CAPITOLO TERZO

I GRANDI PRINCIPI

I grandi principi a cui si ispira la filosofia agostiniana sono tre: l'interiorità, la partecipazione, l'immutabilità. Giova parlarne separatamente, sia pur in breve.

1. Interiorità

Ne scoprì il principio leggendo i platonici 1 e lo approfondì alla luce della dottrina creazionista 2.

Il suo filosofare comincia appunto con un richiamo alla persona, all'io interiore, da cui la filosofia deve prendere l'avvio. L'uomo che rientri in se stesso scopre, non senza stupore, la presenza della verità in sé: " La verità abita nell'interno dell'uomo " 3. È questa una presenza irrecusabile: la verità si offre alla mente con i caratteri di universalità, necessità, immutabilità; la mente umana è, dunque, connessa con le realtà intelligibili ed immutabili, e le percepisce non appena si rivolga ad esse: " Lo spirito umano è una natura razionale e perciò congiunta non solo alle verità intelligibili ma anche alle realtà immutabili; ed è tale che, volgendosi a quelle realtà con cui è congiunta oppure verso se stessa, proprio perché le vede, è capace anche di esprimere su di esse concetti corretti " 4.

Gli Accademici, argomentando dagli errori dei sensi, traggono la conclusione che bisogna dubitare di tutto; ma quali che siano le illusioni dei sensi, la verità esiste e l'uomo non può ignorarla.

Di questo fatto sono argomento irrecusabile gli assiomi di matematica, le regole della dialettica e i princìpi fondamentali dell'agire umano, dei quali nessuno che non sia uscito di senno può seriamente dubitare. " Che tre per tre facciano nove, scrive Agostino, è sempre e necessariamente vero, anche se tutto il genere umano fosse sprofondato nel sonno " 5.

Un caso specifico di questa percezione della verità è la certezza di vivere e di pensare in chi vive e pensa (" So di vivere, so di pensare " 6); è questa una certezza che il dubbio non può scuotere, né l'errore può dissipare, perché " se dubito, vivo " 7, " se m'inganno, sono " 8.

Queste affermazioni fanno pensare al cogito cartesiano, del quale, però, sono più ricche e meno esclusive. Lungi dal negare l'esperienza dei sensi, Agostino la difende esplicitamente nella sua opera, asserendo che i sensi sono sempre veritieri quando ci riferiscono le loro percezioni: solo che noi siamo ingiusti quando chiediamo loro più di quello che possono dare. Per esempio, gli occhi ci riferiscono fedelmente ciò che vedono anche a proposito del remo immerso nell'acqua, perché in quelle circostanze non possono vederlo che a quel modo, cioè rotto 9. Ma se noi concludessimo che il remo sia rotto realmente, la colpa sarebbe nostra, non dei sensi: " non è l'occhio che sbaglia, ma sbaglia chi giudica " 10. I sensi, dunque, possono essere occasione di errore 11, ma sarebbe un errore più grande negare il valore della loro testimonianza 12. " Lungi da noi, conclude Agostino contro gli Accademici, il dubitare della verità di ciò che percepiamo con i sensi del corpo " 13.

In quanto, poi, all'esperienza interiore, Agostino allarga all'essere, al pensiero e all'amore, che sono le tre forme nelle quali ci si dispiegano le ricchezze dello spirito. L'uomo che rifletta in se stesso percepisce, infatti, fuori di ogni possibile errore o dubbio, di essere, di pensare e di amare.

Ed ecco quanto egli afferma in un passo pieno di energia e di vivacità: " Io sono certo di essere, e sono certo che so e amo di essere. In queste verità non c'è paura alcuna per la domanda degli Accademici: e se ti sbagli? Se mi sbaglio, sono. Chi non è, non può sbagliarsi; dunque sono, se mi sbaglio; e se è vero che sono se mi sbaglio, come posso sbagliarmi di essere, quando è certo che sono se mi sbaglio? Poiché, dunque, sarei colui che si sbaglia ancorché si sbagliasse, quando so di essere, certo non mi sbaglio ". Allo stesso modo non posso sbagliarmi quando so di sapere e so di amare 14.

Questa triplice certezza è un'arma efficace contro tre gravissimi errori: quello dello scetticismo, del materialismo, del soggettivismo; dello scetticismo perché la certezza è indubitabile, del materialismo perché nasce da una luce che rivela la natura intelligibile della verità, del soggettivismo perché la verità che la mente percepisce non la crea ma la scopre 15, non fa che sia ma riconosce che è 16.

Per avere un'idea riassuntiva dell'importanza di questo principio che ha un profondo significato metafisico (e non soltanto psicologico), basterà ricordare che ad esso si ricollegano tre tesi fondamentali della filosofia agostiniana: l'esistenza di Dio dimostrata per la via della verità 17, la spiritualità dell'anima 18 e la prova della sua immortalità 19. Si sa, poi, che ad esso è legata l'immagine della Trinità nell'uomo, che è fondamentale nella spiegazione " psicologica " del mistero trinitario 20.

Infatti rientrando in se stesso l'uomo scopre non solo di conoscere la verità, ma anche di amare l'amore. Se il primo termine, la verità, gli rivela la sua natura immortale, il

secondo, l'amore, gli rivela che questa sua natura è aperta agli altri, anzi all'Altro e, nell'Altro, agli altri; ed è tale che non trova la quiete finché non si congiunga ad essi. All'interiorità va congiunta, essenzialmente, la socialità, che vuol dire comunione. Nulla è più contrario al pensiero agostiniano che interpretarne il principio di interiorità in senso intimistico e solipsista.

2. Partecipazione

L'altro principio che entra nel nucleo essenziale della filosofia agostiniana e, insieme al precedente, la qualifica, è quello di partecipazione. Si può enunziare così: tutto ciò che esiste o è l'essere per essenza o esiste per partecipazione 21; ma esistere per partecipazione significa aver ricevuto dall'essere per essenza, che è Dio, tutto ciò che si ha.

Poste queste premesse, il pensiero agostiniano si dispiega maestoso e fecondo secondo un triplice ordine, che è costituito dall'essere, dalla verità, dal bene. Egli, infatti, ama considerare Dio come l'Essere, come Verità e come Amore, che è quindi, nelle cose, autore dell'essere, della verità e dell'amore. La formula più piena che esprima questa dottrina si trova nel De civitate Dei: "Dio è causa dell'universo creato, luce della verità da conoscersi, fonte della felicità da raggiungersi " 22.

Da Dio, infatti, ci vengono " il principio dell'essere, la verità del sapere e la felicità del vivere " 23. Questa concezione abbraccia tutta la filosofia e ne determina la divisione: filosofia naturale, razionale, morale 24; in essa trova il fondamento e da essa ha origine la dottrina della creazione, dell'illuminazione e della beatitudine, che sono i tre capisaldi del pensiero agostiniano. Di essi si parlerà poco appresso.

3. Immutabilità

Su questo terzo principio gli studiosi hanno poco o nulla insistito. Eppure esso fonda e chiarisce gli altri due principi dell'interiorità e della partecipazione, mostrandone le più profonde radici metafisiche. Agostino se ne serve per distinguere l'essere partecipante dal partecipato e per scrutare l'intima natura dell'uno e dell'altro: assolutamente semplice il primo, necessariamente composto il secondo.

Da dove abbia attinto questo principio, se pur da altri, non è facile dirlo. Forse dai manichei, i quali, nonostante il loro materialismo, ritenevano che il Dio buono fosse inviolabile e incorruttibile 25. Certo è che quando si dibatteva ancora nelle nebbie del materialismo riteneva per indubitato che Dio è incorruttibile fondandosi su questo semplice argomento: non si può pensare nulla migliore di Dio perché Egli è l'essere sommo e perfetto, ma " con assoluta e certa verità si antepone una cosa incorruttibile a una corruttibile " 26. Dio dunque è incorruttibile. La nozione di Dio che servirà ad Anselmo per dimostrarne l'esistenza, serve più efficacemente ad Agostino per dimostrarne l'incorruttibilità.

Quando poi lesse i platonici scoprì sopra la sua mente la luce immutabile della verità e la nozione di Dio assolutamente immutabile. Quei filosofi v'insistevano tanto da trarre da esso un argomento, che ritenevano insormontabile, contro la creazione delle cose nel tempo 27. Agostino accetta il principio, ma confuta, efficacemente, la conclusione.

Il principio dell'immutabilità Agostino lo enuncia così: " L'essere vero, genuino, autentico è solo l'essere immutabile " 28. Perciò la mutabilità è la nota che meglio caratterizza gli esseri finiti, mostrandone l'intera composizione e la radicale contingenza. Le cose gridano che sono state fatte, perché " vanno soggette a mutazione e variazione ". Il loro grido è irrecusabile: ciò che non è stato fatto, e tuttavia esiste, non può avere qualcosa che prima non avesse, cioè non può andare soggetto a mutazione 29. L'immutabilità è la nota prima dell'essere per essenza e serve a distinguerlo, senza pericolo di confusione, dall'essere per partecipazione. Con quest'argomento incalza contro il panteismo manicheo 30. Da questa immutabilità si possono dedurre gli altri attributi divini e raggiungere la nozione più alta di Dio. Poiché è immutabile, Dio esclude ogni composizione 31, ed è assolutamente semplice: " V'è un solo bene semplice, e perciò un solo bene immutabile, che è Dio. Da questo bene sono stati creati gli altri beni, che non sono semplici, e perciò sono mutabili " 32; e altrove incisivamente afferma: " Nulla di ciò che è semplice è mutevole; ma qualsiasi natura è mutevole " 33.

Poiché è immutabile e non può mutare in alcun modo, Dio è l'essere sussistente, lo " stesso essere " 34, l'Essere, cioè, com'egli dice, " che non è in qualche modo, ma è è35. " Come ti chiami, o Signore Dio, Signore nostro? ", domanda commentando il noto passo dell'Esodo 3, 14; e Dio risponde: " Mi chiamo È. Ma che significa "mi chiamo È"?. Che permango in eterno, che non posso mutare ". Le cose che mutano, non sono, perché non rimangono. Ciò che è rimane. Ciò che muta fu qualcosa e sarà qualcosa, ma non è perché è mutevole " 36.

Nessuna cosa mutabile, invece, ha l'essere da sé (" L'immutabilità nessuno la possiede per se stesso " 37) e, se le viene meno l'azione di chi glielo ha dato, " cesserà d'esistere " 38.

Ne segue che nessuna cosa mutabile esiste veramente, perché nessuna esiste secondo tutta l'estensione dell'essere, ma composta di essere e di non essere. Ecco un luminoso enunciato: " Qualunque cosa, per eccellente che sia, se è soggetta a mutamento, non si può dire che veramente è; poiché non esiste il vero essere dove esiste anche il non essere " 39. La composizione, dunque, è essenziale alle cose mutabili: composizione tra sostanza e perfezioni accidentali, composizione tra il soggetto e ciò che il soggetto possiede - perché nessuna cosa mutabile è ciò che ha 40 -, composizione per le cose materiali tra materia e forma. Il concetto di materia informe costò ad Agostino non lieve fatica: la concepì finalmente come una " capacità di assumere le forme ", " un nulla che è qualcosa ", secondo le espressioni che egli usa per rendere il suo pensiero, " un è che non è " attraverso cui passano tutte le trasformazioni delle cose materiali 41.

Di fronte all'immutabile, che è al sommo grado dell'essere, le cose mutabili si dispongono secondo una scala di valori che è basata sul grado della loro mutabilità 42. Alcune, infatti, sono mutabili secondo il tempo e lo spazio, come i corpi, altre soltanto secondo il tempo, come l'anima, la quale, perché non è mutabile secondo lo spazio, non è corporea; perché è mutabile secondo il tempo, non ha l'immortalità divina, ma è immortale solo " secondo una certa misura " 43.

L'universo creato si muove tra due poli, che sono la dissomiglianza e la somiglianza con Dio: la dissomiglianza nella materia 44 e la somiglianza nella forma, che va dalle forme delle cose sensibili all'anima, e dall'anima immortale, ma mutabile, all'anima partecipe, mediante la grazia, dell'immutabilità divina e, quindi, dell'immortalità piena 45.