LA GRAMMATICA

1. La purezza nell'impiego del latino consiste nel parlare correttamente secondo la lingua dei Romani. Si fonda su tre principi, che sono: la ragione, l'autorità e la consuetudine. Si fonda sul principio della ragione, in conformità della disciplina; su quello dell'autorità, secondo gli scritti di coloro ai quali si riconosce l'autorità; su quello della consuetudine, in base a ciò che piace ed è accettato nella pratica del parlare.

[Capitolo I] Le parti del discorso

2. Le parti del discorso sono otto: il nome, il pronome, il verbo, l'avverbio, il participio, la congiunzione, la preposizione, l'interiezione.

[Capitolo II] Il nome

1. Il nome è la parte del discorso con il caso e senza il tempo, che significa pienamente le cose enunciate secondo il genere maschile, femminile e neutro. Sebbene, infatti, quest'ultimo non sia né maschile né femminile, tuttavia, poiché lo si indica negando entrambi questi sessi, da ciò stesso si trae motivo per annoverarlo tra i generi. Molte sono le proprietà del nome e quelle degne in modo preminente di attenzione sono: la qualità, il genere, il numero, la comparazione, la forma e il caso.

2. Nella qualità si considera se il nome è proprio o comune. È proprio quando indica qualunque cosa che si distingua, per quanto può, dall'essere in comune con tutte le altre; è comune invece quello che è condiviso con molte altre cose. Civitas infatti è nome condiviso da molte città ed è pertanto comune. Di certo, quando diciamo Roma, la distinguiamo da tutte le altre; pertanto, questo nome è proprio, così come fluvius è comune, mentre Tiberis è proprio e, ancora, homo è comune, mentre Cicero è proprio.

3. I generi semplici dei nomi sono tre: maschile, come vir, femminile, come mulier, e neutro, come scrinium. Da questi, variamente congiunti, ne scaturiscono altri tre: quello comune dell'uno e dell'altro sesso, come hic e haec homo; quello comune di genere maschile e neutro, come hic e hoc victor (diciamo infatti: victor iuvenis, victor numen); mentre al femminile infatti fa victrix; quello comune di tutti i generi, come hic e haec e hoc felix. Alcuni nomi invece si dicono promiscui quando in un solo genere sono inclusi entrambi i sessi. Infatti, hic passer si dice tanto per il maschio quanto per la femmina e così pure haec aquila, anche quando non sia femmina. Ma non per questo tali nomi sono annoverati tra i promiscui, perché sono attribuiti o al genere maschile o al genere femminile.

4. I numeri sono due: singolare, come hic vir; plurale, come hi viri.

5. Tre sono i gradi di comparazione: positivo, come iustus; comparativo, come iustior e superlativo, come iustissimus. Con il positivo si fa una comparazione per mostrare una certa uguaglianza, come quando diciamo tam est hic iustus quam ille (questo è tanto giusto quanto quello) e perciò regge il caso nominativo. Nel comparativo e nel superlativo invece non c'è uguaglianza, ma l'uno è preposto all'altro, in modo tale tuttavia che il comparativo regga il caso ablativo. Talvolta invece esso regge il genitivo plurale, come quando, a proposito di tre vescovi, volendo riconoscere tra loro il primo, chiediamo quis illorum prior est? (chi di essi è il primo?). Se invece dicessimo quis illis prior est? (chi è il primo rispetto ad essi?), non so quale quarta persona sembrerebbe che noi ricerchiamo come prima rispetto a quelle tre. È per questo che anche l'apostolo Paolo, dopo aver detto manent autem fides, spes, caritas, tria haec (rimangono poi queste tre: la fede, la speranza e la carità), aggiunse: maior autem horum caritas (ma la carità è la maggiore di queste), poiché la carità era già annoverata tra quelle tre; se invece avesse detto maior autem his caritas 1 (ma la carità è la maggiore rispetto a queste), sarebbe sembrato introdurre un'altra carità come un qualcosa di quarto, poiché l'avrebbe preposta alle tre enumerate, appunto alla fede, alla speranza e alla carità. Alcuni meno capaci di siffatto discernimento emendarono un certo numero di codici scrivendo maior autem his est caritas come quando diciamo iustior hic illo e il nominativo, o iustior hic quam ille. Si danno inoltre comparazioni non solo in riferimento allo stesso genere, come in velocior homo homine, ma anche in riferimento ad un altro genere, come in velocior lepus homine; sia del singolare con il plurale, come in hic fortior est illis o fortios est quam illi, sia del plurale con il singolare, come in hi fortiores illo o quam ille. Del superlativo in verità si fanno comparazioni soltanto in riferimento allo stesso genere ed esclusivamente mediante il genitivo plurale: infatti, non possiamo dire velocissimus equus senza aggiungere equorum o sapientissimus homo senza aggiungere hominum e simili. Si danno comparazioni sia del singolare con il plurale, come nei casi di cui si è detto, sia dei plurali tra loro, come nel caso di fortissimi homines hominum. Talora segue anche il genitivo singolare, quando si tratta di un genitivo che per il suono è certamente singolare, mentre per la comprensione è plurale, come quando diciamo fortissimus gentis illius. È per questo che anche il celebre poeta disse: "O Danaum fortissime gentis Tydide2 (Oh della stirpe dei Danai il più forte, Titide!).

6. La forma è quella per cui il nome è considerato o semplice o composto. Si dice composto quando è il risultato di due o più parti del discorso, come quando diciamo ineptus o inexpugnabilis: l'uno infatti è ottenuto da due parti del discorso, l'altro da tre. Di certo, le particelle di cui i nomi si compongono sono o tutte integre o tutte modificate o in parte integre o in parte modificate. Le chiamo modificate quando, a motivo della stessa composizione, perdono la loro integrità. Non per questo tuttavia esse rendono il nome meno latino; infatti quando si dice ineptus, questo è senz'altro latino. Eptus invece non è latino: questo vuol dire che aptus è modificato. Pertanto, se qualcuno dicesse inaptus anziché ineptus, il nome meno latino sarebbe quello che non ha subito alcuna modifica.

7. Il caso è un certo grado di declinazione ottenuto con il cambiamento della sillaba finale. I casi sono sei: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo e ablativo. Il nominativo è quello cui si può preporre hic o haec o hoc, il genitivo quello cui si può preporre huius, il dativo quello cui si può preporre huic, l'accusativo quello cui si può preporre hunc, hanc o hoc, il vocativo quello cui si può preporre o, l'ablativo quello cui si può preporre ab hoc o ab hac o ab hoc. Questo però vale per il singolare; al plurale infatti al nominativo si prepongono hi, hae e haec, al genitivo horum e harum e horum, al dativo his, all'accusativo hos o has o haec, al vocativo o, all'ablativo ab his. Ci sono alcuni che vogliono aggiungere un altro caso, che chiamano settimo, come quando diciamo virtute beatus e navi vectus, cioè per virtù, per nave e simili.

8. Dunque, i nomi si declinano così: Tullius, nome proprio di genere maschile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo, che si declina così: al nominativo singolare hic Tullius, al genitivo huius Tulli, al dativo huic Tullio, all'accusativo hunc Tullium, al vocativo o Tulli, all'ablativo ab hoc Tullio e, al nominativo plurale, hi Tullii, al genitivo horum Tulliorum, al dativo his Tulliis, all'accusativo hos Tullios, al vocativo o Tullii, all'ablativo ab his Tulliis.

9. Il nome femminile si declina così: Tullia, nome proprio di genere femminile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al nominativo singolare haec Tullia, al genitivo huius Tulliae, al dativo huic Tulliae, all'accusativo hanc Tulliam, al vocativo o Tullia, all'ablativo ab hac Tullia e, al nominativo plurale, hae Tulliae, al genitivo harum Tulliarum, al dativo his Tulliis, all'accusativo has Tullias, al vocativo o Tulliae, all'ablativo ab his Tulliis.

10. Il nome neutro si declina così: scrinium, nome comune di genere neutro, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo, accusativo e vocativo che si declina così: al singolare, hoc scrinium, huius scrinii, huic scrinio, hoc scrinium, o scrinium, ab hoc scrinio e, al plurale, haec scrinia, horum scriniorum, his scriniis, haec scrinia, o scrinia, ab his scriniis.

11. Il nome comune di genere maschile e femminile si declina così: homo, nome comune di genere maschile e femminile, di numero singolare e plurale, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al nominativo singolare hic e haec homo, al genitivo huius hominis, al dativo huic homini, all'accusativo hunc e hanc hominem, al vocativo o homo, all'ablativo ab hoc e ab hac homine e al nominativo plurale hi e hae homines, al genitivo horum e harum hominum, al dativo his hominibus, all'accusativo hos e has homines, al vocativo o homines, all'ablativo ab his hominibus.

12. Il nome comune di genere maschile e neutro si declina così: infector, nome comune di genere maschile e neutro, di numero singolare, di forma composta, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al nominativo singolare, hic e hoc infector, poi huius infectoris, huic infectori, hunc infectorem e hoc infector, o infector, ab hoc infectore, e al plurale, hi infectores e haec infectritia, horum infectorum, his infectoribus, hos infectores e haec infectritia, o infectores e infectritia, ab his infectoribus.

13. Il nome comune di genere omne si declina così: prudens, nome comune di genere omne di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo che si declina così: hic e haec e hoc prudens, huius prudentis, huic prudenti, hunc e hanc prudentem e hoc prudens, o prudens, ab hoc e ab hac e ab hoc prudente, e al plurale hi e hae prudentes e haec prudentia, horum e harum e horum prudentium, his prudentibus, hos e has prudentes e haec prudentia, o prudentes, ab his prudentibus.

14. Ci sono alcuni nomi che non si declinano secondo i casi, ma che tuttavia ricorrono in base ai casi; e, in ogni modo, essi sono di genere omne e si declinano così: nequam, nome comune di genere omne, di entrambi i numeri, di forma semplice, di ogni caso, che si declina così: al singolare, hic e haec e hoc nequam, e poi huius nequam. huic nequam, hunc e hanc e hoc nequam, o nequam, ab hoc e ab hac e ab hoc nequam e, al plurale, hi e hae e haec nequam, horum e harum e horum nequam, his nequam, hos e has e haec nequam, o nequam, ab his nequam.

15. Parimenti, ci sono quelli che non si possono né declinare né ricorrono secondo i casi, ma che permangono o in un caso soltanto o in alcuni casi, seppure non in tutti, come instar, nome comune di genere neutro, di numero soltanto singolare e di caso soltanto nominativo e vocativo; come Juppiter, nome proprio di genere maschile, di numero soltanto singolare, di caso soltanto nominativo e vocativo; come sponte, nome comune, di genere femminile, di numero soltanto singolare e di caso soltanto ablativo. Quelli invece che ricorrono secondo i casi, ma che non si declinano, sono detti indeclinabili; mentre quelli che non si declinano né ricorrono secondo i casi sono detti difettivi.

16. Ogni caso ablativo singolare, all'infuori di quando si tratta di alcuni indeclinabili e difettivi, termina con una delle cinque vocali. Qualunque nome dunque che all'ablativo singolare termina con la lettera a o o, esce al genitivo plurale in rum, al dativo e all'ablativo in is, come ab hac docta, harum doctarum, his e ab his doctis, allo stesso modo ab hoc docto, horum doctorum, his e ad his doctis.

17. Qualunque nome che termina all'ablativo singolare con la lettera i o u o e breve, esce al genitivo plurale in um, al dativo e all'ablativo plurale in bus, come ab hac puppi, harum puppium, his e ab his puppibus, e ab hoc fluctu, horum fluctuum, his e ab his fluctibus e ab hac mente, harum mentium, his e ab his mentibus. Se invece il nome termina all'ablativo singolare con la e lunga, esce al genitivo plurale in rum, al dativo e all'ablativo plurale in bus, come ab hac specie, harum specierum, his e ab his speciebus. L'ablativo che esce in e, si capisce che si deve allungare se il nominativo singolare esce in es e il genitivo in ei,come in species speciei, res rei, spes spei e simili.

18. Senza dubbio, queste regole desunte dal caso ablativo non sono osservate quando si deve distinguere il sesso; infatti, ancorché si dica ab hac filia, tuttavia al dativo e all'ablativo plurale si deve dire filiabus per distinguerle dai maschi, così anche mula si deve dire mulabus e anima animabus a motivo di mulos e animos. Comunque, nei nomi che si dicono aggiuntivi questa differenza non è rispettata: non si deve dire infatti iustabus a motivo di iustos o verabus a motivo di veros, perché, quando si dice iustus o verus, necessariamente dobbiamo aggiungere chi è detto iustus e chi verus, altrimenti di certo rinunciamo a farci comprendere. Per questo motivo codesti nomi possono correttamente dirsi nomi aggiuntivi.

19. Allo stesso modo, questa regola del caso ablativo non è osservata in alcuni nomi di genere neutro che abbiamo preso dai greci e che al nominativo singolare terminano con la sillaba a: da systema, infatti, all'ablativo singolare si ha ab hoc systemate. Occorre tuttavia dire che al dativo e all'ablativo plurale si ha non solo his e ab his systematibus, come richiede la regola, ma anche systematis, che è consentito più per l'autorità che per la ragione. L'autorità invero nella lingua latina è preponderante e lo è pressoché da sola; perciò tutte le questioni, sia quelle di cui abbiamo parlato sopra sia quelle di cui parleremo in seguito, dipendono molto di più dall'autorità che non, per così dire, dalla ragione da cui la grammatica prende il suo nome. Dobbiamo infatti ricordare che in grammatica l'autorità è più certa della ragione. Con ciò si capisce perché, quando parliamo, dobbiamo conformarci non tanto alla ragione quanto piuttosto all'autorità.

[Capitolo III] Il pronome

1. Il pronome è la parte del discorso che sta al posto del nome e che, sebbene in maniera meno corretta, significa tuttavia la medesima cosa del nome.
Sono connesse al pronome quelle proprietà che ora è opportuno considerare: la qualità, il genere, il numero, la forma, la persona e il caso.

2. Nella qualità si considera se il pronome è definito o indefinito. Per definito s'intende che si può rispondere mediante id; per indefinito invece che si può soltanto domandare. Esempi di pronomi definiti sono: hic, iste, ille, ipse, ego e simili; esempi di pronomi indefiniti invece sono quelli come quis. Ce ne sono alcuni che talvolta sono indefiniti e talvolta definiti, come qui, quantus, qualis; infatti, quando, mediante questi, si ha un'interrogazione, sono indefiniti, mentre nelle altre circostanze sono definiti. Tali pronomi da alcuni sono chiamati meno che definiti. Ma, secondo questa distinzione, se osservi con maggior diligenza, ti accorgi che un solo pronome è indefinito e lo è soltanto al nominativo singolare, al genere maschile, cioè quisnam; negli altri casi questo pronome, come pure tutti gli altri pronomi, sia in entrambi i numeri sia nei generi, sono in parte definiti, poiché servono soltanto per rispondere, e, in parte, meno che definiti, poiché servono sia per domandare che per rispondere. Pertanto, alcuni vollero che fossero pronomi meno che definiti quelli che non indicano una cosa presente, ma una cosa o assente o posta più lontano, come lo sono is, ipse, ille. In realtà, tuttavia, i pronomi che mostrano una cosa in modo così presente da essere quasi indicata con il dito, sono denominati definiti, e tali sono: ego, tu, hic, iste; gli altri invece sono denominati indefiniti, e tali sono tutti quelli mediante i quali può aver luogo una ricerca, come è il caso di quis, qui, quantus, qualis.

3. Anche nei pronomi, come nei nomi, vanno considerati il genere e il numero, la forma e il caso. Invero le persone di cui i nomi sono privi nei pronomi, sono tre: la prima, la seconda e la terza. La prima è quella che dice, la seconda quella a cui si dice, la terza quella della quale si dice, come ego, tu, ille. Giustamente alcuni pronomi sono detti possessivi e lo sono quelli mediante i quali si è soliti chiedere o dimostrare che cosa appartenga a chi. Ma, quando si formula una richiesta, essi sono indefiniti; mentre, quando si indica, sono definiti. A buon diritto, quando con il pronome si ricerca o si mostra la gens (stirpe) di qualcuno, il pronome è chiamato gentile [nel senso che indica la gens]. Esempi di pronomi indefiniti sono: cuius, cuia, cuium; di pronomi definiti: meus, tuus, noster, vester; di pronome indefinito che indica la stirpe: cuias; di pronome definito che indica la stirpe: nostras.

4. I pronomi poi si declinano in modo da omettere il caso vocativo. Al posto di questo, coloro che sono trascurati o poco corretti mettono sempre la lettera o. In effetti, il pronome di prima persona e gran parte degli altri non possono avere il vocativo e quelli che lo hanno, non tutti richiedono la o soltanto, ma anche l'enunciazione dello stesso pronome, come è il caso di o noster. E ciò che dico apparirà evidente nelle declinazioni stesse.

5. Ego: pronome definito della prima persona, di forma semplice, di numero singolare, di genere omne, che si declina così: al singolare, ego, mei, mihi, me, a me e, al plurale, nos, nostri, nobis, nos, a nobis.

6. Tu: pronome definito della seconda persona, di genere omne, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al singolare, tu, tui, tibi, te, tu, a te e, al plurale, vos, vestri, vobis, vos, o vos, a vobis. E considerando più attentamente questo pronome, alcuni hanno compreso che esso non ha il nominativo, ma che comincia dal vocativo.

7. Hic: pronome definito di terza persona, di genere maschile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo, che si declina così: al maschile singolare, hic, huius, huic, hunc, ab hoc e, al plurale, hi, horum, his, hos, ab his; al femminile singolare, haec, huius, huic, hanc, ab hac e, al plurale, hae, harum, his, has, ab his; al neutro singolare hoc, huius, huic, hunc, hoc, ab hoc e, al plurale, haec, horum, his, haec, ab his.

8. Is: pronome meno che definito di terza persona, di genere maschile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo, che si declina così: al singolare, is, eius, ei, eum, ab eo e, al plurale, ei o ii, eorum, eis, eos, ab eis; al femminile singolare, ea, eius, ei, eam, ab ea e, al plurale, eae, earum, eis, eas, ab eis; al neutro singolare, id, eius, ei, id, ab eo e, al plurale, ea, eorum, eis, ea, ab eis.

9. Iste: pronome definito di terza persona, di genere maschile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo, che si declina così: al maschile singolare, iste, istius, isti, istum, ab isto e, al plurale, isti, istorum, istis, istos, ab istis; al femminile singolare, ista, istius, isti, istam, ab ista e, al plurale, istae, istarum, istis, istas, ab istis; al neutro singolare, istuc o istud, istius, isti, istuc o istud, ab isto e, al plurale, ista, istorum, istis, ista, ab istis.

10. Ille: pronome meno che definito che negli altri casi si declina come il precedente, ad eccezione del fatto che il suo neutro non fa illuc, come il precedente fa istuc, ma soltanto illud, come istud.

11. Ipse: pronome meno che definito che si declina come i due precedenti, sennonché il suo neutro non fa ipsud ma ipsum.

12. Se: pronome meno che definito di terza persona, di genere omne, di entrambi i numeri, di forma semplice, di caso accusativo. Si è infatti riscontrato che la declinazione di questo pronome comincia dall'accusativo, mentre quella della seconda persona comincia dal vocativo, che è tu. Ma se qualcuno ritenesse che si deve cominciare dal genitivo, poiché è privo di nominativo, non c'è affatto da opporvisi; perciò, si declina così, a partire dal genitivo: sui, sibi, se, a se e, al plurale, allo stesso modo.

13. Quis: pronome indefinito di persona indefinita (infatti si può adattare a chiunque), di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo che si declina così: al maschile singolare, quis, cuius, cui, quem, a quo o a qui e, al plurale, qui, quorum, quibus, quos, a quibus; al femminile singolare, quae, cuius, cui, quam, a qua e, al plurale, quae, quarum, quibus, quas, a quibus; al neutro singolare, quod o quid, cuius, cui, quod, a quo e, al plurale, quae, quorum, quibus, quae,a quibus. Certamente quod, quando interroghiamo, regge il nominativo o l'accusativo del nome, e quid il genitivo: diciamo infatti quod aurum est o quod aurum abstulisti e non diciamo quid aurum, ma quid auri.

14. Quid: pronome indefinito di persona indefinita, di entrambi i numeri che, negli altri casi, si declina come quis.

15. Per certo poi quantus, quanta, quantum, pronomi indefiniti di persona indefinita si declinano come i nomi simili, cioè come iustus, iusta, iustum. Allo stesso modo si declinano anche tantus, tanta, tantum, che però sono pronomi definiti.

16. Ci sono quindi anche altri indefiniti, come quotus, quota, quotum e i loro definiti totus, tota, totum. Questi sei pronomi di ordine sono di entrambi i numeri. L'indefinito quot e il definito tot sono soltanto di numero plurale e non si declinano secondo i casi.

17. Il pronome indefinito qualis e il suo pronome definito talis sono di genere maschile e femminile, e si declinano come i loro simili, cioè come agilis o facilis, come pure il loro neutro, cioè quale o tale, si declina come agile o facile.

18. Cuius è un pronome indefinito possessivo di persona indefinita, come quando diciamo cuius servus est, di forma semplice, di genere maschile, di numero singolare, che così si declina: cuius, cui, cuio, cuium, a cuio e, al plurale, cui, cuiorum, cuiis, cuios, a cuiis. Ma questa declinazione porta in sé più della disciplina che dell'impiego effettivo; infatti è troppo vecchia ed è rifiutata dalla nostra consuetudine. E così nel genere femminile cuia si declina come tabula e cuium come lignum. Eppure, la consuetudine non tiene conto di queste cose, sebbene siano reperibili negli autori che sono tra le mani e sulla bocca di tutti. Tutti i pronomi possessivi indefiniti sono significati mediante un solo pronome, cioè cuius o quorum; infatti, diciamo cuius o quorum servus sia per ancilla sia per templum. Ma, occorre dirlo, facciamo tutto questo con l'incomodo di dover chiarire un'ambiguità nel genitivo singolare quando diciamo: cuius; e nel genitivo plurale, quando diciamo: quorum, perché cuius e quorum, quando sono pronomi possessivi, non si declinano secondo i casi.

19. Meus: pronome definito possessivo di prima persona, di genere maschile, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al singolare, meus, mei, meo, meum, meus, meo e, al plurale, mei, meorum, meis, meos, mei, a meis. Secondo la regola del nome simile si declinerebbe come reus; dunque, al genere femminile, mea come rea e al neutro, meum come reum.

20. Noster: pronome definito possessivo di prima persona, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina come il nome simile niger e, negli altri generi, nostra, nostrum, come nigra, nigrum.

21. Tuus, tua, tuum sono pronomi definiti di seconda persona che, negli altri casi, si declinano come meus mea meum.

22. Parimenti suus, sua, suum sono pronomi definiti possessivi di terza persona che si declinano come tuus, tua, tuum.

23. Vester, vestra, vestrum sono pronomi definiti possessivi di seconda persona che si declinano come noster, nostra, nostrum.

24. Cuias è pronome indefinito possessivo, di persona indefinita, che indica la stirpe, di genere omne, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo, che si declina così: al singolare, cuias, cuiatis, cuiati, cuiatem e, al neutro, cuias, a cuiate e, al plurale, cuiates e cuiatia, cuiatium, cuiatibus, cuiates e cuiatia, a cuiatibus. Quando chiediamo cuias est, chiediamo di quale stirpe è questo uomo o donna o frumento, e quando chiediamo cuiatis est, chiediamo come hai stimato il valore dell'uomo, della donna o del frumento. Gli altri casi vanno intesi con un analogo modo di ragionare.

25. Nostras: pronome definito possessivo di prima persona, che indica la stirpe, di genere omne, di numero singolare, di forma semplice, di caso nominativo e vocativo che si declina così: al singolare, hic e haec e hoc nostras, huius nostratis, huic nostrati, hunc e hanc nostratem e hoc nostras, o nostras, ab hoc e ab hac e ab hoc nostrate e, al plurale, hi e hae nostrates e haec nostratia, horum e harum e horum nostratium, his nostratibus, hos e has nostrates e haec nostratia, o nostrates, nostratia, ab his nostratibus. E, per la stessa ragione, si ha anche vestras, vestratis, vestrati, ecc., che è pronome di seconda persona. Ma, a proposito di quest'ultimo pronome, non abbiamo un autore nei cui libri se ne parli, il quale abbia così tanta autorità da permetterci di riuscire a tener testa, per suo tramite, alla consuetudine degli inesperti. L'autore dei due casi citati in precedenza, infatti, era lo stesso Tullio.

[Capitolo IV] Il verbo

1. Il verbo è la parte del discorso con il tempo e la persona, ma senza il caso. Al verbo sono connessi: il genere, il numero, la forma, la persona, il modo, il tempo, la coniugazione, la disposizione.

2. Nei verbi il genere non viene considerato in base al sesso, ma in base alla consuetudine stabilita dai grammatici: si dice genere del verbo ciò che si intende con attivo o passivo o deponente o neutro o comune. Chiamano attivo il verbo che termina con la lettera o e che diventa passivo una volta presa la lettera r, come scribo il cui passivo perciò è scribor. È deponente quello che termina con la lettera r, perduta la quale non è più latino e non può avere la forza dell'attivo e del passivo, come avviene per luctor. È neutro quello che termina con la lettera o e che, una volta presa la r, non è più latino, come è il caso di fulgeo. È comune quello che termina con la lettera r e che ha la forza dell'attivo e del passivo, come è per criminor; diciamo, infatti, criminor illum e criminor ab illo come scribo illum e scribor ab illo. Ci sono altri verbi che non escono in nessuna delle sillabe di cui si è fatta mezione, ma che sono ascritti a quelli neutri, come odi, novi, memini e, parimenti, sum, prosum, possum

3. Il numero dei verbi è singolare come in scribo, plurale come in scribimus.

4. La forma è semplice come in scribo, composta come in describo.

5. La prima persona è come scribo, la seconda come scribis¸ la terza come scribit. Ci sono altri verbi che sono detti impersonali, perché, per così dire, sono rimasti alla terza persona. Alcuni di questi sono quelli che si ottengono da verbi che possono essere personali, come scribitur, legitur, curritur, altri sono quelli che possiedono un proprio genere, come pudet, taedet, poenitet, libet: non è infatti latino pudeo o pudeor o pudes o puderis o simili. Quando poi vengono coniugati, devono essere esposti con l'aggiunta delle persone dei pronomi, come curritur a me, a te, ab illo, a nobis, a vobis, ab illis o currebatur a me, a te, ab illo, a nobis, a vobis, ab illis, ecc., come pure pudet me, te, illum, nos, vos, illos e simili.

6. Circa i modi, alcuni verbi ne enumerano di più, altri di meno. Salvo il principio della coniugazione, tuttavia noi preferiamo quelli che ne registrano di meno, cioè l'indicativo, l'imperativo, il congiuntivo, l'ottativo, l'infinito. L'indicativo è quello mediante il quale affermiamo qualcosa, come avviene con scribo, scribebam, scripsi, scripseram, scribam. L'imperativo è quello mediante il quale spingiamo a fare qualcosa, come è il caso di scribe, scribite. Il congiuntivo è quello cui si prepone cum e siccome, enunciato questo, la proposizione è ancora sospesa, resta qualcosa da aggiungervi, come avviene con cum scriberem. L'ottativo è quello mediante il quale esprimiamo un desiderio, come utinam scribam. L'infinito è quello che non è certo né del numero né della persona e talora neppure del tempo, come lo sono scribere, scripsisse.

I tempi

7. I tempi dei verbi sono tre: il presente, come scribo, il passato, come scripsi e il futuro, come scribam.

8. Le coniugazioni sono tre: la prima, la seconda e la terza. La prima è quella al modo indicativo, al tempo presente, al numero singolare e che, alla seconda persona, ha la vocale a prima della lettera finale, come clamas, vocas; nei passivi invece ha tale lettera prima della sillaba finale, come clamaris, vocaris. La seconda è quella che, nel modo, nel tempo, nel numero e nella persona sopraddetti, ha la vocale e allungata prima della lettera finale, come mones, doces; nei passivi invece ha tale lettera prima dell'ultima sillaba, come moneris, doceris. La terza è quella che nel medesimo luogo dell'attivo ha la vocale i abbreviata, come scibis, legis; nei passivi invece ha la e abbreviata prima dell'ultima sillaba, come scriberis, legeris. Vi è poi quella che è chiamata la terza allungata, che alcuni con maggiore chiarezza e precisione chiamano quarta. Questa negli stessi luoghi ha la i allungata, come audis, nutris, nutriris. Si può riconoscere piuttosto facilmente quando il verbo è della quarta coniugazione, osservando il modo imperativo, poiché esce in i, come audi, nutri. Il tempo futuro del modo indicativo, invece, nella prima e nella seconda coniugazione presenta una sillaba in bo, nella terza una sillaba abbreviata in am, nella terza allungata o, piuttosto, nella quarta si usa dire che tale sillaba è sia in am che in bo. Nella prima infatti diciamo clamabo, vocabo; nella seconda movebo, docebo; nella terza scribam, legam; nella quarta sia audiam sia audibo, sia nutriam sia nutribo. Nei passivi questa sillaba si cambia in bor e in ar, come clamabor, monebor, scribar, audiar e audibor.

9. Le forme dei verbi sono quattro: la prima, perfetta, è quella dalla quale derivano le altre tre: infatti, la forma incoativa è calesco la cui forma perfetta è caleo; la forma meditativa è parturio, la cui forma perfetta è pario; la forma frequentativa è cursito, la cui forma perfetta è curso.

10. I verbi si coniugano così: scribo, verbo attivo di tempo presente, di prima persona, di terza coniugazione, che si coniuga così al modo indicativo, tempo presente, numero singolare, per tutte le persone: scribo, scribis, scribit e, al plurale, scribimus, scribitis, scribunt; così al tempo passato, alla forma imperfetta: scribebam, scribebas, scribebat, scribebamus, scribebatis, scribebant; così pure al medesimo tempo, alla forma perfetta: scripsi, scripsisti, scripsit, scripsimus, scripsisti, scripserunt o scripsere; così anche al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta: scripseram, scripseras, scripserat, scripseramus, scripseratis, scripserant; così al tempo futuro: scribam, scribes, scribet, scribemus, scribetis, scribent.

11. Nel modo imperativo, al tempo presente, si hanno soltanto la seconda e la terza persona; è escluso infatti che si abbia la prima: scribe, scribat, scribite, scribant. Vi sono però alcuni che aggiungono anche la prima persona sia di numero singolare, scribam, sia di numero plurale, scribamus; altri invece che non aggiungono quella di numero singolare, mentre aggiungono quella di numero plurale; così, al tempo futuro singolare, scribito, scribito e, al tempo futuro plurale, scribitote, scribeunto.

12. Nel modo congiuntivo, al tempo presente, così al singolare: cum scribam, scribas, scribat e, al plurale: cum scribamus, scribatis, scribant; così pure al tempo passato alla forma imperfetta: cum scriberem, scriberis, scriberet, cum scriberemus, scriberetis, scriberent; così anche al medesimo tempo, alla forma perfetta cum scripserim, scripseris, scripserit, cum scripserimus, scripseritis, scipserint; così anche al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta, cum scripsissem, scripsisses, scripsisset, cum scripsissemus, scripsissetis, scripsissent; così al tempo futuro: cum scripsero, scripseris, scripserit, cum scripserimus, scripseritis, scripserint. Di certo, occorre sapere che si può aggiungere cum in tutti i verbi di modo indicativo e che è possibile così trasformarli nel modo congiuntivo.

13. Nel modo ottativo, al tempo presente, al singolare: utinam scriberem, scriberes, scriberet, al plurale: utinam scriberemus, scriberetis, scriberent; così al tempo passato alla forma perfetta: utinam scripserim, scripseris, scripserit, utinam scripserimus, scripseritis, scripserint; così pure al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta: utinam scripsissem, scripsisses, scripsisset, utinam scripsissemus, scripsissetis, scripsissent; così pure al tempo futuro: utinam scribam, scribas, scribat, utinam scribamus, scribatis, scribant. Ci sono coloro che pensano che questo modo non abbia la forma perfetta del tempo passato, poiché, per così dire, nessuno desidera ciò che è già compiuto. Ma, se questo fosse vero, a maggior ragione non si sarebbe dovuto avere il piucheperfetto. Parimenti, ci sono coloro che negano che questo modo abbia l'imperfetto, come è stato da noi coniugato poco fa. Ci sono poi coloro che attribuiscono alla forma imperfetta del tempo passato ciò che noi, con questa coniugazione, attribuiamo al tempo presente, e che declinano al tempo presente ciò che noi decliniamo nel futuro. Ma, poiché la cosa è oggetto di discussione, è superfluo accanirsi sulle denominazioni.

14. Scribere è di modo infinito, quanto al numero, al tempo e alla persona; scripsisse è solo di tempo finito passato; scriptum ire di tempo futuro; così pure è per la quarta forma, come per esempio scribendi, scribendum, scriptum, scriptu, che sono venuto a sapere che da alcuni è chiamata participiale.

15. Due participi provengono da un verbo attivo: quello del tempo presente, come scribens, e quello del tempo futuro, come scripturus.

16. Dal verbo derivano nomi che sono chiamati verbialia; l'uno, che è di genere maschile e neutro, come scriptor e che esce al femminile in trix come scriptrix; l'altro, che è di genere soltanto femminile come scriptio. Tali nomi si declinano prevalentemente dal participio del tempo passato; infatti, da scriptus, mutata la sillaba us in or, si ha scriptor; mutata in io, si ha scriptio. Ma per molti verbi, a causa dell'asprezza del loro suono, da quel primo genere non si ha né il femminile né il neutro plurale: da pressor infatti nessuno dice prestrix o prestricia; tuttavia da tonsor si ha tonstrix, poiché tanto grande è nel parlare la forza dell'autorità e della consuetudine.

17. (Il verbo passivo). Il verbo passivo si coniuga così: scribor, verbo passivo di tempo presente, di prima persona, di terza coniugazione, che si coniuga così: al modo indicativo, tempo presente: scribor, scriberis, scribitur, scribimur, scribimi, scribuntur; così pure, al tempo passato, alla forma imperfetta: scribebar, scribebaris, scribebatur, scribebamur, scribebamini, scribebantur; così anche al medesimo tempo, alla forma perfetta: scriptus sum, es, est, scripti sumus, estis, sunt; e, nella forma trapassata: scriptus fui, fuisti, fuit scripti, fuimus, fuistis, fuerunt; così, al medesimo tempo e alla forma piucheperfetta: scriptus eram, eras, erat, scripti eramus, gratis, erant e alla forma trapassata: scriptus fueram, fuaeras, fuerat, fueramus, fueratis, fuerant; così, al tempo futuro: scribar, scriberis, scribetur, scribemur, scribemini, scribentur.

18. Al modo imperativo, tempo presente: scribere, scribatur, scribimini, scribantur; allo stesso modo, al tempo futuro: scribitor, scribitor, scribiminor, scribuntor.

19. Al modo congiuntivo, al tempo presente: cum scribar, scribaris, scribatur, cum scribamur, scribamini, scribantur; così pure al tempo passato, alla forma imperfetta: cum scriberer, scribereris, scriberetur, cum scriberemur, scriberemini, scriberentur; così anche al medesimo tempo, alla forma perfetta: cum scriptus sim, sis, sit, cum scripti simus, sitis, sint, e alla forma perfetta anteriore: cum scriptus fuerim, fueris, fuerit, cum scripti fuerimus, fueritis, fuerint; così pure al medesimo tempo alla forma piucheperfetta: cum scriptus essem, esses, esset, cum scripti essemus, essetis, essent, e alla forma piucheperfetta anteriore: cum scriptus fuissem, fuisses, fuisset, cum scripti fuissemus, fuissetis, fuissent; così anche al tempo futuro: cum scriptus ero, eris, erit, cum scripti erimus, eritis, erunt, e al tempo futuro anteriore: cum scriptus fuero, fueris, fuerit, cum scripti fuerimus, fueritis, fuerint.

20. Al modo ottativo al tempo presente: utinam scriberer, scribereris, scriberetur, utinam scriberemur, scriberemini, scriberentur; così pure al tempo passato, alla forma perfetta: utinam scriptus sim, sis, sit, utinam scripti simus, sitis, sint; alla forma perfetta anteriore: utinam scriptus fuerim, fueris, fuerit, utinam scripti fuerimus, fueritis, fuerint; così anche al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta: utinam scriptus essem, esses, esset, utinam scripti essemus, essetis, essent e alla forma piucheperfetta anteriore: utinam scriptus fuissem, fuisses, fuisset, utinam scripti fuissemus, fuissetis, fuissent; così pure al tempo futuro: utinam scribar, scribaris, scribatur, utinam scribamur, scribamini, scribantur.

21. Scribi è di modo infinito quanto al numero, al tempo e alla persona; scriptum esse è di solo tempo finito passato; scriptum fuisse di tempo trapassato; scriptum iri di tempo futuro.

22. I participi provengono dal verbo passivo di tempo passato, come scriptus, e di tempo futuro, come scribendus.

23. È neutro il verbo che esce in o e si declina come l'attivo; invece è deponente e comune quello che si declina come il passivo. Sennonché, da un verbo deponente derivano tre participi: quello presente, quello passato e quello futuro, come luctans, luctatus, luctaturus; mentre da quello comune ne derivano quattro: quello presente, come criminans, quello passato, come criminatus e due futuri, come criminaturus e criminandus.

24. I verbi che escono in i come odi, novi, memini, si coniugano così: odi, verbo neutro, di numero singolare, di forma semplice, di tempo presente, di prima persona, di nessuna coniugazione, che si coniuga così al modo indicativo, tempo presente: odi, odisti, odit, odimus, odistis, oderunt o odere; così pure al tempo passato, alla forma imperfetta: oderam, oderas, oderat, oderamus, oderatis, oderant. Non ha la forma perfetta e quella piucheperfetta, mentre ha il tempo futuro: odero, oderis, oderit, oderimus, oderitis, oderint; non ha il modo imperativo. Al modo congiuntivo, tempo presente: cum oderim, oderis, oderit, cum oderimus, oderitis, oderint, ma non ha le altre forme del congiuntivo. Al modo ottativo, tempo passato: utinam odissem, odisses, odisset, utinam odissemus, odissetis, odissent; così pure al tempo futuro: utinam oderim, oderis, oderit, utinam oderimus, oderitis, oderint. Non ha le altre forme dell'ottativo. Nel modo infinito, quanto al numero e alla persona, ha solo il tempo finito passato: odisse; non ha le altre forme all'infuori forse, si può dire, di: osum ire. Circa il participio, ne ha uno che riguarda il tempo futuro, osurus, e uno che riguarda il tempo passato, osus, che tuttavia ha la forza di un presente e dev'essere senz'altro ritenuto tale per la forza il verbo neutro, dal quale non proviene il participio passato ed è evidente che, quando diciamo osus illum sum, in realtà diciamo odi illum, come quando diciamo fulgens sum, non diciamo nient'altro che fulgeo o piuttosto, quando diciamo scribens sum illum, non diciamo nient'altro che scribo illum. Per questo motivo, tali verbi, sebbene sono chiamati neutri perché non hanno i passivi, tuttavia, in quanto sono accompagnati dal caso accusativo (diciamo infatti odi illam rem e novi illam rem come scribo illam rem), hanno la forza di attivi. Per questo, ritengo assolutamente che debbano esser chiamati attivi e che gli stessi, benché manchino di molte forme, come è loro costume, tuttavia non ne manchino al punto di essere dei passivi.

25. Memini è un verbo simile e si coniuga allo stesso modo, eccetto che ha l'imperativo futuro, che si coniuga memento, come pure ha il futuro anteriore, che si coniuga meminerit. Gli stessi imperativi si coniugano alla maniera dei verbi precedenti. Ha inoltre un solo participio, che si coniuga mementurus.

26. Novi è un verbo simile e si coniuga come odi, sennonché ha soltanto il participio presente, e gli somiglia al participio passato, che è notus come osus. Ma poiché diciamo tanto notus est mihi quanto notus sum illi, e invece è escluso che si possa dire osus sum illi, sembra che da questo punto di vista se ne discosti.

27. I verbi che escono con la sillaba um come sum, possum, si coniugano così: sum, verbo neutro, di numero singolare, di forma semplice, di tempo presente, di prima persona, di nessuna coniugazione, che si coniuga così nel modo indicativo, tempo presente: sum, es, est, sumus, estis, sunt; così al tempo passato, alla forma imperfetta: eram, eras, erat, eramus, eratis, erant; così al medesimo tempo, alla forma perfetta: fui, fuisti, fuit, fuimus, fuistis, fuerunt; così al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta: fueram, fueras, fuerat, fueramus, fueratis, fuerant; così al tempo futuro: ero, eris, erit, erimus, eritis, erunt.

28. Così al modo imperativo, al tempo presente: es, sit, este, sint; così al tempo futuro: esto, esto, estote, sunto.

29. Così al modo congiuntivo, al tempo presente: cum sim, sis, sit, cum simus, sitis, sint; così al tempo passato, alla forma imperfetta: cum essem, esses, esset, cum essemus, essetis, essent; così al medesimo tempo, alla forma perfetta: cum fuerim, fueris, fuerit, fuerimus, fueritis, fuerint; così al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta, cum fuisse, fuisses, fuisset, cum fuissemus, fuissetis, fuissent; così al tempo futuro: cum ero, eris, erit, cum erimus, eritis, erint; così al futuro anteriore: cum fuero, fueris, fuerit, cum fuerimus, fueritis, fuerint.

30. Così al modo ottativo, al tempo presente: utinam essem, esses, esset, utinam essemus, essetis, essent; così al tempo passato, alla forma perfetta: utinam fuerim, fueris, fuerit, utinam fuerimus, fueritis, fuerint; così al medesimo tempo, alla forma piucheperfetta: utinam fuissem, fuisses, fuisset, utinam fuissemus, fuissetis, fuissent; così al tempo futuro: utinam sim, sis, sit, utinam simus, sitis, sint.

31. Al modo infinito quanto al numero, al tempo e alla persona, fa esse; al passato, che è il solo definito, fa fuisse, al futuro, fore. Manca della quarta forma e del participio presente, ma, avendo la necessità di interpretare e spiegare alcune realtà grandi e divine, alcuni dotti di epoca più recente hanno detto anche essendi, essendo, essendum ed essens, così come scribendi, scrivendo, scribendum, scribens.

32. Possum è un verbo simile che si coniuga alla stessa maniera, ma è dubbia la seconda persona dell'imperativo e, poiché fa parte di quei verbi che mancano della quarta forma, non c'è nessuno che gliel'abbia riconosciuta. Per quello che riguarda poi il participio, potens sembra che sia il participio presente di questo verbo, ma più correttamente si capisce che è un nome; infatti, da sum si forma il participio del futuro, quando diciamo futurum.

33. Di certo, trovata la coniugazione, è più facile coniugare i verbi, eccetto alla forma perfetta e piucheperfetta del passato, al futuro del congiuntivo, al futuro anteriore dell'infinito, al futuro del participio che proviene dall'attivo e dal neutro e da ogni tempo passato. Per questo motivo, nella coniugazione dei verbi tre sono le connessioni, ciascuna delle quali tiene congiunti tra loro più verbi di modo che, una volta che se ne è trovato uno, è facilissimo trovare gli altri.

34. Di queste connessioni la prima si dice a coniugatio e per questo è fornita dall'arte. Le altre due provengono dall'autorità e dalla provata consuetudine; infatti, non appena si trova il modo abituale di usare un verbo, insieme si trovano questi verbi, come avviene nella prima coniugazione: clamo, clamabam, clamabo, clama, clamato, clamem, clamarem, clamare, clamandi, clamando, clamandum e i participi clamans, clamandus. Di questi, una volta che se ne è trovato uno, non può essere che della prima coniugazione: così si coniugano tutti questi verbi e i participi che abbiamo ricordato in tutte le forme della prima coniugazione. Sono della seconda coniugazione quelli che sono pertinenti alla prima connessione: moneo, monebam, monebo, mone e, con la e allungata, moneto, moneam, monerem, monere, monendi, monendo, monendum e i participi monens e monendus. Ma questi ultimi cinque e la forma imperfetta dell'indicativo sono comuni alla seconda e alla terza coniugazione. Pertanto, sono della terza coniugazione quelli pertinenti alla medesima connessione: scribo, scribebam, scribam, scribe ma, con la e allungata, scribito, scribam, scriberem, scribere, scribendi, scribendo, scribendum e i participi scribens, scribendus. Sono della quarta coniugazione quelli pertinenti alla medesima connessione: audio, audiebam, audibo o audiam, audi, audito, audiam, audirem, audire, audiendi, audiendo, audiendum e i participi audiens e audiendus. Ma quei verbi che alla quarta coniugazione hanno e davanti ad o, come è il caso di eo e ineo, sono abbastanza diversi; questi pertanto sono così: ineo, inibam, ineundi, ineundo, ineundum e il participio ineundus. Gli altri sono simili alla precedente coniugazione.

35. La seconda connessione è quella che prende inizio dal passato perfetto del modo indicativo i cui verbi sono questi: clamavi, clamaveram, clamaverim, clamavissem, clamavisse; monui, monueram, monuerim, monuissem, monuisse; scripsi, scripseram, scripserim, scripsissem, scripsisse; audivi, audiveram, audiverim, audivissem, audivisse o audii, audieram, audierim, audissem, audisse. Infatti, le sillabe va, ve, vi, vo, vu risuonano piuttosto grossolanamente e, perché non disturbino l'orecchio, si è soliti toglierle addirittura tutte, come quando diciamo clamaram e non clamaveram, oppure attenuarne l'effetto, togliendo soltanto la v, come quando si dice audieram per audiveram.

36. La terza connessione, che riguarda le cose che restano, prende inizio dall'infinito della quarta forma, che è l'ultimo nella coniugazione. A questa connessione appartiene un solo verbo, cioè il participio futuro che proviene dall'attivo e quello passato, e i nomi verbialia, che sono i seguenti: clamatum, clamatus, clamaturus, clamator, clamatio; monitum, monitus, moniturus, monitor, monitio; scriptum, scriptus, scripturus, scriptor, scriptio; auditum, auditus, auditurus, auditor, auditio.

37. Queste tre connessioni hanno questa forza, che, se hai trovato anche un solo verbo di una certa connessione, puoi facilmente passare in rassegna tutte le altre forme che appartengono alla medesima connessione, nei modi, nei numeri e nelle persone. Se tu infatti volessi portare i verbi di una connessione in un'altra connessione e regola, inevitabilmente ti sbaglieresti.

[Capitolo V] L'avverbio

1. L'avverbio è la parte del discorso che deve essere posta accanto al verbo, come quando diciamo fortiter fecit, mansuete vixit, hodie venit, loco est, longe est, hic sedet, simul comitatur e altre ancora. Fecit, vixit, venit, sedet, comitatur infatti sono verbi, fortiter, mansuete, hodie, hic, simul sono avverbi. All'avverbio si connettono la significazione, la comparazione e la forma.

2. La significazione è quella con la quale gli avverbi significano o la qualità, come sapienter candide, o la quantità, come magne, granditer, o il tempo, come hodie cras, o il luogo come hic, ibi e altre direi quasi innumerevoli cose. Alcuni aggiungono agli avverbi anche la qualità e giustamente; questi infatti, come i pronomi, sono avverbi o definiti o indefiniti o meno che definiti: sono definiti fortiter, hodie, Romane; indefiniti quomodo, quando, ubi, meno che definiti sic, tunc, illic.

3. La comparazione è propria degli avverbi che provengono da nomi che contengono una comparazione, come fortiter da hoc forti. Dunque, come fortis, fortior, fortissimus, così fortiter, fortius, fortissime; e come castus, castior, castissimus, così caste, castius, castissime. E questo vale anche per il comparativo di un nome di genere neutro; infatti, sanctius templum è un nome, sanctus dixit è un avverbio. Tuttavia, in proposito occorre osservare che, quali che siano i nomi che al dativo escono in i, gli avverbi che ne derivano escono in ter, come da huic forti deriva fortiter, da sapienti sapienter, da agili agiliter; quali che siano invece i nomi che escono al dativo in o, gli avverbi che ne derivano escono in e, come da huic magno deriva magne, da casto caste, da docto docte.

4. La forma degli avverbi è come quella dei nomi e dei verbi: è semplice, come sapienter, o composta, come insipienter.

[Capitolo VI] Il participio

1. Il participio è la parte del discorso con il caso e con il tempo; è detto perciò participio perché partecipa del nome e del verbo : dal primo trae il caso, dal secondo il tempo. Due sono i participi del tempo futuro, uno del presente, uno del passato: quello del tempo futuro, come scripturus, scribendus; quello del tempo presente, come scribens, quello del tempo passato come scriptus. Scribens poi si declina come il nome prudens: infatti è di genere omne. Gli altri tre si flettono per tutti i generi come iustus, iusta, iustum e si declinano allo stesso modo.

2. Ci sono alcuni participi che sono anche nomi, come cultus e sapiens, ma che seguono una regola diversa. Cultus si differenzia per il genitivo: come participio, infatti, si declina huius culti, perché proviene dal verbo color, coleris, colitur che significa venerare; mentre come nome si declina huius cultus. Sapiens invece è detto anche nome, perché ammette la comparazione : si declina infatti sapiens, sapientior, sapientissimus. Eppure, questa regola non mi piace affatto, perché sembra che anche i participi ammettano la comparazione, mentre essi, qualora lo consenta la consuetudine del parlare o lo richieda l'autorità, la prevedono soltanto al tempo passato, perché non ammettono i due futuri. Chi del resto non oserebbe dire armatissimus, come dice Tullio ? Tuttavia non si può dire armaturior o armandior da armaturus e armandus. Ciò che si deve dire è che, se si accettano i participi con il loro tempo, sembra difficile che essi possano ammettere la comparazione. D'altro canto, anche quello che si dice cultus si declina cultior e cultissimus, ma, se lo riporti al tempo passato, non si declina così, perché ager è cultus per la sua stessa natura, cultus invece lo è, se fai attenzione al tempo, esclusivamente per l'azione di chi l'ha coltivato. Appartengono ai participi, come alle altre parti del discorso, anche la forma semplice, come scribens, o quella composta, come describens.

[Capitolo VII] La congiunzione

1. La congiunzione è la parte del discorso che unisce e mette ordine nella proposizione. Alla congiunzione appartiene la facoltà o di unire le parole, come ac, que, ecc., o di separarle, come aut, vel, nec, neque, o di completarle, come prorsus, videlicet, scilicet, quin, etiam e simili, o, per così dire, di ricondurle alla causa, come nam, namque, enim, quamobrem, itaque o, in un certo senso, di ragionare, come ergo, igitur, propterea e simili. Pertanto alcune si dicono copulative, altre disgiuntive, altre espletive, altre causali, altre razionali.

2. Ma sono indubbiamente molte le congiunzioni intorno alle quali i grammatici riflettono con assiduità e scrupolo se chiamarle con uno di questi cinque nomi o se occorra aggiungere altre specie. Poiché è lungo e difficile risolvere questa disputa, l'insegnamento sulle congiunzioni sia breve, di modo che, quando leggiamo uomini degni della massima autorità in fatto di parlare, ci rendiamo anche conto in quale punto e in quale proposizione di solito esse sono poste, affinché, grazie alla consuetudine di osservarle, possiamo impiegarle bene. Se, infatti, uno chiedesse cosa sia immo, con difficoltà gli direi in che modo possiamo definire o interpretare questa congiunzione. Col proferire dunque molte proposizioni in cui sia inserita tale congiunzione, in qualche modo mirabile, gli facciamo capire cosa significhi, anche con qualche gesto nella declamazione, come nel caso di immo, ait, o cives, arrepto tempore Turnus, cogite concilium 3 (Turno colse l'istante: "Appunto, disse ai cittadini, cogliendo il momento, Turno: radunate il consiglio") e immo age et a prima dic, hospes, origine nobis 4 (orsù, ospite, narra dall'origine).

È utile aggiungere al momento opportuno anche nostre proposizioni inventate: immo tu vade, qui cogis alium, immo adde rationi, qui detrahere studes. Questa congiunzione comunque è affine a potius e adeo e pertanto, come ho detto, bisogna fare riferimento ai libri.

3. Nelle congiunzioni, come nelle altre parti del discorso si tiene conto delle forme; infatti, la congiunzione è semplice o composta.

4. Anche l'ordine delle congiunzioni, per colui che vi tiene conto, concerne ciò che può essere soltanto anteposto, ciò che può essere soltanto posposto e ciò che può essere sia anteposto che posposto. Nam si antepone soltanto, que si pospone soltanto, scilicet sia si antepone sia si pospone. Se infatti qualcuno chiede, a motivo del verbo, cui dicis, rispondiamo: huic et tibi; non possiamo dire: huic tibi et; parimenti gli rispondiamo: huic tibique, poiché non si può dire: huicque tibi; invece possiamo rispondere: scilicet tibi e tibi scilicet.

[Capitolo VIII] La preposizione

1. La preposizione è la parte del discorso che si antepone o a parti del discorso che si devono unire o a due casi, ma soltanto all'accusativo o all'ablativo, oppure all'uno e all'altro, che però non si devono unire, ma che si devono sostenere in vista di certi significati. Pertanto alcune proposizioni si uniscono soltanto, come di, dis, re, am: diciamo infatti, diiudico, discorro, removeo, ambio; altre servono soltanto ai casi, come apud, pone, secundum, ultra, adversum, cis, citra, circa, erga, intra, infra, iuxta, penes, propter, usque, coram, absque, palam, sine, tenus; altre ancora sia si uniscono sia servono ai casi, come quando diciamo adnuam, adduco e ad amicum.

2. Dunque all'accusativo servono queste: ad amicum, apud patrem, ante coenam, adversus hostes, cis Tiberim, circa domum, circum murum, circa ianuam, contra portam, erga fratrem, extra matrem, inter montes, intra domum, infra urbem, iuxta locum, ob rem penes, Eurum per spatiun, prope circum, propter salutem, praeter sonum, post tergum, pone balneas, secundum viam, trans Galliam, ultra Aethiopiam, usque Romam.

3. All'ablativo servono queste: a socio, ab Olimpo, abs tecto, absque damno, cum amico, coram vicino, de domo, e foro, ex edicto, pro patria, prae ceteris, palam omnibus, sine inuidia, tenus facie.

4. All'uno e all'altro caso servono queste: in villam vado e in villa sum, sub tectum venio e sub tecto sto, subter arborem eo e subter arbore sedeo, super arborem saliunt e super arbore sidunt. Super, quando significa de, come in multa super Priamo rogitans 5, serve soltanto all'ablativo.

[Capitolo IX] L'interiezione

1. L'interiezione è la parte del discorso che significa qualche moto dell'animo e lo esprime, come heu, papae, hem e quante altre ve ne sono.

[Capitolo X] Il solecismo

1. Il solecismo è un errore nel modo di esprimersi, dovuto al fatto che alcune parti latine del discorso sono male connesse tra loro stesse. Chi infatti dice inter hominibus, se si considerano le singole parole, non commette alcun errore, perché è latino sia inter sia hominibus, ma errato è il modo in cui esse sono congiunte l'una con l'altra. Si ha dunque un solecismo quando si sbaglia in una qualunque delle regole che riguardano le otto parti del discorso.

2. Alcuni distinguono il solecismo dall'improprio, che in greco si dice acyrologia. Se qualcuno, per esempio, dicesse libidinem amicitiarum per amore e factionem bonorum per cessione, a meno che non lo dica per disprezzo o per irrisione ma ritenendo in buona fede che così si deve dire, non si è mai soliti riprenderlo in modo da arguirne che abbia commesso un solecismo. Tra il solecismo e l'improprio c'è dunque questa differenza, che nel solecismo si rimprovera l'ignoranza dell'ordine, nell'improprio invece l'ignoranza del modo di significare. Altro infatti è non sapere come le parole devono susseguirsi, altro è non sapere che cosa significhino.

[Capitolo XI] Il barbarismo

1. Si ha un barbarismo nel caso in cui le stesse singole parole non sono latine. Infatti, se uno dice hominem togliendo l'aspirazione, dà luogo ad un barbarismo, oppure, se dice coronam e vi aggiunge l'aspirazione, sbaglia, o, se dice luctat e toglie la sillaba, naturalmente sbaglia, oppure, se dice potestur per potest, cioè aggiungendovi la sillaba, non è latino.

2. Oppure, se si dice pone e si abbrevia la prima sillaba togliendo il tempo, si dà luogo ad un barbarismo. E ancora, se si dice bonus e si allunga la prima sillaba con l'aggiunta del tempo, si compie un errore. Si erra anche se si enuncia il nome e non si accenta nessuna sillaba, cioè se si toglie l'accento. Se poi si accentano due sillabe in una sola parte del discorso, aggiungendo l'accento, si offende l'udito. Se invece si dice vulla per villa, cambiando la lettera, e displicina per disciplina, trasponendo la sillaba, si ha un errore, poiché con la soppressione, l'aggiunta, il cambiamento e la trasposizione o dell'aspirazione o della lettera o della sillaba o degli accenti o dei tempi, si dà luogo ad un barbarismo.

3. Ma, per evitare altri errori, può essere d'aiuto qualsiasi lezione di un buon autore. Per i tempi o gli accenti invece occorre un'altra erudizione: sono necessari soprattutto i poeti o, se appartengono ad un'altra epoca, dobbiamo prendere in attenta considerazione nel colloquio il discorso dei dotti. Infatti, ciò che in tale epoca era corretto nel modo di esprimersi e ciò che hanno detto e approvato i dotti che ne facevano parte, hanno il massimo consenso; tutto ciò si può cogliere con molta facilità in qualsivoglia loro scritto e discorso ben curato.

4. Alcuni distinguono nettamente tra barbarismo e termine barbaro (barbarum), di modo che il barbarismo si dà se una parte del discorso, pur formulata secondo la regola data, presenta ancora degli errori; il termine barbaro invece si ha se la parola di qualche popolo straniero rimane non recepita, come se qualcuno nel discorso latino dicesse delecs per carie, che è assolutamente termine punico. Non è stato dato alcun nome invece all'errore che si verifica nel caso in cui una parola, che non sia propria affatto di nessun popolo, viene enunciata al posto di un'altra.

(Verbi che reggono il caso genitivo). Obliviscor iniuriae, memor sum bonorum, misereor puerorum, pudet facti, piget gratiae, poenitet laboris, taedet operis, memini lectionis, reminiscor doloris, ignarus malorum. Verbi che reggono il caso accusativo: decet dominum, poenitet amicum, piget inertem, ridet fratrem, calumniatur Catonem, concedo pretium, lego Homerum, scribo historiam, consolor inimicum, odi turpes, novi bonos. Nomi comuni: expers bonorum, dubius itineris, cupidus honoris, neglegens picturae, conscius facti. Reggono il caso dativo: maledico hosti, suadeo iudicibus, indico tibi, cedo potenti, ministro parenti, largior amico, dono propinquo, obsequor domino, aduersor inimico, gratificor illis, subscribo epistulis, adsum clementi, pareo legibus. Nomi di caso vocativo: Virgili scribe, Cicero responde. Reggono l'ablativo i verbi: fruor frate, potior pecunia, utor toga, priuor protestate, egeo laude, careo molestia, cedo possessione, abstineo cibo, fungor officiis, sacrifico victima, glorior viribus, donatus torque, dignatus honore. Nomi che reggono il dativo: intentus studiis, inimicus virtuti, audiens dicto, invidens bono, malivolus studenti, utilis civibus, aptus scenae.