LIBRO PRIMO

VERSO LA TRASCENDENZA MEDIANTE L'ASCESI E LA MISTICA

Genesi dell'opera e invocazione (1, 1-6)

L'esperienza interiore di Agostino.

1. 1. A lungo sono andato meditando su molte e svariate cose e per molti giorni ho esaminato diligentemente me stesso e il mio bene e la qualità del male che dovevo fuggire. All'improvviso mi disse qualcuno, non so se io stesso o altri fuori di me o dentro di me, ed è proprio questo il problema che mi accingo ad esaminare attentamente; mi disse dunque:
RAGIONE: - Ed ora supponi di aver trovato qualche cosa; a chi lo affiderai per passare ad altro?
AGOSTINO: - Alla memoria, evidentemente.
R. - È forse tanto ampia da conservare adeguatamente tutti i risultati della ricerca?
A. - È difficile, anzi impossibile.
R. - Pertanto è opportuno scrivere. Ma cosa fare, ché la tua salute non ti consente la fatica dello scrivere? E queste tue riflessioni non si possono dettare perché richiedono la perfetta solitudine.
A. - Hai ragione. Non so proprio che cosa fare.
R. - Invoca salvezza e aiuto per raggiungere il tuo intento. Quindi consegna allo scritto anche la tua invocazione in maniera da sentirti rinvigorito da tale inizio. Di seguito riordina in brevi conclusioni i risultati dell'indagine. Per ora non ti rivolgere ad una folta schiera di lettori; queste tue meditazioni sono destinate a pochi fra i tuoi concittadini.
A. - Così farò.

Invoca Dio principio del mondo della natura...

1. 2. O Dio, creatore dell'universo, concedimi prima di tutto che io ti preghi bene, quindi che mi renda degno di essere esaudito, ed infine di ottenere da te la redenzione. O Dio, per la cui potenza tutte le cose che da sé non sarebbero, si muovono verso l'essere; o Dio, il quale non permetti che cessi d'essere neanche quella realtà i cui elementi hanno in sé le condizioni di distruggersi a vicenda; o Dio, che hai creato dal nulla questo mondo di cui gli occhi di tutti avvertono l'alta armonia; o Dio, che non fai il male ma lo permetti perché non avvenga il male peggiore; o Dio, che manifesti a pochi, i quali si rivolgono a ciò che veramente è, che il male non è reale; o Dio, per la cui potenza l'universo, nonostante la parte non adatta al fine, egualmente lo raggiunge; o Dio, dal quale la dissimilitudine non produce l'estrema dissoluzione poiché le cose peggiori si armonizzano con le migliori; o Dio, che sei amato da ogni essere che può amare, ne sia esso cosciente o no; o Dio, nel quale sono tutte le cose ma che la deformità esistente nell'universo non rende deforme né il male meno perfetto né l'errore meno vero; o Dio, il quale hai voluto che soltanto gli spiriti puri conoscessero il vero; o Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vera e somma vita, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione, padre della caparra mediante la quale siamo ammoniti di ritornare a te: ti invoco.

...e del mondo intellegibile e morale.

1. 3. O Dio verità, fondamento, principio e ordinatore della verità di tutti gli esseri che sono veri; o Dio sapienza, fondamento, principio e ordinatore della sapienza di tutti gli esseri che posseggono sapienza; o Dio, vera e somma vita, fondamento, principio e ordinatore della vita degli esseri che hanno vera e somma vita; o Dio beatitudine, fondamento, principio e ordinatore della beatitudine di tutti gli esseri che sono beati; o Dio bene e bellezza, fondamento, principio e ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e belli; o Dio luce intelligibile, fondamento, principio e ordinatore della luce intelligibile di tutti gli esseri che partecipano alla luce intelligibile; o Dio, il cui regno è tutto il mondo che è nascosto al senso, o Dio, dal cui regno deriva la legge per i regni della natura; o Dio, dal quale allontanarsi è cadere, verso cui voltarsi è risorgere, nel quale rimanere è aver sicurezza; o Dio, dal quale uscire è morire, al quale avviarsi è tornare a vivere, nel quale abitare è vivere; o Dio, che non si smarrisce. se non si è ingannati, che non si cerca se non si è chiamati, che non si trova se non si è purificati; o Dio, che abbandonare è andare in rovina, a cui tendere è amare, che vedere è possedere; o Dio, al quale ci stimola la fede, ci innalza la speranza, ci unisce la carità; o Dio, con la cui potenza vinciamo l'Avversario: ti scongiuro. O Dio, che abbiamo accolto per non soggiacere a morte totale; o Dio, dal quale siamo stimolati alla vigilanza; o Dio, col cui aiuto sappiamo distinguere il bene dal male; o Dio, col cui aiuto fuggiamo il male e operiamo il bene; o Dio, col cui aiuto non cediamo ai perturbamenti; o Dio, col cui aiuto siamo soggetti con rettitudine al potere e con rettitudine l'esercitiamo; o Dio, col cui aiuto apprendiamo che sono anche di altri le cose che una volta reputavamo nostre e sono anche nostre le cose che una volta reputavamo di altri; o Dio, col cui aiuto non ci attacchiamo agli adescamenti e irretimenti delle passioni; o Dio, col cui aiuto la soggezione al plurimo non ci toglie l'essere uno; o Dio, col cui aiuto il nostro essere migliore non è soggetto al peggiore; o Dio, col cui aiuto la morte è annullata nella vittoria (1 Cor 15, 54); o Dio, che ci volgi verso di te; o Dio, che ci spogli di ciò che non è e ci rivesti di ciò che è; o Dio, che ci rendi degni di essere esauditi; o Dio, che ci unisci; o Dio, che ci induci alla verità piena; o Dio, che ci manifesti la pienezza del bene e non ci rendi incapaci di seguirlo né permetti che altri lo faccia; o Dio, che ci richiami sulla via; o Dio, che ci accompagni alla porta; o Dio, il quale fai sì che si apra a coloro che picchiano (Mt 7, 8); o Dio, che ci dai il pane della vita (Gv 6, 35.48) o Dio, che ci asseti di quella bevanda sorbendo la quale non avremo più sete (Gv 4, 14; 6, 35); o Dio, che accusi il mondo sul peccato, la giustizia e il giudizio (Gv 16, 8); o Dio, col cui aiuto non ci sottraggono la convinzione coloro che non credono; o Dio, col cui aiuto riproviamo coloro i quali affermano che le anime non possono meritare presso di te; o Dio, col cui aiuto non diveniamo schiavi degli elementi che causano debolezza e privazione (6 Gal 4, 9); o Dio, che ci purifichi e ci prepari ai premi divini: viemmi incontro benevolo.

Invoca Dio come Essere assoluto e Provvidenza.

1. 4. In qualsiasi modo io possa averti pensato, il Dio Uno sei tu e tu vieni in mio aiuto, una eterna e vera sussistenza, dove non ci sono discordia, oscurità, cangiamento, bisogno, morte, ma somma concordia, somma chiarezza, somma attuosità, somma ricchezza, somma vita, dove nulla manca, nulla ridonda, dove colui che genera e colui che è generato sono una medesima cosa (Gv 10, 30); o Dio, cui sono soggette tutte le cose prive di autosufficienza, cui obbedisce ogni anima buona; per le cui leggi ruotano i poli, le stelle compiono le loro orbite, il sole rinnova il giorno, la luna soffonde la notte, e tutto il mondo, mediante le successioni e i ritorni dei tempi, conserva, per quanto la materia sensibile lo comporta, la grande uniformità dei fenomeni attraverso i giorni con l'alternarsi del giorno e della notte, attraverso i mesi con le lunazioni, attraverso gli anni con i ritorni di primavera, estate, autunno e inverno, attraverso i lustri col compimento del corso solare, attraverso i secoli col ritorno delle stelle alle loro origini; o Dio, per le cui leggi esistenti per tutta la durata della realtà non si permette che il movimento difforme delle cose mutevoli sia turbato, ma che venga ripetuto, sempre secondo uniformità, nella dimensione rotante dei tempi; per le cui leggi è libera la scelta dell'anima e sono stati stabiliti premi per i buoni e pene per i cattivi con leggi fisse e universali; o Dio dal quale provengono a noi tutti i beni e sono allontanati tutti i mali; o Dio, sopra del quale non c'è nulla, fuori del quale nulla e senza del quale nulla; o Dio, sotto il quale è il tutto, nel quale il tutto, col quale il tutto; che hai fatto l'uomo a tua immagine e somiglianza (Gn 1, 26), il che può comprendere chi conosce se stesso: ascolta, ascolta, ascolta me, mio Dio, mio signore, mio re, mio padre, mio fattore, mia speranza, mia realtà, mio onore, mia casa, mia patria, mia salvezza, mia luce, mia vita; ascolta, ascolta, ascolta me nella maniera tua, soltanto a pochi ben nota.

Lo invoca per il proprio ritorno...

1. 5. Ormai io te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio ed io desidero essere di tuo diritto. Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni. Allontana da me i movimenti irragionevoli affinché possa riconoscerti. Dimmi da che parte devo guardare affinché ti veda, e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai. Riammetti, ti prego, il tuo schiavo fuggitivo, o Signore e Padre clementissimo. Dovrei ormai aver sufficientemente scontato, abbastanza dovrei esser stato schiavo dei tuoi nemici che tu conculchi sotto i tuoi piedi, abbastanza dovrei esser stato ludibrio di cose ingannevoli. Ricevi me tuo servo che fugge da queste cose che bene accolsero me, lo straniero, mentre da te fuggivo. Sento che devo ritornare a te; a me che picchio si apra la tua porta; insegnami come si può giungere fino a te. Non ho altro che il buon volere; so soltanto che le cose caduche e passeggere si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare. Ciò so, o Padre, poiché questo solo ho appreso, ma ignoro da dove si deve partire per giungere a te. Tu suggeriscimelo, tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede; se con la virtù, dammi la virtù; se con il sapere, dammi il sapere. Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. O bontà tua ammirevole e singolare.

... e per la propria purificazione.

1. 6. A te io anelo e proprio a te chiedo i mezzi con cui il mio anelito sia soddisfatto. Infatti se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni perché sei il sommo bene che sempre si è raggiunto se si è rettamente cercato; ed ha rettamente cercato chiunque sia stato da te reso capace di cercare rettamente. Fa', o Padre, che anche io ti cerchi, ma difendimi dall'errore affinché mentre io ti cerco, nessun'altra cosa mi venga incontro in vece tua. Se non desidero altra cosa che te, ti ritrovi al fine di grazia, o Padre. Ma se in me v'è il desiderio di qualche cosa di superfluo, purificami e rendimi degno di vederti. Per il resto affido alle tue mani, o Padre sapientissimo ed ottimo, la salute di questo mio corpo fintantoché non so quale vantaggio posso avere da esso per me e per coloro che amo. Per esso ti chiederò ciò che secondo l'opportunità tu m'ispirerai. Prego soltanto l'altissima tua clemenza che tu mi volga tutto verso di te e che non mi si creino ostacoli mentre tendo a te e mi conceda che io, mentre ancora porto e trascino questo mio corpo, sia temperante, forte, giusto e prudente, perfetto amatore e degno di apprendere la tua sapienza e degno di abitare e abitatore del beatissimo tuo regno. Amen, amen.

La via per scienza e apodissi (2, 7 - 5, 11)

Scienza di Dio e apodissi.

2. 7. A. Ecco ho pregato Dio.
R. - Che cosa dunque vuoi sapere?
A. - Tutte queste cose che ho chiesto nella preghiera.
R. - Riassumile in poche parole.
A. - Desidero avere scienza di Dio e dell'anima.
R. - E nulla di più?
A. - Proprio nulla.
R. - Allora comincia ad investigare. Ma prima esprimi il criterio in base al quale, data una conoscenza di Dio, tu possa dire che si ha apodissi.
A. - Non conosco un criterio in base al quale poter dichiarare che si ha apodissi. Non penso di aver scienza di qualche cosa in maniera simile a quella con cui desidero avere scienza di Dio.
R. - Che fare allora? Non reputi forse che prima devi sapere in qual maniera tu possa raggiungere una conoscenza apodittica di Dio sicché, giunto a tal risultato, tu smetta d'indagare?
A. - Lo penso certamente; ma non vedo come possa avvenire. Non ho avuto mai nel pensiero un oggetto tanto simile a Dio da poter dire di voler pensare Dio come penso quell'oggetto.
R. - Ma se non conosci Dio, come puoi dire di non conoscere nulla di simile a Dio?
A. - Perché se avessi scienza di oggetto simile a Dio, senza dubbio lo amerei. Ora io non amo altro che Dio e l'anima e non conosco né l'uno né l'altra.
R. - Non ami forse i tuoi amici?
A. - In qual maniera potrei non amarli se amo l'anima?
R. - E così tu ami anche le pulci e le cimici?
A. - Ho detto di amare l'anima, non gli animali.
R. - O non sono uomini i tuoi amici o non li ami. Ogni uomo è anche animale e tu hai affermato di non amare gli animali.
A. - Ma sono uomini e io li amo non come animali, ma come uomini, cioè in quanto sono dotati di anime ragionevoli che amo anche nei ladri. È onesto per me amare in ogni individuo la ragione. Potrei tuttavia odiarlo giustamente se usasse male di ciò che in lui amo. Pertanto tanto più amo i miei amici quanto meglio usano dell'anima ragionevole o per lo meno in quanto desiderano di usarne bene.

Non apodissi del nostro pensiero nella conoscenza di Dio.

3. 8. R. - D'accordo. Tuttavia se qualcuno ti dicesse che ti farà conoscere Dio allo stesso modo con cui conosci Alipio, non lo ringrazieresti forse e non diresti che si ha apodissi?
A.
- Lo ringrazierei ma non direi che si ha apodissi.
R. - E perché, scusa?
A.- Perché non conosco Dio come conosco Alipio e tuttavia per apodissi non conosco neanche Alipio.
R. - Dunque guardati dalla presunzione di voler per apodissi conoscere Dio tu che non conosci per apodissi neanche Alipio.
A. - Non ne consegue. Non c'è cosa di più trascurabile della mia cena se viene messa a confronto con gli astri. E tuttavia non so che cosa domani avrò per cena. Al contrario non sono presuntuoso se affermo di sapere in quale fase sorgerà la luna.
R. - Dunque tu vorresti conoscere per apodissi Dio per lo meno come conosci la fase con cui domani la luna eseguirà il suo corso?
A. - Non conoscerei per apodissi. Del fenomeno ho certamente garanzia dai sensi ma ignoro se Dio o un altro occulto agente naturale muti all'improvviso le leggi nel corso della luna. Che se ciò avvenisse, tutto quello che avevo preveduto diverrebbe falso.
R. - E sei d'opinione che sia possibile?
A. - No, non lo sono. Ma la mia indagine riguarda l'oggetto della scienza e non quello dell'opinione. Si dice infatti, forse giustamente, che abbiamo conoscenza opinativa anche di ciò di cui abbiamo scienza ma non che abbiamo scienza di tutto ciò di cui abbiamo conoscenza opinativa.
R. - Allora in materia rifiuti ogni testimonianza dei sensi.
A. - Ma certamente.
R. - E allora vuoi conoscere col senso ovvero con l'intelligenza quel tuo amico che hai detto di non conoscere ancora?
A. - Ciò che di lui ho conosciuto col senso, seppure col senso si conosce qualche cosa, è di grado inferiore e ne ho apodissi. Con l'intelligenza poi desidero conoscere quella parte per cui è amico, cioè il suo essere spirituale.
R. - Può essere conosciuto anche in altra maniera?
A. - No di certo.
R. - Oseresti dunque dire che ti è ignoto un tuo amico e per di più assai intimo?
A. - E perché non dovrei osare? Io ritengo che sia giustissima quella legge dell'amicizia con cui viene comandato che si ami l'amico né più né meno che se stesso (Lv 19, 18). Pertanto se io ignoro me stesso, in qual maniera mi si può rinfacciare che l'offendo se devo affermare che m'è ignoto? E poi penso che neanche egli conosca se stesso.
R. - Dunque le cose che vuoi conoscere sono di tal genere che soltanto l'intelligenza le apprende. Quando dunque ti dicevo che saresti presuntuoso a voler conoscere Dio se non conosci neanche Alipio, non mi avresti dovuto allegare, a titolo d'esempio, la tua cena e la luna, se queste cose, che hai detto, appartengono al senso.

Non apodissi dell'autorità.

4. 9. Ma che ce ne importa? Ora rispondi a questo quesito: se la dottrina che Platone e Plotino hanno formulato di Dio è vera, sarebbe per te sufficiente conoscerlo come essi lo conoscevano.
A. - Non consegue necessariamente che se la dottrina che essi hanno formulato di Dio è vera, essi ne ebbero scienza. Molti parlano, con abbondanza di parole, di cose di cui non hanno scienza allo stesso modo che anche io ho manifestato il desiderio di avere scienza delle cose di cui ho parlato nella preghiera. Non desidererei averne scienza se già l'avessi. Ciò nonostante,.non ne ho forse parlato? Ma ho parlato di cose che non ho compreso con l'intelligenza, ma che, raccolte da più parti, ho affidato alla memoria e alle quali ho aderito con la maggior fede possibile. Avere scienza è ben altra cosa.
R. - Scusami, ma hai scienza della quiddità della linea in geometria?
A. - Certo che ne ho scienza.
R. - E nell'annettervi l'assenso, hai timore degli accademici?
A. - No, affatto. Essi sostennero che il filosofo non deve cadere in errore, ma io non sono filosofo. Pertanto non ho ancora il timore di accettare la validità scientifica di determinate nozioni che posseggo. Che se, come desidero, giungerò alla filosofia, farò come essa mi suggerirà di fare.
R. - Non ho nulla da opporre. Ma ritorniamo a quanto avevo cominciato a chiederti. Come conosci la linea, conosci pure la palla che gli autori chiamano sfera?
A. - La conosco.
R. - Conosci le due cose egualmente, ovvero una di più e una di meno?
A. - Egualmente in tutti i sensi poiché nell'una e nell'altra conoscenza sono immune dall'errore.
R. - Ed hai appreso le nozioni relative col senso oppure con l'intelletto?
A. - Diciamo piuttosto che nell'apprendimento ho usato i sensi come se fossero la nave. Essi mi traghettarono fino alla meta, dove li abbandonai. Trovandomi, per dir così, sulla terraferma, cominciai ad esaminare le varie nozioni col pensiero, ma a lungo rimasi perplesso sulla via da seguire. Pertanto mi parrebbe più facile navigare sulla terraferma che apprendere la geometria con i sensi, sebbene sembra che essi possono agevolare coloro che l'apprendono per la prima volta.
R. - Quindi non sei contrario a chiamare scienza la conoscenza, se pur la possiedi, di queste nozioni?
A. - No, con licenza degli stoici che accreditano la scienza soltanto al filosofo. Ovviamente non posso negare di avere la certezza di cui essi parlano, e che riconoscono anche allo stato d'ignoranza. Comunque non temo neanche costoro, poiché è certo che io posseggo con la scienza le nozioni di cui mi hai richiesto. Ma continua, giacché vorrei conoscere lo scopo per cui mi rivolgi tali domande.
R. - Non aver fretta, siamo liberi da preoccupazioni. Sta' attento soltanto a non ammettere qualche cosa pregiudizialmente. Io intendo renderti consapevole di conoscenze sulle quali tu non debba temere concessioni fortuite e tu, come se si trattasse di cosa trascurabile, mi suggerisci la precipitazione?
A. - Dio faccia come tu dici. Pertanto proponi tu la questione di tua autorità e rimproverami più aspramente se in seguito avverrà qualche cosa di simile.

Apodissi e ragione matematica.

4. 10. R. - Dunque è evidente per te che la linea non si può dividere in due longitudinalmente?
A.
- Sì.
R. - E trasversalmente?
A. - Che altro se non che si può dividere all'infinito?
R. - E non è egualmente evidente che la sfera non può contenere due circoli pari sullo stesso raggio?
A. - Egualmente evidente.
R. - E ritieni che la linea e la sfera siano una medesima figura o che differiscano in qualche maniera?
A. - Ma chi non capisce che differiscono moltissimo?
R. - Ora se tu conosci l'una e l'altra e tuttavia, come stai dicendo, esse differiscono moltissimo, v'è senz'altro una identica scienza di cose che differiscono.
A. - E chi ha detto il contrario?
R. - Tu stesso poco fa. Io ti ho chiesto come vorresti conoscere Dio per poter dire che ne hai apodissi. E tu hai risposto che non puoi esprimerlo perché non avevi nulla da ritenere certo così come desideri aver certezza di Dio e non hai scienza di un oggetto che sia simile a Dio. Ed ora? La linea e la sfera sono simili?
A. - E chi avrebbe detto una tal cosa?
R. - Ma io ti avevo chiesto non di che cosa di simile avevi scienza, ma di che cosa avevi scienza allo stesso modo con cui desideri avere scienza di Dio. Conosci la linea allo stesso modo con cui conosci la sfera, ma la linea è altra cosa dalla sfera. Rispondi pertanto se ritieni di poter conoscere per apodissi Dio come conosci la figura geometrica della palla, quanto dire che non hai motivi di sospensione dal giudizio su Dio come su di essa.

Limite della fredda ragione matematica dinanzi alla trascendenza.

5. 11. A. - Scusa, tu m'incalzi e vuoi dimostrarmi che sono in errore. Non oso tuttavia ammettere che voglio avere scienza di Dio come di tali nozioni. Non solo l'oggetto ma anche la scienza di esse mi pare dissimile. Prima di tutto infatti la linea e la palla non differiscono fra di sé al punto da non esser comprese, l'una e l'altra, nella medesima disciplina. Al contrario nessun matematico ha mai preteso di avere Dio per oggetto del proprio insegnamento. In secondo luogo, se la conoscenza di Dio e di queste nozioni fosse simile, godrei tanto nel conoscerle come penso che godrei della conoscenza di Dio. Ora io le considero tanto trascurabili al suo confronto da sembrarmi talora che, se avrò conoscenza e visione di lui, nel modo con cui se ne può avere visione, tutte queste nozioni cesserebbero di essere oggetto del mio sapere. Difatti anche adesso, a causa dell'amore per lui, appena mi vengono in mente.
R. - E sia pure che tu godrai di più, assai di più, della conoscenza di Dio che di simili nozioni. Tuttavia ciò avviene per la differenza dell'oggetto e non dell'atto del conoscere. Ad esempio, tu non percepisci con altra vista la terra e il cielo sereno sebbene ti diletti molto di più la percezione dell'uno che dell'altra. Ma se gli occhi non s'ingannano, credo che tu, richiesto se sei certo di vedere in egual maniera la terra e il cielo, puoi rispondere tranquillamente in senso positivo, sebbene sei allietato dalla splendente bellezza del cielo, non della terra.
A. - Confesso che la similitudine mi convince e sono indotto ad ammettere che quanto la terra nel suo genere differisce dal cielo, tanto i principi veri e certi di quelle discipline differiscono dalla intelligibile maestà di Dio.

La via per ascesi e mistica (6, 12 - 8, 15)

Illuminazione ascesi e mistica per: a) purificazione.

6. 12. R. - È giusto che tu rimanga convinto. Il pensiero che è in colloquio con te garantisce che manifesterà Dio alla tua mente come il sole si manifesta alla vista. Difatti le facoltà interiori sono, per così dire, gli occhi propri della mente e i principi assolutamente certi delle discipline sono in analogia con oggetti come la terra e tutte le cose terrestri che, per apparire alla vista, devono essere illuminate dal sole. E Dio è quegli che illumina. Ed io, pensiero, sono nelle menti com'è lo sguardo negli occhi. Non è lo stesso avere gli occhi e guardare, ed egualmente non è lo stesso guardare e vedere. Pertanto l'anima ha bisogno di tre disposizioni: che abbia occhi di cui possa bene usare, che guardi, che vegga. Occhio dell'anima è la mente immune da ogni macchia del corpo, cioè già separata e purificata dai desideri delle cose caduche. All'inizio soltanto la fede può apportarle questo beneficio. Ma l'oggetto non le può essere manifestato se ancora è macchiata di vizio e inferma, poiché non può vedere se non è sana; e se non crede che potrà vederlo soltanto a questa condizione, non coopera alla propria salute. E se credesse che le cose stanno così come stiamo dicendo e che a tale condizione vedrebbe se avesse la possibilità di vedere, ma disperasse di poter vedere, si deve pensare che si deprime, si disprezza e non obbedisce agli ordini del medico.
A. - È proprio così, soprattutto perché è indispensabile che il male subisca severi provvedimenti.
R. - Quindi alla fede si deve aggiungere la speranza.
A. - Così penso.
R. - E se credesse nell'inderogabilità dell'ordine suddetto e sperasse di poter conseguire la salute e tuttavia non amasse e non desiderasse la luce promessa e ritenesse di doversene star contenta in mezzo alle tenebre che ormai per assuefazione son divenute gradite, non continua a respingere il medico?
A. - È proprio così.
R. - Quindi in terzo luogo è necessaria la carità?
A. - È la disposizione più necessaria.
R. - Pertanto senza queste tre, virtù nessuna anima viene sanata in maniera che possa vedere, cioè conoscere intellettualmente il suo Dio

b) contemplazione.

6. 13. Quindi quando avrà gli occhi sani che cosa rimane ancora?
A. - Che guardi.
R. - Lo sguardo dell'anima è pensiero. Ma non segue che ognuno che guarda vegga. Dunque lo sguardo puro e consummante, al quale cioè segue visione, si dice virtù che è appunto puro e consummante pensiero. Ma anche lo sguardo non può drizzare gli occhi, sebbene già sani, alla luce, se non vi sono le tre virtù, cioè la fede con cui crede che l'oggetto, al quale si deve rivolgere lo sguardo, è tale che visto beatifica; la speranza con cui ha fiducia di vedere se guarderà bene; la carità con cui desidera di vedere e godere. Ed ormai allo sguardo segue la stessa visione di Dio, che è fine della visione non perché questa cessi, ma perché non ha altro fine cui dirigersi. Il pensiero che raggiunge il suo fine: questa è veramente consummata virtù, alla quale segue felicità. E visione in sé è puro pensiero che è nell'anima e che si compone di soggetto conoscente e oggetto conosciuto allo stesso modo che il vedere degli occhi risulta dallo stesso senso e dal sensibile, dei quali se uno è sottratto, nulla può apparire.

c) visione.

7. 14. Ora dobbiamo esaminare se saranno ancora necessarie le tre virtù quando l'anima raggiungerà la visione, cioè la conoscenza intellettuale di Dio. Perché sarebbe necessaria la fede se già vede? Lo stesso si dica della speranza perché già possiede. Alla carità poi non solo non si detrarrà nulla, ché anzi molto si accrescerà. Dal momento in cui l'anima vedrà l'unica e intelligibile Bellezza, sempre di più l'amerà. E se non fisserà l'occhio con amore immenso senza mai cessare dal guardare, non potrà persistere nella visione pienamente beatificante. Ma fintantoché l'anima è in questo corpo, anche se vede con pienezza, cioè conosce Dio con puro pensiero, i sensi ancora compiono la loro funzione. E sebbene essi di per sé non inducano nell'errore, possono tuttavia generare dei dubbi. Si può quindi denominare fede la virtù con cui si resiste ai sensi e si crede vero ciò che è al di là di essi. Allo stesso modo poiché in questa vita, sebbene l'anima diventi felice nel raggiungimento intellettuale di Dio, si sopportano molte molestie del corpo, essa deve sperare che tutte queste contrarietà non rimarranno dopo morte. Pertanto neanche la speranza abbandona l'anima mentre è ancora in questa vita. Ma quando dopo questa vita essa si raccoglierà tutta in Dio, rimane soltanto la carità con cui in lui si mantiene. Quindi non si può dire che conservi la fede della intelligibilità dell'oggetto della visione perché non è attratta dal richiamo delle cose sensibili; né deve sperare ancora alcuna cosa perché possiede con sicurezza tutto. Tre disposizioni quindi spettano all'anima: che sia sana, che guardi, che veda; le altre, cioè la fede, la speranza e la carità sono necessarie al primo e al secondo dei tre momenti suindicati; al terzo invece, in questa vita, tutte e tre; dopo questa vita la sola carità.

Come è possibile per l'uomo vedere Dio.

8. 15. Ed ora dietro il mio insegnamento apprendi, per quanto la situazione attuale lo richiede, dalla somiglianza con i sensibili qualche cosa intorno a Dio. Dio è intelligibile, intelligibili sono anche i principi delle discipline, tuttavia con notevoli differenze. Difatti visibili sono tanto le qualità corporee quanto la luce, ma le qualità corporee non possono esser vedute se non sono illuminate dalla luce. Quindi si deve ritenere che anche i concetti relativi alle scienze, che chiunque intende ritiene assolutamente veri, non possono essere intesi se non vengono illuminati, per così dire, da un proprio sole. Pertanto allo stesso modo che in questo sole si possono rilevare tre cose: che esiste, che splende, che illumina, così in Dio ineffabile, che tu vuoi conoscere, sono in certo senso tre principi: che esiste, che è essere intelligibile e che rende intelligibili tutte le altre cose. Ed io ho voluto impartirti tali nozioni a titolo d'insegnamento affinché tu possa conoscere questi due oggetti: te stesso e Dio. Tu limitati a rispondermi se ritieni le due nozioni probabili o vere.
A. - Soltanto probabili; e devo confessare che sto ammettendo più di quanto avevo sperato. Difatti, oltre i due principi sulla linea e sulla sfera, non hai detto altro di cui io possa dire d'avere scienza.
R. - Non c'è da meravigliarsene; nulla è stato accertato in maniera tale che da te si possa richiedere la certezza.

L'iniziazione ascetico-mistica di Agostino (9, 16 -13, 23)

Esame sull'ascesi della: a) prudenza come ragione moderatrice;

9. 16. Ma perché tardiamo ancora? Bisogna intraprendere il cammino. Ma prima di tutto esaminiamo se siamo sani, perché tale esame è alla base di ogni indagine.
A. - È tua competenza, se almeno puoi guardare in te stessa e in me. Io mi limiterò a rispondere alle tue domande sulla mia attuale situazione di coscienza.
R. - Desideri qualche altra cosa oltre avere scienza di te stesso e di Dio?
A. - Potrei rispondere, nei limiti del mio attuale stato di coscienza, che non desidero altro, ma prudentemente rispondo che non lo so. Dico così perché ho in proposito qualche esperienza. Talora ho ritenuto che nulla mi potesse turbare, ma all'improvviso mi veniva in mente qualche cosa che mi turbava assai più violentemente di quanto avevo presupposto. Allo stesso modo un qualche cosa, che mi veniva in mente casualmente, non mi turbava, ma quando si verificava, mi turbava più di quanto avevo preveduto. Ma ora mi sembra che posso esser turbato da tre cose: dal timore di perdere le persone che amo, dal timore del dolore, dal timore della morte.
R. - Tu dunque ami la vita in comune con i tuoi amici, la tua buona salute e la tua vita nel corpo; non per altro temeresti la perdita di simili beni.
A. - Confesso che è così.
R. - Ora il fatto che i tuoi amici non sono tutti con te e che la tua salute è piuttosto precaria produce nel tuo animo un certo dispiacere. Osservo che è conseguente.
A. - La tua osservazione è giusta ed io non lo posso negare.
R. - E se all'improvviso avvertissi e fossi convinto di esser sano fisicamente e vedessi che tutti coloro che ami attendessero concordemente vicino a te ad occupazioni liberali, ti lasceresti prendere alquanto dalla gioia?
A. - Certamente un po'. Che se questi fatti, come dici, avvenissero all'improvviso, non riuscirei a trattenermi sia pur dal dissimulare simile godimento.
R. - Dunque ti lasci ancora agitare da tutte le passioni e perturbazioni dell'animo. Quale presunzione è dunque quella di occhi simili, il voler vedere il sole intelligibile?
A. - Hai concluso come se io non abbia affatto coscienza di quanto la mia guarigione si sia avvantaggiata ovvero quanta parte di passione sia stata superata e quanta abbia subito un arresto. Concedimi di fare una simile costatazione.

b) temperanza moderatrice del piacere;

10. 17. R. - Non vedi che spesso gli occhi del corpo, anche se sani, sono abbacinati e costretti a volgersi altrove dalla luce del sole sensibile e tornano a rifugiarsi nell'oscurità? E tu pensi al tuo notevole avanzamento, ma non pensi all'oggetto che vuoi vedere. Comunque voglio proprio porre in esame la tua coscienza sul nostro avanzamento. Non desideri le ricchezze?
A. - No e da tempo. Difatti ora io ho trentatré anni e sono decorsi già quattordici anni dacché ho cessato di desiderarle. E da esse non ho richiesto altro, se eventualmente furono disponibili, che il vitto necessario e l'onesta utilità. Bastò un solo libro di Cicerone a persuadermi che le ricchezze non si devono in alcuna maniera desiderare, ma se si hanno devono essere amministrate con molta saggezza e cautela.
R. - E gli onori?
A. - Confesso che ho cessato di desiderarli ora e proprio in questi ultimi giorni.
R. - E prender moglie? Non ti avvince talvolta il pensiero di una donna bella, pudica, di buoni costumi, istruita o che possa per lo meno essere da te facilmente istruita? Porterebbe inoltre, giacché disprezzi le ricchezze, quel tanto di dote che non la renda in alcun modo di peso alle tue occupazioni liberali, specialmente se speri o sei certo che da lei non avrai alcuna molestia.
A. - Per quanto tu la voglia far apparire con bei colori e ornarla di tutte le doti, ho stabilito che niente più debba fuggire che l'uso della donna. Sento che nulla priva maggiormente della propria sicurezza un'anima virile che le carezze della donna e quel contatto dei corpi senza di cui non si può dire di aver moglie. Pertanto se spetta ai doveri del saggio, motivo che ancora non ho appurato, aver figli ed educarli, chiunque usa il matrimonio soltanto a questo scopo, mi pare che sia da ammirare ma in nessuna maniera da proporsi come esempio. Mi pare che fare una simile esperienza comporta più rischio che possibilità d'esito felice. Pertanto ritengo che per la serenità della mia anima giustamente e vantaggiosamente mi sono imposto di non desiderare, non cercare e non prender moglie.
R. - Io adesso non ti sto chiedendo che cosa ti sei imposto, ma se sei ancora combattuto ovvero se hai superato perfino il desiderio. Si tratta infine della guarigione dei tuoi occhi.
A. - Non cerco affatto certe soddisfazioni e non le desidero, che anzi le ricordo con orrore e con disprezzo. Che vuoi di più? E questo è un bene che cresce per me di giorno in giorno; infatti quanto più aumenta la speranza di vedere la Bellezza di cui sono fortemente acceso, tanto più verso di lei si volgono l'amore e il desiderio.
R. - E quale preoccupazione hai per la bontà del cibo?
A. - Non mi attirano le vivande che ho stabilito di non gustare, ma confesso che durante il pasto prendo diletto da quelle che non ho escluso. Esse tuttavia, viste o assaggiate, possono essere sottratte senza turbamento dello spirito. E quando mancano del tutto, il desiderio non è poi tanto forte da introdursi come ostacolo ai miei pensieri. Ma smettila di rivolgermi domande sul cibo e le bevande, ovvero sui bagni e sugli altri diletti del corpo. Da essi chiedo soltanto quanto può esser di vantaggio alla conservazione della salute.

c) giustizia come regola del rapporto...

11. 18. R. - Sei molto progredito. Tuttavia gli aspetti che rimangono da esaminare possono costituire un gravissimo ostacolo a vedere la luce ideale. Sto meditando su un motivo dal quale si può facilmente dimostrare o che non ci rimane altro da dominare o che al contrario non abbiamo avanzato proprio di nulla e rimane ancora il tumore delle passioni che credevamo tagliate via. Allo scopo ti propongo la domanda: qualora tu dovessi esser convinto che non potresti attendere al filosofare con molti tuoi amici se non fosse a vostra disposizione una cospicua sostanza per sopperire ai vostri bisogni, non desidereresti e non ti procacceresti le ricchezze?
A. - Certamente.
R. - Facciamo anche l'ipotesi che tu possa convincere molti allo studio della sapienza soltanto se aumentasse il prestigio della tua autorità attraverso il riconoscimento sociale. Supponiamo inoltre che gli stessi tuoi amici non possono imporre un limite alle proprie passioni e darsi completamente alla ricerca di Dio se anche essi non acquistino buon nome e che tale condizione non si ottenga se non mediante l'aumento della tua reputazione e del tuo prestigio. In tal caso non si dovrebbe desiderare simili vantaggi e adoperarsi seriamente affinché se ne possa disporre?
A. - Sta bene.
R. - Non intendo ancora insistere sull'argomento della moglie poiché forse non esiste una necessità di doverla prendere. Ma supponi che con la sua cospicua dote si possano sostentare, naturalmente col consenso di lei, tutti coloro che secondo il tuo desiderio dovrebbero convivere con te per attendere agli studi liberali. Supponi anche che sia insigne per nobiltà di stirpe sicché si possa conseguire per suo mezzo quel prestigio che dianzi hai concesso esser necessario. In tal caso sono in dubbio se appartenga al tuo dovere rifiutare simili vantaggi.
A. - Ma in che modo io oserei ripromettermi un tale evento?

... e moderazione interiore;

11. 19. R. - Tu rispondi come se io ti chieda che cosa ti riprometti. Io non chiedo che cosa ti lascia indifferente se non ti è dato ma che cosa ti diletta se viene concesso. Altro è una virulenza debellata ed altro assopita. In materia vale il detto di certi filosofi che gli stolti manifestano la loro stoltezza allo stesso modo del puzzo del fango che non sempre puoi sentire, ma soltanto quando lo stuzzichi. C'è una bella differenza se la libidine è celata dalla mancanza di stimoli ovvero se cessa per la guarigione.
A. - Non ho elementi per ribattere. Tuttavia non mi convincerai mai che io debba ritenere di non aver progredito mediante la disposizione spirituale che avverto in me.
R. - Ed io sto pensando che hai tale opinione perché, rimanendo tu libero di desiderare simili vantaggi, ritieni che possono esser ricercati non per sé, ma in vista di qualche cosa d'altro.
A. - È proprio quello che intendevo dire. Difatti quando desideravo ancora le ricchezze, le ho desiderate appunto per esser ricco. Volevo, quasi attratto da non so quale loro orpello, anche gli onori, il cui desiderio, come ho detto, ho da poco represso. E niente ho voluto avere dalla donna, quando la volevo, se non la soddisfazione dei sensi non disgiunta dalla buona reputazione. Allora esisteva in me un vero desiderio di tali cose, ora le disprezzo del tutto; ma se non mi si offre altra possibilità d'accesso a quei beni che ora desidero se non mediante l'uso di quest'altri, io non li cerco come oggetto del mio desiderio, ma li subisco come necessità che devo tollerare.
R.
- Proprio bene. Anche io ritengo che non si possa definire passione il desiderio di qualsiasi bene sensibile che si desidera in vista di qualche cosa d'altro.

d) fortezza come regola della vita e non timore della morte...

12. 20. Voglio chiederti però perché desideri che le persone a te care vivano e convivano con te.
A. - Affinché possiamo indagare in concorde collaborazione sulla nostra anima e su Dio. Così colui che per primo avrà risolto il problema, indurrà senza fatica al medesimo risultato anche gli altri.
R.- E se essi non volessero indagare su tali argomenti?
A. - Li convincerò a volere.
R. - E che avverrebbe se tu non lo potessi o perché ritengono che sono già arrivati o che tali conoscenze non si possono raggiungere o perché sono ostacolati dal pensiero e dal desiderio di altre cose?
A. - Stabiliremo dei rapporti come meglio potremo.
R. - E se la loro presenza ti distogliesse dall'indagine? Non ti dispiacerà o non desidererai che, se non cambiano disposizioni, non convivano con te anziché convivano a tali condizioni?
A. - Confesso che è come tu dici.
R. - Ma allora tu non desideri la loro vita e presenza per se stesse ma per raggiungere la saggezza?
A. - Sono pienamente d'accordo.
R. - E se tu fossi certo che la tua stessa vita fosse d'impedimento a raggiungere la saggezza, vorresti che ti fosse conservata?
A. - Piuttosto la fuggirei.
R. - E se ti fosse dato di sapere che tu, tanto se abbandonato il corpo quanto se conservato in esso, puoi giungere al possesso della sapienza, ti angustieresti dell'alternativa di godere dell'oggetto del tuo desiderio qui ovvero nell'altra vita?
A. - Non me ne preoccuperei se potessi prevedere che non mi capiterà nulla di meno bene che mi allontani dal punto cui sono arrivato.
R. - Ed allora tu temi di morire perché pensi di poter incorrere in un male peggiore dal quale ti verrebbe sottratta la conoscenza sapienziale.
A. - Non solo temo che mi venga sottratta, seppure ho raggiunto una conoscenza certa, ma anche mi venga impedito l'accesso alle conoscenze che desidero raggiungere, sebbene ritengo che mi rimarrà quanto ho già conseguito.
R. - Non vuoi dunque conservare questa vita per se stessa, ma per la sapienza.
A. - Sì.

... e come resistenza al dolore;

12. 21. R. - Resta da esaminarci sul dolore fisico che se violento potrebbe toglierti la serenità.
A. - Anche esso temo fortemente ma soltanto perché m'impedisce d'indagare. Difatti nei giorni testé trascorsi sono stato afflitto da un atroce mal di denti e m'era possibile riflettere solamente sugli argomenti che avevo già appreso, ma ero impedito dall'apprendere, poiché richiedeva tutta l'attenzione della mia mente. Mi sembrava tuttavia che se la luce folgorante della verità fosse apparsa alle mie facoltà mentali, o non avrei sentito più alcun dolore ovvero l'avrei sopportato come se nulla fosse stato. Ma poiché non ho dovuto mai sopportare sofferenze più gravi, e sto pensando che dolori più atroci possono capitarci, sono intanto costretto ad andare d'accordo con Cornelio Celso il quale dice che il sommo bene è la sapienza e il sommo male il dolore sensibile. Ritengo che la sua dimostrazione non è assurda. Noi, egli dice, siamo composti di due parti, dallo spirito e dal corpo. Di essi lo spirito è migliore, il corpo è peggiore. Ora il sommo bene è l'ottimo della parte migliore, il sommo male è il pessimo della parte peggiore; quindi nello spirito l'ottimo è la sapienza, nel corpo il pessimo è il dolore. Si conclude pertanto senza possibilità d'errore, come penso, che sommo bene dell'uomo è possedere sapienza e sommo male soffrire.
R. - Esamineremo l'argomento in seguito. Forse la sapienza, che ci sforziamo di raggiungere, ci farà accettare un'altra conclusione. Se al contrario ci mostrerà che la tesi è vera, senza alcuna perplessità riterremo tale parere sul sommo bene e sul sommo male.

e) amore di sapienza che si fa ragione mistica...

13. 22. Ed ora esaminiamo quale grado hai raggiunto nell'amore di sapienza. Tu desideri vederla e possederla con castissimo sguardo e abbraccio senza l'interposizione di alcun velame, nuda, per così dire, quale ella consente mostrarsi soltanto a pochissimi e sceltissimi suoi amatori. Se, tu ardessi d'amore per qualche bella donna, giustamente ella non ti si darebbe se si accorgesse che ami, oltre lei, qualche altra cosa. E ti si potrà mostrare, se essa sola non ami, la castissima bellezza della sapienza?
A. - E allora perché sono ancora irretito nella mia infelicità e con straziante travaglio sono condannato all'attesa? Ormai ho dato sicura prova di non amare altro, poiché si ama veramente ciò che si ama per se stesso. Ora io per sé amo soltanto sapienza, e per quanto riguarda gli altri beni, cioè vita, serenità, amicizie, solo per essa o voglio averli o temo di non averli. L'amore per tale bellezza può avere questo criterio di misura che non solo non la invidio agli altri, ma procuro anche che molti con mela desiderino, ad essa con me tendano, con me la posseggano e con me la godano. Ed essi mi saranno tanto più amici quanto più l'amata sarà posseduta in comune.

... e ci dispone alla visione.

13. 23. R. - Conviene veramente che tali siano gli amatori di sapienza. Tali essa li vuole perché il congiungimento con lei è veramente casto e senza alcuna contaminazione. Ma non attraverso una sola via ad essa si perviene. Ciascuno, a seconda della propria salute e robustezza, può possedere il vero e unico bene. Essa è luce ineffabile e incomprensibile delle menti.. La luce sensibile ci faccia comprendere, quanto è possibile, l'idea dell'altra. Vi sono infatti occhi tanto sani e validi che possono, appena aperti, rivolgersi al sole senza rimanere abbacinati. Per essi in qualche modo la stessa luce è salute. Non hanno neanche bisogno di chi li ammaestra ma soltanto forse di un orientamento. Per essi credere, sperare e amare è facile. Altri, al contrario, rimangono abbacinati proprio dallo splendore che desiderano ardentemente di vedere e poiché non l'hanno visto tornano con diletto alle tenebre. Ed è pericoloso tentar di far comprendere ad essi, sebbene in simili condizioni si possono considerare ormai guariti, che non sono capaci di vedere. Pertanto devono rimanere ancora in esercizio e il loro desiderio deve essere prolungato e alimentato. Dapprima si devono loro mostrare oggetti che non hanno luce propria, ma che possono essere veduti mediante la luce come una veste, una parete e qualche cosa di simile. In seguito mostrare qualche oggetto che non di per sé ma mediante la luce più intensamente rifulga come l'oro, l'argento e simili, comunque non tanto colpito dai raggi del sole che possa offendere gli occhi. Allora convenientemente forse si può mostrare il fuoco sensibile e poi le stelle, in seguito la luna, il chiarore dell'aurora e la splendidezza del cielo mentre albeggia. Mediante tali esercizi, assuefacendosi ciascuno secondo la propria salute, o più presto o più tardi, sia attraverso l'intera serie dei momenti o anche tralasciandone qualcuno, potrà senza rimanere abbagliato vedere il sole con gran diletto. E i migliori maestri adottano tale ascesi per coloro che vivono in amoroso studio di sapienza e che già veggono, sebbene non ancora con acutezza. Difatti è compito di una buona educazione giungere al possesso di sapienza con un determinato procedimento, poiché senza di esso è esito di una fortunata congiuntura appena credibile. Ma per oggi, come penso, abbiamo scritto abbastanza; si deve riguardo alla poca salute.

La crisi e il rilancio del problema (14, 24 - 15, 30)

La crisi come soggezione alla sensibilità,

14. 24. Il giorno appresso dissi:
A. - Suggeriscimi di grazia, se ne sei ormai competente, quell'ascesi. Conducimi e muovimi nella direzione che vuoi, con i mezzi che vuoi, come vuoi. Ordinami tutte le operazioni più difficili e ardue che tuttavia siano in mio potere, affinché per loro mezzo possa con sicurezza giungere alla meta desiderata.
R. - Un solo insegnamento posso impartirti, poiché altro non so. Si richiede la fuga totale dal sensibile. Si deve star molto attenti, mentre portiamo ancora questo corpo, che non siano impedite dal suo visco le nostre penne, poiché della loro piena efficienza abbiamo bisogno per salire da queste tenebre alla luce. Essa certamente non degna mostrarsi a coloro che sono chiusi in questa caverna se non divengono tali che, quando questa viene aperta o demolita, possano tornare nel proprio cielo. Pertanto quando sarai tale che nulla delle cose terrene ti attragga, nello stesso momento, nello stesso attimo vedrai ciò che desideri.
A. - E quando, ti prego, questo sarà? Non penso che io potrò provare il massimo disprezzo delle cose terrene se non vedrò prima ciò al cui paragone esse mi divengano vili.

come limite del pensiero,

14. 25. R. - Allo stesso modo potrebbe ragionare l'occhio del senso: Non mi rifugerò più nelle tenebre quando vedrò il sole. Ed anche simile discorso sembrerebbe quasi conveniente alla retta ascesi, mentre è assai lontano dall'esserlo. Difatti si rifugia nelle tenebre perché non è sano e non può vedere il sole se non è sano. Nello stesso errore spesso cade l'animo che si reputa e si vanta d'esser sano; e poiché non vede ancora, sembrerebbe quasi che si lamenti a buon diritto. Sa la Bellezza quando mostrarsi. Essa infatti esercita la funzione di medico e comprende chi è sano meglio di coloro che sono sanati. Noi ci illudiamo di percepire di quanto siamo emersi dalle tenebre, ma non ci è permesso né di aver coscienza né di avvertire fino a qual punto eravamo immersi e fin dove abbiamo progredito. Ed è per questo che nel raffronto con lo stato più grave d'infermità ci illudiamo di esser guariti. Non ti accorgi con quanta presunzione ci siamo ieri convinti che non siamo più dominati da alcuna passione, che niente desideriamo fuorché la saggezza e che soltanto per essa ricerchiamo e desideriamo gli altri beni? Quanto basso e volgare, quanto esecrabile e detestabile ti sembrava l'uso della donna quando si giunse all'esame sul desiderio del matrimonio. E tuttavia questa notte, nella veglia, quando siamo tornati all'esame dello stesso punto, hai provato, diversamente da quanto t'eri ripromesso, quanto ti abbiano turbato le carezze rievocate con l'immaginazione e l'amara soddisfazione sensuale in forma certamente blanda, più blanda del solito, comunque meno blanda di quanto supponevi. Quindi il medico che agisce nell'intimità ti può indicare due cose: da dove per suo intervento sei emerso e che cosa rimane da curare.

come disperazione sui valori dell'uomo morale.

14. 26. A. - Taci, ti prego, taci. Perché mi tormenti? Perché scavi e scendi tanto a fondo? Non posso più trattenermi dal piangere, ormai non faccio più affidamento sulle mie promesse, non ho più fiducia. Desisti dall'esaminarmi su tali argomenti. Se tu dici che quegli che desidero vedere sa quando diverrò sano, faccia ciò che è il suo beneplacito, si manifesti secondo il suo beneplacito; ormai mi rimetto tutto alla sua benevolenza e aiuto. Di lui ho creduto definitivamente che non cessa di soccorrere coloro che hanno fiducia in lui. Io non posso affermare qualche cosa sulla mia sanità se non dopo aver veduto la Bellezza ideale.
R. - È certamente l'unica cosa da fare. Ma ormai astienti dalle lacrime e rinsalda il tuo spirito. Hai già troppo pianto e la tua malattia di petto ne risente gravemente.
A. - Vuoi che le mie lacrime abbiano un limite quando non veggo un limite alla mia infelicità? Mi esorti ad avere considerazione della salute del corpo quando il mio Io è corroso dalla passione? Ma ti prego, se hai dei poteri su di me, provati a condurmi attraverso qualche scorciatoia in prossimità di quella Luce. Vicino a lei che ormai, nell'ipotesi di un mio progresso spirituale, posso sopportare, mi rincrescerà di volgere gli occhi alle tenebre che ho abbandonato, seppur si possono dire abbandonate quando osano ancora lusingare la mia cecità.

Il rilancio del problema e termini fuori ipotesi: a) Verità e vero;

15. 27. R. - - Chiudiamo, se sei d'accordo, questo primo libro affinché in un secondo possiamo seguire il procedimento ritenuto più opportuno. Difatti la tua attuale situazione spirituale non deve cessare dall'esercizio per quanto moderato.
A. - Non permetterò assolutamente che questa parte dell'opera sia chiusa se non mi assicurerai della vicinanza della luce alla quale debba volgermi.
R. - Il medico favorisce la tua aspirazione. Difatti non saprei quale improvvisa illuminazione mi fa orientare e m'indica dove . condurti. Dunque ascolta con attenzione.
A. - Conducimi, ti prego, e trasportami dove vuoi.
R. - Continui ad affermare di voler avere scienza dell'anima e di Dio?
A. - È tutto il mio impegno.
R. - E nulla di più?
A. - No di certo.
R. - Ma non vuoi raggiungere la verità?
A. - Quasi che possa raggiungere quelle conoscenze senza di essa.
R. - Quindi si deve prima averne conoscenza per mediare da essa la conoscenza di queste due idee.
A. - Sono d'accordo.
R. - Allora prima di tutto, poiché verità e vero sono due termini distinti, esaminiamo se ritieni che anche due distinti concetti sono significati con tali termini ovvero uno.
A. - Ritengo che siano due concetti distinti. Infatti come altro è la castità e altro esser casto, e analogamente molti altri termini, così reputo che altro è la verità e altro ciò che si enuncia come vero.
R. - E quale dei due ritieni come categoria?
A. - La verità, penso. Difatti non la castità si misura dall'esser casto ma l'esser casto dalla castità. Così anche, se qualche cosa è vero, è vero in riferimento alla verità.

b) Verità e indefettibilità;

15. 28. R. - E se un uomo casto muore, tu ritieni che perisca anche la castità?
A. - No certamente.
R. - Dunque se cessa d'essere qualche cosa che è vero, non cessa d'esser la verità.
A. - Ma come può cessare d'essere qualche cosa che è vero? Non m'è evidente.
R. - Mi meraviglio della tua domanda. Noi vediamo davanti ai nostri occhi perire migliaia di cose, a meno che tu non ritieni che questo albero è albero ma non è vero o non possa cessare d'essere. Tu potresti dire che non ti devi fidare dei sensi e potresti quindi rispondere che non sai se è un albero. Tuttavia non vorrai negare, come penso, che è un vero albero se è albero poiché il giudizio su di esso non è del senso, ma dell'intelligenza. Pertanto se è un falso albero non è albero; se poi è albero, è necessario che sia vero albero.
A. - Lo ammetto.
R. - Ed ancora: non ammetti anche che l'albero appartiene a quella categoria di cose che soggiacciono a generazione e corruzione?
A. - Non posso negarlo.
R. - Si conclude dunque che qualche cosa che è vero ha fine.
A. - Non contraddico.
R. - E non ritieni anche che cessando d'essere le cose non perisce la verità, come non cessa d'essere la castità in seguito alla morte di un uomo casto?
A. - Concedo anche questo e attendo con impazienza la conclusione cui vuoi arrivare.
R. - Allora seguimi con attenzione.
A.- Sono pronto.

c) Indefettibilità e postulazione di trascendenza;

15. 29. R. - Ti sembra vero questo principio: tutto ciò che è, è necessariamente in un dove?
A. - Niente mi muove maggiormente al consenso.
R. - Ammetti che verità esiste?
A. - Lo ammetto.
R. - Allora è indispensabile che esaminiamo dove si trova. Difatti non è in alcuno spazio, a meno di ritenere che nello spazio v'è qualche cosa d'altro oltre i corpi o che la verità è corpo.
A. - Non penso niente di simile.
R. - Dove pensi dunque che sia? Difatti essa, di cui noi ammettiamo l'esistenza, non esiste in alcun luogo.
A. - Se sapessi dov'è, non cercherei ancora.
R. - Ma almeno puoi conoscere dove non sia?
A. - Lo potrò se melo fai venire in mente.
R. - Non è certamente negli esseri corruttibili. Difatti tutto ciò che esiste in un altro essere, non persiste nell'essere se non persiste l'altro in cui esiste. E dianzi è stato ammesso che la verità permane anche dopo la fine delle cose vere. Dunque la verità non è negli esseri corruttibili. Pertanto la verità esiste, ma non è in alcuno spazio. Dunque esistono esseri imperituri. E niente è vero in cui la verità non sia. Ne consegue dunque che sono veri soltanto gli esseri imperituri. E l'albero che appare non è l'albero e il legno che appare non è il legno e l'argento che appare non è l'argento e in definitiva tutto ciò che appare non è. E tutto ciò che non è il vero è apparenza. Pertanto solo degli esseri imperituri si dice veramente l'essere. Considera attentamente dentro di te questo breve ragionamento per evitare ogni dubbio sulla sua ammissibilità. Se poi è ammissibile, abbiamo quasi portato a termine l'indagine che forse si chiarirà meglio in un altro libro.

d) La presenza di Dio.

15. 30. A. - Ti son grato e con attenzione e discernimento mediterò su questi concetti da me o piuttosto con te quando ci troviamo nel silenzio, se non si frappongono le tenebre e non mi attraggono, come temo fortemente.
R. - Credi a Dio con fermezza e, per quanto t'è possibile, affidati a lui interamente. Non pretendere d'essere di tuo dominio e in tuo potere, ma professati schiavo di quel Signore molto clemente e generoso. Egli non desisterà dall'innalzarti fino a sé e non permetterà che nulla ti avvenga se non t'è di giovamento, anche se tu non ne sei cosciente.
A. - Ascolto, credo e, per quanto è in mio potere, obbedisco e molto lo prego al finedi potere sempre di più, a meno che tu non desideri anche qualche altra condizione.
R. - Frattanto basta. In seguito farai ciò che egli stesso, quando in te lo avverti, ti suggerirà.