LIBRO SECONDO

VERSO LA TRASCENDENZA MEDIANTE DIALETTICA.
IMMORTALITÀ DELL'ANIMA

Primo momento: Il "vere esse" dell'anima nel vero e falso secondo parvenza (1, 1-5, 8)

Atto immediato di coscienza dell'essere vivere pensare.

1. 1. A. - Per parecchio tempo è rimasta sospesa la nostra opera. Invece l'amore è impaziente e non si dà limite all'angoscia se non si concede all'amore l'oggetto amato. E per questo diamo inizio al secondo libro.
R. - Iniziamolo.
A. - Ed abbiamo fede che Dio ci assisterà.
R. - Abbiamo fede certamente, se questo è almeno in nostro potere.
A. - Egli stesso è il nostro potere.
R. - E allora prega con quanto maggiore brevità e sincerità ti è possibile.
A. - O Dio che sei sempre il medesimo, che io abbia conoscenza di me, che io abbia conoscenza di te. Ho pregato.
R. - Tu che desideri la conoscenza di te, hai coscienza d'esistere?
A. - Sì.
R. - Come ne hai coscienza?
A. - Non so.
R. - Hai esperienza di esser uno o plurimo?
A. - No.
R. - Hai coscienza di esser soggetto al divenire? A. - No.
R. - Hai coscienza di pensare?
A. - .
R. - Dunque è vero che tu pensi?
A. - Sì
R. - Hai coscienza di essere immortale?
A. - No.
R. - Di tutti questi significati che, come hai ammesso, trascendono l'atto della tua coscienza, di quale per primo desideri avere scienza?
A. - Della mia immortalità.
R. - Desideri vivere dunque?
A. - Lo confesso.
R: - E quando raggiungerai scienza della tua immortalità, cesserà la tua ricerca?
A. - Sarà una grande conquista, ma per me è sempre poco.
R.- E quanto godrai di questo poco?
A. - Moltissimo.
R. - E non ti abbandonerai più all'angoscia?
A. - No certamente.
R. - E se la vita ti apparisse tale che in essa non ti fosse concesso di conoscere di più di quanto hai già conosciuto, porresti un limite alla tua angoscia?
A. - Anzi aumenterebbe tanto che la vita non avrebbe più senso.
R. - Dunque non desideri vivere per vivere, ma per avere scienza.
A. - Ammetto la conclusione.
R. - E se anche avere scienza ti rendesse infelice?
A. - Escludo in forma assoluta tale possibilità. Data l'ipotesi non ci sarebbe felicità per l'uomo. In definitiva non per altro ora sono infelice se non a causa dell'ignoranza. Che se scienza rende infelici, l'infelicità è stato definitivo.
R. - Ora comprendo il significato del tuo desiderio. Dalla tua convinzione che l'uomo non è infelice a causa di scienza, risulta probabile che avere scienza rende felici. E poiché felice non è chi non vive e non vive chi non è, tu desideri essere, vivere e pensare o meglio essere per vivere e vivere per pensare. Dunque hai coscienza di essere, vivere e pensare. Ma tu desideri ancora avere scienza se tali principi sempre rimangono o se non ne rimanga alcuno ovvero se di essi qualcuno rimanga e qualcuno cessi e se possano diminuirsi o accrescersi qualora tutti rimangano.
A. - Sì.
R. - Se dunque riusciremo a dimostrare che il nostro vivere non cessa, ne conseguirà che anche il nostro essere non cessa.
A. - Ne seguirà.
R. - Rimarrà tuttavia aperta la ricerca sul pensare.

Soltanto la verità è innegabile e fuori ipotesi.

2. 2. A. - Ritengo che il procedimento sia molto chiaro e breve.
R. - Allora sta' pronto a rispondere con discernimento e attenzione alle mie domande.
A. - Sono pronto.
R. - Nell'ipotesi che il mondo rimanga per sempre, è vero che esso rimarrà per sempre?
A. - Chi ne può dubitare?
R. - E nell'ipotesi che non rimanga, è vero che non rimarrà?
A. - Non faccio obiezioni.
R. - E quando venisse a cessare, nell'ipotesi che sia destinato a cessare, non è allora vero che il mondo è venuto a cessare? Difatti fin quando non è vero che il mondo è cessato, non è cessato; quindi è assurdo che il mondo sia cessato e che non sia vero che il mondo è cessato.
A. - Ammetto pure questo.
R. - Ed ancora: ritieni che si dia il vero e che la verità non esista?
A. - No assolutamente.
R. - Dunque rimarrà la verità anche se il mondo cessasse d'essere.
A. - Non posso negarlo.
R. - E nell'ipotesi che la verità stessa venisse a cessare, è vero che la verità è venuta a cessare?
A. - Ed anche questo chi lo nega?
R. - Ma il vero non può esistere se la verità non esiste.
A. - L'ho ammesso dianzi.
R - È dunque assurdo che la verità venga a mancare.
A. - Continua come hai cominciato, poiché codesta tua argomentazione è assolutamente vera.

Vero e falso come parvenza.

3. 3. R. - Ora rispondimi: ritieni che il sentire appartiene all'anima ovvero al corpo?
A. - Ritengo che all'anima.
R. - E ritieni che l'intelligenza è parte dell'anima?
A. - Certamente.
R. - Dell'anima soltanto o anche di qualche altro essere?
A. - Ritengo che oltre che nell'anima l'intelligenza esiste in Dio.
R. - Ed ora esaminiamo il seguente argomento. Che penseresti se qualcuno ti dicesse che codesta parete non è parete, ma un albero?
A. - Che o il mio senso o il suo s'inganna ovvero che con tale nome da lui è designata la parete.
R. - E nell'ipotesi che a lui appaia l'immagine dell'albero e a te quella della parete, non potrebbe l'una e l'altra esser vera?
A. - No assolutamente, perché una sola e medesima cosa non può essere albero e parete. E se a me e rispettivamente all'altro appaia con due diverse immagini, è evidente che uno di noi due ha una falsa rappresentazione.
R. - E se non fosse né albero né parete ed entrambi v'ingannaste?
A. - Ciò è possibile.
R. - Dianzi avevi trascurato questa possibilità.
A. - Difatti.
R. - E nell'ipotesi che vi accorgiate che vi appare diversa da com'è, ancora v'ingannereste?
A. - No.
R. - È possibile pertanto che sia falso ciò che appare e non s'inganni colui cui appare.
A. - È possibile.
R. - Bisogna dunque ammettere che non s'inganna chi vede il falso, ma chi presta assenso al falso.
A. - Bisogna proprio ammetterlo.
R. - E perché il falso è falso?
A. - Perché è diverso dal suo apparire.
R. - Dunque nell'ipotesi che non esista qualcuno cui appare, non ci sarebbe il falso.
A. - Ne consegue.
R. - Pertanto la falsità non è nelle cose, ma nella conoscenza sensibile e s'inganna soltanto chi presta l'assenso al falso. Ne consegue che altro è il nostro essere interiore, altro la conoscenza sensibile, poiché mentre essa accetta l'illusione, può non accettarla il nostro essere interiore.
A. - Non ho nulla da opporre.
R. - E potresti dire che se l'anima s'inganna, tu non ti sei ingannato?
A. - E come lo potrei?
R. - Ma non v'è conoscenza sensibile senza l'anima e non v'è parvenza senza la conoscenza sensibile. Dunque o l'anima genera la parvenza o vi coopera.
A. - Le promesse postulano tale conclusione.

Il mondo dei fenomeni è indefettibile?

3. 4. R. - Ed ora rispondi a questa domanda: ritieni possibile che, ad un certo momento, il mondo delle parvenze non si dia più?
A. - Come posso ritenere una tale opinione, se v'è tanta difficoltà a trovar la verità che sarebbe più assurda l'impossibilità della parvenza che della verità?
R. - E ritieni che chi non vive può avere conoscenza sensibile?
A. - È assurdo.
R. - Si conclude dunque che l'anima vive per sempre.
A. - Con troppa precipitazione mi spingi alla gioia. Un po' alla volta, scusa.
R. - Ma se le cose ammesse sono state ragionevolmente accertate, non vedo di che dubitare sull'argomento.
A. - È avvenuto con troppa precipitazione, ripeto. Sono più disposto ad ammettere di avere concluso qualche punto senza sufficiente esame che essere già certo dell'immortalità dell'anima. Comunque, deriva meglio la conclusione e chiarisci come è stata raggiunta.
R. - Hai ammesso che il mondo delle apparenze non si può dare senza la conoscenza sensibile e che è assurdo che non si dia. Per sempre quindi esiste la conoscenza sensibile. Ma non si dà conoscenza sensibile senza 1'anima; quindi l'anima è immortale. Né potrebbe conoscere se non vivesse. Per sempre quindi l'anima vive.

Indebita teoresi dall'idea di anima cosmica (Platone e Plotino)...

4. 5. A. - O pugnale di piombo! (Cicerone, De fin. 4, 18, 48). Potresti concludere che l'uomo è immortale se ti avessi concesso che questo mondo non si può concepire senza l'uomo e che esso è eterno.
R. - Fai buona guardia. Tuttavia, non è poco quanto abbiamo concluso e cioè che il mondo del divenire non si concepisce senza l'anima, salva l'ipotesi che eventualmente nel mondo del divenire non si dia più l'apparenza.
A. - Ammetto la conseguenza. Ma ritengo che si deve ancora esaminare la possibile inconsistenza di alcune nostre ammissioni. Scorgo infatti che è stato marcato un passo troppo precipitoso verso la dimostrazione dell'immortalità dell'anima.
R. - Hai riflettuto abbastanza per non ammettere qualche cosa pregiudizialmente?
A. - Certo che abbastanza, e non rilevo in che accusarmi di ammissioni pregiudiziali.
R. - Dunque è stato accertato che il mondo del divenire non si concepisce senza l'anima viva.
A. - Fino a questo momento è stato accertato che nell'avvicendarsi alcune cose possono esser generate, altre morire.
R. - E nell'ipotesi che nel mondo del divenire fosse eliminata la parvenza, tutto diverrà vero?
A. - Veggo che ne consegue.
R. - Dimmi per quale criterio ritieni che questa parete è vera.
A. - Perché non m'inganno nel vederla.
R. - Dunque perché è come appare?
A. - Certamente.
R. - Sia l'ipotesi che qualche cosa è falsa perché appare diversamente da com'è, e sia vera perché appare com'è. Sottratto dunque il soggetto cui appare, nulla rimane di vero, nulla rimane di falso. E nell'ipotesi che non esiste più la parvenza nel mondo del divenire, tutto è vero. Inoltre qualsiasi cosa può apparire soltanto all'anima che vive. Dunque l'anima persiste nel mondo reale se è assurdo eliminare la parvenza; persiste se non è assurdo.
A. - Osservo che quanto era stato assodato ha acquistato maggior validità, ma con questa aggiunta neanche di un po' abbiamo avanzato. Difatti rimane fermo il motivo che mi rende molto incerto, e cioè che le anime sono generate e muoiono e che non dalla loro immortalità, ma dall'avvicendarsi proviene che non manchino nel mondo.

... e dal concetto di vero e falso (Zenone).

4. 6. R. - Ritieni che i vari oggetti corporei, cioè sensibili, si possono comprendere con l'intelletto?
A. - No.
R. - E ritieni che Dio usa i sensi per conoscere le cose?
A. - Nora vorrei avanzare affermazioni pregiudiziali sull'argomento. Ma, per quanto è concesso alla congettura, sembra assurdo attribuire i sensi a Dio.
R. - Pertanto ammettiamo che soltanto 1'anima può conoscere sensibilmente.
A. - Per adesso ammetti quanto è possibile secondo probabilità.
R. - E concedi che codesta parete, se non è vera parete, non è parete?
A. - Niente concederei con tanta facilità.
R. - E che qualsiasi cosa, se non è vero corpo, non è corpo?
A. - Anche qui d'accordo.
R. - Ammesso dunque che è vero soltanto ciò che è come appare, che l'oggetto corporeo può apparire soltanto ai sensi, che l'anima soltanto può sentire ed infine che non è corpo se non è vero corpo, si deve concludere che il corpo non può esistere se non esiste l'anima.
A. - Sei troppo convincente e non ho da eccepire.

Dalle premesse l'insignificanza e le aporie del non essere di ciò che non appare...

5. 7. R. - Piuttosto rifletti con maggior ponderazione su tali concetti.
A. - Sono pronto.
R. - Certamente questa è pietra; ed è vera se non ha struttura diversa da come appare; e non è pietra se non è vera; e può apparire soltanto ai sensi.
A. - D'accordo.
R. - Poste tali premesse, nel più riposto grembo della terra non vi sono pietre o dovunque non siano presenti soggetti senzienti. E questa pietra non vi sarebbe se non la vedessimo e non rimarrà pietra quando noi ci saremo allontanati e nessun altro sarà presente per vederla. Ed anche se chiuderai bene gli scrigni, essi non conterranno nulla quantunque tu vi abbia rinserrato molte cose. E lo stesso legno degli scrigni dalla parte interna non è legno poiché ciò che è nascosto nell'interno d'un corpo opaco è nascosto a tutti i sensi e quindi per necessaria conseguenza non esiste. Difatti se fosse, sarebbe vero, ma è vero soltanto ciò che è come appare; ma esso non appare, quindi non è vero. A meno che tu non abbia qualche motivo da opporre a questa conclusione.
A. - Mi sto accorgendo che essa è derivata da quanto ho già ammesso, ma è così assurda che negherei più facilmente qualsiasi delle precedenti ammissioni anziché ammettere come vera una simile conclusione.
R. - Non ho da ribattere. Sta' dunque attento a quanto intendi dire, e cioè: o che gli oggetti sensibili possono apparire soltanto ai sensi o che sente soltanto l'anima o che la pietra e qualsiasi altro corpo può esser ma non essere vero o che il vero stesso si deve definire diversamente.
A. - Ti prego, esaminiamo quest'ultimo punto.

... o del non essere assoluto della parvenza.

5. 8. R. - Definisci allora il vero.
A. - Vero è ciò che è così come appare a chi conosce, se vuole e può conoscere.
R. - Non è dunque vero ciò che non si può conoscere? Inoltre se è falso ciò che appare altrimenti da com'è e se questa pietra ad uno appare pietra ed a un altro legno, si dovrà forse dire che la medesima cosa è falsa e vera?
A. - Mi rende incerto soprattutto quanto è stato detto dianzi sulla possibilità che non sia vero ciò che non si può conoscere. Non mi preoccupa tanto il motivo che una medesima cosa possa insieme esser vera e falsa. Penso infatti che una medesima cosa, messa a confronto con oggetti diversi, può esser insieme maggiore e minore. Appunto da questo principio deriva che nessun oggetto, in sé considerato, è maggiore o minore, poiché questi sono termini d'un rapporto.
R. - Ma se tu dici che nessuna cosa è di per sé vera, non temi la conseguenza che nessuna cosa di per sé è? Difatti dallo stesso principio per cui questo è legno deriva che sia vero legno. E non è possibile che di per sé, cioè senza il riferimento ad un soggetto conoscente, sia legno e non sia vero legno.
A. - Allora mi decido a definire il vero nei termini seguenti, senza temere che la mia definizione sia riprovata perché è troppo breve. Ritengo che è vero ciò che è.
R. -Nulla dunque è falso, poiché tutto ciò che è, è vero.
A. - Mi hai sospinto nelle aporie del pensiero e non trovo modo di formulare una risposta. Pensare che proprio io ho voluto essere ammaestrato soltanto mediante il dialogo ed ho finito per temere di subirlo.

Secondo momento: Il "vere esse" dell'anima nel vero e falso secondo mimesi (6, 9 - 14, 26)

a) Primo principio:
Falso e divenire secondo Il Sofista
e la sfera mimetica da trascendere (6, 9 - 10, 18)

Di nuovo fede e preghiera.

6. 9. R. - Dio, cui ci siamo affidati, senza dubbio ci reca aiuto e ci affranca da tali aporie, purché crediamo e lo preghiamo con molta devozione.
A. - A questo punto nulla farò più volentieri, poiché giammai sono stato avvolto da tanta caligine. Dio Padre nostro, che ci esorti a pregarti e ci dai ciò di cui sei pregato, poiché, quando ti preghiamo, viviamo meglio e diventiamo migliori, esaudisci me che rabbrividisco in queste tenebre e porgimi la destra. Fammi vedere la tua luce, richiamami dagli errori e fa' che, dietro la tua guida, rientri in me ed in te. Amen.
R. - Sta' attento quanto puoi e rifletti con molta diligenza.
A. - Dimmi, ti prego: ti s'è svelato un motivo qualsiasi per non smarrirci del tutto?
R. - Sta' attento.
A. - Vedi che non sto facendo altro.

Mimetica visiva.

6. 10. R. - Prima di tutto indaghiamo a fondo che cos'è il falso.
A. - Mi meraviglierei se non fosse ciò che è diverso da come appare.
R. - Rifletti piuttosto. Intanto interroghiamo prima i sensi. Ciò che gli occhi vedono non si dice certamente falso se non ha qualche cosa di somiglianza col vero. Ad esempio, l'uomo che vediamo nel sogno non è vero uomo, ma falso perché ha somiglianza col vero. Difatti chi, vedendo in sogno un cane, direbbe che ha sognato un uomo? Ed anche quel cane è falso perché è simile al vero.
A. - È come tu dici.
R. - E se qualcuno nella veglia vede un cavallo e reputa di aver visto un uomo, s'inganna perché gli appare una certa somiglianza dell'uomo. Se non gli apparisse che la figura del cavallo, non potrebbe reputare di aver visto un uomo.
A. - Accetto in pieno.
R. - Allo stesso modo diciamo falso l'albero che vediamo dipinto e il viso che viene restituito dallo specchio e falso l'oscillare delle torri agli occhi dei naviganti e falso lo spezzarsi del remo nell'acqua non per altra ragione che sono simili al vero.
A. - Lo ammetto.
R. - Allo stesso modo possiamo ingannarci nel vedere due oggetti gemellari, le uova, vari sigilli impressi con un solo anello e altre cose del genere.
A. - Ti seguo bene e sono d'accordo.
R. - Pertanto la somiglianza degli oggetti propri della percezione visiva è generatrice di apparenze.
A.- Non posso negarlo.

Fattori mimetici nella percezione visiva.

6. 11. R - Ma tutto il complesso, salvo svista, si può ricondurre a due categorie. L'apparente si ha infatti fra oggetti simili di egual grado e fra oggetti simili di diverso grado. Si ha il primo caso quando si dice indifferentemente che il primo è simile al secondo e il secondo al primo come è stato detto degli oggetti gemellari e dei sigilli. Si ha poi il secondo caso quando ciò che è di grado inferiore si dice simile all'oggetto di grado superiore. Chi si guarda allo specchio non direbbe ragionevolmente di esser simile all'immagine ma piuttosto che essa è simile a lui. Questa seconda categoria raccoglie tanto le impressioni interiori quanto gli oggetti che appaiono. L'impressione, a sua volta, o avviene nell'organo, come l'oscillare inesistente delle torri, ovvero nell'anima stessa in ciò che ha ricevuto dai sensi, come sono le immaginazioni dei sognanti e forse anche dei pazzi. Inoltre le somiglianze degli oggetti che appaiono sono prodotte ed espresse alcune dalla natura, altre da esseri animati. La natura produce somiglianze di grado inferiore nel generare o nel riflettere: nel generare quando i generati sono simili ai generanti; nel riflettere come avviene nei vari specchi, anche in quelli prodotti dagli uomini perché, sebbene costruiscano vari tipi di specchi, non sono tuttavia essi a creare le immagini che vengono restituite. Infine le somiglianze prodotte dagli esseri animati sono nelle pitture e in qualsiasi composizione del genere. In questa categoria si possono includere anche le opere che fanno i demoni, se tuttavia avvengono. Le ombre si possono pressappoco dire simili ai corpi e quasi falsi corpi, e non si può negare che appartengono alla percezione degli occhi. Ci sembra quindi opportuno porle in quella categoria di cose simili che per riflesso provengono dalla natura. È riflesso infatti ogni corpo esposto alla luce, poiché restituisce l'ombra in direzione opposta. Ti sembra di poter opporre motivi in contrario?
A. - No, nulla. Ma sto aspettando con impazienza a che mirino le tue parole.

Mimetica degli altri sensi.

6. 12. R. - Al contrario è indispensabile che attendiamo con pazienza all'esame anche degli altri sensi i quali possono garantire che l'apparire consiste nella somiglianza col vero. Difatti anche nell'udito si verificano altrettanti generi di somiglianze. Ad esempio, nell'udire la voce di un uomo che parla e che noi non vediamo, crediamo che sia un'altra persona con la voce di egual timbro. Delle somiglianze di grado inferiore sono argomento l'eco, il ronzio degli orecchi, l'imitazione negli orologi del merlo e del corvo e quei suoni che ai sognanti e agli allucinati sembra di udire. È incredibile poi quanto contribuiscano alla dimostrazione della verità, che apparirà in seguito, quelli che i musici definiscono falsi suoni. Anche essi, per quanto riguarda il tema in parola, non sono lontani dalla somiglianza con quelli che essi chiamano veri suoni. Segui l'assunto?
A. - Ed anche con molta facilità. Non stento affatto a capire.
R. - Dunque per non trattenerci ancora, ritieni che in odore giglio differisca da giglio e che in sapore miele di timo di un alveare differisca dal miele di timo di un altro alveare o che al tatto la morbidezza delle penne di cigno si possa distinguere da quella delle penne d'oca?
A. - No.
R. - Talora noi sogniamo di odorare, gustare e toccare. In tal caso non cadiamo forse in errore per la somiglianza d'immagini che è di grado tanto inferiore quanto è più labile?
A. - È giusto.
R. - È manifesto quindi che nell'esercizio di tutti i sensi, siano le immagini imitative di pari o d'inferiore grado, ci lasciamo ingannare da una somiglianza che opera da mediatrice. Ed anche se non c'inganniamo perché sospendiamo il giudizio e discriminiamo le note differenti, dobbiamo riconoscere che denominiamo false le parvenze che riconosciamo simili alle vere.
A. - Non ne posso dubitare.

La mimetica è nella somiglianza o dissimiglianza?

7. 13. R. - Ed ora rifletti bene mentre riesaminiamo questi concetti affinché divenga più manifesto ciò che vogliamo chiarire.
A. - Eccomi pronto, di' ciò che vuoi. Tanto ormai ho stabilito di sopportare codesto lungo giro di parole. Non mi stancherò nell'ascoltarlo, perché ho ferma fiducia di raggiungere la meta alla quale, come avverto, stiamo tendendo.
R.- Bravo. Ed ora rifletti attentamente. Quando vediamo delle uova simili, possiamo affermare che qualcuna è falsa?
A. - No certamente. Tutte le uova, se sono uova, sono vere uova.
R. - E quando vediamo una immagine riflessa dallo specchio, da quali segni comprendiamo che è apparente?
A. - Ma evidentemente perché non si afferra, non ha suono, non si muove da sé, non vive e da parecchi altri motivi che sarebbe lungo enumerare.
R. - Noto che non vuoi trattenerti e bisogna un po' accondiscendere alla tua fretta. Pertanto, a scanso di ripetizioni, supponiamo che gli uomini immaginati nel sogno possano vivere, parlare ed esser toccati da chi è desto e che non differiscano in nulla da quelli cui, desti e sani di mente, rivolgiamo la parola. In tale supposizione potremmo dire che sono falsi?
A. - Come si potrebbe dirlo ragionevolmente?
R. - Supponiamo dunque che siano in tanto veri in quanto appaiono molto simili ai veri e non esiste alcuna differenza fra essi e i veri; allo stesso modo che siano in tanto falsi in quanto si può dimostrare che sono dissimili per le suddette e altre note differenti. In tale ipotesi non si dovrebbe ammettere che la somiglianza è madre della verità e la dissimiglianza madre della falsità?
A. - Non ho nulla da opporre ed ho vergogna della pregiudiziale ammissione di poco fa.

Un momento di sosta per il richiamo all'interiorità.

7. 14. R. - Sarebbe da ridere se te ne vergogni veramente, come se, proprio a questo scopo, non avessimo scelto questo procedimento nel tener discorsi. Vorrei appunto, giacché discorriamo fra di noi, che siano denominati e intitolati I Soliloqui. È un nome nuovo e forse anche non elegante, ma assai adatto ad indicarne il contenuto. Non si può infatti meglio investigare la verità che col dialogo. Tuttavia si trova difficilmente qualcuno che non s'indisponga se viene confutato nella disputa. Anzi avviene quasi sempre che l'incomposto gridare degli ostinati eluda l'attinenza all'argomento già ben avviato nella discussione con offesa dell'amor proprio, il più delle volte dissimulata, ma talora anche manifesta. Per tali motivi m'è sembrato opportuno, mediante un dialogo interiore e con l'aiuto di Dio, di ricercare la verità con calma, per quanto mi riguarda e con largo impiego di tempo. Pertanto se pregiudizialmente hai dato una soluzione non ti devi affatto vergognare di tornare indietro e darne un'altra maniera non se ne viene fuori.

Il pensiero di Agostino naufraga nel mare delle aporie.

8. 15. A. - Giusto, ma io non vedo chiaro che cosa ho ammesso inconsideratamente. Faccio eccezione per il motivo che ragionevolmente si poteva definire falso ciò che ha una qualche relativa somiglianza col vero perché non ho in mente altro concetto adatto a designare il falso. D'altra parte sono costretto ad ammettere che le cose denominate false in tanto sono false in quanto differiscono dalle vere. Ne deriva che anche la dissimiglianza è principio della falsità. E per questo rimango perplesso, poiché non mi viene in mente nulla che sia prodotto da opposti principi.
R. - E se si trovasse in natura un caso unico e singolare? Ad esempio, non sai che, se ti dài a scorrere le innumerevoli specie degli animali, si trova soltanto il coccodrillo che nel masticare muove la mandibola superiore? In definitiva nessun oggetto si può reperire tanto simile ad un altro che non sia anche dissimile per qualche aspetto.
A. - Comprendo codesti concetti. Tuttavia quando considero che ciò che diciamo falso ha qualche cosa di simile e dissimile dal vero, non so decidere da quale parte debba dirsi falso. Se dico dall'aspetto per cui è dissimile, ne consegue che tutto si può dir falso, perché non v'è oggetto che non sia dissimile da un altro che riconosciamo come vero. Se poi dico che si deve chiamar falso perché è simile, reclameranno le famose uova che sono vere per il fatto che sono molto simili. Nello stesso tempo io non sfuggirò a colui che volesse costringermi ad ammettere che tutto è falso, poiché non posso negare che tutte le cose per qualche aspetto si rassomigliano. Ma poniamo come ipotesi la risposta che la somiglianza e la dissimiglianza insieme concorrono a far sì che qualche cosa ragionevolmente sia denominato falso. Quale via di scampo mi lasceresti? S'insisterà difatti ancora nel rinfacciarmi che io ritengo tutte le cose false poiché tutte le cose, come è stato detto dianzi, si rassomigliano e si differenziano per qualche aspetto. Mi rimarrebbe da dire che è falso ciò che è altro da come appare. Ma temo d'imbattermi in tutti quei mostri che m'illudevo di avere or ora evitato. Dalla vertigine del dubbio sono infatti di nuovo spinto al punto di dire che il vero è ciò che è così come appare. Ma ne deriva che non si dà il vero senza chi conosce; e in tal caso devo temere il naufragio in quegli scogli molto nascosti che sono veri anche se non sono conosciuti. Che se poi affermerò che è vero ciò che è, mi si ribatterà concordemente che il falso non esisterebbe. Pertanto mi tornano tutte le perplessità e mi accorgo che nulla ho conquistato dopo avere sopportato così a lungo i tuoi indugi.

Il falso come inganno e come finzione...

9. 16. R. - Presta attenzione piuttosto. Non posso convincermi di aver chiesto invano l'aiuto divino. Penso che, dopo aver saggiato, per quanto abbiamo potuto, tutti i concetti, non ci sia rimasto altro che si possa, a rigor di logica,- definire il falso se non ciò che si assimila ad essere ciò che non è o in genere che ha parvenza di essere e non è. Nel primo dei due concetti sono inclusi tanto l'inganno quanto la finzione. Ingannevole si dice ragionevolmente l'essere che ha una certa tendenza, inconcepibile fuori dell'anima, a trarre in inganno. Tale tendenza si manifesta tanto mediante il pensiero quanto mediante l'istinto naturale: mediante il pensiero, in esseri ragionevoli come nell'uomo; mediante l'istinto, in esseri bruti come la volpe. Ciò che denomino finzione viene prodotta dagli esseri che creano illusioni. Ed essi differiscono dagli esseri ingannevoli in quanto l'essere ingannevole tende a trarre in inganno, ma non necessariamente chi crea illusioni vuol trarre in inganno. Difatti i mimi, le commedie e gran parte della poesia sono pieni di finzioni, ma per dilettare e non per ingannare. Anche i prestigiatori usano tali finzioni. Ma ingannevole o ingannatore si dice secondo logica colui che ha intenzione di trarre qualcuno in inganno. Nessuno può dubitare tuttavia che coloro che non intendono indurre in errore, ma comunque producono una imitazione, si chiamino operatori di finzioni e, se questo è troppo, creatori di illusioni. A meno che tu abbia sull'argomento una tua opinione in contrario.

...e come artificio imitativo.

9. 17. A. - Continua, ti prego. Ora soltanto forse cominci ad impartirmi nozioni non false sul falso. Ma ormai attendo il significato dell'altra categoria espressa da te in questi termini: ha parvenza d'essere e non è.
R. - Ma perché lo attendi? Si tratta appunto di quei casi che dianzi abbiamo citato in gran numero. Non ti sembra che la tua immagine rimandata dallo specchio voglia quasi essere te stesso, ma è falsa perché non è?
A. - Sono perfettamente d'accordo.
R. - Ed ogni pittura o figurazione simile e tutti i prodotti artificiali di tal genere non hanno parvenza di essere quell'oggetto, a cui somiglianza sono stati modellati?
A. - Sono del tutto convinto.
R. - E ammetti anche, come penso, che le immagini con cui sono indotti in inganno i dormienti e gli allucinati appartengono alla stessa categoria.
A. - Ma esse soprattutto; difatti più di ogni altra imitazione hanno parvenza di essere simili agli oggetti percepiti da persone deste e sane di mente. Sono perciò false in quanto non possono essere ciò di cui hanno parvenza.
R. - Che aggiungere sull'oscillare delle torri o sul remo spezzato ovvero sulle ombre dei corpi? È ovvio, come penso, che si devono giudicare secondo tale criterio.
A. - È ovvio certamente.
R. - Taccio degli altri sensi. Chi usa la propria ragione non troverà difficoltà a convincersi che il falso degli oggetti sensibili è ciò che ha parvenza d'essere qualche cosa e non lo è.

Coesistenza di vero e falso nella mimetica artificiale.

10. 18. A. - Giusto. Ma mi meraviglio perché hai ritenuto di dover discriminare da tale categoria la poesia, i giuochi di prestigio e le altre finzioni.
R. - Perché evidentemente altro è voler esser falso ed altro non poter esser vero. Pertanto possiamo associare alle rappresentazioni dei pittori e degli scultori anche le rappresentazioni dovute all'azione umana, come le commedie, le tragedie, i mimi ed altre del genere. Così un uomo dipinto non può esser vero sebbene ha la parvenza della figura umana. Altrettanto si dica dei fatti narrati nei libri dei comici. Essi non sono stati inventati per esser falsi e non sono falsi per una loro particolare tendenza, ma per una certa necessità, nella misura con cui hanno potuto seguire l'inventiva di chi li componeva. Per tal motivo sulla scena Roscio era per volontà una falsa Ecuba, per natura un uomo vero, ma per quella stessa volontà anche un vero attore tragico nell'atto che eseguiva l'azione. Ed era un falso Priamo, poiché si assimilava a Priamo ma non lo era. Da ciò ha origine qualche cosa di singolare del cui significato tuttavia non si può dubitare.
A. - Di che si tratta?
R. - Devi ammettere che tutte le finzioni anzidette in certi aspetti sono vere per lo stesso motivo per cui in altri aspetti sono false e che contribuisce al loro esser vere il solo motivo per cui in altro senso sono false. Quindi in nessuna maniera possono essere ciò che vogliono e devono essere, se rifuggono d'esser false. Colui, di cui ho parlato dianzi, non sarebbe stato vero attore tragico se non avesse voluto essere un falso Ettore, una falsa Andromaca, un falso Ercole e altri ancora. Così non sarebbe vera pittura se non fosse un falso cavallo. E nello specchio non sarebbe una vera immagine dell'uomo se non fosse un falso uomo. Quindi per certe cose, ad essere in qualche parte un vero, contribuisce il fatto stesso che siano in qualche parte un falso. Perché dunque abbiamo tanto timore dell'apparenza e desideriamo come grande bene la verità?
A. - Non lo so e me ne meraviglio assai anche. Tuttavia io negli esempi addotti non scorgo che cosa sia degno della nostra imitazione. Noi, per esser veri nel genuino nostro modo d'esserlo, non dobbiamo come i commedianti, le immagini riflesse dagli specchi e le vitelle bronzee di Mirone, essere modellati e assimilati al modo d'essere di un'altra cosa e cioè esser falsi. Dobbiamo piuttosto cercare quel vero che non sia, per così dire, di struttura bifronte e in contraddizione con se stesso sicché da una parte è vero e dall'altra è falso.
R. - Tu vai in cerca di alti e divini valori. E dovremo ammettere, se li ritroveremo, che di essi è composta e, per così dire, forgiata la verità da cui si denomina tutto ciò che in qualche maniera è vero.
A. - Volentieri lo concedo.

b ) Secondo principio:
Dialettica come puro pensiero
o atto del trascendere per la verità (11, 19 - 21)

Dialettica e grammatica.

11. 19. R. - Or dunque ritieni che la dialettica è vera o falsa?
A. - Chi può dubitare che è vera? Ma è vera anche la grammatica.
R.
- Allo stesso modo che l'altra?
A. - Non concepisco un vero più vero di un altro vero.
R. - Ma è appunto quello che nulla ha di falso.
Poco fa, mentre riflettevi su tali concetti, ti sentivi urtato da quelle strutture che, non so come, se non fossero false non potrebbero esser vere. Non sai che tutte le invenzioni -immaginarie ed evidentemente false appartengono alla grammatica?
A. - Ma sì che lo so. Tuttavia, a mio avviso, non sono false in quanto parte della grammatica, poiché da essa sono studiate nella loro natura, qualunque essa sia. Difatti il dramma è un'invenzione composta per l'utilità e il diletto. E la grammatica è disciplina custode e regolatrice della voce articolata. Da questa sua funzione è indotta a raccogliere tutti i prodotti, e quindi anche le finzioni della lingua umana, che sono stati consegnati alla memoria o allo scritto non per renderli falsi ma per insegnare a costruire intorno ad essi una vera teoria.
R. - Giusto. In questo momento non mi preoccupo se tali concetti sono stati da te ben definiti e analizzati. Chiedo tuttavia se è la grammatica ovvero la dialettica a manifestarne la natura.
A. - Sono d'avviso che la facoltà tecnica del definire, che ho usato per analizzare questi concetti, appartiene alla dialettica.

La grammatica è semplice disciplina o anche scienza?

11. 20. R. - E la grammatica, nell'ipotesi che contenga il vero, non lo contiene perché è disciplina? Disciplina infatti deriva da discere (apprendere). Si deve certamente ammettere che ha scienza chi ha appreso e ritiene. Ora non si ha scienza del falso. Dunque ogni disciplina contiene il vero.

A. - Non vedo in codesta breve dimostrazione il rischio di una qualche affermazione pregiudiziale. Tuttavia, a mio avviso, qualcuno potrebbe opinare, fondandosi su di essa, che sono vere le suddette finzioni, poiché anche quelle noi apprendiamo e riteniamo.
R. - Il nostro maestro non esigeva che accettassimo e conoscessimo le nozioni che insegnava?
A. - Anzi insisteva moltissimo per farcele apprendere.
R. - Ha insistito qualche volta perché credessimo nel volo di Dedalo?
A. - Questo mai. Tuttavia se non ricordavamo la favola, si comportava in maniera che appena potevamo tenere qualche cosa in mano.
R. - Dunque, a tuo avviso, non è vero che esiste la favola e che Dedalo è stato consegnato alla tradizione mitologica in quei termini?
A. - Ma non nego affatto che è vero.
R. - Dunque non neghi che hai appreso il vero quando hai imparato la favola. Difatti se il volo di Dedalo fosse vero e se i fanciulli l'accettassero e ripetessero come un'invenzione immaginaria, riterrebbero il falso per il fatto stesso che sarebbe vero ciò che ripetono. Da qui prende consistenza il motivo di cui dianzi ci siamo meravigliati e cioè che non è potuta esistere una vera favola sul volo di Dedalo se il volo di Dedalo non fosse falso.
A. - Lo comprendo ormai, ma vorrei sapere che cosa abbiamo chiarito con tale analisi.
R. - Soltanto che non è falsa la dimostrazione con cui abbiamo assodato che la disciplina, se non contiene il vero, non può esser disciplina.
A. - E che importa alla nostra indagine?
R. - Voglio insomma che tu esprima il principio per cui la grammatica è disciplina, poiché il principio per cui contiene il vero è il medesimo per cui è disciplina.
A. - Non so che risponderti.
R. - Non ritieni che se in essa non esistessero definizioni e non si operassero l'analisi dei concetti e la sintesi delle parti, non sarebbe in alcun modo disciplina?
A. - Comprendo il tuo pensiero. È inconcepibile una disciplina qualsiasi in cui definizione, analisi e sintesi non costituiscano ciò che si dice la disciplina stessa. Si tratta appunto d'esprimere la quiddità dei relativi concetti, di scomporli senza confusione delle parti e di formulare degli enunziati che affermino i predicati propri e neghino i non propri.
R. - Dunque tutto il complesso per cui si dice che è vera.
A. - Ora ne scorgo la conseguenza.

La dialettica in quanto puro pensiero s'identifica con la verità.

11. 21. R. - Ora manifestami qual è la disciplina che contiene le leggi delle definizioni, delle analisi e delle sintesi.
A. - È stato detto dianzi che esse sono contenute nelle regole della dialettica.
R. - Dunque la grammatica, che tu poco fa hai ritenuto immune da errore, è legittimata, in quanto disciplina e in quanto vera, dalla dialettica. Un simile motivo si deve affermare non solo della grammatica, ma di tutte le discipline. Tu stesso hai detto, e hai detto bene, che è inconcepibile una disciplina in cui la funzione del definire e del coordinare non la renda disciplina. Dunque se le discipline contengono il vero per il fatto che sono discipline non si potrà negare che è proprio la verità il principio per cui tutte le discipline sono vere.
A. - Presterei quasi un assenso incondizionato. Ma mi preoccupa il motivo che annoveriamo fra le discipline anche la dialettica. Io ritengo al contrario che la verità coincida con la verità stessa della dialettica.
R. - Molto bene e con molto discernimento. Ma tu non neghi, come penso, che in tanto è vera in quanto è disciplina.
A. - Anzi è proprio questo che mi rende perplesso. Ho riflettuto infatti che è anche disciplina e che per questo si dice vera.
R. - E tu riterresti che essa, nella sua fattispecie, potrebbe esser disciplina se in essa non fosse definito e coordinato tutto lo scibile?
A. - Non saprei che dire.
R. - Ma se ad essa appartiene questa funzione, è disciplina vera di per sé. Quale meraviglia dunque che la disciplina, per cui le cose si dicono vere, sia essa stessa verità, quando per la sua mediazione tutte sono vere?
A. - Non trovo ostacoli nell'accettare per la via più dritta codesta tesi.

c) Terzo principio:
L'essere e i suoi modi (12, 22)

Duplice modo d'essere nel soggetto.

12. 22. R. - Ora ascolta i pochi concetti che restano.
A. - Di' se hai qualche motivo che io possa comprendere e accettare con certezza.
R. - In due modi, come abbiamo appreso, si dice che un essere è in un altro. Il primo modo si ha quando v'è così che si può separare ed essere altrove, come questo pezzo di legno in questo posto e il sole nell'oriente. L'altro modo si ha quando l'essere è nel soggetto in maniera che da esso non possa esser separato, come in questo pezzo di legno la forma e la figura che vediamo, come la luce nel sole, il calore nel fuoco, la disciplina nello spirito e altre cose del genere. Sei di parere diverso?
A. - Tali concetti sono per noi un vecchio ricordo e li abbiamo appresi e capiti a fondo fin dalla prima adolescenza. Quindi interrogato sulla loro validità, non posso che ammetterli senza alcuna esitazione.
R. - E non ammetti anche che ciò che è inseparabilmente nel soggetto non può persistere se il soggetto non persiste?
A. - Ritengo indispensabile un altro motivo. Chiunque riflette attentamente sull'argomento comprende che, anche persistendo il soggetto, potrebbe ciò che è nel soggetto non persistere. Difatti l'apparenza esterna di questo mio corpo può, o a causa della salute o per l'età, cambiare quando il corpo ancora non ha cessato di vivere. Il principio non vale egualmente per tutte le proprietà, ma per quelle soltanto che coesistono nel soggetto, non con la funzione d'esserne note costitutive. Difatti la parete non perché sia parete è tinteggiata con questo colore che in essa vediamo. Anche se diventa nera o bianca o abbia qualsiasi altro colore, rimane e viene denominata parete. Al contrario il fuoco, se manca il calore, non è fuoco. La neve stessa non possiamo considerarla se non candida.

d) Applicazione dei tre principi
per concludere con l'immortalità (13, 23 - 14, 26).

Tentativo di concludere e aporia per immortalità impersonale anche in Platone. - Tentazione materialistica.

13. 23. Mi hai rivolto la domanda se qualche cosa che è nel soggetto possa persistere pur venendone a mancare il soggetto. Non si può ammettere e ritener valida tale tesi. È irragionevole e completamente assurdo che l'essere, il quale non potrebbe esistere fuori del soggetto, persista anche quando il soggetto venga a cessare.
R. - Dunque è stata finalmente raggiunta la meta dell'indagine.
A. - Ma che dici?
R. - Quanto ascolti.
A. - È già provato con evidenza che lo spirito è immortale?
R. - Se i principi che hai ammesso sono veri, con tutta evidenza; a meno che tu non ti riservi di affermare che lo spirito, anche se muore, è egualmente spirito.
A. - Non lo direi certamente. Affermo al contrario che un essere, per il fatto stesso che è soggetto al morire, non è spirito. E dal mio parere non mi distoglie l'insegnamento di grandi pensatori i quali hanno affermato che di per sé esclude la morte il principio che, dovunque venga a trovarsi, produce la vita. Al contrario anche la luce, dovunque penetra, illumina l'ambiente e per la celebre legge dei contrari non può coesistere con le tenebre. Si estingue tuttavia, e l'ambiente, col suo estinguersi, viene privato di luce. Così l'energia che si opponeva alle tenebre non è coesistita con esse e proprio per questo, quando si estingue o anche se viene allontanata, lascia il posto ad esse. E per questo ho timore che la morte stia al corpo come le tenebre all'ambiente tanto nell'ipotesi che l'anima si allontani come un lume quanto in quella che si estingua nel corpo stesso. Ne consegue che non è il dissolversi dell'elemento corporeo a garantire la sopravvivenza. Si deve aspirare ad un genere di morte, dopo la quale l'anima sia fatta uscire incolume dal corpo e sia condotta in un luogo, seppure v'è, dove non possa estinguersi. Ma facciamo l'ipotesi che tale aspirazione sia assurda, che l'anima si accenda nel corpo come una luce né altrove possa sopravvivere e che ogni morte sia come lo spegnersi dell'anima o vita fisica. In tale ipotesi si deve scegliere, per quanto è consentito all'uomo, un genere di vita per cui si possa condurre un'esistenza sicura e tranquilla, sebbene non so proprio come si dia tale possibilità se l'anima muore. O veramente beati coloro che hanno raggiunto o da sé o per suggerimento di altri la convinzione che la morte non si deve temere anche se l'anima perisce! Ma a me infelice né dimostrazione né libro hanno potuto generare tale convincimento.

Si rimedita il tema di disciplina-verità.

13. 24. R. - Non abbandonarti all'angoscia: l'anima umana è immortale.
A. - Da che lo dimostri?
R. - Dai principi che dianzi, con grande discernimento come penso, hai accettato.
A. - Ricordo certamente di aver risposto alle tue domande con grande discernimento. Ma compendia l'intero discorso, ti prego, e costatiamo dove siamo giunti dopo tanti andirivieni. E non vorrei più il procedimento dialogico. Se enumererai brevemente le nozioni che ho ammesso, non c'è motivo di attendere di nuovo una mia risposta. Ovvero perché infliggermi invano l'attesa della sospirata gioia se abbiamo raggiunto qualche valida conclusione?
R. - Procederò secondo il tuo espresso desiderio, ma porgi molta attenzione.
A. - Allora parla, sono attento. Perché mi fai morir d'ansia?
R. - Se tutto ciò che è in un soggetto per sempre sussiste, è necessario che anche il soggetto per sempre sussista. Ora la disciplina è nell'anima umana come in soggetto. Quindi è necessario che l'anima umana per sempre sussista se per sempre sussiste la disciplina. Ma la disciplina è verità e la verità per sempre sussiste come fin dal principio di questo libro si è logicamente dimostrato. Quindi l'anima umana per sempre sussiste. L'anima umana morta è un non senso. Pertanto soltanto chi riesca a ribattere che qualcuno dei concetti fin qui analizzati non è stato logicamente dedotto può negare che l'anima umana è immortale senza cadere nell'assurdo.

Nonostante la dialettica, ancora due aspetti aporetici.

14. 25. A. - Vorrei ormai abbandonarmi alla gioia, ma sono trattenuto alquanto da due motivi. Prima di tutto mi preoccupa il fatto che ci siamo serviti di un lungo giro di parole intrecciando non saprei quale catena di ragionamenti. Al contrario il problema si poteva risolvere con poche parole, come è stato fatto ora soltanto. Mi rende quindi perplesso la considerazione che il discorso ha girovagato quasi a far perdere le tracce. In secondo luogo non riesco a concepire in qual modo nell'anima umana esista sempre la disciplina, e soprattutto la dialettica. Sono tanto pochi coloro che ne sono in possesso ed anche chi la conosce ne fu privo dall'infanzia per tanto tempo. Insomma non possiamo affermare o che l'anima umana degli ignoranti non è anima umana o che in essa esista la disciplina di cui sono ignoranti. Che se un tale assunto è veramente assurdo, rimane o che non sempre nell'anima umana esiste la verità ovvero che la disciplina non è la verità.

La tentazione di ricorrere all'autorità viene superata perché il metafisico pensiero è personale.

14. 26. R. - Tu stesso puoi osservare che il nostro discorso non ha compiuto inutili giri di parole. Cercavamo infatti che cos'è la verità e devo ammettere che neanche adesso, in questa selva di concetti, dopo aver battuto quasi tutte le vie, l'abbiamo potuta intravedere. Or che fare? Vogliamo interrompere la ricerca ed aspettare che ci capiti fra mano qualche libro di altri pensatori che abbiano risolto il problema? Reputo che molti fino al presente ne sono stati scritti e noi non li abbiamo letti. Ed appunto allo scopo di non imbastir teorie su argomenti che non conosciamo, siamo informati che sul problema si sta scrivendo in versi e in prosa. E gli autori sono tanto noti che non possiamo ignorarne le opere e di tale levatura d'ingegno che non possiamo aver sfiducia di ritrovar nei loro scritti ciò che ricerchiamo. Proprio qui, davanti ai nostri occhi, vive quell'uomo, nel quale riconosciamo che sia tornata in vita, e con alta manifestazione, quell'eloquenza che rimpiangevamo estinta. Egli che ha insegnato con i suoi scritti la regola del vivere, ci lascerà ignorare il significato stesso del vivere?
A. - Non lo penso certamente, anzi molto spero da lui; ma ho timore soltanto che non siamo capaci di manifestargli, come desideriamo, il nostro interesse verso di lui e la meditazione filosofica. Egli certamente avrebbe pietà della nostra sete e fornirebbe di che dissetarci molto più speditamente di quanto ha fatto finora, nella sicurezza che possiede per aver raggiunto la convinzione piena sull'immortalità dell'anima. Ma appunto per questo non sa che potrebbero esserci individui i quali hanno profondamente sentito l'infelicità del dubbio e che potrebbe essere inumano non andare loro incontro soprattutto se ne pregano. V'è poi l'altro che conosce, a causa della dimestichezza, la nostra sete ardente, ma ora è tanto lontano e noi ci troviamo in condizioni d'impossibilità perfino a spedirgli una lettera. Penso che nella solitudine oltre le Alpi abbia condotto a termine il carme col quale viene dissolto il timore della morte e sono cacciati il torpore e il freddo induriti nello spirito da vecchio gelo. Ma mentre si verificano eventi che non sono in nostro potere, è vergognoso che la nostra occupazione spirituale non approdi a nulla e che tutto lo spirito rimanga sospeso nell'aporia.

Terzo momento: verità, essere e immortalità (15, 27 - 20, 36)

Ricapitolazione dei due primi momenti.

15. 27. Ma noi abbiamo pregato Dio e lo stiamo ancora pregando, non perché ci somministri le ricchezze, i piaceri sensibili, i favori popolari e gli onori, ma perché ci mostri la via mentre siamo alla ricerca dell'anima e di lui stesso. Ci abbandonerà forse o sarà da noi abbandonato?
R. - Non lo consente in alcun modo la sua bontà abbandonare coloro che desiderano tali beni. Quindi neanche a noi è consentito abbandonare un sì grande condottiero. Pertanto, se per te va bene, ricapitoliamo brevemente i principi da cui sono state dedotte le due conclusioni: che la verità sempre persiste e che s'identifica con la dialettica. Hai detto che questi motivi lasciano adito a dubbi fino al punto da renderci incerti su tutto l'argomento. Ovvero più a proposito vogliamo indagare sulla possibilità dell'esistenza della disciplina nell'anima dell'ignorante che pur tuttavia non possiamo non considerare come anima umana? Mi è parso che anche da simile analisi ti provenissero delle perplessità sicché hai dovuto di nuovo sospendere il giudizio su nozioni che avevi già ammesso.
A. - Ma innanzitutto riesaminiamo il primo problema, poi vedremo come risolvere questo secondo. Così soltanto, come penso, non rimarranno difficoltà.
R. - E va bene. Ma segui con la massima attenzione e con tutto il discernimento. So già che cosa ti potrebbe avvenire nell'atto che segui e cioè che, mentre aneli alla conclusione e aspetti che da un momento all'altro sia inferita, ammetti senza sufficiente esame le nozioni proposte nelle domande.
A. - Forse dici il vero, ma mi sforzerò d'evitare, per quanto mi è possibile, un simile errore nella ricerca. Tu intanto, per non indugiare in considerazioni superflue, inizia l'indagine.

Ricapitolazione sull'indeficienza della verità.

15. 28. R. - Per quanto ricordo, abbiamo dedotto che la verità non può cessare d'essere dal principio che se anche tutto il mondo cessasse, e perfino la verità, rimarrebbe vero che il mondo e la verità hanno cessato d'essere. Ma non si dà vero senza la verità, quindi la verità è assolutamente indefettibile.
A. - Riconosco di avere ammesso tali concetti e molto mi meraviglierei se fossero falsi.
R.
- Esaminiamo allora l'altro principio.
A. - Lasciami riflettere un momentino, ti prego, per non dover ritornare con vergogna su tali considerazioni.
R. - E allora non sarà vero, nell'ipotesi, che la verità ha cessato d'essere? Se non sarà vero, non ha cessato d'essere. Se fosse vero, come lo potrebbe essere se la verità, una volta tramontata, non esistesse più?
A. - Sull'argomento non ho altro da esaminare e vagliare. Passa ad altro. Certamente faremo quanto è possibile affinché uomini dotti e prudenti leggano queste pagine e trovino mende, se vi sono, sulla nostra mancanza di senso critico. Io penso tuttavia che, né adesso né in seguito, si potranno formulare obiezioni contro i risultati ottenuti.

Ricapitolazione sul falso come divenire e mimesi.

15. 29. R. - Si dice forse verità altro principio che quello per cui è vero tutto ciò che è vero?
A. - No certamente.
R. - E secondo logica il vero è ciò che non è falso?
A. - Aver dubbi in contrario è pazzia.
R. - E il falso è ciò che è assimilato a qualche cosa e tuttavia non è ciò di cui ha parvenza?
A. - Non trovo altro da denominare più logicamente il falso. Tuttavia si suole dire falso anche ciò che è molto lontano dall'idea esemplare del vero.
R. - E chi lo nega? Purché abbia tuttavia una certa assimilazione al vero.
A. - E perché? Il mito del volo di Medea con gli alati serpenti aggiogati, per nessun aspetto è assimilato al vero, poiché non è un fatto avvenuto, e ciò che non è avvenuto non può essere assimilato a qualche cosa.
R. - Giusto. Ma non ti accorgi che una cosa che non esiste non si può neanche denominare un falso. Se è falso, esiste; se non esiste, non può neanche essere falso.
A. - Allora non dovremmo dire che è falso quel non so che di favoloso che è il volo di Medea?
R. - No certamente. Se è falso, come può essere un fatto favoloso?
A. - Mi trovo davanti ad una strana cosa. In definitiva quando sento dire: Enormi serpenti alati aggiogati (Cicerone, De inv. 1, 19, 27), non devo affermare che è falso?
R. - Evidentemente lo puoi affermare. V'è difatti qualche cosa che puoi dire falso.
A. - E che cosa, scusa?
R. - Evidentemente il significato che è enunziato nel verso stesso.
A. - E alla fine quale assimilazione al vero esso ha?
R. - Perché avrebbe l'identico enunziato anche se realmente Medea avesse eseguito quel volo. Mediante 1'enunziazione un falso significato è assimilato a significati veri. Se non è creduto, ha somiglianza con i veri perché è enunziato come quelli veri; ed è soltanto falso, ma non induce all'errore. Se poi ottiene l'assenso, è assimilato ai significati veri cui erroneamente si assentisce.
A. - Ormai comprendo che esiste una bella differenza fra le nostre enunziazioni e i contenuti di esse e per questo rimango convinto. Ero trattenuto dalla considerazione che tutto ciò che diciamo falso non si dice tale a rigor di logica se non ha qualche simiglianza col vero. Chi infatti non sarebbe giustamente messo in ridicolo se dicesse che la pietra è un argento falso? Tuttavia se qualcuno affermasse che la pietra è argento, rileviamo che egli dice il falso, che esprime, cioè, un falso significato. Non assurdamente, come penso, possiamo chiamare falso argento lo stagno o il piombo, perché queste sostanze ne sembrano quasi una imitazione. Perciò non è falsa la nostra affermazione, ma il suo significato.

Agostino contro la moda.

16. 30. R. - Hai inteso bene. Ma ora considera se possiamo convenientemente denominare falso piomba l'argento.
A. - Non mi va.
R. - E perché?
A. - Non lo so; ma penso che l'espressione ripugni assai ad un mio modo di considerare.
R. - Forse perché l'argento è di miglior qualità e viene quasi svalorizzato nel confronto e al contrario si ha una valorizzazione del piombo se viene chiamato falso argento?
A. - Hai spiegato con, precisione ciò che intendevo. E perciò reputo che siano a buon diritto considerati infami e privi dei diritti civili coloro che si pavoneggiano in abiti femminili. Non saprei se chiamarli false donne o piuttosto falsi uomini. Li possiamo senza dubbio denominare tuttavia veri istrioni e veri infami. Se poi lo fanno di nascosto, poiché non si è considerati infami se non dalla cattiva fama, li possiamo definire non senza verità, come penso; veri malvagi.
R. - Si presenterà altra occasione per discutere di tali argomenti. Si compiono comunque molte azioni che sembrano turpi nel loro apparire all'opinione pubblica, ma che tuttavia per un loro qualunque fine lodevole si devono ritenere oneste. Il problema è di grande importanza. Facciamo il caso di un cittadino che per liberare la patria debba ingannare il nemico vestendo abiti femminili. Egli, per il fatto che è una falsa donna, diviene forse un uomo più vero. Allo stesso modo è problematico se uno scienziato, il quale sia cosciente che la sua vita è necessaria al consorzio umano, debba preferire di morir di freddo anziché, in mancanza di altre, ricoprirsi di vesti femminili. Ma ne parleremo altrove. Tuttavia ti rendi perfettamente ragione di quanta ponderazione il problema necessiti, fino a qual punto si devono esaminare le cose perché non si cada in inescusabili azioni vergognose. Ed ora, per quanto riguarda la presente questione, penso che ormai tutto sia chiaro. Non rimane dubbio che non v'è falso se non a causa di una certa imitazione del vero.

La verità non è né corpo né vuoto...

17. 31. A. - Passa ora a trattare gli argomenti che rimangono. Di quanto è stato detto son ben persuaso.
R. - Domando dunque se oltre le discipline che ci vengono insegnate, fra le quali è conveniente annoverare anche la filosofia, possiamo trovare altri oggetti così veri che non debbano, come l'Achille del teatro, esser falsi da un aspetto per esser veri dall'altro.
A. - A me pare che molti se ne diano. Difatti nessuna delle varie discipline ha per oggetto questa pietra; eppure essa per esser vera pietra non è assimilata a qualche cosa per cui si dice falsa. Dalla suddetta esemplificazione comprendi che è superfluo ricordare gli innumerevoli oggetti che si presentano con immediatezza a coloro che se li rappresentano.
R. - Lo comprendo certamente. Ma non ritieni che appartengono tutti al concetto di corpo?
A. - Lo riterrei nell'ipotesi che non esista il vuoto, che anche lo spirito debba annoverarsi fra i corpi e che anche Dio sia un qualche corpo. E se essi esistono, penso che il loro esser veri o falsi non dipende dalla simiglianza con qualche altra cosa.
R. - Ci stai spingendo ad una lunga discussione, ma, per quanto posso, la tratterò in forma compendiosa. Certamente altro è ciò che chiami vuoto, altro la verità.
A. - Ben altro. Se considero la verità come vuoto e poi anelo ardentemente a tale vuoto, che cosa ci sarebbe più vuoto di me? Che cosa se non la verità io desidero raggiungere?
R. - Dunque forse concedi che non si dà vero se non è vero mediante la verità.
A. - Tal motivo è accertato da tempo.
R. - Dubiti forse che di vuoto non c'è che il vuoto e che tutto è corpo?
A. - Non ne dubito affatto.
R. - Allora potrei pensare che, a tuo avviso, anche la verità è un corpo.
A. - Ma niente affatto.
R. - Ed il vuoto è nel corpo?
A. - Non lo so ed è fuori argomento. A mio avviso, tuttavia, tu dovresti per lo meno sapere che se c'è il vuoto, è piuttosto un qualche cosa dove non v'è corpo.
R. - Questo è evidente.
A. - E allora perché indugiamo?
R. - Ritieni che la verità sia la causa del vuoto o che ci sia un qualche vero dove non c'è verità?
A. - No.
R. - Dunque il vero non è vuoto poiché il vuoto non può avere per causa ciò che non è vuoto; inoltre ciò che è vuoto di verità non è vero e infine ciò che si dice vuoto, lo si dice perché è nulla. Come dunque può esser vero ciò che non è, e come può esser ciò che è radicalmente il nulla?
A. - Suvvia dunque, abbandoniamo il vuoto come vuoto.

... ma principio ideale ed essere.

18. 32. R. - E che pensi degli altri esseri?
A. - A che alludi?
R. - All'argomento che, come dovresti accorgerti, conferma il mio assunto. Rimangono da considerare l'anima umana e Dio. Se questi due esseri sono veri in quanto in essi è la verità, nessuno può dubitare dell'immortalità di Dio. L'anima umana poi si deve ritenere immortale se si prova che in essa inerisce essenzialmente la verità che non può perire. Ed esaminiamo l'ultimo motivo che abbiamo discusso e cioè se il corpo non è essenzialmente vero nel senso che in esso non è verità, ma una certa qual copia della verità. Ma facciamo un'ipotesi: se anche nel corpo, del quale è sufficientemente certo che si dissolverà, troviamo lo stesso vero che nelle varie discipline, la dialettica, per cui tutte le discipline sono vere, non s'identificherà con la verità. Vero è anche il corpo, ma è inconcepibile che abbia per causa agente la dialettica. Se. poi il corpo è vero in relazione al principio della somiglianza e per questo non essenzialmente vero, non si potranno sollevare obiezioni contro l'identificazione della dialettica con la verità.
A. - Frattanto indaghiamo sul corpo. Tuttavia io sono convinto che, anche quando sarà accertato questo argomento, la disputa non avrà raggiunto l'obiettivo.
R. - Perché previeni il consiglio di Dio? Piuttosto sta' attento. Io penso che il corpo è circoscritto dalla forma e figura sensibile. Se non l'avesse non sarebbe corpo; se avesse quella ideale, sarebbe spirito. O si deve pensare diversamente?
A. - Accetto una parte, dell'altra dubito. Concedo cioè che se non fosse circoscritto da una figura, non sarebbe corpo. Non comprendo sufficientemente come sarebbe spirito se avesse quella ideale.
R. - Non ricordi proprio niente della introduzione al primo libro e delle tue nozioni di geometria?
A. - A proposito le rammenti; ora ricordo bene e con molta soddisfazione.
R. - Nei corpi si trovano le figure così come le studia la geometria?
A. - Anzi è incredibile quanto appaiano meno perfette.
R. - Quale dunque fra le due è quella ideale?
A. - Ti prego, non umiliarmi con tali domande. Chi è tanto cieco di mente da non comprendere? Difatti le figure studiate nella geometria sono nella verità o anche la verità è in esse. Le figure sensibili, poiché ne hanno la parvenza, sono assimilate a non saprei quale imitazione della verità e perciò sono false. Ora comprendo tutto ciò che intendevi chiarirmi.

La verità è l'essere dell'anima in quanto puro pensiero nel cui attuarsi si ottiene coscienza il immortalità.

19. 33. R. - Che necessità c'è ancora di continuare a disputare sulla dialettica? Tanto nell'ipotesi che le figure geometriche siano nella verità come nell'ipotesi che la verità sia in esse, nessuno può mettere in dubbio che sono contenute nella nostra anima, cioè nel nostro pensiero, e che di conseguenza la verità esiste necessariamente anche nel nostro spirito. Che se qualsiasi disciplina è inseparabilmente nell'anima umana come in soggetto e se la verità non può cessar d'essere, perché, scusa, continuiamo a dubitare, per non so qual dimestichezza con la morte, della perpetua vita dell'anima umana? O forse la linea, la quadratura o la circolarità devono, per esser vere, imitare altre forme?
A. - Non lo posso ammettere in alcun modo, a meno che la linea sia altro dalla lunghezza e il cerchio sia altro da una linea che torna al punto di partenza equidistanziandosi dal centro.
R. - E allora che aspettiamo? Dove esistono tali forme ideali, può non esistere la verità?
A. - Iddio ci liberi da simile folle contestazione.
R. - O la disciplina non è nell'anima umana?
A. - Chi affermerebbe il contrario?
R. - E potrebbe ciò che è nel soggetto continuare a sussistere, se il soggetto cessasse d'esistere?
A. - Come potrei avere una tal persuasione?
R. - Si potrebbe far l'ipotesi che venga a cessare la verità.
A. - Ma come sarebbe concepibile?
R. - Dunque l'anima è immortale. Attienti ormai ai tuoi pensieri, attienti alla verità. Essa ti rivolge l'appello che è in te, che è immortale e che la sua dimora non può esserle sottratta dalla morte fisica. Liberati dall'ombra del tuo essere fisico, ritorna in te stesso. È inconcepibile il tuo morire, salvo quello di dimenticarti che non puoi morire.
A. - Ascolto l'appello, torno in me e comincio a rimeditare. Ma, per favore, continua l'indagine sul motivo che rimane della possibilità dell'esistenza di disciplina e verità nell'anima dell'ignorante, poiché neppure essa possiamo considerare mortale.
R. - Il problema richiede un trattato a parte se lo vuoi risolvere esaurientemente. Ritengo che vi dovresti richiamare le nozioni che sono state analizzate secondo le nostre possibilità. Sono del parere che, se non esistono dubbi su quanto è stato accertato, abbiamo già effettuato una buona conquista e che con grande sicurezza si può continuare l'indagine sul resto.

Differenza fra il pensiero puro (Platone) e quello rappresentativo (Zenone).

20. 34. A. - Le tue parole sono vere ed io mi sottometto volentieri alla tua autorità. Ma prima di porre termine al presente trattato, vorrei ottenere per lo meno che tu brevemente mi esponga la differenza esistente fra la figura ideale che viene compresa dall'intelligenza e quella formata dalla rappresentazione che si denomina in greco fantasia o fantasma.
R. - Chiedi proprio ciò che può intuire soltanto una mente abituata alla speculazione, e tu hai poco esercizio in questo genere d'indagine. Nella presente ricerca appunto non abbiamo fatto altro che esercitarti mediante il dialogo maieutico per renderti idoneo alla teoresi filosofica. Tuttavia, brevemente forse, ti renderò evidente la grandissima differenza fra le due figure nel metodo d'insegnamento. Supponi di esserti dimenticato di qualche cosa e che qualcuno te la voglia richiamare alla memoria. In tal caso gli insegnanti, presentandoti oggetti diversi o simili, ti chiedono: È questo o quest'altro che non ricordi? E tu non ravvisi nell'oggetto presentato quello che vuoi ricordare e tuttavia ti accorgi che non è quello presentato. Ti pare che quando ti capita un fenomeno di tal genere si tratta di completa dimenticanza? Difatti il discernimento, mediante il quale non riconosci l'oggetto da cui sei stimolato sensibilmente, è un parziale ricordo.
A. - Giusto.
R. - Allo stesso modo vi sono alcuni che ancora non intuiscono la verità, tuttavia non possono essere ingannati e tratti in errore e conoscono già abbastanza l'oggetto della ricerca. Supponi che qualcuno ti venga a dire che ti sei messo a ridere pochi giorni dopo la tua nascita. Se chi te lo riferisce è degno di fede, tu non osi dire che è falso e pur non ricordando crederai. Difatti tutto il tempo della tua primissima infanzia ti è nascosto da una profondissima dimenticanza. La pensi diversamente?
A. - Sono perfettamente d'accordo.
R. - Questa dimenticanza differisce moltissimo dalla precedente che sta quasi nel mezzo. Difatti ve n'è una terza più vicina e quasi alle soglie del ricordo e al riconoscimento della verità. È molto simile alla condizione in cui ci troviamo quando vediamo qualche cosa e con certezza rammentiamo di averla vista precedentemente e diciamo di conoscerla, ma ci affanniamo a richiamare e rievocare dove, quando, come o presso chi ne siamo venuti a conoscenza. E se il caso riguardasse un uomo, rimuginiamo dove l'abbiamo conosciuto. Ed appena egli ce lo ricorda, all'improvviso tutto il passato avvenimento riempie la memoria come una luce e non ci si affatica più a ricordare. O eventualmente il caso ti è sconosciuto od oscuro?
A. - Ma è notissimo e molto frequentemente mi avviene.

Superamento della logica stoica della rappresentazione.

20. 35. R. - Vi sono alcuni ben istruiti nelle discipline liberali poiché mediante lo studio e senza incertezze le scoprono in sé, sebbene sepolte nella dimenticanza e, per così dire, le riscavano. Tuttavia non sono contenti e non si arrestano fino a quando non intuiscono in tutta l'ampiezza e la pienezza la faccia della verità, la cui luce inizialmente si manifesta nelle varie arti. Ma da esse proprio si riproducono, per così dire, nello specchio della rappresentazione colori e figure sensibili. Essi ingannano e inducono in errore coloro che indagano, se pensano che in ciò consiste l'oggetto della conoscenza e della ricerca. Sono proprio queste le rappresentazioni fantastiche che vanno evitate con grande attenzione. Esse possono indurre nell'errore quando variano col variare, per così dire, dello specchio della rappresentazione. Al contrario, la faccia della verità rimane una e invariabile. Difatti la rappresentazione riproduce e quasi presenta agli occhi il quadrato secondo questa o quella grandezza. Ma l'intelligenza, che vuole intuire il vero, si rivolta, se può, a quell'idea secondo cui giudica quadrati tutti i quadrati sensibili.
A. - E se qualcuno ci dicesse che l'intelligenza pensa rappresentandosi i vari dati sensibili?
R. - E allora perché pensa, se tuttavia ha rettamente appreso, che la sfera ideale è in contatto in un sol punto con una superficie ideale? L'occhio non ha mai visto e non può vedere qualche cosa di simile quando neanche la rappresentazione fantastica se lo può riprodurre. E noi avvertiamo la validità del principio quando con la rappresentazione riproduciamo in noi anche la più piccola circonferenza e da essa tracciamo i raggi. Difatti se ne tracciamo due tanto vicini che fra di essi si possa inserire appena la punta di un ago, anche con la rappresentazione fantastica non ne potremmo tracciare altri in mezzo a quei due in maniera che giungano al centro senza intersecarsi. Al contrario, logicamente si dimostra che innumerevoli se ne possono tracciare e che in quella irrappresentabile strettezza di spazio non si incontrano se non al centro sicché nell'intervallo esistente fra l'uno e l'altro si potrebbe tracciare un altro cerchio. Un tal calcolo non può essere effettuato dalla rappresentazione fantastica, poiché essa è più limitata della vista stessa se si pensa che è avvivata in noi dagli occhi. È manifesto quindi che essa molto differisce dalla verità e che, a differenza di questa, non genera evidenza.

Il pensiero non può non essere dell'anima mortale.

20. 36. I concetti suddetti saranno approfonditi e chiariti quando cominceremo a parlare della conoscenza intellettiva. Tale trattazione ci si porrà come istanza al momento in cui, per quanto ne siamo capaci, sarà precisato e discusso l'assillante problema della vita dell'anima. Ritengo infatti che tu hai un gran timore che la morte degli individui, anche se non distrugge l'anima, potrebbe comportare la completa dimenticanza delle cose e della verità stessa, seppure è stata raggiunta.
A. - Non si può sufficientemente dire quanto sia terribile un tal destino. Difatti che cosa sarebbe una simile vita eterna e quale morte non sarebbe preferibile se l'anima vivesse della stessa vita che noi osserviamo in un bambino appena nato, per non parlare della vita nel periodo della gestazione, che penso sia vita anche quella.
R. - Sta' di buon animo. Come fin d'ora prevediamo, durante l'indagine ci assisterà Dio che ci promette senza alcun inganno la perfetta beatitudine e la pienezza della verità dopo questa vita.
A. - Che la nostra speranza non sia delusa!