quando questo, si capisce, sia illuminato dalla luce dell'intelletto. Il particolare è degno di nota, perché determina la dottrina della grazia adiuvante, concepita da Agostino soprattutto come inspiratio dilectionis 33.
Infatti su questi ingranaggi della libertà umana scende la grazia; scende al solo scopo di custodirla, rafforzarla, perfezionarla. Lasciato a se stesso il libero arbitrio viene meno e diventa servo del peccato: la grazia non solo lo libera dal peccato, se lo ha commesso - la grazia della giustificazione -, ma lo aiuta a non commetterne: grazia adiuvante, dicevo, o, come diranno gli scolastici, grazia attuale. Scrive Agostino: " Che diventi noto quello che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale aiuta le volontà degli uomini " 34.
Questa osservazione ci serve da ponte per passare, senza soluzione di continuità, dal tema della libertà, della quale Agostino, come si è detto cominciando, è filosofo e teologo insieme, al tema della grazia, della quale è, per antonomasia, il dottore.