Studi agostiniani

 
Storia e politica
Agostino nella Filosofia del Novecento/4
 

Luigi Alici, Remo Piccolomini
Antonio Pieretti (edd.)
  
  
 


Città Nuova

LUIGI ALICI, REMO PICCOLOMINI, ANTONIO PIERETTI (edd.)
Storia e politica
Agostino nella filosofia del Novecento
/4

Città Nuova, Roma, 2003

 

Introduzione

Antonio Pieretti

 

1. Con questo volume si conclude la ricerca sulla presenza di Agostino nella filosofia del Novecento. Ora, se si considera che è il quarto della serie, si può facilmente comprendere che l’impresa ha assunto proporzioni di gran lunga superiori rispetto a quelle che inizialmente si potessero immaginare. Questo risultato però, come si può intuire, non è dovuto alla difficoltà di trovare riscontri convincenti e significativi, ma piuttosto alla ricchezza e varietà con cui essi ricorrono negli autori esaminati. I numerosi contributi che ne sono scaturiti, infatti, attestano in modo inequivocabile non c’è indirizzo o orientamento di pensiero, nel vasto e complesso panorama filosofico contemporaneo, che non contenga riferimenti espliciti o, quanto meno, echi e risonanze di sicura ascendenza agostiniana. Per quel che concerne poi il presente volume, quanto detto è ancora più manifesto anche perché, essendo riservato alla storia e alla politica, riguarda in modo preminente il De civitate Dei, ossia uno degli scritti che ha maggiormente influito sulla vicenda culturale del mondo occidentale.

 

2. Come è noto, l’opera trovò la sua motivazione occasionale nel sacco di Roma del 410. Il fatto era di per sé contingente e non certo insolito per il mondo antico, ma agli occhi di Agostino assunse una particolare rilevanza perché gli permise di conferire concretezza storica al problema dell’esistenza del male, un tema centrale nel suo itinerario spirituale. Nel clima di generale smarrimento in cui gli sembrava piombato l’intero mondo occidentale, l’Ipponate tuttavia non dimenticò le proprie responsabilità di uomo di cultura e di pastore e, anziché abbandonarsi allo scoramento, appartarsi e chiudersi in se stesso per meditare sul grande evento, sentì il dovere di intervenire rincuorando, spiegando, consolando e polemizzando. Pertanto, pur manifestando commozione e sgomento per quanto era accaduto, egli si impegnò a ricondurre la caduta di Roma entro l’orizzonte di una vicenda che si svolgeva nel tempo, ma era destinata a trascenderlo. Si fece così portavoce di una lettura in senso cristiano della catastrofe, inserendola nel disegno provvidenziale di Dio, in modo che i credenti non abbandonassero definitivamente la speranza della salvezza e della vita beata. Emblematico a questo riguardo è il sermo 81, dove Agostino ribadisce la sua fiducia nella perennità di Roma, dichiarando che è stata flagellata ma non uccisa, castigata ma non distrutta; al tempo stesso però sostiene che la sua possibilità di sopravvivere dipende dalla disponibilità dei suoi abitanti a liberarsi del culto degli idoli pagani per rivolgersi al Dio dei cristiani e rendergli il dovuto onore. È pertanto poco credibile che possa aver sentito l’esigenza di impegnarsi in un’impresa così vasta, che comporta una visione d’insieme sulla intera storia dell’umanità, solo in seguito alle accuse dei pagani che imputavano alla religione cristiana un indebolimento dei costumi tradizionali e quindi di aver concorso a determinare le condizioni per la distruzione di Roma.

Lo stesso itinerario spirituale di Agostino attesta in modo inequivocabile che egli avesse pensato già da tempo ad una riflessione di questo genere; con la conversione la fede diventa per lui la prospettiva di vita capace di radicalizzare la sua ricerca di verità e di orientarla verso la sua sorgente. Con l’elevazione alla dignità sacerdotale e la sua consacrazione episcopale questo cammino viene inserito in una tradizione ecclesiale ben definita, che lo porta ad approfondire in modo continuo e sistematico i contenuti dottrinali del cristianesimo. Così, mentre riflette sul mistero di Dio nelle radici stesse della sua interiorità, egli sviluppa precisi temi teologici e si confrontano con i principali indirizzi religiosi del momento.

Gli argomenti apologetici a cui Agostino ricorre nella lotta contro il dualismo manicheo e lo scisma donatista, però non sono sterili o semplicemente astratti, ma tali che gli consentono di mettere in luce la superiorità della dottrina cristiana sia nei contenuti che nelle forme in cui trova espressione. Infine, la lotta contro l’eresia pelagiana e, in generale, contro quella pagana, oltre ad approfondire alcuni temi dottrinali trattati in precedenza, lo porta a motivare e giustificare l’azione salvifica svolta dalla Chiesa cristiana nel fluire del tempo. Si tratta per lo più di controversie di carattere morale e teologico, ma che tuttavia rientrano, trasformandosi, in un contesto più vasto che investe il senso stesso della storia. E questa, una volta che viene riguardata alla luce del disegno provvidenziale di Dio, è sottratta al rischio di disperdersi e di disgregarsi nel tempo, per proporsi come il luogo ideale in cui la città di Dio, la Gerusalemme celeste, trova la sua anticipazione. La storia è così inserita in una prospettiva escatologica e si rivela provvista di un senso che la proietta oltre se stessa: il suo dispiegarsi nel tempo non è negato, ma è ricomposto unitariamente e finalizzato al raggiungimento della felicità eterna che la guida e la orienta. Essa pertanto riscattata ed assume la configurazione di un cammino segnato dall’attesa della beatitudine finale e sostenuto dalla speranza della salvezza.

 

3. In questo ordine di idee il De civitate Dei si propone come impegnato a recuperare il valore autentico del mondo pagano; dimostra infatti che la sua dottrina, liberata dalle incrostazioni mitiche e superstiziose che ne hanno contaminato la purezza originaria e perciò perfezionata, persegue la medesima finalità di quella cristiana. Nello stesso tempo però essa mira a mettere in evidenza che il Cristianesimo è l’unica religione vera, in quanto indirizza l’uomo verso il suo essere interiore, ne soddisfa l’aspirazione a raggiungere il suo fine che è rappresentato dall’unione con Dio e gli apre la via per la felicità eterna. In ciò che ha di più proprio esso è altresì in grado di dare una soluzione positiva ai problemi morali e sociali che il politeismo non è capace di risolvere. Con il Cristianesimo, dunque, si dischiude per l’uomo una nuova cultura e un nuova sapienza, insieme ad un più autentica concezione della vita che si oppone a quella pagana, che però recupera e perfeziona in quanto la colloca entro l’orizzonte di una promessa di salvezza che ha in Dio la sua garanzia.

Nella visione teologica e religiosa offerta dal De civitate Dei la vita perde ogni connotazione puramente occasionale e contingente, per svilupparsi secondo un itinerario ben definito e in vista di un fine saldamente stabilito. Le alterne vicende che ne segnano lo svolgimento infatti troveranno il loro compimento, almeno per i giusti, nella vittoria finale sulla morte e nel conseguimento della pace perfetta.

Nella prospettiva aperta dalla salvezza annunciata da Cristo, la vita si trasforma da semplice luogo ideale di attesa in trepidante e fiducioso cammino di speranza che ha la sua meta nel ritorno a Dio e nel godimento della vita beata. Anche il passato, il presente e il futuro, anziché disperdersi in una successione di eventi diversi e privi di significato, tendono a concentrarsi in uno soltanto, contrassegnato dall’intensità dell’amore con cui l’uomo risponde al disegno di Dio e ne asseconda il progetto di salvezza che ha formulato su di lui. Così la vita si riscatta dall’insignificanza perché si rivela inserita in un orizzonte che, in quanto la trascende, ne giustifica la miseria e la grandezza, orientandola e guidandola verso uno stesso e identico fine. In questo contesto acquista un significato perfino il male a cui essa è irrimediabilmente esposta a causa della sua finitezza, in quanto rientra nell’ordine che Dio ha voluto all’atto della creazione e che resta tale fino al compimento dei tempi, quando la dissipazione non sarà più possibile e tutto il creato tornerà pacificato alla sua origine.

 

4. Con l’intervento della grazia, dunque, il tempo diventa in qualche modo l’immagine dell’eternità e quindi può essere vissuto dall’uomo come fattore di speranza o di disperazione. Alla luce di questa possibilità si differenziano le due città, quella di Dio e quella terrena, che sono le protagoniste del De civitate Dei. In esse peraltro si riflette il rapporto che l’uomo è in grado di stabilire con il suo destino di trascendenza, poiché sono espressione del conflitto tra l’amore di Dio e l’amore di sé. Questo rapporto però, anche se ha origine nell’interiorità dell’uomo dove manifesta è la presenza di Dio, è da lui vissuto nel tempo e perciò ha una proiezione sociale. È per questo che, parlando dell’umiltà e dell’orgoglio e dei generi di vita che ne possono scaturire, Agostino li riconduce a due tipi di istituzione. Queste tuttavia sono tali in senso mistico, cioè simbolico: equivalgono infatti a concrete comunità d’amore la cui identità differisce in relazione alla diversa disposizione che ciascuna della due assume nei confronti del progetto salvifico di Cristo: la città di Dio lo accoglie nell’umiltà, la città terrena lo rifiuta, affidandosi con superbia alla sua presunta autosufficienza. Così, pur trattandosi di effettive configurazioni storiche, queste due istituzioni si qualificano in base alla finalità che perseguono: per la città di Dio tale finalità è rappresentata da una condizione eterna, per la città terrena da una condizione temporale. Ma questa è la loro identità, se sono considerate alla luce della venuta di Cristo sulla terra; esse invece assumono una diversa configurazione, se sono riguardate alla luce del giudizio finale: in questo caso la città di Dio pellegrina è destinata a confluire nella città di Dio in cielo, la città terrena è destinata a scomparire. Alla fine dei tempi, quando la verità si manifesterà in tutto il suo splendore, esisterà un’unica comunità d’amore, quella rappresentata dalla città di Dio in cielo.

Con l’incarnazione del Verbo, dunque, la storia è stata resa capace di eternità. A sua volta l’uomo, in virtù della promessa salvifica, è stato restituito alla sua condizione originaria, che lo vuole orientato, in quanto creato, oltre se stesso, verso il suo compimento in Dio. A causa dell’intrinseca debolezza della volontà, egli però può accogliere con umiltà l’invito o rifiutarsi orgogliosamente di partecipare al disegno di salvezza a cui è chiamato. Così la vita dell’uomo nella storia oscilla tra i due poli della fedeltà o dell’infedeltà all’ordine che regola tutto il mondo. Questa sua condizione, secondo Agostino, è esemplarmente attestata dalla due città la cui opposizione perciò riflette l’opposizione di due modi di vivere la vita, ispirati rispettivamente alla speranza o alla vanità: l’uno aperto all’amore di Dio fino al disprezzo di sé, l’altro chiuso nell’amore di sé fino al disprezzo di Dio.

 

5. A quanti hanno guardato al problema del passaggio dal mondo antico al mondo medievale Agostino si è rivelato come un inevitabile termine di paragone. E’ appunto in questa prospettiva, rileva Francesco Miano, che lo considera Ernst Troeltsch. In opposizione alla visione propria della teologia protestante, egli esclude che l’Ipponate sia il padre dello spirito medievale; è piuttosto "l’ultimo grande platonico" che, uscito dal movimento culturale della tarda antichità, vede nel sommo bene il fine ultimo dell’uomo e ne fa il fulcro di un rinnovato rapporto tra la speculazione greca e la spiritualità cristiana. Il De civitate Dei pertanto, pur rispondendo ad un’istanza di natura apologetica, di fatto cerca di conciliare la "morente cultura antica con l’ethos, col mito, con l’autorità e l’organizzazione cattolica primitiva".

Diversamente da Troeltsch, afferma Michele Nicoletti, Carl Schmitt e Eric Voegelin pongono l’accento sull’istanza escatologica del De civitate Dei. Schmitt sottolinea che si tratta di un’opera permeata da una energica critica nei confronti di ogni divinizzazione della città terrena e tuttavia non esclude che preveda un impegno della Chiesa nel mondo. Poichè la comunità dei credenti è chiamata a divenire il segno concreto della presenza di Dio nella storia dell’umanità, ciò comporta per essa una tensione perenne che troverà la sua piena soddisfazione solo alla fine dei tempi, quando la comunione sarà perfetta e l’invisibile diventerà visibile. Secondo Voegelin, Agostino ha dato un’interpretazione filosofico-storica della distinzione tra la sfera spirituale e quella temporale, introducendo così nella cultura occidentale una molteplicità di dualismi. Non per questo però egli è caduto nelle suggestioni della gnosi, conferendo una valenza eterna alla realtà mondana; ha piuttosto elaborato una teologia della storia orientata ad affermare l’irriducibilità della trascendenza divina al piano immanente della fattualità.

Per Karl Löwith, evidenzia Roberto Gatti, Agostino rappresenta una sorta di modello per ogni filosofo che intenda conseguire una coscienza storica chiaramente delineata. Si è infatti ripromesso non solo di cogliere lo svolgimento interno della storia, ma anche di chiarirne il significato e il fine. La prospettiva teologica che ne è scaturita si caratterizza come una visione sistematica del divenire, connotata in senso prevalentemente morale e teologico. In questo contesto anche il significato dei concetti è profondamente mutato; in particolare, quello di mondo ha subito una curvatura per cui non é più inteso come cosmo, ma è concepito come una realtà depotenziata e ricondotta nell’ambito dell’attività dell’uomo, divenendo così bisognoso di redenzione.

Secondo Rosenzweig, fa osservare Francesco Maria Ciglia, Agostino è un maestro esemplare nell’esercizio dell’attività filosofica condotta alla luce della rivelazione, dal quale tuttavia egli si distacca, in quanto lo ritiene impegnato a difendere il cristianesimo nei confronti dell’ebraismo. Condividono entrambi la lettura "dogmatica" della Bibbia, ma, mentre per Agostino la verità è trascendente rispetto al testo sacro e pertanto accessibile anche per altre vie, per Rosenszweig essa invece ha nella Scrittura la sua fonte perenne. Quanto detto trova riscontro nel modo d’intendere la civitas Dei, la quale, così come è concepita da Agostino, a parere di Rosenzweig, vale esclusivamente per il popolo ebraico, perché è l’unico ad essere già nella meta, e non per il popolo cristiano che è chiamato ad inserire l’escatologia nel tempo storico.

Con Bloch, dice Gerardo Cunico, il De civitate Dei acquista una forte rilevanza utopica. L’opera, infatti, più che come una teologia della rivelazione di Dio, è da lui interpretata come una storia segnata dall’azione dell’uomo in vista della sua emancipazione. Sotto questo profilo la valenza escatologica propria del Dies septimus assume un posto preminente. L’utopia che connota il De civitate Dei agostiniano, secondo Bloch, contiene anche la speranza, poiché fa sì che le classi subalterne, costantemente stimolate dalla promessa divina, siano dirette verso la propria meta. Moltman, invece, è dell’opinione che con Agostino si sia sviluppata una dogmatica, che ha svincolato il cristianesimo dalle sue radici ebraiche e gli ha fatto assumere una configurazione fortemente caratterizzata in senso ellenistico e romano. In conseguenza di ciò, il messaggio cristiano ha perduto l’ispirazione escatologica propria delle sue origini e ha rinunciato alla sua alternativa apocalittica rispetto a questo mondo di violenze e di morte. Inoltre, concentrando la sua teologia sul rapporto tra l’anima e Dio, Agostino ha avvicinato il cristianesimo alle religioni di derivazione gnostica; quindi, svalutando il corpo e privilegiando l’esperienza interiore a danno dell’esperienza di Dio, è pervenuto ad una concezione profondamente pessimistica della temporalità. Ha così stabilito i fondamenti teologici e antropologici della spiritualità occidentale.

Anche la rilettura di Agostino proposta da Henri-Irenée Marrou, Jean Guitton e Hans Urs von Balthasar, ritiene Marie-Anne Vannier, è incentrata sulla tematica della teologia della storia: essi sottolineano lo stretto rapporto che esiste, nella sua prospettiva, tra tempo ed eternità con l’intermediazione della storia. Per Marrou Agostino vede nell’epoca antica un’epoca di decadenza, della quale però possono essere conservati alcuni elementi che, opportunamente impiegati, concorrono alla ricostruzione della cultura del mondo occidentale. Per tutto il tempo in cui il saeculum sopravvive, la storia appare come una mescolanza inestricabile di bene e di male, per cui la frontiera tra la città di Dio e la città terrena passa per ciascun uomo all’interno della sua anima. Spetta pertanto alla libera decisione dell’individuo di concorrere al progresso della storia e di sottrarla al rischio del caos. Tale progresso, tuttavia, non può procedere in modo autonomo, ma richiede l’intervento divino; sotto questo profilo, il mistero della storia trova la sua connotazione in una triplice componente, rappresentata dall’impenetrabilità divina, dal mistero della libertà e da quello del tempo. Così, sullo sfondo di una teologia della storia, Marrou individua anche una filosofia della storia.

Secondo Balthasar, il tempo in Agostino è creato e perciò non è né buono né cattivo: è il principio della differenza che separa le cose create dal loro creatore e, contemporaneamente, indica la via che bisogna percorrere perché la realtà caduca possa essere redenta. A questo riguardo, determinante è la conversione in quanto comporta una sorta di inversione del tempo, dando luogo, attraverso la sequela di Cristo, al ritorno della creatura al suo creatore. Centrale in questa teologia della storia è l’estetica, poichè Dio è riguardato come la bellezza suprema capace dare senso sia alla verità che al bene. L’approfondimento del rapporto tra tempo ed eternità, lasciato in qualche modo sullo sfondo da Balthasar, è ripreso e sviluppato da Guitton, il quale evidenzia che il tempo prepara all’eternità secondo un duplice punto di vista: in primo luogo, in virtù della sua continuità, per cui salvaguarda ciò che non può corrompere; in secondo luogo, mediante la conversione che, obbligando l’anima a compiere scelte radicali, la sollecita a muoversi verso i livelli superiori nei confronti dei quali essa non potrebbe orientarsi con le sue sole forze. L’esperienza dell’eternità in questo contesto diventa unica, in quanto appartiene all’ordine dell’istante e procura una beatitudine indicibile.

Presenze continue e ricorrenti di Agostino, secondo Nevio Genghini, si riscontrano anche in Chrales Taylor, il quale ne individua la peculiarità nella svolta in interiore homine, in quanto comporta un drastico ripensamento dell’itinerario dell’uomo verso Dio. L’adozione di questa prospettiva infatti arricchisce l’esperienza di dimensioni nuove, che le consentono di prendere coscienza che il mondo esiste per l’uomo, che l’uomo può pervenire all’autocoscienza e che egli, attraverso la riscoperta di sé, è in grado di cogliere anche la presenza altrui, il cui significato si decide nell’alternativa tra caritas e cupiditas. A questo proposito acquista una specifica rilevanza la ricoperta dell’identità personale, poichè può costituire la premessa per conferire un nuovo significato alle ricerche sul soggetto umano.

Anche se di difficile identificazione, in quanto piuttosto sommari sono i riferimenti diretti, per Paolo Miccoli una sorta di agostinismo sotterraneo percorre l’intero itinerario di ricerca che ha contraddistinto Giuseppe Capogrossi. Nella sua prospettiva giuridico-politica, infatti, grande attenzione è riservata ai temi metafisici del male e del libero arbitrio, i quali sfociano in una storia della salvezza che, illuminata dalla rivelazione biblica, si snoda attraverso una costante dialettica tra bene e male.

 

Storia e politica

Agostino nella filosofia del Novecento/IV

 

Indice del volume

A. PIERETTI, Introduzione

F. MIANO, Ernst Troeltsch. Cristianesimo, etica e storia

M. NICOLETTI, Carl Schmitt e Eric Voegelin. "Teologia politica" e gnosi.

R. GATTI, Karl Löwith. Fede, storia e politica

F.P. CIGLIA, Franz Rosenzweig. Fra profezia filosofica e compimento biblico

G. CUNICO, Ernst Bloch e Jürgen Moltmann. Utopia e speranza

M.-A.VANNIER, Marrou, Balthasar, Guitton. Tra filosofia e teologia della storia

G. DESSI', Reinhold Niebuhr. Il realismo politico

N. GENGHINI, Charles Taylor. Agostino e le origini del moderno

P. MICCOLI, Giuseppe Capograssi. Auctoritas e tutela juris

D. PAGLIACCI, Appendice bibliografica

 

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