CAPITOLO QUINTO

LE GRANDI SOLUZIONI

Tre i problemi essenziali della filosofia: dell'essere, del conoscere, dell'amare; e tre le soluzioni, che per Agostino sono: la creazione, l'illuminazione e la beatitudine. Tutte e tre le ha trattate ampiamente e profondamente, creando, nelle sue parti essenziali, quella che ho chiamato la nuova filosofia: la filosofia cristiana.

Vediamolo in particolare.

I. CREAZIONE

La filosofia agostiniana può essere qualificata come filosofia creazionista, non solo perché ha posto al centro del problema dell'essere la creazione, ma anche e soprattutto perché della creazione ha approfondito gli aspetti più diversi e più difficili. Questi sono: la creazione dal nulla, la creazione che ha inizio col tempo, la creazione secondo le ragioni eterne, la creazione come un atto di amore, la creazione libera, la creazione simultanea.

Se si prescinde da quest'ultimo aspetto, nato da un'interpretazione (errata) della Scrittura, gli altri li ha esposti e difesi per lo più contro i manichei, contro i platonici, contro gli origenisti, ognuno dei quali o negava la creazione o ne proponeva un concetto inaccettabile tanto alla fede che alla semplice ragione. Infatti la creazione è un insegnamento insieme della fede e della ragione: "La fede cattolica comanda di credere e la ragione insegna in modo certo... " 1. Si può aggiungere che Agostino approfondì anche due difficilissimi argomenti legati alla creazione: il male e il tempo.

1) Origine dell'universo

a) Creazione dal nulla. La creazione non è una dottrina facile. Agostino lo sa. Per questo vi ritorna sopra spesso, rispondendo alle difficoltà sue ed altrui. La prima è lo stesso concetto di creazione, che è distinto dai due concetti a noi naturalmente noti, cioè: generazione e fabbricazione. Non essendo né l'una né l'altra cosa, è un concetto non deducibile dall'esperienza, ma intuibile solo con la ragione, un concetto altamente metafisico: è un'operazione dal nulla, cioè né dalla sostanza dell'operante (generazione), né da una materia preesistente (fabbricazione); un'operazione, perciò, che fa essere quello che assolutamente non era; non era, dico, né secondo la forma, né secondo la materia, e pertanto secondo nessuna delle componenti della sua natura: la creazione lo fa essere in tutta la sua sostanza. "

Ciò che uno fa - spiega il nostro filosofo - o lo fa dalla sostanza o da un qualcosa fuori di sé o dal nulla. L'uomo che non è onnipotente, dalla sua sostanza genera il figlio, e, come artefice, dal legno fa l'arca, ma non il legno; ha potuto fare il vaso, ma non l'argento. Nessun uomo può fare qualcosa dal nulla, cioè fare che sia ciò che non è assolutamente. Dio invece, perché onnipotente, e dalla sua sostanza ha generato il Figlio, e dal nulla ha creato il mondo, e dalla terra ha plasmato l'uomo. C'è una gran differenza tra ciò che Dio ha generato dalla sua sostanza e ciò che ha fatto non dalla sua sostanza ma dal nulla: ha fatto che ricevesse l'essere e fosse posto tra le cose che sono ciò che assolutamente non era " 2.

Dio dunque non è solo il plasmatore delle cose, ma anche il creatore della materia da cui le cose sensibili sono state formate. Agostino v'insiste contro ogni dualismo, quello della materia e quello dei due princìpi manichei, e contro ogni tentazione di panteismo. " Sono state insieme create e la materia e la forma " 3: tra la materia e la forma non v'è un ordine di tempo, ma solo di origine e di causalità, come tra il suono della voce e la sua modulazione 4.

Conseguire il concetto di materia informe costò molta fatica ad Agostino: la concepì finalmente come una " capacità di assumere forme ", principio interno della mutabilità delle cose materiali, quasi un nulla ma non però, propriamente, un nulla; bensì, se si potesse dire, un " nulla che è qualcosa ", un " è che non è5, attraverso il quale passano le mutazioni delle cose mutabili.

Benché difficile, la nozione di creazione dal nulla è necessaria per evitare l'assurdo del panteismo o del dualismo. Ecco il principio agostiniano: " Ogni bene o è Dio o è da Dio " 6. Ora le cose mutabili e limitate non sono l'Essere, la Verità, la Bellezza, il Bene, ma ne partecipano; non sono dunque Dio, ma procedono da Lui; procedono, però, non per generazione perché gli sarebbero uguali, non per fabbricazione perché ci sarebbe qualcosa non procedente da Dio. Per capire dunque l'origine delle cose mutabili non resta che la creazione dal nulla: " Non procedono dalla sua natura né da altra cosa che non sia stata creata, ma dal nulla " 7.

Ecco un testo riassuntivo, scritto da Agostino molto presto (nel 391 quand'era ancora laico): " Ma tu dici: perché le cose vengono meno? Perché sono mutabili. Perché sono mutabili? Perché non sono sommamente. Perché non sono sommamente? Perché sono inferiori a Colui dal quale sono state fatte. Chi le ha fatte? Colui che è sommamente. Chi è costui? Dio, la Trinità immutabile che le ha fatte per mezzo della somma sapienza e le conserva con somma benignità. Perché le ha fatte? Perché fossero. Infatti l'essere, per quanto minimo, è un bene, poiché il sommo essere è il sommo bene. Da che cosa le ha fatte? Dal nulla " 8. E conclude: " Poiché dunque le cose sono buone, provengono da Dio; perché non sono il sommo bene, non sono Dio " 9.

b) L'universo creato col tempo. Ma Agostino trova subito sul suo cammino avversari forti ed agguerriti: i platonici. Questi ammettevano la creazione - così Agostino interpreta il loro pensiero 10 - ma sostenevano che fosse necessaria ed eterna, proponendo la concezione ciclica del tempo e della storia. Il nostro filosofo respinge l'una e l'altra delle due affermazioni e la conseguenza che ne tirano. Spiega: se dicendo creazione eterna vogliono dire che il mondo non è stato creato da Dio, " sono troppo lontani dalla verità " e dicono una " pazzia ". Se invece vogliono dire che è stato sempre fatto, cioè che, pur essendo stato fatto, non ha avuto inizio, esprimono un'opinione " appena intelligibile " 11. Vale la pena di osservare che con queste parole sembra non ritenere impossibile, anche se difficilmente intelligibile, l'ipotesi della creazione ab aeterno. Si sa che nella lunga discussione medioevale sull'argomento, gli " agostiniani ", contrariamente ai tomisti, ne difenderanno l'impossibilità.

Quanto poi alla creazione nel tempo, Agostino sostiene che non si può parlare di creazione nel tempo, perché non può esserci tempo prima che ci sia la creatura mutabile, ma si deve parlare di creazione col tempo 12. I filosofi pagani irridevano questa dottrina e ritenevano di aver contro di essa argomenti inoppugnabili come quello dell'immutabilità divina, la quale, senza mutare, non può aver prima non creato e poi creato.

Il vescovo d'Ippona è convinto che " ragioni inoppugnabili " possono frantumare e frantumano questo argomento. Infatti " Dio sa agire nel riposo e riposare nell'azione. Ad opera nuova può applicare un piano non nuovo ma eterno ". Il prima e il poi " si riferiscono agli esseri che prima non esistevano e poi sono esistiti... ma Dio con una sola, immutabile, eterna volontà fece in modo che le cose create non fossero prima quando non erano e fossero dopo quando cominciarono ad esistere " 13.

Il mutamento dunque è nelle creature, non in Dio. Questo tema delle relazioni temporali di Dio con le creature viene trattato acutamente ne La Trinità, dove si spiega che una nuova relazione può nascere senza che ci sia mutazione in uno dei due termini cui la relazione si riferisce. Dio è Signore dal momento della creazione, è Padre dal momento della giustificazione, è nostro Rifugio quando ci rivolgiamo a Lui, ma non perché sia avvenuta una mutazione in Dio, bensì perché la mutazione è avvenuta in noi 14.

Per concludere si può dire che Agostino insiste su tre affermazioni intorno alle quali non ha alcun dubbio: 1) solo Dio è eterno; 2) ogni natura che esiste e non è Dio, è stata creata dal nulla; 3) la creatura non può essere coeterna al Creatore 15.

c) Creazione secondo le ragioni eterne. L'altro tema che entra nel concetto di creazione è quello delle idee o cause esemplari. La filosofia agostiniana attribuisce ad esse un'importanza fondamentale, tanto da sostenere che " nessuno può essere sapiente se non le conosce " 16; anzi aggiunge che il conoscerle è dato a "pochissimi" 17. Tra questi pochi ci fu, senza dubbio, lo stesso Agostino.

Sono " le ragioni stabili ed immutabili delle cose o forme principali (i logoi della filosofia greca) esistenti nella mente del Creatore ". Pensarle (come le pensava Platone) fuori della mente divina sarebbe un sacrilegio. Tutte le cose sono state create secondo queste ragioni. " Ogni cosa è stata creata secondo la propria idea o ragione " : altra quella del cavallo, altra quella dell'uomo. Ne segue che " per la partecipazione a queste idee avviene che ogni cosa è tutto ciò che è, qualunque cosa sia " 18.

Sono questi i principi metafisici che sorreggono la dottrina dell'esemplarismo divino, così importante nel pensiero del vescovo d'Ippona. Sulla base di esso possiamo riconoscere nelle cose le idee divine come in un vestigio o in un'immagine, e salire dalla contemplazione di esse alla contemplazione delle idee esistenti nella mente divina. In Dio infatti " perdurano stabili le cause di tutte le cose instabili; e di tutte le cose mutabili si conservano in Te immutabili i princìpi, e di tutte le cose irrazionali e temporali sussistono in Te sempiterne le ragioni " 19. Perciò Dio è " grande nelle cose grandi, ma non piccolo nelle cose piccole " 20. Anche in queste, anzi spesso specialmente in queste, si rivela la grandezza della sua arte e le meraviglie delle sue opere.

d) Creazione per amore. Per completare la filosofia della creazione occorre aggiungere che Dio non crea per interesse o per indigenza o per necessità, ma liberamente, per puro amore. La ragione della creazione è solo questa: " Che Dio è buono e che le cose create sono buone " 21. A questo proposito Agostino se la prende con gli origenisti, anzi con Origene stesso, il quale nel De principiis avrebbe sostenuto che il mondo sensibile è stato creato per punire le anime peccatrici 22. Rivelati i non piccoli inconvenienti di questa opinione, conclude: era opportuno che tre concetti principali ci fossero comunicati (dalla Scrittura) sulle cose create: l'autore, il mezzo, il fine; cioè chi le ha fatte, per mezzo di chi le ha fatte, perché le ha fatte. Alla prima domanda si risponde: Dio; alla seconda: per mezzo del Verbo; alla terza: perché le cose sono buone. " E in verità non c'è autore più perfetto di Dio, né arte più efficace del Verbo di Dio, né ragione migliore di quella per cui Dio buono ha creato una cosa buona " 23.

Altrove riassume così il suo pensiero: " È propria di Dio la somma benignità, che è santa e giusta, e, senza dubbio, l'amore per le sue opere proveniente non dall'indigenza ma dalla beneficenza " 24. E le ragioni per cui Dio ama la sua creatura sono due: " perché sia e perché rimanga nell'essere " 25. La creazione e la conservazione delle cose è frutto dell'amore di Dio, di quell'amore che non suppone ma crea la bontà nelle cose stesse che Dio ama. Vale dell'amore quel che si è detto sopra della scienza: Dio non ama le cose perché sono buone, ma le cose sono buone perché Dio le ama. E Dio le ama - giova ripeterlo - non " per indigenza " ma piuttosto " per l'abbondanza della sua beneficenza " 26.

e) Creazioni secondo le ragioni seminali. È questa una delle intuizioni geniali del vescovo d'Ippona che, per l'aspetto filosofico che contiene, ha richiamato e richiama l'attenzione e l'interesse. La teoria delle ragioni seminali nacque dalla meditazione delle Scritture (la Genesi) e per capire le Scritture. In concreto, per mettere insieme il Creò insieme tutte le cose 27, che intende in senso temporale (Dio creò tutto allo stesso tempo, mentre noi intendiamo in senso universale: creò tutto parimenti), e il Padre mio opera ancora 28. Dio opera ancora, anche se ha creato insieme tutte le cose, perché le ha create non in se stesse, bensì " invisibilmente, potenzialmente, causalmente come si fanno le cose future non ancora fatte " 29, cioè nelle proprie " ragioni seminali ". L'idea può essergli stata suggerita dai neoplatonici o dagli stoici (logoi spermatikoi), ma il contenuto è suo.

Sono inserite nelle cose e presiedono allo sviluppo dell'universo. Si possono utilmente concepire come semi, nei quali infatti c'è già tutto l'essere quale verrà formandosi col tempo; purché si avverta che sono qualcosa di anteriore ai semi stessi, quasi semi di semi; cioè forze e leggi direttrici da cui procedono i semi e tutte le perfezioni che da essi derivano 30. Nulla appare nell'universo che non sia stato creato, virtualmente, fin dall'inizio. Questa teoria viene applicata alla creazione del corpo dell'uomo e della donna 31, non all'anima 32.

Il confronto con le teorie moderne dell'evoluzione o della genetica è d'obbligo; ma bisogna guardarsi bene dal fare del nostro dottore il precursore di teorie che non ha pensato né poteva pensare, o farlo a loro contrario perché, basandosi sull'esperienza, ha lasciato scritto che " da un chicco di grano non nasce una fava ", concludendone che ogni cosa ha la sua " ragione seminale " 33. C'è da osservare ancora che con questa teoria Agostino scioglie un altro grosso problema, quello che, con linguaggio moderno, si può chiamare dell'inserimento del soprannaturale nella natura, cioè del miracolo e della grazia. Distingue infatti due ordini di ragioni seminali, ambedue inseriti nelle cose create, ma diversamente: uno determina il corso ordinario della natura, l'altro il corso straordinario. " Le ragioni (seminali) sono state create abili ad agire nell'uno e nell'altro modo, sia in quello nel quale si sviluppano gli esseri nel tempo, sia in quello secondo il quale si compiono fatti rari e mirabili come piace a Dio di fare secondo le circostanze opportune " 34. In questo secondo caso nelle creature c'è la disponibilità a dipendere totalmente dalla volontà onnipotente del Creatore 35.

Anche qui un confronto tra le ragioni seminali agostiniane e la potenza obbedienzale degli scolastici diventa ovvio, e potrebbe essere illuminante.

f) Materia e forma. Per terminare il panorama della dottrina creazionistica di Agostino vale la pena di dedicare un accenno alla composizione di materia e forma nel mondo corporeo. Si offre anche, così, l'opportunità di un raffronto con Aristotele, di cui si ha torto di pensare che non conoscesse la dottrina.

Agostino ne parla in una celebra pagina delle Confessioni. Il concetto di materia informe gli costò molta fatica 36. La concepisce finalmente come un qualcosa vicina al niente e pur tuttavia non il niente, un " nulla che è qualcosa ", un " è che non è " : " niente è qualcosa, è e non è ". A questa concezione giunge attraverso la considerazione della mutabilità delle cose mutabili " che è capace di tutte le forme in cui le cose mutabili si tramutano " 37.

La materia non può essere senza la forma: la precede non in ordine di tempo ma solo di origine e di causalità come il suono precedente il canto 38. Dio dunque creò insieme la materia e la forma: "fu insieme concreato e ciò che fu fatto e ciò donde fu fatto " 39.

2) Il grande problema del male

Al problema o, forse meglio, ai problemi della creazione va congiunto necessariamente quello del male, poiché il male ha invaso la creazione e la tormenta con la sua presenza. Questo problema, drammatico e angoscioso, sembra costituire una difficoltà insormontabile contro la nozione stessa della creazione. Tale infatti lo ritenevano i manichei, che furono gli ultimi degli gnostici. La ragione fu sempre questa: un Dio buono non può creare il male.

Agostino si tormentò su di esso fin dall'adolescenza, ancor prima d'imbattersi nei manichei 40. Presso di loro trovò una soluzione che gli parve a prima vista liberatrice ma che gli risultò, poi, ingannatrice e assurda. Raggiunta la vera nozione del male con la lettura dei platonici, s'immerse nella meditazione delle difficili questioni che esso pone e ne chiarì, per quanto può la mente umana, la natura, la possibilità, la realtà, la permissione e l'ordine dell'universo che il male sembra turbare ma nel quale rientra, per la sapienza e l'onnipotenza divina cui nulla sfugge, neppure il male. In tal modo, come filosofo e come teologo, diede un contributo decisivo e perennemente valido alla soluzione di questo grosso problema.

a) Natura. Scoperto l'errore metodologico - per cui, seguendo i manichei, cercava l'origine prima che la natura del male -, capì, dopo tormentose ricerche 41, che il male non è una sostanza (perché tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è un bene 42), ma un difetto, una corruzione, una privazione del bene, una privazione, cioè, " o della misura o della bellezza o dell'ordine naturale " 43. Ne segue che il male non può esistere se non nel bene; non già nel bene sommo perché è sommo, cioè immutabile e quindi incorruttibile, ma nel bene creato perché mutabile e perciò soggetto a venir meno, a corrompersi. Il male dunque non può esistere né in Dio, perché è l'Essere, e neppure nel nulla perché è il non essere: " Il vizio non appartiene né alla natura del sommo bene né ad altra natura che non sia buona " 44. Si concepisce appunto come un difetto, non per l'essenza, ma per la sua privazione. Per spiegare questo "conoscere ignorando ", se così si può dire, Agostino ricorre all'esempio delle tenebre e del silenzio.

Anche il male morale, che è il peccato, non ha una causa efficiente ma deficiente. " Nessuno cerchi la causa efficiente della cattiva volontà. Questa causa non è efficiente ma deficiente, poiché la cattiva volontà non è un'efficienza ma una deficienza. Voler scoprire la causa di questa deficienza è come se qualcuno volesse vedere le tenebre e udire il silenzio, che pur si vedono e si odono... ma non nella forma, bensì nella privazione di essa " 45, cioè non nella perfezione ma nella privazione o difetto della perfezione.

A rendere cattiva la volontà non sono le cose, le quali, perché create, sono buone, ma è la volontà stessa che diventa cattiva volgendosi alle cose buone " in modo perverso e disordinato " 46, cioè volgendosi alle cose inferiori e dimenticando le superiori.

Inutile dire che il concetto di fondo da cui Agostino parte e al quale costantemente torna, è quello dell'ordine. Questo concetto sta sempre al primo posto nella filosofia e nella teologia agostiniana insieme a quelli, a cui è legato, del bene, della giustizia e della pace. Basti ricordare che il male consiste, essenzialmente, nel disordine e che l'ordine, di cui costituisce appunto la privazione, sta alla base dell'armonia dell'universo.

b) Origine. Ma a questo punto sorge un altro problema, quello che i manichei ponevano erroneamente al primo posto - " Da dove il male? " -, ma che è sempre, pur stando al secondo, un grosso problema: l'origine del male. La domanda è questa: come può insorgere il male nelle opere di Dio, se Dio è buono e le sue opere sono buone? Agostino, che del male ha studiato tutti gli aspetti, non poteva dimenticare di rispondere a questa domanda. La risposta nasce da due presupposti: la creazione dal nulla e la libertà umana.

In ogni creatura occorre tener presenti due aspetti: che è stata creata, e che è stata creata dal nulla. Perché creata, esiste ed è un bene; perché creata dal nulla, è limitata, mutabile, defettibile. Questa limitazione, mutabilità, defettibilità è la radice della possibilità del male. " Ci si chiede - scrive Agostino -: allora da dove l'origine del male? " La domanda fa seguito alla ripetuta affermazione della bontà di tutte le cose, perché tutte create da Dio. " Rispondiamo - continua -: dal bene, ma non dal bene sommo ed immutabile. I mali hanno avuto origine dai beni inferiori e mutabili... Ma una natura non sarebbe mutabile se provenisse da Dio senza essere stata creata dal nulla. Perciò Dio è autore del bene in quanto è autore delle nature; queste però, allontanandosi per spontaneo difetto dal bene, non indicano da chi sono state create, ma da dove sono state create. Ora questo da dove non è qualcosa, ma è assolutamente il nulla. Il nulla in quanto nulla non può avere un'autore " 47.

L'altro presupposto, dipendente dal primo, è, nell'ambito del male, la libertà. Senza la libertà non c'è deviazione morale, non c'è peccato: è una tesi di fondo dell'agostinismo. Dimenticarlo significa misconoscere uno dei punti essenziali, e quindi deformarlo. La Città di Dio e con essa tutte le opere agostiniane lo ripetono a iosa. Questo vale anche del peccato originale; e non solo, s'intende, di quello originante, che fu il più libero e perciò il più grave che si possa immaginare, ma anche di quello originato, a causa del principio di stretta solidarietà che lega tutti gli uomini al primo uomo: " Fummo tutti quell'uno " 48.

Ma anche la libertà non potrebbe venir meno dalla regola della giustizia se l'uomo non fosse stato creato dal nulla, cioè se non fosse, come tutte le cose, limitato, mutabile, defettibile. " La volontà cattiva - dice Agostino a conclusione d'un lungo ragionamento - ha la sua origine non dalla natura in quanto tale ma dal fatto che la natura è stata creata dal nulla " 49. La creazione delle cose dal nulla è dunque la ragione che spiega la possibilità dell'insorgenza del male nel mondo creato. In questo modo Agostino non nega l'esistenza del male, ché sarebbe un cadere in un arbitrario ed infondato ottimismo, ma nega che questa presenza postuli un principio opposto a Dio creatore, come volevano i manichei o i fautori della materia eterna.

c) Il male e la provvidenza. Ma questa soluzione chiude un problema e ne apre un altro. Apre il problema della presenza del male sotto il governo della provvidenza divina. Non c'è bisogno di dire che questo non è meno difficile dell'altro. Se Dio è provvido e buono ed ha creato e guida tutte le cose al loro fine, come mai la presenza del male nelle opere sue? La risposta agostiniana, partendo dal presupposto fondamentale che senza la provvidenza non s'intende nulla dell'uomo e della sua storia, degli individui come degli imperi 50, si può articolare e riassumere in alcuni punti essenziali. I principali sono:

La distinzione tra il male nell'uomo e il male nel mondo infraumano;

La rispondenza tra la colpa e la pena;

Dio giusto ordinatore che fa rientrare nell'ordine chi se n'è posto fuori con la violazione della legge divina;

Il piano divino della permissione del male.

1) Prima di tutto una distinzione necessaria: il male nell'uomo e nel mondo infraumano. Questo non è penale. Un testo della Città di Dio riassume una dottrina ampiamente esposta nella controversia manichea 51: " Sarebbe cosa ridicola ritenere che siano condannabili i vizi degli animali, degli alberi e degli altri esseri mutevoli e mortali che sono privi totalmente d'intelligenza, di sensibilità o di vita e che hanno a causa di questi vizi la natura corruttibile soggetta al dissolvimento ".

Questo dissolvimento che suppone l'avvicendarsi della vita e della morte costituisce e svolge quella " bellezza temporale ", propria del mondo infraumano, di cui Agostino parla spesso per necessità polemiche contro i manichei. Nel luogo qui citato continua infatti col dire che " tali creature hanno ricevuto dal volere del Creatore un modo d'essere che realizza, scomparendo nel succedersi le une alle altre, l'infima bellezza dei tempi che conviene nel suo genere alle varie parti di questo mondo " 52.

Questa " bellezza temporale " non viene meno per il fatto che gli animali nuocciono gli uni agli altri in quanto gli uni sono cibo degli altri. Anche in questo modo essi rientrano nell'ordine stabilito che costituisce quella bellezza 53.

Senza dubbio noi non siamo sempre in grado di trovare la " ragione " dell'esistenza di questa o quella creatura, ma possiamo scoprire sempre più le meraviglie dell'universo - Dio è grande, come si è detto, anche nelle cose piccole - e, in ogni caso, non dobbiamo dubitare che la ragione esista nella mente dell'artefice supremo, il quale ha fatto tutto, anche le cose minime, " in numero, peso e misura ". In particolare dobbiamo evitare di proferire un giudizio su di esse in ordine all'utilità o al danno che ce ne possono derivare. Saremmo portati, per esempio, a lagnarci del fuoco perché brucia, dimenticando che illumina, riscalda, guarisce 54. In quanto poi a certi animali che sono molesti e sembrano inutili, Agostino confessa " di non sapere perché Dio abbia creato i sorci e le rane e le mosche o i vermi, tuttavia - continua - vedo che tutte le cose sono nel loro genere belle " 55.

Occorre inoltre ricordare che le cose create, particolarmente le bestie feroci, son diventate nocive all'uomo a causa del peccato. Agostino l'aveva sostenuto contro i manichei 56 e lo ripete, citando Giovanni Crisostomo, contro i pelagiani 57. Quest'aspetto del male, che le creature inferiori fanno all'uomo a causa del peccato di quest'ultimo, ci richiama un altro punto della riflessione agostiniana: i mali che l'uomo soffre hanno un carattere penale. Dunque c'è stata una colpa.

2) Un carattere penale. Tra pena e colpa v'è un rapporto di causalità, che si può enunciare così: non c'è pena senza colpa e non c'è colpa senza libera volontà. Questa causalità tra la libera volontà che pecca e la pena che ristabilisce l'ordine della giustizia è una tesi di fondo difesa contro i manichei e ripresa nella Città di Dio 58: " La giusta pena è conseguenza di mancanze non necessarie ma volontarie " 59. E ancora: " Non si è puniti per i propri vizi naturali ma per quelli volontari " 60. Nell'uomo pertanto (o nell'angelo) che soffre il male ci sono tre cose: una cattiva (la sofferenza) e due buone: la natura, che era e resta buona, e lo splendore della giustizia, che si rivela nella pena. La giustizia, se è giustizia, non può essere crudele 61, e perciò la pena dev'essere rapportata e proporzionata alla colpa, che rende buona, perché doverosa, la pena.

3) Questo rapporto ci richiama a una legge fondamentale della provvidenza, quella che emerge da due attributi divini: La bontà e la giustizia. Agostino la ricorda spesso. " Come Dio è l'ottimo creatore delle nature buone, così egli è il giustissimo ordinatore delle volontà cattive, sicché quando queste si servono delle nature buone per il male, egli si serve anche delle volontà cattive per il bene " 62. Lo stesso sublime principio nelle Confessioni: Dio è " ordinatore e creatore di quante cose esistono nella natura, dei peccati ordinatore soltanto " 63. Dei peccati ordinatore soltanto.

Questo principio, che illumina tutta la profonda e difficile dottrina delle relazioni tra la libertà e la grazia, predestinazione compresa, vuol dire che Dio fa rientrare nell'ordine chi per sua libera volontà se ne è allontanato. In questo senso ripete che la volontà divina è sempre invitta, perché ordina attraverso la pena chi è uscito dall'ordine attraverso la colpa, violando cioè la legge divina. " Chi si mette fuori dell'ordine mediante l'ingiustizia dei peccati, è fatto rientrare nell'ordine mediante la giustizia dei castighi " 64.

Da questo principio ne nasce un altro, quello dell'ottimismo cristiano, che non nega il male, ma lo risolve nel trionfo del bene sul male. Sta in questo principio tutta la ragione della città di Dio 65. Agostino lo ricorda spesso. Ho riportato sopra le sue stesse parole: mentre la volontà cattiva si serve delle nature buone per il male, Dio si serve anche delle volontà cattive per il bene 66. La formulazione migliore sembra essere quella del Manuale a Lorenzo: " Dio onnipotente... essendo sommamente buono, in nessun modo permetterebbe che ci fosse qualcosa di male nelle sue opere se non fosse tanto onnipotente e buono da ricavare il bene anche dal male " 67. Nella Città di Dio ci sono molti passi che vanno nella stessa direzione, come questo: " Dio non avrebbe creato, non dico alcun angelo, ma neppure alcun uomo, se avesse previsto la sua malvagità e nello stesso tempo avesse ignorato in vista di quali vantaggi dei buoni utilizzarlo e così adornare, quasi in forma di contrapposizione, l'ordine dei secoli, come per un bellissimo poema " 68.

Questo principio illumina, anche se non risolve, il profondo mistero del male. Con esso si è placata l'inquieta mente di Agostino e ad esso è sempre tornata, come ad ultimo approdo della ragione, la filosofia cristiana.

d) Il male e l'armonia dell'universo. A questo punto ci si potrebbe fermare, ma c'è da risolvere una difficoltà non infrequente. Si dice spesso che Agostino postuli il male come un elemento necessario per l'armonia dell'universo. Si porta per argomento l'esempio, che Agostino adduce, del pittore che ha bisogno del colore nero per la bellezza del quadro o quello, pur esso agostiniano, del retore che usa l'antitesi per rendere efficace e bello il suo discorso 69. La Città di Dio fa giustizia di questa interpretazione sbagliata. Giova rileggerne le parole: " Se dunque nessuno avesse peccato, il mondo sarebbe stato ornato o pieno soltanto di nature buone; ma poiché il peccato è stato commesso, non per questo tutto il creato è pieno di peccati. Intanto tra gli spiriti celesti sono di gran lunga più numerosi quelli che, rimasti buoni, conservano l'ordine della loro natura. Inoltre la stessa volontà cattiva, per non aver voluto conservare l'ordine della natura, non per questo è sfuggita alle leggi del Dio giusto che ordina sapientemente tutte le cose. Poiché, come è bello un quadro con delle tinte scure messe al posto giusto, così l'insieme degli stessi esseri, se si potesse abbracciare con lo sguardo, è bello anche includendovi i peccatori, sebbene essi, in sé considerati, siano deturpati dalle loro deformità " 70. Se dunque nessuno avesse peccato... Il testo non potrebbe essere più chiaro. Agostino lo conferma parlando al popolo: " Tu pensa solo a ciò che vuoi essere; poiché in qualunque modo tu voglia essere, l'artefice sa dove collocarti. Guarda al pittore... " 71. L'esempio vuol dire soltanto che come il pittore sa dove mettere il colore nero perché ne risalti la bellezza del quadro, così Dio sa dove mettere il peccatore, perché non venga meno l'ordine dell'universo che egli, il peccatore, ha tentato di deturpare peccando.

Se gli angeli e l'uomo non avessero peccato il mondo sarebbe stato ornato e pieno di creature buone e beate. L'ipotesi, per Agostino, è tutt'altro che impossibile. La convinzione che solo l'abuso della libertà del primo uomo spieghi i mali che gravano sull'umanità - in particolare la morte e la concupiscenza disordinata, delle quali si parla ampiamente nei libri 12° e 14° della Città di Dio -, è troppo radicata in lui. Una convinzione maturata non solo con la meditazione delle Scritture ma anche con la riflessione sulla gravità e la molteplicità di questi mali 72.

Del resto nessuna dichiarazione potrebbe essere più esplicita di questa: " Non v'è dubbio che molte cose vengono compiute dai cattivi contro la volontà di Dio, ma la sapienza e la potenza di Dio sono tali che tutto ciò che sembra contrario alla sua volontà tende in realtà verso gli scopi buoni e giusti che egli ha previsto " 73. E si sa quale grande differenza c'è in Agostino tra prescienza e predestinazione: i peccati sono oggetto solo della prima, mai della seconda 74.

È vero che alcuni si appellano in contrario a un testo del De ordine, dove l'autore dice che l'armonia dell'universo ha bisogno anche dei mali 75. Ma si ha torto a prendere questo testo di una delle prime opere come chiave d'interpretazione di tutto il suo pensiero su un argomento sul quale è tornato tante volte nella maturità; non si osserva abbastanza, poi, che esso si riferisce non all'universo, uomo compreso, ma all'universo infraumano del quale si è detto sopra. Quando si tratta degli esseri ragionevoli dotati di libertà, il pensiero agostiniano è ben diverso. Non aver distinto questi due aspetti è stato causa di confusione e d'incomprensione.

3) L'enigma del tempo

Alla creazione, oltre il grosso problema del male, va congiunto l'enigma del tempo, che il vescovo d'Ippona intese profondamente, e studiò molto e tentò di sciogliere tanto metafisicamente che spiritualmente. Basti ricordare il libro 11° delle Confessioni, dove le considerazioni sul tempo cominciano con questa domanda e questa risposta: " Che cos'è il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so " 76.

Due verità sono certe: 1) non c'è tempo senza mutabilità; 2) non c'è tempo senza l'animo umano che ricordi, intuisca, attenda. Non c'è tempo senza mutabilità, perché il tempo è proprio delle cose mutabili come l'eternità delle immutabili. " Una corretta distinzione tra tempo ed eternità è questa: non esiste il tempo senza una mobile mutabilità; nell'eternità invece non c'è alcun mutamento " 77.

Il tempo dunque ha inizio con la creazione. Come non esistono spazi infiniti, e questo i neoplatonici lo avevano compreso, così non esiste, aggiunge Agostino, un tempo infinito. " Se dicono (appunto i neoplatonici) che sono vuoti i pensieri degli uomini che immaginano spazi infiniti, non essendoci spazio alcuno fuori del mondo, altrettanto si deve loro rispondere che sono vuoti i pensieri degli uomini i quali pensano a tempi passati quando Dio non aveva creato, non essendoci alcun tempo prima del mondo " 78.

Detto questo, se da una parte si è superata una pericolosa immaginazione qual è il tempo ciclico o la teoria degli eterni ritorni (di cui parlare a proposito della beatitudine), dall'altra si è ancora lontano dal capire la natura del tempo. Infatti il tempo comprende passato, presente e futuro; ma il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente è il passaggio tra il non essere del futuro e il non essere del passato, quasi la fine dell'uno e l'inizio dell'altro: " ha per causa del suo essere il dover non essere " 79. Che cosa è dunque il tempo? come si può conoscere? e, soprattutto, come si può misurare?

Sarebbe davvero impossibile se non fosse tutto presente, perché " non si può vedere quello che non è " 80. E il tempo è tutto presente ma non nelle cose bensì, nell'animo umano. Non nelle cose nelle quali, a causa del moto, non c'è che il passato e il futuro - se cerchi il presente non trovi nulla di stabile 81 -, ma nell'animo umano, dove c'è il presente del passato con il ricordo, il presente del futuro con l'attesa, il presente del presente con l'intuizione. Il tempo è " l'estensione dell'animo ", che attende, intuisce, ricorda, per cui " l'oggetto dell'attesa fatto oggetto dell'attenzione passa nella memoria ". Il futuro non esiste, ma esiste l'attesa del futuro; il passato non esiste, ma esiste la memoria del passato; il presente è privo di estensione perché non dura, ma dura l'attenzione attraverso la quale ciò che sarà presente si affretta verso l'essere assente. Perciò " non è lungo il tempo futuro, che non esiste, ma il futuro lungo è l'attesa lunga del futuro; così non è lungo il passato che non esiste, ma un lungo passato è il ricordo lungo del passato " 82. Questa interiorizzazione del tempo, che Agostino compie e spiega, è un'interiorizzazione che rende il suo pensiero estremamente moderno, anche se non può identificarsi con quello di altri pensatori, come di Kant per esempio. In questo modo il tempo prende un aspetto decisamente etico-religioso. Perché estensione, il tempo importa dispersione e molteplicità: viviamo nel molteplice e attraverso il molteplice. La vita stessa non è che un suono tra due grandi silenzi, il silenzio del futuro che non è ancora e il silenzio del passato che non è più 83. Per essere veramente occorre trascendere il tempo e ancorarsi all'eternità attraverso l'intenzione e l'attenzione; all'eternità dove non c'e, come nel tempo, il fu e il sarà, ma solo l'essere. " Perché anche tu sia, trascendi il tempo. Ma chi può trascendere il tempo con le proprie forze? Solo Cristo può levarci in alto " 84. " Egli si è fatto temporale appunto per renderci eterni " 85.

Con ciò l'intuizione filosofica si trasforma in cristologia e trova quella risposta che altrimenti cercherebbe invano. Ma di questo appresso.

II - ILLUMINAZIONE

Come la creazione è la soluzione di fondo del problema dell'essere, così l'illuminazione è la soluzione di fondo del problema del conoscere; e come il primo nasce da un fatto incontestabile, che è l'esistenza delle cose mutabili, così il secondo. In questo caso il fatto incontestabile è la conoscenza della verità da parte della mente umana. Si ricordi il principio dell'interiorità di cui si è detto sopra. Se dunque la mente umana conosce le verità necessarie e universali, qual è la ragione di questo fatto? Si osservi che la questione che qui interessa non è quella dell'origine di queste verità - la cosiddetta questione dell'origine delle idee -, ma quella del loro fondamento, dell'indubitabilità, della certezza.

Al problema del conoscere come a quello dell'essere Agostino applica il principio di partecipazione (di cui abbiamo detto sopra a proposito della beatitudine): come gli esseri limitati e mutabili esistono per partecipazione all'Essere assoluto, così la mente umana conosce le verità necessarie e universali per partecipazione alla luce della Verità. " La nostra illuminazione è una partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è la luce degli uomini " 86. Per facilitare al lettore l'intelligenza di questa dottrina, che ha costituito da sempre il tormento degli interpreti, è bene distinguere tra l'insegnamento di Agostino e le teorie interpretative.

1. - Insegnamento

Agostino ricorre alla dottrina dell'illuminazione fin dalle prime opere e la conferma e l'illustra continuamente anche nelle ultime. Anzi, essa fa parte della grande scoperta che fece leggendo i platonici, quando rientrando in se stesso scorse con l'occhio dell'anima, sopra la sua intelligenza, " una luce immutabile ". Fu allora che, liberandosi dalle nebbie del materialismo, poté levare il capo e respirare nella pura atmosfera dello spirito 87. Fu allora che avvertì che la mente umana non può essere luce a se stessa: " Non puoi essere luce a te stesso, non puoi, non puoi " 88. Luce dell'anima è Dio, la luce " vera " che illumina ogni uomo, la luce illuminante, non illuminata. Al contrario della mente umana che è illuminante perché è illuminata 89.

Le espressioni usate sono molte. Ne ricordo alcune.

a) Dio è il sole dell'anima. L'anima ha il suo sole come l'occhio del corpo il suo. Nella preghiera dei Soliloqui leggiamo: " O Dio, luce intelligibile, nel quale, dal quale e per mezzo del quale splendono intelligibilmente all'anima tutte le cose intelligibili che conosce " 90. Si noti l'insistenza sulla luce intelligibile, fondamento, principio e mezzo d'ogni conoscenza intellettuale. La distinzione tra questa luce e quella corporea è netta, e tocca l'essenza, la natura. Scrive: " Questa luce, mediante la quale discerniamo ogni cosa, non è come lo splendore del nostro sole o di qualunque altro corpo luminoso che si diffonde irradiandosi dovunque attraverso lo spazio per illuminare la nostra mente con un candore visibile. No; essa brilla in modo invisibile e ineffabile, ma pur tuttavia in modo intelligibile ". Ed è indubitabile. Conclude infatti: " L'avvertiamo tanto certa quanto certe ci rende tutte le cose che contempliamo per mezzo di essa " 91.

b) Dio è il maestro interiore. Questa affermazione, tanto frequente in Agostino, ha una portata vasta e molteplice: portata metafisica, pedagogica, pastorale e spirituale. Metafisica, perché ricorda la connessione costitutiva della mente umana con la verità eterna; pedagogica, perché rivela che il maestro che insegna la verità non è colui che parla dall'esterno ma colui che interiormente illumina e persuade; pastorale, perché il predicatore della parola di Dio deve sapere che è solo seminatore e irrigatore, ma colui che dà il crescere è Dio, il quale compie pertanto la parte che conta 92; spirituale, perché se l'uomo vuol crescere nella verità deve purificare il cuore, rientrare in se stesso - nell'uomo interiore dove abita la verità 93 -, e stabilire il colloquio con Dio che interiormente illumina. Leggiamo nel De magistro: " Sul mondo intelligibile noi non ci poniamo in colloquio con l'individuo che parla all'esterno, ma con la verità che nell'interiorità regge la mente stessa, stimolati al colloquio forse dalle parole. E insegna colui con cui si dialoga, Cristo, di cui è stato detto che abita nell'uomo interiore " 94, cioè " l'incommutabile potenza e la sapienza di Dio " 95. " Si pone in colloquio con lei ogni anima ragionevole "; ma questo colloquio ha una condizione: " Essa si rivela a ciascuno nei limiti con i quali può avere conoscenza secondo la buona o cattiva volontà " 96. Riassumendo le conclusioni di questo libro Agostino scrive: " In esse si discute, si cerca e si trova che il maestro che insegna all'uomo la scienza non è che Dio " 97.

c) Dio è verità. In questa verità vediamo tutte le verità che la nostra mente percepisce. Infatti " se entrambi vediamo la verità della tua asserzione ed entrambi vediamo la verità della mia, dove la vediamo di grazia? Certo non io in te, né tu in me, ma entrambi nella verità immutabile che è sopra le nostre intelligenze " 98. È questa verità immutabile che guida dall'alto il nostro spirito nella ricerca della verità 99.

d) Dio è il libro dove sono scritte tutte le regole della giustizia. Queste regole si trasferiscono nella mente anche dell'uomo ingiusto, non per emigrazione me per impressione. " Dove sono iscritte quelle regole (di giustizia), in cui conosce ciò che è giusto anche lo spirito che non è giusto, in cui vede che bisogna avere ciò che esso non ha? Dove sono iscritte, se non nel libro di quella luce che si chiama verità? Da qui deriva ogni legge giusta e si trasferisce nel cuore dell'uomo che opera la giustizia non emigrando in lui ma quasi imprimendosi in lui, come l'immagine passa dall'anello nella cera senza abbandonare l'anello. Quanto a quello che non opera (secondo giustizia) e che tuttavia vede che cosa si debba operare, è lui che si allontana da quella luce, ma tuttavia ne è toccato " 100.

2. - Interpretazione

Questa la dottrina. Quale l'interpretazione? Ne sono state presentate molte come segno d'interesse, lungo i secoli, di una intuizione indubbiamente geniale. Tra le altre queste: reminiscenza platonica, idee innate, ontologismo, astrazione scolastica. Ognuno degli interpreti si è riferito ai testi e tirato Agostino dalla sua parte. La varietà delle interpretazioni dipende non solo dal pensiero agostiniano, bello ma espresso sovente con una terminologia più pratica che tecnica, ma anche e soprattutto da due altre ragioni: dalla difficoltà del problema stesso che insieme a quello della creazione rappresenta un punto focale e qualificante del pensiero umano, e dal fatto che molti interpreti non intendono esporre il pensiero di Agostino ma confermare con quello il proprio. Delle interpretazioni indicate si può dire in breve così: le prime tre contraddicono ad espliciti testi agostiniani, la quarta per essere ravvicinata ad Agostino ha bisogno di attente distinzioni.

a) Non è accettabile la reminiscenza platonica. Risulta infatti che Agostino contrappone e sostituisce alla reminiscenza platonica la dottrina dell'illuminazione. Alcuni non se ne avvedono e continuano a parlare, anche su questo punto, di platonismo agostiniano.

Il testo più celebre di questa sostituzione è quello de La Trinità. Dopo aver riportato la dottrina di Platone secondo la quale "ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva " - dottrina confermata dall'esempio dello schiavo, il quale, interrogato su argomenti di geometria che non conosceva, rispose esattamente -, propone la sua con queste parole che sono esemplari per capire il suo pensiero: " Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell'anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l'ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intelligibili, le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l'occhio carnale percepisce ciò che lo circonda, nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce e ad essa ordinato " 101.

Se nelle prime opere sembra ammettere la reminiscenza platonica o almeno ne accetta la terminologia 102, corregge quella terminologica, ripropone contro la reminiscenza la dottrina dell'illuminazione e rimanda alle pagine de La Trinità: Contro la loro opinione - quella di Platone e dei platonici - ho discusso nel libro 12° de La Trinità per quanto l'opera che avevo per le mani me ne offriva l'occasione ".

b) Non è accettabile nella sua generalità neppure la teoria delle idee innate. I testi agostiniani non suggeriscono che la mente umana abbia l'idee preformate ma che le conquisti con la sua attività. Prima di tutto per un principio generale secondo il quale la provvidenza amministra tutte le cose, compreso l'ingegno umano, in modo da lasciare ad esse di svolgere ed attuare i movimenti che sono loro propri 103. Secondo, per l'ordine naturale della nostra conoscenza che va dalle cose create alle ragioni eterne. " La mente umana conosce prima per mezzo dei sensi le cose create, poi cerca le loro cause che esistono esemplarmente ed immutabilmente nel Verbo di Dio, tentando in qualche modo di percepirle e così vedere le realtà invisibili attraverso le cose visibili " 104. Il riferimento biblico, che qui è evidente, rafforza il significato del testo 105.

c) Meno ancora è accettabile l'interpretazione ontologistica di Malebranche. Dio in questa vita lo vediamo come in uno specchio in modo non chiaro, dice l'Apostolo 106; Agostino commenta: " Vediamo in uno specchio, non osserviamo da una specula (dall'alto) ". Ora qualunque sia questo specchio, una cosa è certa: nello specchio non si vede se non l'immagine 107. Dio dunque lo vediamo attraverso l'immagine delle cose create, come dice ancora una volta l'Apostolo 108 e come Agostino tante volte ripete per esprimere la nostra conoscenza di Dio 109. Del resto esclude esplicitamente che vediamo in Dio le cose sensibili e anche, come si è visto, quelle intelligibili. " La nostra mente non è idonea a vedere in Dio le ragioni (eterne) con cui sono state fatte le cose in modo da sapere quante, e quanto grandi e quali siano anche se non le vediamo con i sensi del corpo " 110. E altrove afferma che le dispute dei filosofi circa la creazione delle cose temporali secondo le ragioni eterne sono giuste, ma da esse non ne segue che " siano riusciti a penetrare queste ragioni stesse e dedurne quanti generi di animali vi siano, quali furono all'origine i loro germi... Non si sono forse informati, circa queste cose, sulle pagine della storia...? " 111.

d) La vera interpretazione sarà dunque quella dell'intelletto agente e dell'astrazione? Qualcuno lo pensa, altri lo respingono come una contaminazione (tra platonismo e aristotelismo). Forse, se si attendesse più ai testi che agli schemi, si capirebbe meglio il pensiero agostiniano.

L'intelletto agente degli scolastici ha un duplice compito, illuminativo ed astrattivo. " Il lume intellettuale che è in noi non è altro che una partecipata similitudine del lume increato in cui sono contenute le ragioni eterne... quasi una sigillazione in noi del lume divino " 112. Su questa linea un confronto tra intelletto agente e illuminazione agostiniana è possibile. Anche per Agostino la mente umana illumina, ma, a differenza del lume divino, illumina perché è illuminata 113, e la luce che illumina è creata come l'anima stessa 114.

Ma dove l'interprete dev'essere più cauto è sul secondo compito dell'intelletto agente, quello astrattivo, cioè sull'intuizione dell'intelligibile nel sensibile. In altre parole, quando dal valore delle idee o teoria del giudizio si passa all'origine dell'idee o teoria del concetto, occorre più cautela. L'interprete, dico, dev'esser più cauto, non già perché, come spesso si afferma, non ci sia nel vescovo d'Ippona la dottrina dell'unione sostanziale tra l'anima e il corpo o quella della sensazione; ma semplicemente perché il problema non è stato posto da lui ed è difficilmente risolvibile dai suoi scritti. C'è spazio per diverse supposizioni, e più del problema storico vale qui il problema speculativo, cioè quello che ognuno pensa sulla possibilità e sulla natura dell'astrazione.

Intanto è bene rilevare che Agostino distingue una triplice conoscenza, che chiama corporale, propria dei sensi esterni, spirituale, propria dell'immaginazione, intellettuale, propria dell'intelletto 115: oggetto della prima sono i corpi, della seconda non i corpi ma qualcosa simile ai corpi, della terza una realtà che non è " né corpo né simile al corpo " 116. Della prima e della seconda, che sono strettamente unite, parla a lungo, difendendone la certezza e indicandone il processo.

Agostino è ben lontano dal pensare che non siano vere le cose che percepiamo con i sensi 117. Possono essere occasione di errori 118, ma " sarebbe un errore più grave pensare di non doversi mai fidare delle percezioni dei sensi " 119. Nel caso poi dell'errore, di fatto non sono, a parlare propriamente, i sensi che sbagliano, ma la mente che giudica male la loro percezione. In determinate circostanze essi non possono percepire le cose che in quel modo: il bastone rotto nell'acqua, gli alberi in movimento per chi li guarda dalla nave in movimento. Ma in questo caso non sono essi, i sensi, che sbagliano, bensì l'incauta ragione che giudica male la loro testimonianza. Si deve dire pertanto che l'uomo in quel caso " non riceve un messaggio sbagliato, ma lo interpreta male " 120.

Quanto al processo della conoscenza sensitiva, ne fa un'accurata descrizione dimostrando che in essa ci sono quattro specie o forme che nascono l'una dall'altra. " Dalla forma del corpo percepito nasce quella che si produce nel senso di colui che vede; da essa quella che si procede nella memoria; da quest'ultima quella che si produce nello sguardo del pensiero " 121.

Ma a questo punto Agostino mette in rilievo non solo la distinzione ma la distanza tra la cognizione sensitiva e quella intellettuale, allo stesso modo che mette in rilievo distinzione e distanza tra scienza e sapienza o tra ragione e intelletto. " Lo spirito, come raccoglie per mezzo dei sensi del corpo le conoscenze delle realtà corporee, così raccoglie le conoscenze delle realtà incorporee per mezzo di se stesso. Dunque conosce se stesso per mezzo di se stesso, perché incorporeo " 122.

Da questo duplice ordine di conoscenze l'insistenza agostiniana sulla profonda distinzione tra scienza e sapienza. Alla prima infatti " appartiene la conoscenza razionale delle cose temporali, alla seconda la conoscenza intellettiva delle cose eterne " 123. La seconda è norma della prima e la prima tende, come a suo perfezionamento, alla seconda. Come pure la ragione e l'intelletto, che non sono due facoltà bensì due attività dello spirito, unite strettamente tra loro ma con compiti diversi: l'intelletto intuisce le verità intelligibili ed immutabili, il che appartiene alla sapienza; la ragione deriva da quelle intuizioni la luce per giudicare dell'azione e guidarla, il che appartiene alla scienza 124. La conoscenza intellettuale pertanto non ha bisogno come norma di giudizio di quella inferiore, ma quella inferiore della superiore 125. Le realtà che non sono " né corpo né simili al corpo ", cioè le realtà intelligibili, la mente umana le vede " sia guardando se stessa sia guardando in quella verità che è la guida dello spirito " 126.

Questa per sommi capi la risposta di Agostino al grande difficile problema della filosofia, più soggetto degli altri alle deviazioni del pensiero.

III. BEATITUDINE

La questione della beatitudine è fondamentale nella filosofia antica. Ad essa si riduce lo scopo stesso del filosofare, che comincia con una costatazione universale: il desiderio di ogni uomo di voler essere beato; e ha come programma proprio questo: condurlo a conseguire ciò che profondamente desidera. " Non c'è infatti altra ragione di praticare la filosofia che quella di essere beati " 127. Agostino riprende questo tema elaborando una soluzione nuova. Lo riprende fin da principio - si ricordi il suo De beata vita, la prima opera (tra le rimasteci) che portò a termine -, e affronta e chiarisce almeno questi argomenti: la nozione, la proprietà, l'oggetto, il fondamento, la socialità, la storia del cammino verso la beatitudine, che è, poi, la storia dell'amore indigente verso l'amore fruente.

1. - Gaudio della verità

La prima indagine è sulla nozione della beatitudine. Insegna il buon senso che non si può chiamare beato " chi non ha ciò che ama, qualunque cosa esso sia; né chi ha ciò che ama, se ciò che ama è nocivo; né chi non ama ciò che ha, quantunque sia l'ottima ". Nel primo caso è un tormentato, nel secondo un ingannato, nel terzo un ammalato. In nessun caso dunque può dirsi beato, perché la beatitudine esclude ogni male 128. Beato è solo colui che ha quello che vuole e non vuole nulla di male 129, poiché ripete spesso Agostino, citando con ammirazione Cicerone, " non c'è nulla di più misero che volere quello che non conviene " 130.

La beatitudine s'identifica con la sapienza, che fu, com'e noto, l'amore supremo di Agostino. " Nessuno è beato se non è sapiente " 131 e " nessuno è sapiente se non chi è beato " 132. Ora sapienza non vuol dire, per il nostro dottore, solo conoscenza, ma conoscenza, amore, possesso, gaudio. Non è dunque solo un atto solamente contemplativo ma anche fruitivo. L'accento cade su questo secondo elemento. " Poiché nella verità si conosce e si raggiunge il sommo bene, e la verità è la sapienza, sforziamoci di vedere in essa il sommo bene e goderne. È beato infatti chi gode del sommo bene " 133. Questa pertanto la breve definizione della vita beata che Agostino dà: " La vita beata è il gaudio della verità " 134, dove si conferma che il bene supremo dell'uomo è la verità ma si aggiunge anche che per essere beati non basta conoscerla: occorre amarla, possederla, goderne. Distinguere tra intellettualismo e volontarismo, come spesso si è fatto provocando interminabili controversie, non è possibile in Agostino: contemplazione e godimento stanno insieme come la radice e l'albero, il fondamento e la casa; il secondo non può stare senza il primo, ma il primo ha bisogno, come suo perfezionamento, del secondo.

2. - Beatitudine ed eternità

Per completare il discorso sulla beatitudine è necessario accennare alle proprietà che deve possedere per esser tale. Agostino ne ha parlato ampiamente. Sono almeno tre: la sazietà, l'eternità, la consapevolezza.

La prima condizione richiama le capacità innate dell'uomo di cui si è detto sopra parlando dell'uomo " grande abisso ": la beatitudine le colma, ma in modo che la sazietà non diventi fastidio, perché il concetto di beatitudine non può ammettere né la fame né la noia. Che cosa sia uno stato che escluda l'una e l'altra Agostino qualche volta dice di non saperlo 135, altre volte, profondamente convinto del dinamismo costituzionale dello spirito umano, conia un'espressione di quelle non ignote alla sua retorica ma questa volta veramente ardita: " sazietà insaziabile " 136, espressione nella quale il sostantivo esclude il primo termine, cioè la fame, l'aggettivo il secondo, cioè la noia.

Ma dove insiste maggiormente è sulla seconda condizione: la beatitudine non è vera se non è eterna. Questa affermazione costituisce uno dei pensieri più profondi del suo sistema dottrinale 137. Per questo se la prende, usando parole forti, con i suoi più stimati filosofi: Platone, Plotino, Porfirio, i quali, ammettendo la metempsicosi, deformavano il concetto di creazione e distruggevano quello di beatitudine. Infatti la beatitudine, e loro stessi v'insistevano, è il fine della filosofia 138.

L'eternità è la condizione oggettiva della beatitudine. Ma se ne richiede un'altra soggettiva: la sicurezza dell'eternità. Senza questa sicurezza il beato non può essere beato. Agostino insiste su questo non meno che sull'altra 139. Questa è soggettiva ma non è meno necessaria dell'altra. Nell'ipotesi dunque della metempsicosi egli ragiona così. O il beato sa che, tornando a reincarnarsi in un corpo, passerà dallo stato della beatitudine a quello della miseria o non lo sa. Se lo sa, come può essere beato? Il timore di perdere quello che si ama è tanto più grande quanto più grande è l'amore con cui lo si ama. Se non lo sa, la sua beatitudine si fonda non sulla verità ma sull'errore: ora, come può essere vera una beatitudine fondata sull'errore, che diventa in questo caso il più tremendo degli inganni? Nulla dunque sarebbe più falso e più fallace di una simile beatitudine 140. La teoria della metempsicosi riesce solo ad offrire " vere miserie e false beatitudini " 141. Se certe cose, per assurdo, fossero vere, " non solo sarebbe più prudente tacerle, ma anche più dotto ignorarle " 142: " sono grandi deliramenti di grandi dottori " 143.

Si deve aggiungere che la beatitudine ammette il ricordo ma non l'esperienza del male 144 e che da essa, essendo propria di tutto l'uomo, deve partecipare anche il corpo. Le parole di Agostino a questo proposito sono forti: senza il corpo l'anima non può avere e non ha la beatitudine piena 145.

3. - Dio beatitudine dell'uomo

Poste queste premesse, la conclusione s'impone: solo Dio è la beatitudine dell'uomo. La ragione profonda è sempre quella metafisica della partecipazione. " Se la nostra natura dipendesse da noi, avremmo anche da noi la nostra sapienza... e il nostro amore, provenendo da noi e a noi riferito, basterebbe a renderci felici né avremmo bisogno di godere di un altro bene diverso da noi. Ora invece, poiché la nostra natura ha Dio come autore per esistere, senza dubbio abbiamo bisogno di Dio come dottore per conoscere la verità e di Dio come largitore dell'intima dolcezza per essere beati " 146. Dobbiamo dunque riconoscere Dio come l'essere " in cui è la causa dell'origine dell'universo, la luce che fa conoscere la verità, la fonte che ci disseta con la felicità " 147.

Sulla base di questo principio Agostino passa in rassegna ed esclude le opinioni di certa filosofia pagana che riponeva la beatitudine dell'uomo o nei beni del corpo (piaceri) o nei beni dell'animo (virtù) o in una combinazione di ambedue o nei beni sociali della famiglia, dell'amicizia, della città o, in ogni caso, in questa vita 148.

Quest'ultima opinione, che costituisce una delle differenze più profonde tra quella filosofia e la filosofia cristiana che Agostino va costruendo, la esclude non solo con l'argomento dell'eternità - la vita beata non può essere vera se non è eterna -, ma anche con l'argomento, non meno efficace, delle miserie umane, che non si possono associare con l'idea di beatitudine. La vita beata non può essere se non quella dove non ci sarà né morte, né errori, né dolori; tre specie di mali che offendono inesorabilmente i desideri non velleitari ma essenziali dello spirito dell'uomo. " Cercate ciò che cercate (cioè la vita eterna) ma non è lì dove la cercate. Voi cercate la vita beata nel paese della morte: non è lì. Come potrebbe essere una vita beata, ove manca la vita? " 149. Solo in Dio dunque è la nostra beatitudine, perché solo in Lui " il nostro essere non avrà la morte, il nostro conoscere non avrà l'errore, il nostro amore non avrà il dolore " 150.

Qui in terra la nostra beatitudine ha il suo fondamento nella speranza: senza questa non sarebbe che una grande miseria 151. I platonici, proponendo la teoria degli eterni ritorni, feriscono a morte questa speranza e rendono impossibili la felicità sia in questa che nell'altra vita. Non c'è bisogno di dire che con questa dottrina Agostino inserisce la vita beata, tema centrale della filosofia, nel tempo escatologico, ne fa il fondamento della morale e la regola della virtù, la quale qui in terra, sempre imperfetta, non è vera se non è orientata verso l'ultimo fine, che per l'uomo è solo nell'aldilà.

IV. - LEGGE ETERNA

Parlando della morale il nostro dottore mette in rilievo due grandi verità: la legge di Dio e l'amore degli uomini. La prima stabilisce l'ordine, il secondo, uniformandosi all'ordine, riassume tutte le virtù. La virtù è definita " ordine dell'amore " : " Mi pare che si possa definire in modo sintetico ed efficace la virtù come l'ordine dell'amore " 152. La virtù dunque è l'amore ordinato, cioè conforme all'ordine stesso delle cose. L'amore ordinato importa pertanto un giudizio sul valore delle cose: si deve amare più ciò che vale di più, e di meno ciò che vale di meno; si deve dunque sapere ciò che vale di più e ciò che vale di meno. " Vive con giustizia e santità colui che è un esatto estimatore delle cose. Ne segue dunque che ha l'amore ordinato chi evita queste cose: amare ciò che non dev'essere amato, o non amare ciò che dev'essere amato, o amare di più ciò che dev'essere amato di meno, o amare nella stessa misura ciò che dev'essere amato di meno o di più " 153.

Da questo principio nasce la dottrina dell'uti e del frui che tanta fortuna ebbe nel medioevo. Essa serve a distinguere le cose che rendono l'uomo beato e che debbono essere amate per se stesse come fine a cui arrivare e di cui godere (frui), e le cose che sono un mezzo al fine, e delle quali pertanto occorre servirsi (uti), che vuol dire non amarle per se stesse con amore fruitivo quasi fossero l'oggetto della nostra beatitudine, ma amarle in ordine alla beatitudine stessa o fine ultimo da conseguire, in cui solo si quieta il movimento dello spirito. Pertanto il godimento riguarda il sommo bene, l'utilizzo le cose create. Ne segue che il disordine morale consiste tutto nell'invertire l'ordine delle cose: " voler usare di ciò di cui si deve godere e, al contrario, voler godere di ciò di cui bisogna solo servirsi " 154. Perciò " la vita umana è resa cattiva e colpevole dal cattivo uso e dalla cattiva fruizione delle cose " 155.

In quanto all'uomo o in genere alla creatura razionale c'è da fare un'importante osservazione: essa, creata ad immagine di Dio, non appartiene alla categoria dell'uti, bensì del frui, ma deve trattarsi di fruizione in Dio 156. La precisazione è degna di nota, perché vuol dire che le creature razionali debbono amarsi di amore di amicizia, ma l'amore di amicizia non è vero né stabile se non ha il suo fondamento in Dio e non tende a Dio. " È lo stesso l'amore con il quale ci amiamo a vicenda e con il quale amiamo Dio. Infatti non ci amiamo a vicenda di amore vero se non amando Dio " 157.

L'ordine a cui deve conformarsi l'amore perché sia virtuoso è stabilito dalla legge eterna. È nota la definizione agostiniana della legge eterna: " la ragione divina o la volontà di Dio che comanda d'osservare l'ordine naturale e proibisce di perturbarlo " 158. La nozione di questa legge è impressa nello spirito dell'uomo ed " è la legge per cui è giusto che tutte le cose siano in ordine perfetto " 159. " Nella legge temporale non c'è nessuna disposizione giusta che gli uomini non abbiano derivato dalla legge eterna " 160. La legge giusta dunque deriva dalla legge eterna; se non vi deriva non è giusta, e " se non è giusta non è legge " 161.

Agostino ama mettere in rilievo che la legge eterna chiarisce ed esprime il bene supremo e la perfezione delle creature, poiché Dio " non comanda nulla che giovi a sé, ma solo a colui al quale comanda " 162; bene e perfezione che si riassumono nella pace, la quale, nel senso universale, è appunto " la tranquillità dell'ordine" 163. Nessuno può essere felice se non è nell'ordine, e nessuno è nell'ordine se non è giusto 164.

V. - LE DUE CITTÀ

Sulla base di questo concetto di ordine e di quello conseguente di pace, Agostino, mettendo in rilievo la natura sociale dell'uomo, concepisce la storia del bene e del male, che è la storia dell'umanità, non più come due vie (vedi Didachè) ma come due città, fondate su due amori, congiunte e peregrinanti nell'arco del tempo, destinate a sorti diverse nell'escatologia quando saranno divise anche esteriormente.

I due amori sono l'amore di sé e l'amore di Dio, che sono destinati ad essere per loro natura intimamente uniti, ma che troppo spesso per la stoltezza e l'iniquità umana diventano antitetici in quanto l'amore di sé diventa amore privato, cioè chiuso e opposto all'amore di Dio, che è essenzialmente sociale. " Due amori, dei quali... uno sociale e l'altro privato, hanno fondato e distinto nel genere umano due città... quella dei giusti e quella degli iniqui " 165. Questa grandiosa concezione è presente nelle prime opere agostiniane: la Vera religione del 391 (due popoli), il Modo di catechizzare i principianti (due città), ma trova il suo pieno sviluppo nella Città di Dio, dove il dramma cosmico si svolge in cinque atti: la creazione, la caduta, la legge, la redenzione, la sorte eterna. Ognuno di questi atti importa e scioglie un grande problema, uno di quelli che hanno tormentato e tormentano il pensiero umano: delle origini, del male, della lotta tra il bene e il male, della vittoria del bene sul male, dei termini eterni. Solo allora la città di Dio, che " dal tempo di Abele, il primo giusto ucciso dall'empio fratello, e poi di seguito fino alla fine del tempo, compie correndo il suo pellegrinaggio tra le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo " 166, raggiungerà " l'ultima vittoria e la pace perfetta " 167, quando " non avrà altro re che la verità, altra legge che la carità, altra misura (dell'essere) che l'eternità " 168. Allora, ma solo allora, nella città di Dio ci sarà l'identità piena, che qui in terra è un ideale perseguito sempre e raggiunto mai, tra vittoria e verità, dignità e santità, pace e felicità, vita ed eternità, perché sarà la città " dove la vittoria è verità, la dignità è santità, la pace è felicità, la vita è eternità " 169.

Chi poi volesse penetrare più a fondo nel concetto delle due città, deve tener presente che il dualismo agostiniano è di natura etica ed escatologica, non metafisica come quello dei manichei (le due sostanze del bene e del male), o dei platonici (materia e spirito), né di natura teologica come quello dei predestinaziani (predeterminazione divina di alcuni alla perdizione e di altri alla salvezza), né di natura sociale secondo l'interpretazione di alcuni studiosi che vedono da una parte la Chiesa, dall'altro lo Stato, quasi che lo Stato fosse per Agostino un disvalore. Ho detto: di natura etica ed escatologica; etica, perché dipende dalla libera volontà dell'uomo che sceglie e persegue il bene o il male (la Città di Dio contiene una forte difesa della libertà 170 anche nei confronti della grazia 171); escatologica perché suppone e vede in prospettiva le sorti eterne dei giusti e degli iniqui, diverse secondo la loro diversità morale.

Con ciò passiamo dal piano filosofico a quello teologico.

Nella Città di Dio Agostino scrive insieme la filosofia e la teologia della storia; non la teologia sola, quasi che la ragione non avesse nulla da dire sulla vicenda umana, né la filosofia sola quasi che la ragione fosse in grado di dire l'ultima parola.

Abbiamo visto finora la sintesi almeno o l'impalcatura della filosofia agostiniana, che getta tanta luce nel mistero dell'universo, dell'uomo e della storia; ma la ragione da sola hapiù domande da fare che risposte da dare, pone più problemi che non ne sciolga. Da qui (vedi sopra p. ) la necessità e la collaborazione della teologia, di cui mi resta di parlare.

Lo so che nella stretta simbiosi creata dal nostro dottore tra filosofia e teologia ogni discorso a parte rischia di travisarne il pensiero, ma il discorso a parte è necessario per ragioni didattiche. Del resto l'inconveniente si può evitare se, parlando dei due argomenti separatamente, si tengono non di meno strettamente uniti nel pensiero. Come cercherò di fare e come spero voglia fare il lettore.