LETTERA 124

Scritta nella primavera del 410/411.

Agostino si scusa con Albina, Piniano e Melania, rifugiatisi a Tagaste, di non esser potuto andarli a visitare non tanto a causa dei rigori invernali (n. 1) quanto per le preoccupanti condizioni della diocesi d'Ippona (n. 2).

AGOSTINO, INVIA CRISTIANI SALUTI AD ALBINA, A PINIANO E A MELANIA, SUOI ILLUSTRI SIGNORI E FRATELLI NEL SIGNORE, CARISSIMI E AMATISSIMI PER LA LORO SANTITA'

Viva brama di incontrare gli amici.

1. Pur non potendo sopportare il freddo per il mio cagionevole stato di salute o per la mia costituzione naturale, tuttavia non ho mai avuto da soffrir tanto ardore quanto in quest'inverno rigidissimo per la pena che non m'è stato possibile, non dirò venire ma correre da voi per i quali avrei dovuto varcare a volo i mari dal momento che risiedete tanto vicino e venite da tanto lontano per vedere noi. La Santità vostra forse potrebbe credere che la rigidezza dell'inverno sia stata davvero l'unica causa della mia pena; ma non è così, miei dilettissimi. Quali disagi e molestie e perfino quali rischi inerenti a siffatte piogge dirotte io non avrei dovuto affrontare e sopportare per recarmi da voi i quali mi siete di tanto conforto in sì gravi sciagure? Voi, dico, i quali, in mezzo a questa generazione sviata e pervertita, splendete come luci 1 fiammanti, accese da Colui ch'è la luce superna, sublimi per aver accettato l'umiltà e più splendenti per aver disprezzato lo splendore mondano! Io avrei goduto ad un tempo della gioia spirituale della mia patria carnale, che ha meritato di godere anche della vostra presenza. Essa, mentre voi eravate assenti, nel sentir parlare di quel che siete per nascita e di quel che siete poi diventati per grazia di Cristo, sebbene lo credesse spinta dalla carità, nondimeno non osava forse divulgarlo per timore che non venisse creduto.

I fedeli d'Ippona sobillati dagli scismatici.

2. Vi dirò dunque perché non son potuto venire e da quali avversità sono stato impedito dal provare una si grande felicità; ve lo dirò per meritare non solo il vostro perdono ma anche, per mezzo delle vostre preghiere, la misericordia di Colui in virtù del quale voi vivete al suo servizio. I fedeli d'Ippona, al cui servizio m'ha assegnato il Signore, i quali in gran parte o quasi nella totalità sono così deboli da rischiare d'ammalarsi gravemente per un'afflizione anche più lieve, sono ora colpiti da una tribolazione tanto grande che, quand'anche non fossero tanto deboli, potrebbero a malapena sopportarla con fortezza di spirito. Solo quando son tornato, li ho trovati scandalizzati della mia assenza con loro gravissimo pericolo. Grazie alle vostre assennate parole (e mi rallegro nel Signore della vostra vigoria spirituale) i fedeli d'Ippona comprendono ciò ch'è stato detto: Chi si ammala senza che mi ammali anch'io? Chi si scandalizza senza che anch'io mi senta bruciare di dolore? 2 Sono afflitto soprattutto perché vi sono qui molti i quali, col distoglierci l'animo di tutti coloro dai quali ci par d'essere amati, tentano di farli insorgere contro di noi per preparare nel loro cuore un posto per il diavolo. Mentre poi sono sdegnati contro di noi, che facciamo ogni sforzo per condurli a salvezza, hanno l'ambizioso disegno di punirci, che in realtà è per essi voluttà di morire non già nel corpo ma nell'anima, dove la morte spirituale si avverte segretamente per il suo fetore ancor prima che venga avvertita dal nostro pensiero. Voi senza dubbio perdonerete volentieri questa mia ansiosa preoccupazione, specialmente perché, se vi adiraste e desideraste vendicarvi, non trovereste forse un tormento maggiore di quello che soffro io sapendovi a Tagaste senza potervi vedere. Io però spero che, aiutato dalle vostre preghiere, quando non vi saranno più gli ostacoli che ora me lo impediscono, mi sarà concesso di venire al più presto da voi in qualunque parte dell'Africa vi troviate, salvo che questa città, nella quale provo tanti travagli, non sia degna di allietarsi con me della vostra presenza, poiché neppure io oso crederla degna.