LETTERA 43

Scritta tra il 396 e l'inizio del 397.

L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles (n. 1-4). Si sofferma a lungo sul conciliabolo di Cartagine, sull'ostinazione dei Donatisti e sul loro appello all'imperatore (n. 5-14): equanimità di papa Melchiade e nefandezze di Lucilla e dei Circoncellioni (n. 15-27).

AGOSTINO AI DILETTISSIMI E STIMATISSIMI FRATELLI GLORIO, ELEUSIO, AI FELICI, A GRAMMATICO E A TUTTI GLI ALTRI CHE GRADISCONO QUESTA LETTERA

I destinatari sono stimati più ragionevoli degli altri Donatisti.

1. 1. Disse bensì l'apostolo Paolo: L'eretico, dopo una prima ammonizione scansalo, sapendo che una persona siffatta è pervertita ed è condannata da se stessa 1. Non sono però da iscrivere tra gli eretici coloro che difendono la loro opinione, per quanto falsa e perversa, senza ostinata animosità, specialmente quando essa non è frutto della loro audace presunzione, ma eredità ricevuta dai loro genitori sedotti e caduti nell'errore, mentre d'altra parte cercano, sia pure con cauta premura, la verità e son pronti a correggersi appena la trovino. Se dunque non vi ritenessi così disposti, forse non vi invierei nessuna lettera. Ma anche lo stesso eretico, per quanto gonfio della superbia più odiosa e forsennato per l'ostinata mania di questionare, da una parte siamo ammoniti di scansarlo, affinché non tragga in inganno i deboli e i piccoli, ma d'altra parte non rifiutiamo di correggerlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Ecco perché abbiamo inviato ad alcuni capi Donatisti non lettere di comunione, che essi da tempo si rifiutano di ricevere a causa del loro traviamento dalla unità cattolica sparsa su tutta la terra, ma solo lettere private, quali ci è lecito inviare pure ai pagani: anche se i capi qualche volta le hanno lette, tuttavia non han voluto o, come piuttosto crediamo, non han potuto rispondere. Noi però pensiamo d'avere in tal modo adempiuto il nostro dovere di carità, che lo Spirito Santo ci insegna essere obbligati ad usare non solo verso i nostri, ma verso tutti. Egli infatti per mezzo dell'Apostolo ci dice: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella carità vicendevole e verso tutti 2. In un altro passo esorta a riprendere con dolcezza quelli che la pensano diversamente da noi: caso mai - dice - Dio conceda loro di convertirsi alla conoscenza della verità e rinsaviscano dai lacci del demonio, da lui tenuti schiavi dei suo capriccio 3.

Volontà di pace e di bene.

1. 2. Ho voluto premettere queste considerazioni perché nessuno pensi che io vi abbia inviato una lettera mosso più da impudenza che da prudenza e che abbia voluto trattare in questo modo l'affare dell'anima vostra dal momento che non appartenete alla nostra comunione, mentre nessuno forse mi rimproverebbe se vi scrivessi per la faccenda di un podere o per dirimere una. lite sorta per motivo di denaro. Ecco fino a qual punto il mondo è caro agli uomini, mentre essi son diventati senza valore ai propri occhi. Questa lettera sarà quindi testimone a mio discarico nel giudizio di Dio, il quale sa con quale intenzione ho agito e che ha detto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio 4.

Inizio dello scisma donatista.

2. 3. Abbiate dunque la bontà di ricordarvi che, mentre mi trovavo nella vostra città e m'occupavo di alcune questioni relative alla comunione dell'unità cristiana, da esponenti del vostro partito furono esibiti i verbali degli Atti, da cui risultava che circa settanta vescovi avevano condannato Ceciliano, già vescovo cattolico della Chiesa di Cartagine, insieme coi suoi colleghi e quanti l'avevano consacrato. Lì pure fu discussa la causa di Felice di Aptungi come se la sua condotta fosse molto più odiosa e criminale di quella di tutti gli altri. Dopo la lettura di tutti gli Atti, rispondemmo che non c'era da meravigliarsi se gli autori di quello scisma avessero compilato degli Atti e reputato doveroso condannare, senza alcuna valida ragione e senza istruire regolare processo, persone contro le quali erano stati aizzati da persone gelose e scellerate. Tenete bene a mente che noi abbiamo altri Atti ecclesiastici, dai quali risulta che Secondo, vescovo di Tigisi, il quale allora esercitava le funzioni di primate della Numidia, lasciò a Dio il giudizio dei "traditori" lì presenti e rei confessi, e permise che rimanessero nelle sedi vescovili da essi occupate. I nomi di essi sono registrati nella lista di quelli che condannarono Ceciliano, in un altro concilio presieduto dallo stesso Secondo. Egli fu costretto a condannare come "traditori" alcuni vescovi assenti sulla base dei pareri espressi dagli stessi presenti, rei confessi e da lui perdonati.

I Donatisti condannati dai concili di Roma e di Arles.

2. 4. Noi poi dicemmo che poco dopo l'ordinazione di Maggiorino, che essi avevano elevato alla cattedra con nefanda scelleratezza contro Ceciliano, erigendo altare contro altare e portando la divisione nell'unità cristiana con furiose discordie, chiesero all'imperatore di quel tempo, Costantino, come giudici della vertenza altri vescovi, i quali, interponendosi come arbitri, decidessero con il loro verdetto le questioni sorte in Africa che spezzavano il vincolo della pace. Tale richiesta fu esaudita. Con sentenza di Melchiade (6-a), allora vescovo della città di Roma, e dei suoi colleghi di episcopato, mandati dall'Imperatore dietro preghiera dei Donatisti, non risultò alcuna prova a carico di Ceciliano presente al dibattito con tutti quelli che avevano passato il mare per accusarlo e perciò venne confermato nella sua sede vescovile, mentre fu riprovato Donato, suo avversario, anche lui presente. Dopo questi avvenimenti, persistendo tutti essi ostinati nello scelleratissimo scisma, il medesimo Imperatore fece esaminare più diligentemente e definire la medesima questione ad Arles. Essi però contro il verdetto ecclesiastico si appellarono al tribunale di Costantino. Dopo che si giunse alla corte, alla presenza delle due parti, Ceciliano fu giudicato innocente e quelli ne uscirono sconfitti, ma ciò nonostante rimasero nel loro errore. Non fu trascurata neppure la causa di Felice di Aptungi, ma egli pure uscì assolto negli Atti proconsolari in base a un'ordinanza del medesimo Imperatore.

Malafede del vescovo Secondo di Tigisi.

2. 5. Ma poiché tutti questi fatti ve li raccontavamo senza darvene lettura degli Atti processuali, vi parve senza dubbio che facessimo meno di quanto vi aspettavate dalla insistenza della nostra inchiesta. Appena ce ne accorgemmo, non perdemmo un minuto per mandare a cercare gli Atti da leggere come avevamo promesso. Corremmo a prenderli nella Chiesa di Gelizit, per tornare poi subito di là alla vostra città. Tutti gli Atti giunsero dopo nemmeno due giorni interi, e - come ben sapete - vi furono letti in un sol giorno, per quanto ce lo permise il tempo. Prima fu letto il verbale secondo cui Secondo, vescovo di Tigisi, non osò allontanare dal suo collegio episcopale dei "traditori" rei confessi, mentre poi con essi osò condannare Ceciliano, non confesso ed assente, insieme con altri suoi colleghi. Furono poi letti gli Atti proconsolari, in cui Felice, dopo accuratissimo esame, fu riconosciuto innocente. Vi ricordate che questi documenti vi furono letti prima di mezzogiorno? Il pomeriggio demmo lettura delle loro istanze a Costantino e degli Atti ecclesiastici compilati a Roma dopo l'assegnazione da lui fatta dei giudici, Atti coi quali quelli furono condannati, mentre Ceciliano fu confermato nella sua giurisdizione vescovile. Fu letta infine la lettera dell'imperatore Costantino, nella quale apparvero le prove più lampanti della verità delle nostre affermazioni.

Si tratta della salvezza eterna, non di beni terreni.

3. 6. Che volete di più, o signori, che volete di più? Non si tratta dell'oro o dell'argento vostro, non corrono pericolo la terra, i poderi, non infine la salute del vostro corpo; noi ci rivolgiamo alle vostre anime solo per richiamarvi sul dovere di conseguire la vita eterna e di fuggire la morte eterna. Svegliatevi una buona volta! Noi non trattiamo una questione oscura, non cerchiamo di scoprire segreti reconditi, a penetrare i quali non riesca alcuna intelligenza umana o solo qualche raro genio; la cosa è molto chiara. Che cosa balza fuori più chiara? Che cosa si scorge più presto? Affermiamo che furono condannati in un concilio temerario, per quanto si voglia numeroso, degli innocenti assenti. Proviamo ciò con gli Atti proconsolari, secondo la testimonianza dei quali fu giudicato immune da ogni colpa di "tradimento" colui che gli Atti del concilio presentati dai vostri avevano dichiarato la persona più infame. Affermiamo che da "traditori" confessi furono pronunziate sentenze contro quelli che da voi erano chiamati "traditori". Proviamo ciò con gli Atti ecclesiastici in cui sono designati per nome i vescovi dei quali Secondo di Tigisi s'indusse a condonare le colpe che avrebbe dovuto condannare, come se fosse messo a scopo di pace, mentre poi condannò, in combutta con quelli, dei vescovi per colpe non dimostrate, rompendo così la pace. Risultò così evidente che anche da principio non ebbe alcuna preoccupazione di mantenere la pace, ma solo d'evitare spiacevoli conseguenze personali. Infatti Purpurio, vescovo di Limate, gli aveva rinfacciato che Secondo, essendo detenuto agli arresti, era stato rilasciato dal capo dei decurioni e dal senato della città perché consegnasse le Sacre Scritture; era stato rilasciato - dico - certamente non senza un perché, ma per aver consegnato o per aver fatto consegnare qualcosa di sacro. Quello allora, temendo che si potesse provare assai facilmente che il sospetto fosse fondato, accolse il suggerimento di Secondo il giovane, suo consanguineo, e, consultatosi con tutti gli altri vescovi che erano con lui, aveva lasciato al giudizio di Dio colpe più che manifeste; ebbe così l'impressione d'aver provveduto al bene della pace, ma ciò era falsa, poiché aveva pensato solo ai propri interessi!

Iniquità dei processi Donatisti.

3. 7. Se infatti nel suo cuore fosse stata la preoccupazione della pace, non avrebbe condannato poi a Cartagine, in combutta coi "traditori" che presenti e confessi nel processo aveva rilasciato al giudizio di Dio, non avrebbe - dico - condannato come "traditori" vescovi assenti che nessuno aveva potuto dimostrare colpevoli presso di lui. Tanto più avrebbe dovuto egli temere che fosse violata la pace dell'unità, quanto più Cartagine era una città importante e illustre, da cui il male che vi fosse scaturito, si sarebbe diffuso come dalla testa in tutto il corpo dell'Africa. Cartagine era pure vicina ai paesi d'oltremare e celeberrima per la sua chiara fama: aveva quindi un vescovo di sì grande autorità, che poteva pure non considerare affatto la moltitudine dei nemici che avrebbero potuto cospirare contro di lui, dal momento che si vedeva unito per mezzo di lettere di comunione non solo alla Chiesa di Roma, in cui fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica, ma anche alle Chiese di tutte le altre regioni dalle quali il Vangelo è arrivato alla stessa Africa; bastava ch'egli fosse pronto a parlare in propria difesa, qualora i suoi avversari avessero tentato di alienargli quelle Chiese. Ceciliano non aveva voluto prendere parte all'adunanza dei colleghi, che capiva o sospettava o - a quanto essi asseriscono - fingeva di credere che fossero prevenuti dai suoi nemici contro l'imparzialità del suo processo. Se perciò Secondo avesse voluto essere difensore della vera pace, avrebbe dovuto tanto più guardarsi dal condannare vescovi assenti, che non avevano voluto affatto intervenire a quel processo. Non si trattava infatti di preti, di diaconi o chierici di grado inferiore, ma di colleghi nell'episcopato, i quali potevano usare il diritto di riservare l'intero loro processo al tribunale degli altri colleghi, specialmente delle Chiese apostoliche. Presso queste Chiese non avrebbero avuto alcun valore sentenze pronunciate contro di loro stessi assenti, dal momento che non si trovavano ad aver abbandonato in un secondo tempo un tribunale a cui fossero ricorsi in un primo tempo, mentre al contrario non avevano mai voluto ricorrervi, poiché ritenuto da loro sempre sospetto.

Perché si rifiuta il giudizio dei Vescovi trasmarini.

3. 8. Questo insieme di circostanze avrebbe dovuto recare preoccupazioni a Secondo, allora primate, se avesse presieduto il concilio con l'intenzione di preservare la pace; forse avrebbe potuto tappare quelle bocche rabbiose contro persone assenti, dopo averle placate o tenute a freno, se avesse detto: "Vedete, fratelli, come dopo la persecuzione, che s'è abbattuta così violenta, è stata concessa per misericordia di Dio la pace dai sovrani secolari; non dobbiamo essere ora noi, Cristiani e vescovi, a disprezzare l'unità crìstiana che il pagano ormai non perseguita più. Perciò, una delle due: o lasciamo a Dio giudicare tutte queste cause che il flagello di tempi assai turbolenti ha inflitte come tante ferite nel seno della Chiesa; oppure se vi sono tra voi persone che abbiano una conoscenza così esatta delle colpe di costoro, da poterne mettere al corrente l'autorità e confutare vittoriosamente chi le negasse, e hanno paura di essere in comunione con siffatte persone, si rechino dai nostri fratelli e colleghi, vescovi delle Chiese di là dal mare, e lì elevino prima le loro proteste per le azioni e la contumacia di essi, colpevoli d'essersi rifiutati di presentarsi al tribunale dei colleghi africani avendo la coscienza sporca, affinché poi si comunichi loro l'ordine di presentarsi e rispondere delle colpe loro attribuite. Qualora si rifiuteranno, apparirà chiara la loro falsità, e mediante una lettera circolare indicante la denuncia contro ciascuno di essi e inviata in tutte le parti della terra ovunque la Chiesa è già diffusa, saranno scomunicati da tutte le Chiese e per conseguenza si eviterà che qualche errore spunti nella cattedra della Chiesa di Cartagine. Solo quando costoro saranno stati scomunicati da tutta la Chiesa, ordineremo un altro vescovo per il popolo cristiano di Cartagine, senza dover paventare che le Chiese d'oltremare gli neghino la comunione, non considerando deposto dalla sua giurisdizione uno del quale si conosceva in precedenza l'ordinazione e che avrà potuto forse già ricevere lettere di comunione inviate dalle altre Chiese in virtù di quella fama. In caso contrario potrebbe nascere con grande scandalo uno scisma nella Chiesa di Cristo in tempi già tranquilli, se volessimo pronunciare le nostre sentenze in fretta e furia; e noi oseremmo alzare altare contro altare, se agissimo così non già contro Ceciliano, ma contro tutto il mondo che per ignoranza è unito in comunione con lui".

Illogico e stolto procedimento giudiziario.

3. 9. Che cosa avrebbe potuto fare qualcuno che avesse recalcitrato e si fosse rifiutato di attenersi a un suggerimento tanto ragionevole e giusto? Oppure, come avrebbe potuto condannare qualcuno dei colleghi assenti, senza poter disporre degli Atti del concilio e se il primate gli si fosse opposto? Quand'anche si fosse scatenata contro la sede primaziale una fazione di ribelli così forte per cui alcuni avessero già preteso condannare vescovi ch'egli avesse voluto rinviare a giudizio, quanto sarebbe stato meglio separarsi da tali vescovi, inquieti e desiderosi solo di seminare discordie, che mettersi in contrasto con la comunione di tutto il mondo! Non sussistevano però addebiti né contro Ceciliano né contro quanti l'avevano ordinato che si potessero provare in un tribunale d'oltre mare; ecco perché non vollero né rinviarlo a giudizio prima di pronunciare sentenze contro di lui né, dopo averle pronunciate, continuare ad agire in modo che il loro operato fosse portato a conoscenza della Chiesa d'oltre mare, la quale avrebbe dovuto evitare di rompere le relazioni di comunione coi "traditori" condannati in Africa. Se infatti avessero tentato di fare una simile cosa, Ceciliano e tutti gli altri accusati si sarebbero difesi e si sarebbero giustificati con un dibattito molto accurato contro i falsi calunniatori presso i giudici ecclesiastici d'oltre mare.

Concilio empio e scellerato dei Donatisti.

3. 10. Perverso e scellerato al sommo fu perciò quel concilio - come si può credere - dei "traditori", nel quale Secondo di Tigisi aveva perdonato a rei confessi. Siccome s'era sparsa lontano la voce che proprio essi avevano consegnato i Libri Sacri, cercarono di stornare da se stessi il sospetto di quella colpa gettando il discredito sugli altri: e siccome la gente per tutta l'Africa, dando credito ai vescovi, andava propalando false accuse contro personaggi innocenti, che cioè fossero stati condannati a Cartagine come "traditori", cercarono di restare nascosti come in una nube di calunnie proprio quelli che erano realmente "traditori". Vedete quindi, carissimi, che poté accadere ciò che alcuni dei vostri dicevano non essere verisimile, che cioé i "traditori" rei confessi, i quali avevano implorato ed ottenuto che la loro causa fosse lasciata al giudizio di Dio, si eressero poi a giudici per condannare come "traditori" degli assenti. Preferirono, insomma, cogliere l'occasione di coprire altri di false accuse e in tal modo stornare chiacchiere che la gente faceva sul loro conto e impedire che si esaminassero le proprie colpe. Se fosse possibile che nessuno condanni in altri le colpe da lui commesse, l'apostolo Paolo non direbbe a certuni: Per questo, o uomo, chiunque tu sia, che ti atteggi a giudice, sei senza scusa: poiché nell'atto di giudicare gli altri condanni te stesso facendo le medesime cose che giudichi 5. Proprio così fecero essi e perciò queste parole dell'Apostolo si confanno a pieno e a tutta ragione ad essi.

È illecito fare il processo della parte assente.

3. 11. Quando dunque Secondo lasciò al giudizio di Dio le colpe di quei vescovi, non prese affatto un provvedimento utile alla pace e all'unità; altrimenti a Cartagine avrebbe piuttosto preso precauzioni perché non si verificasse lo scisma, dal momento che non c'era alcun reo confesso al quale egli fosse costretto a perdonare, mentre il mezzo più facile per conservare la pace era quello di non lasciare condannare degli assenti. Si sarebbe quindi fatto un grave torto a degli innocenti, se si fossero volute perdonare delle colpe senza che fossero né provate né confessate e, comunque, d'imputati assenti. Poiché riceve il perdono solo chi risulta colpevole senza alcun dubbio. Quanto più inumani e ciechi furono perciò coloro i quali reputarono di poter condannare colpe che non avrebbero potuto neppur condonare perché non sottoposte ad inchiesta! Al contrario, da una parte furono rilasciate al giudizio di Dio colpe risultanti da inchiesta, dall'altra furono condannate colpe non esaminate in giudizio perché quelle altre rimanessero coperte. Ma si obietterà: "Le conoscevano, e come". Anche ammesso ciò, sarebbe stato certamente doveroso perdonare degli assenti: essi infatti non avevano abbandonato il tribunale, al quale non s'erano mai presentati, né la Chiesa era costituita da quei soli vescovi africani e quindi non poteva neppure sembrare che avessero voluto evitare il tribunale della Chiesa coloro che avevano rifiutato di presentarsi al loro tribunale. Non restavano forse migliaia di colleghi d'oltremare? Ebbene, era chiaro che potevano ben essere giudicati da costoro quei vescovi che - a quanto sembrava - consideravano sospetti i colleghi Africani o Numidi. V'è in proposito un passo della Sacra Scrittura, che proclama: Non biasimare alcuno prima d'averlo interrogato e, dopo averlo interrogato, riprendilo con giustizia 6. Se dunque lo Spirito Santo vuole che non si biasimi né si condanni alcuno se non dopo averlo interrogato, quanto più scellerata fu l'azione con cui furono non già biasimati o puniti, ma addirittura condannati dei vescovi che, per essere assenti, non poterono per nulla essere interrogati circa le loro colpe?

Giudizio iniquo contro l'innocente Felice di Aptunga.

3. 12. Costoro però affermano di aver condannato colpe riconosciute in regolare processo, ma le persone erano assenti dal loro tribunale che non avevano mai abbandonato in quanto non vi s'erano mai presentate, le quali anzi avevano sempre dichiarato che era loro sospetta quell'assemblea di giudici ostili; orbene, vi domando, cari fratelli, in che modo fecero l'inchiesta giudiziale? Voi risponderete: "Non lo sappiamo, dal momento che l'istruttoria non è menzionata negli Atti processuali pubblici". Ebbene, ve lo mostrerò io come fecero l'inchiesta. Considerate la causa di Felice d'Aptungi e anzitutto leggete quanto furono più accaniti contro di lui. Avevano dunque istruito il processo di tutti gli altri come quello di costui, il quale in seguito a un'inchiesta accurata e severa risultò in modo assai chiaro essere del tutto innocente. Con quanto maggior senso di giustizia, di sicurezza e quanto più presto dovremmo stimare innocenti coloro le cui colpe furono oggetto di biasimo più blando e condannate con una più lieve riprensione, dal momento che fu trovato innocente colui, contro il quale s'erano accaniti con molto maggiore violenza.

Ricorso all'autorità civile in cause ecclesiastiche.

4. 13. È dunque vero ciò che disse un tale e che vi dispiacque sentire, ma non si deve tacere? Orbene sentite cosa disse quel tale: "Un vescovo non doveva essere assolto dal tribunale del proconsole", come se egli se lo fosse scelto da sé e non fosse stato l'Imperatore a ordinare l'inchiesta, poiché spettava in modo speciale al suo ufficio un affare di cui deve rendere conto a Dio. Erano stati infatti i Donatisti a costituirlo arbitro e giudice della questione relativa alla consegna dei Libri Sacri e allo scisma, anzi erano stati essi a indirizzargli delle suppliche e poi ad appellarsi a lui; con tutto ciò non vollero accettare la sua sentenza. Se quindi è colpevole uno che viene assolto da un giudice terreno anche se l'ha scelto lui stesso, quanto più sono colpevoli quelli che vollero giudice della loro causa un sovrano terreno ? Se invece non è colpa appellarsi all'Imperatore, non è neppure colpa essere interrogati in giudizio dall'Imperatore e quindi nemmeno da colui al quale l'Imperatore delegò la causa. Quell'amico, volle pure fare biasimare che nel processo contro il vescovo Felice un tale fosse stato sospeso al cavalletto per essere pure torturato con gli uncini. Ma poteva forse Felice opporsi che l'inchiesta si svolgesse con tanta accuratezza e severità, dato che il giudice istruttore cercava attentamente d'arrivare alla conoscenza dei fatti? Cos'altro infatti avrebbe significato rifiutare una accurata inchiesta se non dichiararsi reo confesso? Cionondimeno il proconsole, neppure tra le terribili grida dei banditori e le mani insanguinate dei carnefici, avrebbe mai condannato un vescovo assente, che avesse rifiutato di presentarsi al suo tribunale qualora ne avesse avuto un altro da cui la sua difesa poteva essere ascoltata; se poi avesse emesso la condanna, avrebbe dovuto certamente scontare le pene giuste e meritate delle stesse leggi civili.

Incoerente condotta dei Donatisti.

5. 14. Se poi gli atti proconsolari non vi garbano, arrendetevi a quelli ecclesiastici. Vi sono stati letti per intero e punto per punto. Dunque Melchiade, vescovo della Chiesa di Roma, insieme coi vescovi d'oltre mare suoi colleghi, non avrebbe forse dovuto rivendicare il suo diritto di giudicare una causa già definita da settanta vescovi Africani, presieduti dal primate di Tigisi? E perché, dato che neppure lui aveva compiuto alcuna usurpazione? Infatti l'imperatore, essendone stato richiesto, mandò vescovi che sedessero in tribunale con lui e decidessero secondo giustizia in merito a tutta la questione. Vi proviamo ciò non solo con l'istanza dei Donatisti rivolta all'Imperatore, ma ancora con la sua risposta, e l'altra letta a voi - come ricordate - e che ora avete licenza d'esaminare e di copiare. Leggete e considerate attentamente ogni cosa. Rendetevi conto con quanta preoccupazione di conservare la pace e l'unità fu discussa ogni cosa, come fu trattata la persona degli accusatori e per quali macchie alcuni di loro furono ricusati come testimoni. Dalla parola dei presenti risultò chiaro che essi non avevano da lanciare nessuna accusa contro Ceciliano, ma vollero riversare tutta la colpa sulla plebaglia del partito di Maggiorino, cioè sopra una folla sediziosa e contraria all'unità della Chiesa, affinché naturalmente da quella folla fosse accusato Ceciliano: credevano insomma di poter piegare l'animo dei giudici al proprio volere solo a forza di schiamazzi capaci di provocare l'allarme, senza addurre per prova alcun documento, senza esaminare affatto la verità; come se una folla furibonda, ubriacata dalla bevanda dell'errore e della corruzione, potesse denunciare colpe reali contro Ceciliano, quando settanta vescovi, come risultò nel caso di Felice di Aptungi, condannarono con pazza temerità colleghi assenti e innocenti. Sicuro; essi volevano servirsi, per accusare Ceciliano, d'una folla simile a quella con cuì erano andati d'accordo nel pronunciare sentenze contro innocenti neppure interrogati. Ma ora non avevano certo trovato giudici tali da poterli indurre a simile demenza.

Biasimevole condotta di Donato.

5. 15. Prudenti qual siete, potete da voi stessi considerare documentati negli Atti ecclesiastici la malvagità di quelli e la probità dei giudici, come fino alla fine resistettero alle pressioni di far accusare Ceciliano dalla plebaglia di Maggiorino, la quale non aveva alcuna autorità: potete convincervi come da quelli invece erano stati ricercati o accusatori o testimoni o altri individui comunque necessari alla causa, i quali erano venuti con loro dall'Africa e come si spargeva la voce che s'erano presentati ma ch'erano stati allontanati da Donato. Il medesimo Donato aveva bensì promesso non una sola volta, ma spesso, di presentarli, ma dopo averlo promesso non volle più comparire davanti a quel tribunale, dove aveva confessato colpe sì numerose; rifiutando di comparire, dava a vedere di non volere essere presente alla sua condanna essendo state messe in evidenza, alla sua presenza e in base all'interrogatorio sostenuto, colpe meritevoli dì condanna. A ciò si aggiunge che da certe persone fu consegnato un libello di denuncia contro Ceciliano. Dopo questo fatto fu ripresa l'inchiesta per sapere quali persone avevano consegnato il libello, ma non si poté provare alcun addebito a carico di Ceciliano. Ma perché dirvi quanto avete già sentito dire e che potrete leggere ogni volta che lo vorrete?

Diverso modo di agire dei Vescovi Donatisti e del Papa.

5. 16. Vi ricordate quanto fu detto a proposito del numero dei settanta vescovi, quando se ne contrapponeva l'autorità ritenuta assai potente. Quei personaggi di specchiata probità preferirono tuttavia rinunciare a emettere una loro sentenza su infinite questioni tra loro intricate come in una specie di catena indissolubile, senza affatto preoccuparsi del numero dei vescovi o donde fossero stati raccolti. Essi non vedevano in quelle persone che dei ciechi tanto temerari da proferire sentenze avventate contro colleghi assenti e non interrogati. Quanto diversa invece è l'ultima sentenza pronunciata dallo stesso beato Melchiade, quanto incensurabile, quanto imparziale, quanto prudente e pacifica! In base ad essa non osò rimuovere dalla cattedra i colleghi a carico dei quali non era risultato nulla; biasimò con estrema severità il solo Donato, riconosciuto principale autore di tutto il male e lasciò gli altri liberi di riacquistare la guarigione dall'eresia. Era disposto pure a inviare le lettere di comunione perfino ai vescovi che risultavano ordinati da Maggiorino. In tal modo stabilì che in tutti i luoghi ov'erano due vescovi delle due parti fosse confermato quello ordinato in precedenza e all'altro fossero assegnati altri fedeli da governare. O uomo eminente, figlio della pace cristiana e padre del popolo cristiano! Paragonate ora il piccolo numero dei nostri vescovi con la moltitudine di quelli donatisti, mettendo a confronto non un numero con l'altro, ma l'autorità degli uni con quella di costoro: da quella parte la moderazione, da quest'altra la temerità; di là la cautela, di qua la cecità. Lì la mansuetudine non guastò l'imparzialità né l'imparzialità si oppose alla mansuetudine; qua invece non solo sotto il furore si nascondeva la paura, ma dalla paura era pure eccitato il furore. I nostri vescovi s'erano adunati per respingere le false colpe coll'indagine giudiziale di quelle vere, i vostri per nascondere le colpe vere col condannare quelle false.

Il denaro di Lucilla.

6. 17. E perché mai Ceciliano si sarebbe dovuto esporre a farsi ascoltare e giudicare dai Donatisti, dal momento che aveva altri giudici davanti ai quali poteva con tutta agevolezza provare la propria innocenza, qualora gli fosse stato intentato un processo? Non si sarebbe affatto posto nelle mani di quelli nemmeno se, essendo forestiero, fosse stato all'improvviso ordinato vescovo della Chiesa Cartaginese e avesse ignorato quanto potere aveva nel corrompere l'animo dei malvagi e degli inesperti una certa ricchissima Lucilla, ch'egli, ancora diacono, aveva offesa col riprenderla riguardo alla disciplina ecclesiastica. Non doveva mancare nemmeno questa sciagurata circostanza per portare a compimento l'iniquo piano dei Donatisti! Infatti in quel concilio, dove vescovi assenti e innocenti furono condannati da "traditori" rei confessi, erano in verità pochi coloro i quali desideravano coprire le loro colpe coll'infamare gli altri, affinché la gente, stornata da false dicerie, fosse distolta dal ricercare la verità. Pochi dunque erano coloro cui soprattutto stava a cuore questo affare, sebbene fossero i più autorevoli per la complicità dello stesso Secondo, che per paura aveva usato indulgenza verso di loro. Tutti gli altri invece furono comprati e istigati contro Ceciliano - a quanto si narra - soprattutto dal denaro di Lucilla. Esistono di ciò gli Atti presso il governatore Zenofilo; in essi si legge che un certo diacono Nundinario, degradato - a quanto si può capire dagli stessi Atti - da Silvano, vescovo di Cirta, avendo tentato invano di giustificarsi con lui mediante lettere di altri vescovi, nello sfogo dell'ira rivelò e denunziò pubblicamente in tribunale molti fatti, tra cui si legge ricordato come dei vescovi s'erano lasciati corrompere dal denaro di Lucilla, e così nella Chiesa di Cartagine, capitale dell'Africa, era stato eretto altare contro altare! So che questi Atti non ve li leggemmo, perché, come ricordate, ce ne mancò il tempo. In quel fatto influì anche il dispiacere proveniente dalla burbanzosa superbia ferita dal non aver essi ordinato il vescovo di Cartagine.

Perché Ceciliano non volle subire il giudizio dei Donatisti.

6. 18. Per tutte queste cause Ceciliano sapeva che in quella riunione i Donatisti erano andati non già da veri giudici, ma da nemici e corrotti. Quando mai sarebbe stato possibile ch'egli volesse o che il popolo al quale era a capo gli permettesse di abbandonare la sua Chiesa per andarsene in una casa privata ed essere sottoposto non a un'inchiesta di colleghi, ma per essere rovinato da un'assemblea di giudici ostili e faziosi o dal rancore d'una donna? Tanto più che vedeva bene come la propria causa poteva essere discussa in modo incensurabile e imparziale nella Chiesa d'oltremare, estranea a inimicizie private e indifferente all'una e all'altra delle due parti avverse. Se poi gli avversari non avessero voluto presentarsi come parte che promuove il giudizio, si sarebbero da se stessi tagliati fuori dalla santa comunione del mondo cattolico. Se invece avessero tentato di accusarlo, allora vi si sarebbe presentato e avrebbe difeso la propria innocenza contro le loro macchinazioni, come ricordate che in seguito avvenne. Essi invece reclamarono molto tardi il giudizio d'oltremare quand'erano già colpevoli di scisma, già macchiati dall'orribile colpa d'aver alzato altare contro altare. Lo avrebbero fatto certamente prima, se avessero potuto fare assegnamento sulla verità. Ma essi preferirono presentarsi a quel giudizio preceduti dalle false dicerie da essi sparse e che avevano preso una certa consistenza per un lungo lasso di tempo come se si trattasse di un'antica opinione pubblica che già avesse deciso in precedenza. Oppure - com'è più credibile - una volta condannato, a loro arbitrio, Ceciliano, si ritenevano quasi sicuri, confidando fin troppo nel proprio numero e non osando trattare una causa così ingiusta in un tribunale immune da corruzione ov'era possibile scoprire la verità.

Tutta la Chiesa rimaneva unita con Ceciliano.

7. 19. In seguito però i fatti stessi li convinsero che insieme con Ceciliano rimaneva tutta la Cristianità e lettere di comunione dalle Chiese d'oltremare erano inviate a lui ma non al vescovo da loro ampiamente ordinato; provarono allora vergogna di continuare a tacere; poiché si poteva sempre rimproverare ad essi perché mai permettevano che la Chiesa, sparsa fra tanti popoli, essendo all'oscuro della cosa, conservasse la comunione con vescovi condannati e perché mai da se stessi si tagliavano fuori dalla comunione della Chiesa sparsa nel mondo intero e senza colpa, mentre col loro tacere lasciavano che dal mondo cattolico non si mantenessero rapporti di comunione col vescovo da essi ordinato per i fedeli di Cartagine. Scelsero quindi - come si dice - di fare il doppio gioco nel processo a Ceciliano presso la Chiesa d'oltremare, pronti all'una o all'altra evenienza: se cioè fossero riusciti a sopraffarlo ingannando comunque i giudici con false accuse, avrebbero potuto appagare pienamente la bramosia della vendetta; se invece non ci fossero riusciti, avrebbero perseverato nella medesima perversità e avrebbero potuto sempre dire d'essere stati vittime di giudici malvagi. Questa è la scusa di tutti i litiganti in mala fede, quando vengono soverchiati dalla verità anche più lampante; come se non si potesse loro rispondere a questo proposito: "Ecco, ammesso pure che non fossero onesti i giudici che pronunciarono la sentenza a Roma, rimaneva sempre il concilio plenario della Chiesa universale, ove si poteva intentare causa pure agli stessi giudici; in tal modo, se fosse stato dimostrato che avevano esercitato disonestamente l'ufficio di giudici, le loro sentenze sarebbero venute a perdere ogni forza". Dimostrino quindi loro se agirono in tal modo; noi dimostriamo facilmente che ciò non è stato fatto per il semplice motivo che tutto il mondo rifiuta d'essere in comunione con loro; ma anche dato e non concesso che sia stato fatto, anche in questo caso son sconfitti come lo dimostra chiaramente lo stesso loro scisma.

Condanna dei Donatisti al Concilio di Arles.

7. 20. Che cosa però fecero in seguito, risulta più che evidente dalla lettera dell'Imperatore. Essi accusarono di aver giudicato contro giustizia e osarono citare al tribunale non già di altri colleghi, ma dell'Imperatore, quei giudici ecclesiastici, che erano vescovi di grande autorità e che avevano proclamato da una parte l'innocenza di Ceciliano e dall'altra la loro ribalderia. L'Imperatore allora concesse loro di presentarsi al concilio di Arles, formato naturalmente da giudici diversi dai precedenti, non perché tale precauzione fosse necessaria, ma cedendo alle loro malvage pretese e solo mosso dal desiderio di reprimere del tutto la loro insopportabile spudoratezza. L'Imperatore cristiano non osò accogliere le loro sediziose e bugiarde querele né volle giudicare personalmente l'operato dei vescovi che avevano pronunciato il verdetto nel tribunale romano, ma concesse loro di ricorrere - come ho detto - ad altri vescovi: dal verdetto di questi però essi preferirono appellarsi di nuovo all'Imperatore, e avete sentito a tale proposito com'egli li respingesse. Oh, se almeno dopo la sua sentenza avessero posto fine alle loro pazzesche animosità e si fossero arresi una buona volta alla verità com'egli s'era arreso ai loro desideri facendo riesaminare la causa dopo ch'era stata giudicata da vescovi intemerati; egli avrebbe chiesto poi loro scusa, purché intanto i Donatisti non avessero altre obiezioni da accampare qualora non si fossero sottomessi al suo verdetto, al verdetto di colui cioè al quale essi stessi avevano appellato! Egli infatti diede ordine che le parti si presentassero davanti a lui a Roma per trattare la causa. Poiché Ceciliano, non so perché, non si era presentato, l'Imperatore ordinò, dietro loro richiesta, che lo seguissero a Milano. Allora alcuni di essi cominciarono a tirarsi indietro, sdegnati probabilmente che Costantino non li aveva imitati nel condannare in fretta e furia Ceciliano. Saputo ciò, il prudente Imperatore fece scortare gli altri fino a Milano da guardie giudiziarie. Giunse poi pure Ceciliano ed anche lui fu loro presentato come risulta dal suo rescritto; istruito quindi il processo con la diligenza, la cautela e la prudenza che traspare nella sua lettera, giudicò Ceciliano del tutto innocente e i Donatisti come dei veri ribaldi.

Calunnie dei Donatisti contro i Cattolici.

8. 21. Essi infatti ancora battezzano fuori della Chiesa e, se potessero, ribattezzerebbero tutta quanta la Chiesa! offrono il divin sacrificio pur persistendo nella discordia e nello scisma e rivolgono il saluto della pace ai fedeli ch'essi scacciano dalla pace della salvezza! Si lacera l'unità di Cristo; si bestemmia l'eredità di Cristo; si respinge con disprezzo il battesimo di Cristo ma non vogliono essere puniti con castighi temporali comminati dalle ordinarie autorità umane per evitar loro la sciagura che siano destinati alle pene eterne, dovute alle loro molteplici empietà! Per parte nostra noi rinfacciamo loro l'eresia dello scisma, la pazzia di ripetere il battesimo, la scellerata separazione dall'eredità di Cristo, sparsa tra tutte le genti. Basandoci sui libri sacri non solo nostri ma anche loro, citiamo le chiese delle quali ancor oggi leggono i nomi, colle quali però non hanno più legami di comunione; quando quei nomi vengono letti nelle loro assemblee, ai loro lettori dicono: "La pace sia con te", ma non hanno la pace con gli stessi fedeli ai quali quelle lettere furono scritte. Essi inoltre ci rinfacciano o false colpe di defunti o forse vere ma di altri, senza capire che essi sono tutti colpevoli dei fatti che loro rinfacciamo, mentre quelle che rinfacciano a noi sono colpe di quanti fra noi sono simboleggiati nella paglia e nella zizzania della messe del Signore, ma la colpa non può cadere nel frumento; essi infine non considerano che solo coloro i quali approvano i malvagi, sono in comunione coi malvagi, anche se rimangono nell'unità della Chiesa; coloro invece che non approvano i malvagi ch'essi non possono correggere, non osando però sradicare la zizzania prima della mietitura per non sradicare insieme pure il frumento 7, non sono conniventi con le loro azioni ma comunicano solo con l'altare di Cristo. In tal modo non solo non vengono macchiati da essi, ma meritano pure d'essere lodati ed esaltati dalle parole di Dio, per il motivo che essi, affinché non venga bestemmiato il nome di Cristo per causa degli orribili scismi, tollerano per il bene dell'unità il male che riprovano per il bene dell'equità.

Antiche personali colpe rinfacciate dai Donatisti a tutti i Cattolici!

8. 22. Se hanno orecchie, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle Chiese 8. Così, infatti, si legge nell'Apocalisse di Giovanni: All'angelo della Chiesa d'Efeso, scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. Conosco le tue azioni, le tue fatiche e la tua pazienza, so che non puoi sopportare i malvagi e mettesti alla prova coloro che si dicono ma non sono apostoli e li trovasti bugiardi e li sopportasti per il mio nome e non ti sei stancato 9. Se volesse che queste parole si debbano intendere dell'angelo dei cieli superiori e non dei capi delle Chiese, nelle frasi seguenti non direbbe: Ma ho da rimproverarti perché non hai mantenuto la tua primitiva carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e ravvediti e torna a compiere le opere di prima, altrimenti io verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto se non ti ravvedrai 10. Tali espressioni non possono essere rivolte agli angeli del cielo, i quali conservano sempre la carità; quelli che da essa s'allontanarono e decaddero, sono il diavolo e i suoi angeli 11. Chiama quindi primitiva carità quella con cui sopportò i falsi apostoli per il nome di Cristo e gli comanda di ricuperarla e di tornare a compiere le opere di prima. A noi invece voi rinfacciate colpe commesse da persone malvage, colpe non nostre ma di altri e per di più in parte a noi ignote; anche se le vedessimo veramente sotto i nostri occhi e le tollerassimo per l'unità perdonando alla zizzania onde non recar danno al frumento, ci proclamerebbe non solo degni di nessun rimprovero, ma anche di non piccola lode chiunque non fosse sordo di mente alle parole della Sacra Scrittura.

Esempi di tolleranza religiosa nella Sacra Scrittura.

8. 23. Aronne tollera il popolo che reclama l'idolo, lo costruisce e l'adora 12. Mosè tollera tante migliaia di persone mormoranti contro Dio e tante volte offendenti il suo santo nome 13. David tollera il suo persecutore Saul, ch'era stato spinto dai suoi scellerati costumi ad abbandonare le cose celesti e a scrutare i misteri infernali per mezzo delle arti magiche; eppure quando fu ucciso egli lo vendicò e lo chiamò pure Cristo del Signore a causa del rito sacro con cui era stato consacrato re 14. Samuele tollera i ribaldi figli di Eli e i propri figli perversi; ma il popolo, ripreso dalla divina verità per non averli voluti sopportare, fu castigato dalla divina severità. Tollera infine lo stesso popolo superbo e dispregiatore di Dio 15. Isaia tollera coloro che avevano tante vere colpe da lui prese di mira con tanti strali. Geremia tollera coloro da parte dei quali soffre tante persecuzioni. Zaccaria tollera Farisei e scribi, quali la Sacra Scrittura ci attesta erano in quel tempo. So d'aver omesso molti personaggi; coloro che lo desiderano e lo possono, leggano i Libri della Sacra Scrittura e troveranno che tutti i santi, servi e amici di Dio, ebbero sempre persone da tollerare nel loro popolo; ma tuttavia comunicando con essi nella celebrazione dei riti sacri di quel tempo non solo non si macchiavano, ma erano lodevoli nel sopportarli, studiandosi di conservare, come dice l'Apostolo, l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 16. Riflettano pure che dopo la venuta del Signore si troverebbero molto più numerosi esempi di tale tolleranza per tutto il mondo, se fosse stato possibile riferirli per iscritto nella Sacra Scrittura; tuttavia ponete attenzione a quelli accennati e che si trovano in essa. Lo stesso Signore tollera Giuda, quel vero demonio, quel ladro che lo vendette, e lascia che riceva, mescolato tra discepoli incensurabili, ciò che i fedeli sanno essere il prezzo del nostro riscatto. Gli Apostoli tollerano dei falsi apostoli e Paolo passa la vita con una lodevolissima tolleranza tra chi va in cerca dei propri interessi e non di quelli di Cristo, mentre egli ricerca non il proprio interesse ma quello di Cristo. Infine, come ho ricordato poc'anzi, dalla voce di Dio viene lodato sotto il termine di "Angelo" il capo della Chiesa perché, pur detestando i malvagi, tuttavia li tollerò per il nome del Signore dopo averli messi alla prova e averli riscontrati bugiardi.

Gesta criminose dei Circoncellioni.

8. 24. Ma perché non interrogano se stessi? Non tollerano forse essi le stragi e gl'incendi dei Circoncellioni, quelli che venerano i cadaveri di quanti si uccidono da sé precipitandosi nei precipizi e per tanti anni i gemiti di tutta l'Africa sotto le incredibili vessazioni del solo Ottato? Non voglio denunciare le dominazioni tiranniche delle singole regioni, città e borgate dell'Africa e gli attacchi briganteschi fatti alla luce del sole. Preferisco che questi misfatti ve li diciate tra voi o all'orecchio o in pubblico, come vi piacerà. Poiché dovunque rivolgerete lo sguardo, vi si presenterà ciò che dico, o meglio, quel che non dico. Ma non per questo accusiamo gli individui da voi amati, poiché non li biasimiamo per il fatto che tollerano i malvagi, ma perché sono intollerabilmente malvagi a causa dello scisma, dell'altare contro l'altare, per essere separati dall'eredità di Cristo diffusa in tutto il mondo come è stato promesso tanto tempo prima 17. Deploriamo e piangiamo la pace violata, l'unità lacerata, i battesimi reiterati, i sacramenti cancellati, mentre essi sono santi pure nelle persone scellerate. Se fanno poco conto di ciò, considerino gli esempi che dimostrano qual conto ne fece Dio. Quelli che fabbricarono l'idolo furon tolti di mezzo con la consueta morte di spada 18; invece i capi di quelli che vollero fare la sedizione furono inghiottiti dalla terra spalancatasi, mentre la folla consenziente fu consumata dal fuoco 19. Dalla diversità dei castighi si riconosce la diversità delle colpe.

Chi è fuori dell'eredità di Cristo, non è della famiglia di Dio.

9. 25. Durante la persecuzione vengon consegnati i Libri Santi; orbene, coloro che li consegnarono confessano e sono lasciati al giudizio di Dio! Degli innocenti invece non vengono neppure interrogati e tuttavia vengono condannati da giudici temerari! Con prove lampanti vien riconosciuto innocente da un'assemblea di giudici fidati e informati colui che era stato incriminato molto più gravemente degli altri tra quelli condannati pur essendo assenti. L'assemblea giudicante dei vescovi si appella all'Imperatore: si sceglie come giudice l'Imperatore; ebbene l'Imperatore è disprezzato quando emette il suo giudizio! I fatti avvenuti li avete letti, i fatti che avvengono adesso li vedete; se avete qualche dubbio a proposito di quelli, osservate bene questi altri. Non stiamo a discutere appellandoci a libri antichi, agli archivi pubblici, agli Atti dei processi giudiziari o ecclesiastici. Il nostro libro più grande è il mondo intero; in esso leggo avverato ciò che nel libro di Dio leggo annunziato: Il Signore - dice - mi ha detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato; chiedimi e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini della terra 20. Chi non comunica con questa eredità, sappia che è escluso dall'eredità, qualunque altro libro egli possegga. Chi attacca questa eredità, dà segno di essere estraneo alla famiglia di Dio. Certo: la questione si aggira sulla consegna dei Libri divini nei quali quest'eredità è stata promessa. Va bene; allora deve reputarsi come uno che consegnò alle fiamme il testamento, chi si mette in lite contro la volontà del testatore. Qual torto mai t'ha fatto, o setta di Donato, la Chiesa di Corinto? Quanto dico di questa Chiesa, voglio che s'intenda di tutte le altre tanto lontane come essa. Qual torto vi hanno fatto le Chiese che non potevano in alcun modo sapere né quel che avete fatto, né chi avete infamati? Ha forse il mondo perduto la luce di Cristo per il fatto che una Lucilla fu offesa da Ceciliano in un angolo dell'Africa?

Concilio Donatista dovuto alla mente di Lucilla.

9. 26. Infine comprendano che cosa fecero: a ragione dopo un certo spazio di tempo la loro azione è rimbalzata contro i loro occhi. Domandate per causa di qual donna Massimiano, che si dice essere parente di Donato, si staccasse dalla comunione di Primiano e come, da una assemblea di vescovi della sua fazione, fece condannare Primiano e si fece ordinare vescovo in opposizione a lui; domandate in qual modo Maggiorino da un'altra assemblea di vescovi, suoi partigiani, radunati per mezzo di Lucilla, fece condannare Ceciliano assente e in opposizione a questo fu ordinato vescovo. Dunque, volete forse ritenere valido il processo con cui Primiano fu discolpato contro la fazione di Massimiano, e non volete ritenere valido il processo con cui fu discolpato Ceciliano dai vescovi dell'unica Chiesa contro la fazione di Maggiorino? Vi domando forse, fratelli, vi chiedo forse qualcosa di straordinario, vi chiedo forse di capire qualcosa di difficile? Tra la Chiesa d'Africa e tutte le altre Chiese del mondo corre un'enorme distanza; se poi si paragona con le altre, sia per l'autorità sia per il numero dei fedeli, essa è incomparabilmente inferiore a tutte; ma anche supponendo che nella Chiesa d'Africa risiedesse l'unità, se però venisse paragonata e tutte le altre comunità cristiane del mondo, sarebbe di gran lunga più piccola, ancora più piccola della setta di Massimiano paragonata alla setta di Primiano. Ma io vi domando solo, e mi pare sia giusto, che il concilio di Secondo di Tigisi, riunito dagli intrighi di Lucilla contro Ceciliano assente, contro le Chiese apostoliche e contro tutto il mondo unito nella comunione con Ceciliano, valga almeno quanto vale il concilio dei Massimianisti, esso pure riunito dagli intrighi di non so quale donna contro l'assente Primiano e contro tutti gli altri fedeli donatisti dell'Africa uniti in comunione con Primiano. Cosa può esservi più chiaro a capirsi di ciò? Cos'altro di più giusto vi si chiede?

"Nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio".

9. 27. Tutto ciò che vi ho detto, voi lo vedete, oltre che saperlo e addolorarvene; ma anche Dio vede che nulla vi costringe a rimanere in codesto pestifero e sacrilego scisma, purché allo scopo d'acquistare il regno spirituale superiate l'affetto carnale e non esitiate a disgustare le amicizie umane, che nel giudizio di Dio non gioveranno a nulla, per evitare le pene eterne. Ebbene andate: domandate e sappiate che cosa possono rispondere a queste nostre contestazioni: se esibiscono documenti scritti, li esibiamo pure noi; se affermano che i nostri sono falsi, non si sdegnino se diciamo altrettanto dei loro. Nessuno cancella dal cielo il decreto di Dio, nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio: egli le promise il mondo intero, essa ha riempito il mondo intero: ha in sé tanto i buoni che i malvagi, ma sulla terra non perde se non i malvagi e in cielo non fa entrare se non i buoni. Questo discorso che per grazia di Dio (egli lo sa bene) scaturisce dall'immenso amore per la pace e per voi, sarà per voi solo un ammonimento se lo vorrete, ma un documento anche se non lo vorrete.