LETTERA 133

Scritta circa la fine del 411.

Agostino scongiura il commissario imperiale Marcellino perché non applichi la pena capitale ai Donatisti rei confessi di efferati delitti contro preti cattolici (nn. 1-2), come si addice alla mansuetudine della Chiesa, a vantaggio della quale egli è stato inviato dall'imperatore (n. 3).

AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE IL SUO ILLUSTRE E MERITAMENTE INSIGNE SIGNORE E CARISSIMO FIGLIO MARCELLINO.

Si risparmi ai Donatisti la pena del taglione.

1. Ho appreso dalla tua Eccellenza che i Circoncellioni e i chierici della fazione di Donato, che l'ufficiale di pubblica sicurezza aveva inviati da Ippona al tuo tribunale per i loro delitti, furono ascoltati dall'Eccellenza tua, e che moltissimi si dichiararono colpevoli dell'assassinio da essi perpetrato nella persona del prete cattolico Restituto e dell'uccisione di Innocenzo, un altro prete cattolico ' a cui cavarono anche un occhio e tagliarono un dito. Questo fatto ha causato in me la più viva ansietà: temo cioè che l'Eccellenza tua pensi di dover punire i colpevoli applicando le leggi in modo si rigoroso da far subire loro i supplizi che essi fecero soffrire a quelli. Ti scrivo dunque per scongiurarti nel nome di Cristo in cui tu credi e in nome della misericordia di Cristo medesimo, nostro Signore, di non fare una simile cosa né permettere in nessun modo che sia fatta. Noi potremmo declinare benissimo qualsiasi responsabilità in merito alla pena capitale da loro subìta dal momento che, a quanto pare, sono stati tradotti in giudizio non già dietro nostre accuse, ma dietro denuncia di coloro cui spetta la tutela dell'ordine pubblico; tuttavia non vogliamo che le torture dei servi di Dio siano vendicate con supplizi eguali a quelle, quasi secondo la pena del taglione. Non che vogliamo con ciò impedire che si tolga a individui scellerati la libertà di commettere delitti, ma desideriamo che allo scopo basti che, lasciandoli in vita e senza mutilarli in alcuna parte del corpo, applicando le leggi repressive siano distolti dalla loro insana agitazione per esser ricondotti a una vita sana e, tranquilla, o che, sottratti alle loro opere malvage, siano occupati in qualche lavoro utile. Anche questa è bensì una condanna, ma chi non capirebbe che si tratta più di un benefizio che di un supplizio, dal momento che non è lasciato campo libero all'audacia della ferocia né si sottrae la medicina del pentimento?

Il giudice deve agire con umanità.

2. Adempi, o giudice cristiano, il dovere di un padre amorevole; sdegnati contro l'iniquità in modo però da non dimenticare l'umanità; non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite. Non perdere la diligenza paterna che serbasti durante lo stesso interrogatorio, allorché riuscisti a ottenere la confessione di si orrendi delitti senza far stirar le membra sul cavalletto, senza farle solcare con gli uncini di ferro, senza farle bruciare con le fiamme, ma facendole solo flagellare con le verghe: forma di costrizione che suole usarsi anche dai maestri delle arti liberali, dai genitori medesimi e non di rado anche dai vescovi nei processi. Non voler dunque castigare con troppa crudeltà ciò che sei riuscito a scoprire con tanta mitezza. E' più necessario scoprire i colpevoli che punirli: anzi per questo anche i giudici più miti esaminano con scrupolo e senza stancarsi un delitto occulto, per riuscire a trovare a chi si debba usar clemenza. Il più delle volte bisogna quindi essere più severi nell'istruttoria perché, una volta messo in evidenza il delitto, vi sia la possibilità di dar prova di mansuetudine. Poiché tutte le buone opere vogliono essere poste in bella mostra, non per la gloria degli uomini, ma perché, come dice il Signore: gli uomini vedano le buone opere vostre e glorifichino il Padre vostro celeste 1. Non bastò quindi all'Apostolo ammonire che serbassimo la mitezza, ma che la facessimo conoscere a tutti: La vostra mitezza, egli dice, sia nota a tutti gli uomini 2; e in un altro passo dice: Mostrando apertamente la vostra mitezza a tutti gli uomini 3. Cosi non avrebbe avuto risalto neppure l'insigne mitezza del santo re Davide, quando con un atto di clemenza risparmiò il nemico che gli era stato consegnato nelle mani 4, se non fosse ugualmente apparso il potere che egli aveva (di ucciderlo). Non ti inasprisca dunque il potere che hai di punire, dal momento che le esigenze dell'istruttoria non sono riuscite a privarti della tua mansuetudine. Una volta scoperti i colpevoli, non andare in cerca dell'esecutore della pena capitale, dal momento che per scoprire i colpevoli non hai voluto fare uso dei torturatore.

Il giudice cristiano imiti la mitezza della Chiesa.

3. Infine tu sei stato inviato in difesa della Chiesa. Ora, io affermo categoricamente che ciò giova o serve alla Chiesa cattolica ovvero, perché non sembri che io voglia sorpassare i limiti della mia giurisdizione, giova certo alla Chiesa che fa parte della diocesi di Ippona. Se non vuoi ascoltare la preghiera dell'amico, ascolta almeno il consiglio del vescovo, quantunque, dato che parlo ad un cristiano, e soprattutto in una faccenda così delicata, non peccherei di arroganza se dicessi che ti conviene ascoltare l'ordine di un vescovo, o mio egregio signore, mio illustrissimo e dilettissimo figlio. So bensì che le cause ecclesiastiche sono state affidate soprattutto all'Eccellenza tua, ma poiché credo che questo affare spetti all'illustrissimo e spettabilissimo proconsole, invio una lettera anche a lui; ti prego che non ti dispiaccia di consegnargliela di persona e di esporgliela, se è necessario. Scongiuro tutti e due di non considerare importuna l'intercessione o il consiglio o l'interessamento nostro. Non vogliate, punendo i nemici con le stesse sevizie ch'essi fecero soffrire, offuscare i patimenti dei servi di Dio cattolici che devono essere utili ai deboli per la loro edificazione spirituale; piuttosto, scartando il rigore proprio del giudice, non trascurate affatto di mettere in risalto la vostra fede, perché siete figli della Chiesa, e la clemenza della medesima nostra madre. Dio onnipotente colmi di ogni bene l'Eccellenza tua, egregio mio Signore, meritamente insigne e carissimo figlio.