LIBRO QUARTO

In qual senso intendere i sei giorni.

1. 1. E così furono compiuti il cielo e la terra e tutto il loro assetto. Dio allora nel sesto giorno concluse le opere che aveva fatte e nel settimo giorno Dio cessò da ogni opera che aveva fatta, Dio inoltre benedisse il settimo giorno e lo rese sacro, poiché in esso aveva cessato da tutte le sue opere che aveva cominciato 1. È un compito arduo e assai difficile per le forze della nostra facoltà intellettuale penetrare con la vivacità del nostro spirito in ciò che ha voluto dire lo scrittore sacro a proposito dei sei giorni [della creazione]. Volle forse indicare che quei giorni erano passati e, se vi si aggiunge il settimo, essi si ripetono ora nel corso del tempo non realmente uguali [a quelli] ma solo con lo stesso nome? Infatti nel trascorrere del tempo si succedono molti giorni simili a quelli passati, ma nessuno torna identico [agli altri]. Quei giorni dunque sono forse passati, oppure - dato che i giorni di quaggiù, denotati con lo stesso nome e numero, sono solo i giorni che passano quotidianamente nella successione dei tempi - sono giorni permanenti nella costituzione stessa delle cose? In tal caso, quando si parla non solo dei tre giorni precedenti la creazione degli astri ma anche degli altri tre, dovremmo forse intendere il termine "giorno" nel senso di forma specifica dell'essere creato e il termine "notte" nel senso di privazione o deficienza o nel senso di qualunque altro termine più adatto a esprimere il concetto, quando un essere perde la sua forma specifica a causa di una trasformazione che lo fa allontanare dalla propria forma e lo fa cadere nell'informità. Questa trasformazione è insita in ogni creatura, sia come possibilità, ancorché non si effettui realmente, come nel caso degli esseri celesti superiori, sia come realtà, quando si effettua negli esseri di questo basso mondo per produrre una bellezza completa attraverso le vicende ordinate di qualunque essere mutevole che appare e scompare, come è evidente nel caso degli esseri terrestri e mortali. Con il termine "sera" invece dovremmo forse intendere il limite in cui si compie la creazione di tutti gli esseri, mentre "mattino" denoterebbe il principio di ciò che comincia a esistere, poiché ogni natura creata è circoscritta nei limiti del suo inizio e della sua fine? È difficile indagarlo! Ma, sia che si abbracci la prima o la seconda ipotesi, sia che possa trovarsene una terza più plausibile per spiegare - come forse apparirà chiaro nel seguito dell'esposizione - in qual senso occorre intendere, a proposito di quei sei giorni, i termini "notte", "sera" e "mattina", non è tuttavia fuori luogo considerare la perfezione del numero sei alla stregua della natura intrinseca dei numeri, osservando la quale con l'intelligenza noi contiamo le cose da noi percepite anche mediante i sensi del corpo e le disponiamo in un ordine numerico.

La perfezione del numero sei.

2. 2. Il primo numero perfetto che noi troviamo è il sei perché è uguale alla somma delle sue parti; ci sono infatti altri numeri perfetti ma lo sono per altre cause e ragioni. Diciamo quindi che il numero sei è perfetto per la ragione che è uguale alla somma delle sue "parti" ed esattamente alla somma delle "parti" che, moltiplicate, possono formare il numero di cui sono "parti", poiché una "parte" di questa specie può essere chiamata "divisore". Il numero tre può dirsi infatti una "parte" di sei, di cui è la metà, ma è anche un componente di tutti gli altri numeri che gli sono superiori. Così, ad esempio, il numero 3 è la parte maggiore di 4 e di 5 in quanto il 4 può essere scomposto in 3 + 1 e il 5 in 3 + 2. Il 3 inoltre è anche un componente di 7, di 8, di 9 o di tutti gli altri numeri più grandi, componente non maggiore o uguale alla metà, ma inferiore. In realtà il 7 può scomporsi in 3 + 4 e l'8 in 3 + 5, il 9 in 3 + 6; ma il 3 non può dirsi aliquota di nessuno dei detti numeri, tranne solo del 9, di cui è la terza parte, e del 6 di cui è la metà. Pertanto nessuno dei numeri, che ho ricordati, è multiplo di 3, eccetto il 6 e il 9; poiché il primo è il prodotto di 2 x 3, e 9 il prodotto di 3 x 3.

Il numero sei è il primo dei numeri perfetti.

2. 3. Il numero sei dunque, come avevo detto all'inizio, è uguale alla somma dei suoi divisori. Ci sono in realtà alcuni numeri i cui divisori addizionati insieme fanno una somma inferiore o superiore; in base però a intervalli calcolati con precisione s'incontrano in quantità minore numeri che si completano addizionando i loro divisori, la cui somma non è né inferiore né superiore ma corrisponde precisamente al numero stesso di cui sono divisori. Il primo di questi numeri è il sei. Tra i numeri infatti l'uno non ha divisori, poiché tra i numeri di cui ci serviamo per i nostri computi, l'uno è il solo a non avere né la metà né un'altra parte, ma è veramente, puramente e semplicemente uno. Del due è divisore l'uno, che n'è la metà, ma non ha alcun altro divisore. Il tre invece ha due componenti: l'uno dei quali può dirsi suo divisore - e cioè l'uno che n'è la terza parte - e un altro più grande, cioè il due, che non può dirsi suo divisore; non si possono dunque computare come parti di cui trattiamo, che possano cioè chiamarsi divisori. Proseguiamo: il quattro ha due divisori, cioè l'uno, ch'è un quarto di esso, e il due che ne è la metà; ma la somma di entrambi, cioè 1 + 2 fa 3 e non 4. Non corrisponde quindi alla somma dei suoi divisori, poiché la loro addizione dà un numero inferiore. Il cinque ha un solo divisore, e precisamente l'unità, che è la quinta parte di esso (5:5), poiché né il 2, ch'è il minore dei suoi componenti, né il 3, che ne è il maggiore, possono dirsi divisori di 5. Il sei al contrario ha tre divisori: la sua sesta parte (6:6), la sua terza parte (6:3) e la sua metà (6:2): un sesto di 6 è 1, un terzo di 6 è 2 e la metà di 6 è 3 (= 1; = 2; = 3). Questi numeri, cioè 1, 2, 3, addizionati insieme, compongono esattamente il numero 6.

Esame degli altri numeri.

2. 4. Viene ora il numero sette. Questo ha come suo divisore soltanto la sua settima parte (7:7) cioè l'unità; 8 ne ha tre: la sua ottava parte (8:8), la quarta (8:4) e la metà (8:2), cioè 1, 2 e 4; ma questi, addizionati insieme fanno 7, numero inferiore, non già uguale a 8. Il nove ha due divisori: la sua nona parte (9:9), cioè l'unità, e la sua terza parte, cioè 3: questi due numeri addizionati insieme fanno 4, che è molto inferiore al 9. Il dieci ha tre divisori: l'1, la sua decima parte (10:10), il 2, la sua quinta parte (10:5) e il 5, la sua metà (10:2); questi tre numeri addizionati insieme fanno 8 e non 10. L'undici ha come divisore soltanto la sua undicesima parte (11:11), come il sette non ha altro divisore che la sua settima parte (7:7), e il cinque solo la sua quinta parte (5:5), il tre la sua terza parte, e il due la sua metà (2:2) cioè l'unità, che è il divisore di tutti i numeri. Il dodici non risulta dall'addizione dei suoi divisori ma ne è superato poiché la somma di essi fa un numero superiore in quanto arriva al totale di 16. In realtà il 12 ha cinque parti: la sua dodicesima, la sua sesta, la sua quarta, la sua terza e la sua metà. Infatti 12:12 corrisponde a 1, 12:6 a 2, 12:4 a 3, 12:3 a 4, 12:2 a 6. Ma 1 + 2 + 3 + 4 + 6 addizionati fanno 16.

Diverso rapporto tra numeri perfetti, imperfetti e più che perfetti.

2. 5. Ma per non tirare in lungo la discussione, dirò che nella serie infinita dei numeri se ne trovano parecchi i quali hanno come divisori soltanto l'unità - come il 3, il 5 e tutti gli altri della stessa specie - oppure altri che hanno parecchi divisori i quali, riuniti in una totalità addizionandoli insieme, danno una somma inferiore - come l'8 e il 9 e moltissimi altri - oppure superiore, come il 12 e il 18 e moltissimi altri simili a questi. Di numeri aventi questa caratteristica se ne trovano molto più numerosi di quelli chiamati perfetti per il fatto che sono formati dalla somma dei loro divisori. Dopo il 6, per esempio, risultante allo stesso modo composto della somma dei suoi divisori s'incontra il 28, poiché ne ha cinque 28:28, 28:14, 28:7, 28:4, 28:2 e cioè 1, 2, 4, 7 e 14: questi numeri, addizionati insieme, danno il medesimo numero. Ma quanto più progredisce la serie dei numeri, tanto più a distanza, tanto più, proporzionalmente, grande si trovano i numeri che corrispondono alla somma dei loro divisori, e sono chiamati "perfetti". Al contrario i numeri, i cui divisori addizionati insieme danno un totale inferiore ai medesimi, sono chiamati "imperfetti", mentre quelli, i cui divisori danno un totale superiore, sono chiamati "piuccheperfetti".

Ordine della creazione secondo i numeri.

2. 6. In un numero perfetto di giorni, cioè in sei, completò Dio le opere fatte da lui. Così infatti sta scritto: E Dio nel sesto giorno portò a termine le opere fatte da lui 2. Su questo numero tanto più si fissa la mia attenzione quando considero anche la serie ordinata in cui furono fatte le opere. Poiché allo stesso modo che i divisori del medesimo numero si elevano gradualmente fino al trigono - infatti 1, 2 e 3 si susseguono in modo che nessun altro numero può essere interposto tra loro, ciascuno dei quali è divisore di 6, che risulta dalla loro somma, e cioè l'1, ch'è la sua sesta parte, il 2, che n'è la terza, e il 3 che n'è la metà - così il primo giorno fu creata la luce, nei due seguenti fu fatta la creazione di questo mondo: in uno di questi la parte superiore, vale a dire il firmamento, in un altro la parte inferiore, vale a dire il mare e la terra. La parte superiore Dio la lasciò tuttavia priva d'ogni specie di alimenti corporali, poiché non aveva intenzione di porvi alcun corpo che avesse bisogno dei cibi materiali; al contrario, la parte inferiore che aveva deciso di abbellire d'animali adatti a essa, Dio l'arricchì in precedenza di cibi necessari a soddisfare i loro bisogni. Nei restanti tre giorni furono dunque creati gli esseri visibili che, in virtù di movimenti particolari e appropriati, si muovono in questo mondo, cioè in questo universo visibile formato da tutti gli elementi. Dapprima creò le stelle nel firmamento, poiché questo era stato creato prima, e in seguito gli esseri animati nella parte inferiore secondo quanto esigeva l'ordine stesso delle cose, in un giorno le creature delle acque, in un altro giorno quelle della terra. Ma nessuno è così pazzo da osar dire che Dio, se avesse voluto, non avrebbe potuto creare tutte le cose in un sol giorno oppure, se avesse voluto, in due giorni: nel primo giorno la creatura spirituale, e il secondo giorno la creatura corporale, oppure in un giorno il cielo con tutte le creature celesti, e nel seguente la terra con tutto ciò che è in essa. E tutto ciò Dio lo creò quando volle, in qualunque periodo di tempo volle, e come volle; chi oserebbe dire che qualcosa avrebbe potuto opporsi alla sua volontà?

Sap 11, 21: Hai disposto ogni cosa secondo misura, numero e peso.

3. 7. Quando perciò leggiamo che Dio portò a termine tutte le opere [della creazione] in sei giorni e, nel considerare il numero 6, scopriamo ch'esso è un numero perfetto e che l'ordine delle creature fatte si snoda in modo da apparire come la distinzione progressiva degli stessi divisori che compongono questo numero, ci dovrebbe venire in mente anche l'espressione rivolta a Dio in un altro passo delle Scritture: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso 3. Dovremmo altresì domandarci - e lo possiamo se invocheremo l'aiuto di Dio che ce lo concederà e ce ne infonderà le forze - se queste tre proprietà [delle cose]: misura, numero e peso - secondo le quali la Scrittura afferma che Dio ha disposto ogni cosa - erano in qualche luogo prima che fosse creato l'universo oppure furono create anch'esse e, se già esistevano, dov'erano. In effetti prima della creazione non esisteva nulla all'infuori del Creatore. Esse dunque erano in Lui. Ma come? Poiché noi leggiamo che anche queste cose, che sono create, erano in Lui 4. Identificheremo forse quelle proprietà con Lui stesso, o invece diremo forse che le opere della creazione sono, per così dire, in Lui che le guida e le governa? Ma in qual modo quelle proprietà possono essere identificate con Dio? Egli infatti non è né misura, né numero, né peso, né tutte queste proprietà insieme. Oppure si deve forse pensare che Dio sia da identificare con queste proprietà come noi le conosciamo nelle creature, e cioè il limite nelle cose che noi misuriamo, il numero nelle cose che noi contiamo, il peso nelle cose che noi sentiamo? Dovremo forse, al contrario, pensare che, nel senso in cui la misura assegna a ciascuna cosa il suo limite, il numero dà a ciascuna cosa la sua forma specifica, e il peso trascina ogni cosa al suo riposo e alla sua stabilità, è Dio che s'identifica con queste tre perfezioni nel senso fondamentale, vero e unico, poiché è Lui a limitare, a dare la forma specifica e a dare ordine a ogni cosa? Ecco perché la frase: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso nel modo che poté esprimersi l'intelligenza e il linguaggio dell'uomo non significa altro che: "Tu hai disposto ogni cosa in te stesso".

3. 8. È un beneficio cospicuo e concesso a pochi oltrepassare tutto ciò che può essere misurato, per contemplare la Misura senza misura, oltrepassare tutto ciò che può essere numerato, per contemplare il Numero senza numero, oltrepassare tutto ciò che può essere peccato, per contemplare il Peso senza peso.

Misura, numero e peso della realtà morale e spirituale; numero senza numero.

4. 8. In effetti misura, numero e peso non si possono percepire soltanto nelle pietre, negli alberi e nelle altre masse terrestri o celesti di tal genere, qualunque sia la loro grandezza. C'è anche una misura che regola un'azione e le impedisce di svolgersi senza controllo e di là dai limiti; c'è anche un numero dei sentimenti dell'animo e delle virtù, mediante il quale l'anima è tenuta lontano dalla deformità della stoltezza e ricondotta alla forma e alla bellezza della sapienza; e c'è anche un peso della volontà e dell'amore, per mezzo del quale appare quanto occorra pesare ogni cosa nel desiderarla, nell'evitarla, nel valutarla preferibile o trascurabile. Ma questa misura delle anime e delle intelligenze è determinata da un'altra Misura, questo numero è formato da un altro Numero e questo peso è attratto da un altro Peso. La Misura senza misura è quella alla quale si adatta ciò che viene da essa, mentre essa non viene da nessuna altra cosa; il Numero senza numero è quello in base al quale è formata ogni cosa, ma esso non viene formato; il Peso senza peso è quello al quale sono attirati per riposarvisi, coloro il cui riposo è gioia purissima, ma esso non è attirato più verso alcuna altra cosa.

In qual senso intendere i termini suddetti.

4. 9. Ma chi sa il significato dei termini "misura", "numero" e "peso" unicamente in rapporto ad oggetti visibili, li conosce solo come può comprenderli uno schiavo. Costui pertanto deve elevarsi al di sopra di tutto ciò che conosce in questo modo oppure, se non è capace, non deve attaccarsi agli stessi termini, a proposito dei quali non può che avere pensieri grossolani. Queste cose infatti sono tanto più care a chi le vede nelle realtà di lassù, quanto meno è carne lui stesso nelle cose di quaggiù. Se però uno rifiuta di usare questi termini, di cui ha imparato il senso in rapporto a realtà infime e assai spregevoli, per denotare realtà sublimi al fine di contemplare le quali si sforza di purificare il suo spirito, non dev'essere costretto a farlo, poiché - purché s'intenda ciò che si deve intendere - non bisogna preoccuparsi molto dei termini che si usano. Importante è invece sapere quale rapporto di somiglianza intercorre tra le realtà inferiori e quelle superiori. In caso contrario la ragione non potrebbe partire logicamente dalle realtà di quaggiù e sforzarsi di tendere verso [quelle di] lassù.

Si spiega Sap 11, 21.

4. 10. Ma allora, se uno dice che sono cose create la misura, il numero e il peso, con cui la Scrittura attesta che Dio ha disposto ogni cosa, e se Dio ha disposto ogni cosa per mezzo di esse, con che cosa Dio ha disposto le tre medesime cose? Se con altre cose, come mai tutte le cose sono state disposte mediante quelle, quando quelle stesse sarebbero state disposte mediante altre cose? Non si può dunque dubitare che quelle tre perfezioni con le quali sono state disposte tutte le cose sono fuori delle cose, che sono state disposte.

In Dio la ragione della misura, del numero e del peso, secondo cui tutto è stato disposto.

5. 11. Ma si potrebbe forse pensare che la frase della Scrittura: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso 5, equivale a quest'altra: "Tu hai disposto tutte le cose in modo che avessero misura, numero e peso"? Poiché, se la Scrittura dicesse: "Tu hai disposto tutte le cose materiali con dei colori", non ne seguirebbe doversi pensare che la Sapienza divina, dalla quale sono state fatte tutte le cose, avesse prima in sé dei colori con cui avrebbe poi fatto le cose materiali; ma la frase: "Tu hai disposto tutte le cose materiali con dei colori" dovrebbe essere intesa nel senso di: "Tu hai disposto tutte le cose materiali in modo che avessero dei colori". Come se il fatto che Dio creatore ha disposto tutte le cose materiali con dei colori - disposte cioè in modo che fossero colorate - potesse avere un senso diverso dal seguente: nella Sapienza di Colui che dispone [con ordine] ogni cosa non mancò una certa "ragione" dei colori da distribuire nelle diverse cose materiali, sebbene in rapporto a essa il termine "colore" non convenga. Questo è in realtà quanto avevo in mente dicendo che non ci si deve preoccupare dei termini, purché si sia d'accordo sulle cose.

Ipotesi per spiegare Sap 11, 21.

5. 12. Supponiamo dunque che la frase della Scrittura: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso 6 voglia dire che le creature sono state disposte in modo che abbia ciascuna le proprie misure, i propri numeri e il proprio peso, capaci di cambiamento conforme alla mutabilità di ciascuna specie in rapporto a quella proprietà, aumentando o diminuendo, divenendo più numerose o più rare, più leggere o più pesanti secondo la disposizione di Dio; diremo forse che, allo stesso modo che le cose mutano, così è mutevole lo stesso disegno di Dio, secondo il quale ha disposto le creature? Allontani egli da noi un'idea così pazza!

6. 12. Allorché dunque le cose venivano disposte in modo che avessero la loro misura, il proprio numero e peso, ove le vedeva Dio che le disponeva in quel modo? Egli non vedeva fuori di se stesso, come vediamo noi, con gli occhi le cose materiali, che certamente non esistevano ancora quando venivano disposte per essere create. E neppure vedeva le cose in se stesso come noi vediamo nella mente le immagini sensibili delle cose materiali che non sono davanti ai nostri occhi, ma che rammentiamo al nostro spirito immaginando gli oggetti già visti o formati a partire da quelli già visti. In qual modo vedeva dunque Dio le cose per disporle così? In qual altro modo se non nel modo che può lui solo?

6. 13. Ciononostante anche noi siamo mortali e peccatori, e il nostro corpo appesantisce l'anima e la nostra abitazione terrestre è un gravame per l'anima dai molti pensieri 7; ma, anche se avessimo il cuore del tutto puro e l'anima del tutto limpida e fossimo già uguali agli angeli santi, sicuramente non conosceremmo l'essenza di Dio com'essa conosce se medesima.

Dove vedeva Dio le cose da disporre?

7. 13. Ciononostante noi non vediamo questa perfezione del numero sei né fuori di noi, come i nostri occhi vedono le cose materiali, né dentro di noi come ci rappresentiamo i fantasmi dei corpi e le immagini degli oggetti visibili, ma in un altro modo di gran lunga diverso. Poiché allo sguardo dello spirito può presentarsi - è vero - come una specie di piccole immagini corporee quando pensiamo alla posizione del numero sei tra gli altri numeri o alla sua divisione in parti, ma la ragione, più penetrante e più vigorosa, poiché le trascende, rigetta tali immagini e contempla interiormente l'intimo significato del numero. Grazie a questa intuizione la ragione afferma con sicurezza che ciò che, a proposito dei numeri, chiamiamo l'unità, è indivisibile, mentre non esistono cose materiali se non divisibili all'infinito, e che passeranno più facilmente il cielo e la terra creati secondo il numero sei anziché sia possibile che questo numero non corrisponda alla somma delle sue parti. Lo spirito umano ringrazi quindi sempre il Creatore, che l'ha creato capace di vedere ciò che non è in grado di vedere nessun uccello, nessuna bestia, che pure vedono come noi il cielo, la terra, le stelle, il mare, la terraferma e tutto ciò che vi si trova.

Dio compì le sue opere in sei giorni. Perché il sei? È numero perfetto?

7. 14. Noi quindi non possiamo dire che il sei è un numero perfetto per il fatto che Dio ha compiuto tutte le sue opere in sei giorni, ma possiamo dire che Dio ha compiuto le sue opere in sei giorni per il fatto che il sei è un numero perfetto. Questo numero perciò sarebbe perfetto anche se queste opere non ci fossero state; se invece esso non fosse perfetto, Dio non avrebbe compiuto le sue opere attenendosi a questo numero.

Come intendere il riposo di Dio al settimo giorno.

8. 15. Passiamo ora all'affermazione della Scrittura secondo la quale nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le opere che aveva fatto e benedisse e dichiarò sacro questo giorno poiché in esso egli si era riposato da tutte le sue opere. Ma per cercare d'affermare con l'intelletto la verità di questa affermazione nella misura della nostra capacità e dell'aiuto che ci darà Dio, dobbiamo prima scacciare dal nostro spirito ogni congettura d'interpretazione carnale. Poiché è forse lecito dire o credere che Dio si affaticasse nell'agire quando fece le creature descritte nella Scrittura, dal momento che gli bastò pronunciare una sola parola e quelle erano fatte? In realtà neppure l'uomo s'affatica se, dovendo compiere qualche opera, questa è subito fatta appena egli pronuncia una parola. È bensì vero che le parole umane sono proferite mediante suoni di modo che un discorso prolungato affatica: quando tuttavia le parole sono tanto poche quanto quelle che leggiamo nella Scrittura, allorché Dio disse: Vi sia la luce; vi sia il firmamento 8, e così via fino al termine delle opere che Dio compì il sesto giorno, sarebbe il colmo della pazzia pensare che per un uomo, a più forte ragione per Dio, quelle parole fossero causa di fatica.

Interpretazione figurata.

8. 16. Si potrebbe forse affermare che Dio si affaticasse non già nel pronunciare l'ordine ch'esistessero le creature che furono fatte sull'istante, ma forse nel riflettere e considerare che cosa avrebbe dovuto fare? Si potrebbe forse affermare allora che, liberato, per così dire, da quella preoccupazione col compiere la creazione, Dio si sarebbe riposato e, in considerazione di ciò, avrebbe voluto benedire e dichiarare sacro il giorno in cui per la prima volta si sarebbe liberato da ogni preoccupazione e da quello sforzo? Ma ragionare così è una gran pazzia, poiché in Dio è incomparabile e ineffabile tanto la facoltà quanto la facilità di creare le cose.

Dio si riposò è un'espressione con il verbo causativo.

9. 16. Qual altra soluzione ci resta per interpretare questo riposo se non forse quella che Dio alle creature razionali, tra cui creò anche l'uomo, ha offerto il loro riposo in se stesso dopo che saranno perfezionate dal dono dello Spirito Santo - che diffonde la sua carità nei nostri cuori 9 - affinché la tendenza del desiderio ci trascini là ove, quando ci arriveremo, potremo riposarci, non dovremo cioè cercare più nient'altro? Allo stesso modo infatti ch'è giusto dire ch'è Dio a fare tutto ciò che facciamo noi, in virtù della sua azione in noi, così è giusto dire che Dio si riposa quando siamo noi a riposarci per suo dono.

9. 17. Questa interpretazione è giusta poiché è vero e non occorre un grande sforzo per capire che la Scrittura dice che Dio si riposa quando fa sì che noi ci riposiamo, allo stesso modo che si dice che egli conosce quando fa in modo che noi conosciamo. Dio infatti non conosce nel tempo una cosa che precedentemente ignorasse e tuttavia dice ad Abramo: Ora so che temi Dio 10, frase che noi prendiamo soltanto nel senso seguente: "Ora ho fatto sì che tu conoscessi". Quando parliamo di cose che non succedono a Dio come se gli succedessero, mediante queste figure retoriche riconosciamo ch'è lui a far sì che accadano a noi, purché si tratti solo di cose lodevoli e nella misura consentita dal modo di parlare della Scrittura. Poiché a proposito di Dio non dobbiamo fare alla leggera alcuna affermazione che non leggiamo nella sua Scrittura.

Altre espressioni della sacra Scrittura con verbi causativi.

9. 18. Io penso che l'Apostolo usa una simile figura retorica quando esorta dicendo: Non rattristate lo Spirito Santo di Dio, col quale siete stati segnati per il giorno della redenzione 11. Poiché la natura dello Spirito Santo, in virtù della quale esistono tutti gli esseri che esistono, non può venire rattristata in quanto possiede una beatitudine eterna e immutabile o, meglio, per il fatto ch'è essa stessa l'eterna e immutabile beatitudine; ma egli abita nei fedeli in modo da riempirli di carità, grazie alla quale gli uomini non possono non rallegrarsi fin d'ora del progresso [spirituale] e delle opere buone dei fedeli e, per conseguenza, neppure non rattristarsi dei falli o dei peccati di coloro della cui fede e pietà essi provavano gioia. Siffatta tristezza è lodevole poiché viene dall'amore soprannaturale infuso dallo Spirito Santo. Ecco perché la Scrittura dice che lo Spirito Santo in persona viene rattristato da coloro i quali, con le loro azioni, agiscono in modo da rattristare i buoni cristiani per il semplice motivo che questi posseggono lo Spirito Santo, grazie al cui dono sono così buoni da sentirsi addolorati a causa dei cattivi, soprattutto di quelli ch'essi hanno conosciuti o ritenuti buoni. Siffatta tristezza non solo non è per nulla riprovevole, ma è anche lodevole ed encomiabile.

Si spiega un'altra metonimia di Gal 4, 9.

9. 19. Un'altra stupenda espressione di tal genere usa di nuovo il medesimo Apostolo quando afferma: Ora però voi conoscete Dio o meglio siete conosciuti da Dio 12. Non fu, infatti, allora che Dio li conobbe avendoli conosciuti, naturalmente, prima della creazione del mondo 13; ma poiché era stato allora ch'essi lo avevano conosciuto per grazia di Dio, non in virtù dei loro meriti o del loro potere, l'Apostolo preferì usare un'espressione figurata dicendo ch'erano stati conosciuti da Dio al momento in cui concesse loro di esser conosciuto da essi e preferì correggersi come se avesse espresso il concetto poco esattamente quando aveva parlato in senso proprio, anziché permetter loro d'arrogarsi un potere ch'era stato concesso loro da Dio.

Si chiede se Dio poté riposare in senso proprio.

10. 20. Ad alcuni dunque basterà forse questa interpretazione del passo ove si dice che Dio si riposò da tutte le sue opere molto buone da lui fatte, prendendolo nel senso ch'è lui a farci riposare quando avremo fatto opere buone. Quanto a noi però, dopo aver intrapreso l'attento esame di questa frase delle Scritture, ci sentiamo spinti a cercare in qual modo poté riposarsi anche Dio, sebbene con l'accennare al suo riposo c'inviti a sperare di trovare in lui il nostro riposo futuro. Infatti allo stesso modo ch'è stato lui a creare il cielo e la terra e quanto in essi si trova, e a portare a termine ogni cosa il sesto giorno - e non si può dire che siamo stati noi a creare alcuna di quelle cose in virtù d'un suo dono per cui le creassimo e perciò la Scrittura direbbe: Dio compì nel sesto giorno tutte le opere che aveva fatte 14, nel senso che sarebbe stato lui a concederci di portarle a termine - così anche la frase della Scrittura: Dio si riposò il settimo giorno da tutte le opere che egli aveva fatte 15, non dobbiamo intenderla precisamente del nostro riposo che otterremo per un dono della sua grazia, ma intenderla anzitutto del suo riposo che prese il settimo giorno dopo aver compiuto le sue opere: per conseguenza deve prima mostrarsi che quanto dice la Scrittura è realmente accaduto e in seguito, se c'è bisogno, si può insegnare che quel fatto è simbolo di qualche altra cosa. È, sì, giusto dire: "Allo stesso modo che Dio, dopo aver compiuto le sue opere buone, si riposò, così ci riposeremo anche noi dopo che avremo compiuto le nostre opere buone", ma per la stessa ragione è giusto esigere che, allo stesso modo che abbiamo trattato delle opere di Dio che sono, con tutta evidenza, opera sua, così dobbiamo trattare sufficientemente del riposo di Dio che dalla Scrittura è mostrato propriamente suo.

In che modo può essere vero che Dio si riposò al settimo giorno e che ancora adesso continua ad agire.

11. 21. Proprio per un motivo assai giusto siamo quindi spinti ad indagare, se ne saremo capaci, e a spiegare come sono vere le due affermazioni, cioè quella della Genesi in cui si dice che il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte, e quella del Vangelo in cui il Signore in persona, dal quale sono state fatte tutte le cose, dice: Il Padre mio opera sempre e così faccio anch'io 16. Così infatti egli rispose a coloro che gli facevano le loro rimostranze di non osservare il sabato, com'era prescritto fin dai tempi antichi dall'autorità di questo passo della Scrittura relativo al riposo di Dio. Può dirsi però con fondatezza che l'osservanza del sabato fu prescritta ai Giudei a causa della sua funzione profetica che prefigurava il riposo spirituale che Dio, mediante quel simbolo recante un significato misterioso, servendosi del proprio riposo come esempio, prometteva ai fedeli che fanno opere buone. Anche il Signore Gesù Cristo, che soffrì solo quando lo volle, confermò il simbolismo di quel riposo nella sua sepoltura. Egli infatti riposò nel sepolcro il giorno di sabato e passò tutto quel giorno in una specie di santa inoperosità, dopo che nel sesto giorno, cioè nella Parasceve, chiamata il sesto giorno della settimana, aveva portato a compimento tutte le sue opere quando sul patibolo della croce fu compiuto tutto ciò che le Scritture avevano predetto di lui. Questa infatti è la parola usata da lui quando disse: Tutto è compiuto; e chinato il capo spirò 17. Che c'è dunque di strano se Dio, volendo anche in tal modo prefigurare il giorno in cui il Cristo si sarebbe riposato nel sepolcro, si riposò dalle sue opere quel solo giorno per produrre in seguito la successione dei secoli? E ciò perché fosse vera anche l'affermazione della Scrittura: Il Padre mio opera sempre.

Un altro modo di conciliare il riposo di Dio e la sua continua attività.

12. 22. Si potrebbe anche pensare che Dio si riposò dal creare altre specie di creature poiché in seguito non creò più nuove specie, ma da allora egli opera fino al presente e continuerà anche dopo a operare governando le medesime specie di esseri che furono create allora; nondimeno neppure in quello stesso settimo giorno Dio cessò di governare con la sua potenza il cielo, la terra e tutti gli altri esseri ch'egli aveva creato, altrimenti sarebbero caduti nel nulla. In effetti la potenza del Creatore e l'energia dell'Onnipotente e dell'Onnipresente è la causa per cui sussiste ogni creatura; se questa energia cessasse un sol momento di governare gli esseri creati, finirebbe allo stesso tempo anche la loro essenza, e ogni natura cadrebbe nel nulla. Poiché Dio non è come un costruttore che, dopo aver costruito un edificio, se ne va, ma la sua opera sussiste anche quando egli cessa di agire e se ne va; il mondo invece non potrebbe continuare a esistere neppure un batter d'occhio se Dio gli sottraesse la sua azione reggitrice.

Ancora lo stesso argomento.

12. 23. Ecco perché anche l'affermazione del Signore: Il Padre mio opera ancora fino al presente 18 mostra una - diciamo così - continuazione dell'opera del Padre, grazie alla quale mantiene e governa tutto il creato. Diverso infatti potrebbe essere il senso di queste parole, se il Signore avesse detto: "e opera adesso", poiché non sarebbe necessario che l'intendessimo come continuazione della stessa opera. Ma un altro è il senso che ci è imposto dall'espressione: fino al presente, vale a dire: "dal momento in cui egli operò creando tutte le cose". Inoltre quando la Scrittura dice riguardo alla Sapienza di Dio: Si estende da un confine all'altro con forza e governa con bontà ogni cosa 19, della quale la stessa Scrittura dice parimenti: il suo movimento è più veloce di tutti i moti 20, appare assai evidente, a chi bene osserva, ch'essa comunica questo medesimo suo movimento, incomparabile e ineffabile - che potremmo chiamare stabile se potessimo concepire un simile attributo - alle cose per disporle con bontà; se però questo movimento venisse loro sottratto, se cioè Dio cessasse di esercitare questa sua azione, le cose scomparirebbero immediatamente. Quanto poi all'affermazione che fa l'Apostolo parlando di Dio agli Ateniesi: È in lui che noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere 21, se viene intesa chiaramente nella misura concessa alla mente umana, essa suffraga la convinzione per cui crediamo e affermiamo che Dio agisce continuamente riguardo agli esseri da lui creati. Noi infatti non esistiamo in lui come un elemento che costituisca la sua natura nel senso in cui la Scrittura dice ch'egli ha la vita in se stesso 22; ma pur essendo esseri certamente differenti da lui, noi siamo in lui solo perché egli effettua ciò mediante la sua azione e quest'azione è quella per cui egli mantiene tutto e per cui la sua Sapienza si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà; è in virtù di questo divino governo che noi abbiamo la vita, il movimento e il nostro essere in lui. Per conseguenza, se Dio sottraesse alle creature questa sua virtù operativa, noi cesseremmo di vivere, di muoverci e di essere. È chiaro dunque che Dio non ha cessato nemmeno per un sol giorno la sua azione di governare le creature da lui create, per evitare che perdessero sull'istante i loro movimenti naturali mediante i quali si muovono e vivono e così sono nature complete e ciascuna continua a rimanere nello stato ch'essa ha conforme alla sua propria specie; altrimenti le creature cesserebbero completamente di esistere, se fosse loro tolto il movimento della divina Sapienza con cui Dio governa tutto con bontà. Noi perciò intendiamo il fatto che Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte, nel senso che da quel momento in poi non creò più nessun'altra natura nuova, non nel senso che cessò dal mantenere e governare gli esseri da lui creati. È dunque vero non solo che Dio si riposò il settimo giorno 23, ma altresì ch'egli continua ad agire fino al presente 24.

Il sabato giudaico e quello cristiano.

13. 24. Le opere buone di Dio noi le vediamo, ma il suo riposo lo vedremo quando avremo compiuto le nostre opere buone. Per simboleggiare questo riposo Dio prescrisse l'osservanza d'un dato giorno al popolo ebraico: precetto che gli Ebrei eseguivano in modo così carnale che incolparono il Signore, nostro Salvatore, quando lo videro compiere delle azioni in quel giorno 25, e perciò diede loro una risposta del tutto giusta ricordando loro l'attività del Padre, con il quale anch'egli operava ugualmente non solo per governare tutte le creature ma anche per procurare la stessa nostra salvezza. Ora invece, nel tempo in cui è stata rivelata la grazia, l'osservanza del sabato, ch'era simboleggiata nel riposo d'un giorno determinato, è stata abrogata per i fedeli. Infatti nel presente ordine della grazia è ormai osservato un sabato eterno da chi compie tutto il bene che fa nella speranza del riposo futuro e non si vanta delle proprie azioni buone come d'un bene ch'egli possederebbe senza averlo ricevuto. In tal modo quando egli riceve il sacramento del battesimo nel suo vero significato, intendendolo cioè come il giorno del sabato, ossia come il giorno del riposo di nostro Signore nel sepolcro, egli si riposa dalle sue opere precedenti sicché, percorrendo ormai il cammino d'una vita nuova 26, riconosca che ad agire in lui è Dio il quale è attivo e si riposa nello stesso tempo somministrando da una parte il governo conveniente alla creatura e dall'altra possedendo in se stesso un'eterna tranquillità.

Perché Dio consacrò il giorno del suo riposo.

14. 25. In breve, Dio non sentì stanchezza quando creò, né ristorò le sue forze quando cessò di creare, ma per mezzo della sua Scrittura volle solo esortarci a bramare il riposo col rivelarci di aver dichiarato sacro il giorno in cui si riposò da tutte le sue opere. Poiché in nessun [passo del racconto] di tutti i sei giorni, in cui furono create tutte le cose, si legge che dichiarasse sacra alcuna sua opera, e neppure prima [del racconto] degli stessi sei giorni, ove sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 27, la Scrittura aggiunse: E li dichiarò sacri; ma Dio volle dichiarare sacro questo giorno in cui si riposò da tutte le opere che aveva fatte, come se anche per lui, che non prova alcuna fatica nell'agire, il riposo è più importante dell'azione. Questa verità riferita all'uomo ci è insegnata dal Vangelo quando il nostro Salvatore afferma che la parte di Maria, la quale seduta ai suoi piedi si riposava nell'ascoltare la sua parola, era migliore di quella di Marta, sebbene questa fosse occupata in molte faccende per servirlo, e così facesse un'opera buona 28. Ma in qual senso esista, a proposito di Dio, questa superiorità del riposo sull'azione e in qual modo intenderla è difficile dirlo, anche se con la riflessione si può arrivare a capire un poco perché Dio dichiarò sacro il giorno del suo riposo, mentre non dichiarò sacro alcun altro giorno della sua opera, neppure il sesto, in cui creò l'uomo e contemporaneamente portò a termine tutte le cose. E innanzitutto, di quale specie è lo stesso riposo di Dio? Qual è l'intelligenza umana il cui acume sarebbe capace di comprenderlo? E tuttavia, se questo riposo non fosse una realtà, la sacra Scrittura non ne parlerebbe affatto. Io, comunque, esporrò la mia opinione personale, premettendo le seguenti verità sicure: Dio non ha goduto una specie di riposo temporale come dopo una fatica o come dopo la fine sospirata d'un suo lavoro; inoltre le Scritture che a buon diritto occupano un posto superiore ad ogni altro scritto per la loro eccezionale autorità, non hanno affermato, né senza motivo né a torto, che Dio si riposò il settimo giorno da tutte le opere che aveva fatte e perciò dichiarò sacro quel giorno.

Si risolve la questione precedente.

15. 26. È senza dubbio un difetto e una debolezza dell'anima quello di compiacersi delle proprie opere al punto di riposarsi in esse anziché trovar riposo da esse in se stessa, poiché essa possiede certamente una facoltà con cui quelle opere sono compiute, facoltà superiore alle stesse opere compiute. Per questo motivo il passo della Scrittura in cui si dice che Dio si riposò da tutte le opere che aveva compiute ci fa capire che Dio non si compiacque di nessuna sua opera come se avesse avuto bisogno di compierla o gli sarebbe mancato qualcosa non facendola, o sarebbe stato più beato facendola. Poiché tutto ciò che deriva da Dio è di tal natura che gli è debitore del proprio essere, mentre Dio non è debitore della propria felicità a nulla che deriva da lui stesso; ecco perché, amando se stesso al di sopra delle cose fatte da lui, non dichiarò sacro il giorno in cui cominciò a farle né quello in cui le portò a termine, perché non si pensasse che fosse aumentata la sua gioia di farle o d'averle fatte, ma consacrò il giorno in cui si riposò in se stesso dopo averle fatte. Egli, certamente, non è stato mai privo di questo riposo, ma ce ne ha rivelato il senso mediante il settimo giorno. Con ciò ha voluto anche mostrarci che solo i perfetti possono conseguire il suo riposo, dal momento che, per inculcarcelo, destinò solo il giorno che seguì al compimento di tutte le cose. Poiché egli, ch'è sempre in riposo, si riposò riguardo a noi quando ci fece conoscere d'essersi riposato.

Dio non ha bisogno delle opere da lui fatte.

16. 27. Occorre considerare attentamente anche il fatto ch'era necessario che ci fosse rivelato il riposo di Dio, per cui egli è felice per virtù propria, affinché noi comprendessimo in qual senso è detto che Dio si riposa in noi. Quest'affermazione va presa solo nel senso che Dio ci rende partecipi del riposo ch'egli ha in se stesso. Il riposo di Dio, quindi, se viene inteso come si deve, consiste nel non aver bisogno d'alcun bene estraneo; anche per noi quindi il riposo è in lui, poiché noi pure siamo resi felici dal bene ch'è lui stesso, mentre Dio non è reso felice dal bene che siamo noi. Anche noi infatti siamo un bene creato da lui, che ha fatto tutte le cose molto buone, tra le quali ha fatto anche noi. D'altra parte fuori di lui non esiste alcun essere buono, di cui egli non sia il creatore e perciò non ha bisogno d'alcun altro bene all'infuori di lui, poiché non ha bisogno del bene da lui creato. È questo il suo riposo da tutte le opere ch'egli ha fatto. Di quali beni avrebbe potuto Dio gloriarsi di non aver bisogno, se non ne avesse fatto alcuno? Si potrebbe infatti anche dire che Dio non ha bisogno d'alcun bene non per il fatto che si riposerebbe in se stesso dalle opere fatte, ma perché non ne avrebbe fatta assolutamente nessuna; ma nell'ipotesi che Dio non potesse creare cose buone, non avrebbe alcuna potenza; se invece ne avesse la potenza e non le facesse, avrebbe una gran gelosia. Poiché dunque Dio è onnipotente e buono, ha fatto tutte le cose molto buone; ma, poiché è perfettamente felice per il bene che è lui stesso, si riposò in se stesso da tutte le opere che aveva fatte, in virtù cioè del riposo di cui godette sempre. D'altronde, se la Scrittura dicesse che Dio si riposò dalle opere che doveva fare, noi non potremmo intendere ciò se non nel senso che non le fece; se d'altra parte non dicesse che si riposò dalle opere già fatte, ci persuaderebbe in modo meno convincente che Dio non ha bisogno delle cose fatte da lui.

Ecco perché si riposò dopo il sesto giorno.

16. 28. Se uno chiedesse: "Quale giorno, se non il settimo, era opportuno per farci capire questo insegnamento?", lo comprenderà se rammenterà come la perfezione del numero sei, di cui abbiamo parlato più sopra, è adatta a rappresentare la perfezione della creazione. Se infatti la creazione doveva essere portata a perfezione secondo il numero sei - come lo fu in realtà - e se ci doveva essere fatto conoscere il riposo di Dio con cui ci fosse mostrato ch'egli non è reso felice dalle sue creature neppure dopo ch'esse sono state portate a termine, era ovvio che in questo racconto della rivelazione il giorno da dichiarare sacro doveva essere quello che viene dopo il sesto, per eccitarci a desiderare questo riposo, e così trovare noi pure il nostro riposo in lui.

Il nostro riposo in Dio.

17. 29. Ora, se desiderassimo somigliare a Dio, in modo da riposarci anche noi dalle nostre opere in noi stessi allo stesso modo ch'egli si riposò dalle sue opere in se stesso, questa somiglianza non sarebbe santa, poiché noi dobbiamo riposarci in un bene immutabile e per noi questo bene è Colui che ci ha fatti. Questo sarà quindi il nostro supremo riposo completamente privo d'orgoglio e veramente santo. Per conseguenza, come Dio si riposò da tutte le sue opere, poiché per lui non le sue opere, ma è lui stesso il suo proprio bene e fonte della propria felicità, così anche noi dobbiamo sperare di trovare in lui solo il nostro riposo da tutte le opere non solo nostre ma anche sue; è questo ciò che dobbiamo desiderare dopo aver compiuto le opere buone che, sebbene si trovino in noi, le riconosciamo come sue anziché nostre. In tal modo si riposerà anche lui, dopo aver compiuto le sue opere buone, quando ci concederà di riposarci in lui in seguito alle opere buone che faremo dopo essere stati giustificati da lui. È un gran dono di Dio l'aver ricevuto l'esistenza da lui, ma sarà un dono più grande l'avere in lui il riposo, allo stesso modo che Dio è felice non perché fece le sue opere, ma perché non avendo bisogno neppure delle opere fatte, si riposò in se stesso anziché in esse. Ecco perché Dio dichiarò sacro non il giorno del suo operare, ma quello del suo riposo, poiché volle farci capire d'esser felice non già per aver fatto quelle opere ma per il fatto di non aver bisogno delle opere da lui compiute.

Conclusione: Dio si riposa sempre in se stesso poiché trova la sua felicità solo in se stesso.

17. 30. Che cosa c'è dunque di più semplice e facile a dirsi, ma anche più sublime e più difficile a concepirsi che Dio riposantesi da tutte le opere che aveva compiute? E dove mai Dio si riposa se non in se stesso, poiché è beato solo in se stesso? E quando, se non sempre? Rispetto però ai giorni riguardo ai quali la Scrittura narra il compimento delle cose create da Dio, dalle quali è distinto il racconto del riposo di Dio, quando mai Dio si riposò se non nel settimo, quello successivo al perfetto compimento delle creature? Dio infatti si riposa dopo aver portato a termine la creazione delle creature, ma, per poter essere più felice, non ha bisogno di esse neppure dopo averle compiute.

Perché il riposo di Dio non ha mattino né sera.

18. 31. Per quanto riguarda Dio è bensì vero che il suo riposo non ha né mattina né sera poiché non si apre con un inizio né si conchiude con una fine, ma per quanto riguarda le opere portate a compimento da Dio, il suo riposo ha un mattino ma non una sera, poiché la creatura perfetta ha una specie d'inizio della sua conversione verso il riposo del Creatore, ma essa non ha una fine paragonabile al termine della sua perfezione come l'hanno gli esseri che sono stati creati. Di conseguenza il riposo di Dio non comincia per lo stesso Dio ma per la perfezione delle cose create da lui, cosicché ciò ch'è portato alla perfezione da lui comincia a riposare in lui e ad avere in lui il mattino - poiché per quanto concerne il suo genere è limitato come da una sera - ma considerato in Dio non può aver più sera, per il fatto che non ci sarà nulla di più perfetto di quella perfezione.

Prima spiegazione: la fine del giorno è la sera, cioè la notte, e l'altro inizio è il mattino.

18. 32. Nell'interpretare i giorni della creazione noi prendevamo la sera nel senso ch'essa indicasse il limite della natura creata e il mattino seguente come indicante l'inizio di un'altra natura che doveva essere creata. Per conseguenza la sera del quinto giorno è il termine della creazione compiuta il quinto giorno, mentre il mattino susseguente alla sera dello stesso quinto giorno è l'inizio della creazione che doveva essere fatta il sesto giorno; compiuta la creazione di questo giorno venne di seguito la sera che fu per esso una specie di termine. E poiché non era rimasto nient'altro da creare, dopo quella sera venne il mattino affinché fosse non l'inizio della creazione d'un'altra creatura, ma l'inizio del riposo di tutte le creature nel riposo del Creatore. Poiché cielo e terra e tutto ciò che essi contengono, ossia tutto il mondo creato, spirituale e materiale, non sussiste in se stesso ma in Colui del quale la Scrittura dice: In lui viviamo, ci muoviamo e siamo 29, poiché, sebbene ciascuna parte possa essere nell'intero di cui è parte, tuttavia lo stesso intero è soltanto in Colui dal quale è stato creato. Non è quindi illogico pensare che al termine del sesto giorno successe il mattino alla sera non a significare l'inizio della creazione di un'altra creatura come nei giorni precedenti, bensì ad indicare l'inizio della permanenza e del riposo di tutto ciò ch'è stato creato nel riposo di Colui che l'ha creato. In Dio questo riposo non ha né inizio né fine; nella creatura invece ha un inizio ma non ha un termine. Per la stessa creatura il settimo giorno cominciò quindi con un mattino ma non termina con alcuna sera.

I giorni della creazione e quelli della nostra settimana.

18. 33. In effetti, se negli altri [sei] giorni [della creazione] la sera e il mattino indicano l'avvicendarsi dei tempi come quello che si compie nell'attuale durata d'ogni giorno, non vedo che cosa avrebbe impedito che anche il settimo giorno terminasse con una sera, e la notte terminasse con un mattino e di conseguenza la Scrittura - come per gli altri giorni - dicesse: "E fu sera e fu mattino: settimo giorno", dal momento che anch'esso è uno dei giorni - sette in tutto -, la cui ripetizione forma i mesi, gli anni e i secoli. In questa ipotesi il mattino successivo al settimo giorno sarebbe l'inizio dell'ottavo, di cui non sarebbe stato più necessario parlare in seguito, poiché sarebbe stato identico al primo, al quale si torna e dal quale ricomincia la serie dei giorni della settimana. È dunque più probabile che i giorni della nostra settimana, sebbene uguali per nome e numero a quelli della creazione, succedendosi gli uni agli altri, determinino con il loro corso la durata dei tempi, mentre quegli altri primi sei giorni si sarebbero svolti secondo un modo particolare a noi sconosciuto e inusitato durante la creazione stessa degli esseri. In quei primi sei giorni la sera e il mattino, come la luce e le tenebre, ossia il giorno e la notte, non davano origine ai nostri giorni attraverso i giri del sole: ciò siamo certamente costretti ad ammettere, almeno per i tre giorni ricordati e nominati prima della creazione dei luminari del cielo.

Come intendere il riposo di Dio e quello della creatura.

18. 34. Per questo motivo, quali che fossero in quei giorni la sera e il mattino, non si deve credere affatto che in quel mattino, successivo alla sera del sesto giorno, cominciasse il riposo di Dio - saremmo, in questo caso, sospettati d'immaginarci in modo sciocco e temerario che un bene temporale potesse sopraggiungere all'Eterno e all'Immutabile - ma si deve credere che il riposo di Dio, con cui si riposa in se stesso ed è felice grazie al bene ch'è lui stesso per se stesso, non ha per lui né principio né fine. Al contrario, il riposo di Dio, in quanto proprio della creazione portata a compimento, ha un inizio, poiché ciascun essere, nei limiti della propria natura, trova la sua perfezione non tanto nell'universo, di cui è parte, quanto piuttosto in Colui dal quale ha l'esistenza e nel quale sussiste lo stesso universo: solo in questo modo può aver riposo, mantenere cioè il grado del proprio peso. Per conseguenza tutto l'universo delle creature, che fu compiuto in sei giorni, ha nella sua natura una condizione diversa da quella che ha nell'ordine od orientamento per cui esso è in Dio, non come lo è Dio, ma tuttavia in modo da non trovare il riposo della propria stabilità se non nel riposo di Dio, il quale all'infuori di se stesso non agogna alcun altro bene per riposarvisi una volta che l'abbia raggiunto. Egli perciò, rimanendo in sé stesso, trae a sé tutto ciò ch'è fatto da lui affinché ogni creatura abbia in sé il limite della propria natura per cui essa non è ciò ch'è lui ma abbia in lui il luogo del proprio riposo, grazie al quale rimane ciò ch'essa è. So che il termine "luogo", da me usato, è improprio poiché in senso proprio è usato per lo spazio occupato dai corpi. Ma, poiché anche gli stessi corpi non restano fermi se non nel luogo in cui arrivano come spinti dal desiderio ch'è una specie di peso e, una volta trovatolo, sono in riposo, non è illegittimo usare questo termine trasportandolo dal senso concreto a quello spirituale, e parlare di luogo in questo senso, benché si tratti d'una cosa assai diversa.

Perché al mattino del settimo giorno non segue la sera.

18. 35. A mio parere, dunque, l'inizio del riposo nel Creatore goduto dalla creazione è significato nel mattino che venne dopo la sera del sesto giorno, poiché non avrebbe potuto riposarsi in lui se non dopo essere stata compiuta. Ecco perché, dopo che nel sesto giorno era stata compiuta la creazione di tutti gli esseri, alla sera successe il mattino a indicare il momento in cui la creazione finalmente terminata cominciò a riposarsi in Colui dal quale era stata creata. In questo inizio essa trovò Dio riposante in se stesso e in lui trovò ove poter riposarsi anch'essa in modo tanto più stabile e sicuro quanto più aveva essa bisogno di lui per riposarsi, e non lui di essa per il proprio riposo. Ma poiché tutto il mondo creato, nonostante ciò che potrà divenire a causa dei suoi mutamenti, di qualunque genere essi saranno, non cesserà di esistere e perciò rimarrà sempre nel suo Creatore, per conseguenza a quel mattino non seguì alcuna sera.

18. 36. Ciò abbiamo esposto al fine di spiegare perché il settimo giorno, in cui Dio si riposò da tutte le sue opere, ebbe il mattino dopo la sera del sesto ma non ebbe la sera.

Perché il settimo giorno non ebbe la sera: seconda spiegazione.

19. 36. A proposito di questo argomento c'è un'altra spiegazione che, a mio modesto avviso, ci può far capire nel senso più appropriato e migliore, ma un po' più difficile ad esporsi, come cioè il riposo della creazione ma anche di Dio in se stesso il settimo giorno ebbe un mattino senza una sera, cioè un inizio senza fine. Se infatti la Scrittura dicesse: "Dio si riposò il settimo giorno", senza aggiungere: "da tutte le sue opere che aveva compiute" sarebbe inutile indagare sull'inizio di questo riposo. Dio infatti non comincia a riposarsi poiché eterno è il suo riposo, senza inizio e senza fine. Ma poiché egli si riposò da tutte le sue opere che aveva compiute senza aver bisogno di esse, si comprende che il riposo di Dio non ha avuto né inizio né fine, mentre il suo riposo da tutte le opere da lui compiute comincia dal momento in cui le ha terminate. In realtà dalle sue opere, di cui non aveva bisogno, Dio non si sarebbe riposato prima che esistessero, pur non avendone bisogno neppure dopo il loro compimento. E poiché di esse egli non ha assolutamente mai avuto bisogno, e poiché la sua felicità, grazie alla quale non ne ha bisogno, non avrà bisogno di perfezionarsi con nessuna specie d'incremento, il settimo giorno non ebbe la sera.

Si pone il quesito se il settimo giorno fu creato.

20. 37. Ma possiamo porci senza dubbio - anche per l'imbarazzo causato da una doverosa riflessione - il quesito in qual senso intendere che Dio si riposò in se stesso da tutte le opere che aveva compiute, dal momento che sta scritto: E Dio si riposò nel settimo giorno 30. Poiché la Scrittura non dice: "in se stesso", ma solo: nel settimo giorno. Che cos'è dunque questo settimo giorno? È una creatura o solo uno spazio di tempo? Ma anche uno spazio di tempo è concreato insieme con la creatura temporale e perciò anch'esso è senza dubbio una creatura. Poiché non c'è e non avrebbe potuto esserci stato né potrà esserci alcuno spazio di tempo del quale Dio non sia il creatore. Se dunque anche questo settimo giorno è uno spazio di tempo, chi lo creò se non il Creatore di tutti i tempi? D'altra parte il precedente testo della sacra Scrittura mostra chiaramente con quali o in rapporto a quali creature furono creati quei sei giorni. Per quanto riguarda quindi questi sette giorni della nostra settimana, dei quali ci è familiare la natura, essi in realtà trascorrono ma in certo qual modo trasmettono i loro nomi agli altri giorni che loro succedono affinché quei sei giorni possano avere un nome; noi sappiamo - è vero - quando furono creati i primi sei di essi, ma il settimo giorno, chiamato con il nome di sabato, noi non vediamo quando Dio lo creò. Nel settimo giorno infatti Dio non creò nulla, anzi in quel medesimo giorno si riposò dalle opere ch'egli aveva compiute nei sei giorni precedenti. In qual modo si riposò, dunque, in un giorno ch'egli non aveva creato? Oppure, in qual modo lo creò subito dopo quei sei giorni, dal momento che nel sesto giorno terminò tutto ciò che aveva creato e nel settimo giorno non creò nulla, ma al contrario in quel giorno si riposò da tutte le opere che aveva fatte? Creò forse Dio un solo giorno, la cui ripetizione producesse molti altri periodi di tempo chiamati giorni che passano e trascorrono, e non c'era bisogno che creasse il settimo giorno, dato che questo non era che la settima ripetizione del giorno che aveva creato? In realtà la luce, di cui sta scritto: E Dio disse: Vi sia la luce. E la luce fu fatta 31, Dio la separò dalle tenebre e chiamò "giorno" la luce e "notte" le tenebre. Fu dunque allora che Dio creò il giorno, la cui ripetizione è chiamata dalla Scrittura "secondo giorno", poi "terzo" e così di seguito fino al "sesto", in cui Dio terminò le sue opere, e così poi la settima ripetizione del giorno creato per primo fu chiamato il "settimo" giorno in cui Dio si riposò. Per conseguenza il settimo giorno non è una creatura se non nel senso ch'esso è il settimo ritorno del medesimo giorno creato quando Dio chiamò "giorno" la luce e "notte" le tenebre.

La luce primordiale creata per l'avvicendarsi del giorno e della notte.

21. 38. Ricadiamo dunque nella difficoltà dalla quale ci sembrava d'essere usciti nel primo libro, e perciò dobbiamo domandarci ancora una volta in qual modo la luce potesse compiere i suoi percorsi circolari per produrre l'alternarsi del giorno e della notte non solo prima che fossero creati gli astri del cielo, ma anche prima che fosse creato lo stesso cielo chiamato firmamento, prima infine che apparisse alcuna forma visibile di terra o di mare che permettesse il ritorno circolare della luce con il succedere della notte là d'onde essa fosse sparita. Pressati dalla difficoltà di questo problema c'eravamo arrischiati di concludere la nostra discussione - diciamo così - avanzando l'opinione che la luce creata all'origine sarebbe la formazione della creatura spirituale; la notte al contrario sarebbe la materia ancor da formare nelle restanti opere della creazione, materia già creata allorché Dio in principio fece il cielo e la terra prima di fare il giorno per mezzo del suo Verbo. Ora però, considerate le riflessioni fatte riguardo al settimo giorno, è preferibile confessare che noi ignoriamo realtà molto lontane dai nostri sensi. Se la luce, chiamata "giorno", è una luce materiale, in qual modo produce continuamente la successione dei giorni e delle notti? Con il suo percorso circolare o con la sua contrazione ed emissione? Se invece è spirituale, in qual modo è stata presentata alla creazione di tutti gli esseri in modo da produrre il giorno con la sua stessa presenza e al contrario la notte con la sua assenza, la sera con l'inizio della sua assenza e il mattino con l'inizio della sua presenza? Noi preferiamo dunque confessare la nostra ignoranza su questo punto anziché pretendere d'andare contro le parole della sacra Scrittura in un punto manifesto dicendo che il settimo giorno è qualcosa di diverso dalla settima ripetizione del giorno creato da Dio. In caso diverso dovremmo dire che Dio non creò il settimo giorno o creò qualcos'altro dopo quei sei giorni, e cioè proprio il settimo giorno; e allora sarebbe falso quanto dice la Scrittura, che cioè Dio terminò tutte le sue opere il sesto giorno e il settimo si riposò da tutte le sue opere. Ma poiché ciò non può, certamente, essere falso, si deve concludere che la presenza di quella luce, che Dio fece "giorno", si ripeté nel caso della creazione ogni qual volta è nominato un "giorno" e anche nel settimo "giorno" nel quale Dio si riposò da tutte le sue opere.

La conoscenza mattutina e vespertina della creatura spirituale.

22. 39. Ma poiché noi non sappiamo con qual percorso circolare o con qual progresso e regresso la luce materiale poteva produrre l'alternarsi del giorno e della notte prima della creazione del cielo chiamato firmamento, nel quale furono creati anche gli astri, non dobbiamo abbandonare la questione senza esporre una nostra opinione. Se quella luce, creata al principio [della creazione], non è materiale ma spirituale, essa allora fu creata dopo le tenebre, nel senso che da uno stato informe raggiunse la propria formazione essendosi volta verso il suo Creatore; così pure il mattino è fatto dopo la sera quando, dopo aver conosciuto la propria natura per cui una cosa è diversa da Dio, si riporta a glorificare la Luce, ch'è Dio in persona, nella cui contemplazione essa viene formata. E poiché le altre creature, che sono ad essa inferiori, non sono create senza ch'essa ne abbia conoscenza, è certamente per questo che l'unico e medesimo giorno è ripetuto ogni volta; per conseguenza con la sua ripetizione ricorrono tanti giorni quante sono le diverse specie di creature, il cui compimento sarebbe simboleggiato dal numero sei. La sera del primo giorno sarebbe la conoscenza che quella luce ha pure di sé, d'essere cioè un essere diverso da Dio; il mattino successivo alla sera, con cui si conclude il primo giorno ed inizia il secondo, sarebbe invece la conversione della creatura spirituale per riferire alla gloria del Creatore il dono d'essere stata fatta e ricevere dal Verbo di Dio la conoscenza della creatura che viene dopo di lei, cioè il firmamento. Questo è fatto dapprima nella conoscenza di quella luce quando la Scrittura dice: E così avvenne e di poi è creato nella natura dello stesso firmamento prodotto quando la Scrittura, dopo aver già detto: E così avvenne, aggiunge: E Dio creò il firmamento 32. In seguito c'è la sera della luce spirituale, quando essa conosce il firmamento stesso non già nel Verbo di Dio come prima, bensì nella sua propria natura; questa natura, essendo inferiore, è giustamente denotata con il termine "sera". Viene dopo il mattino che conclude il secondo giorno e comincia il terzo. Anche in questo mattino la luce, ossia il giorno, si volge a lodare Dio per aver creato il firmamento e per ricevere dal Verbo la conoscenza della creatura che dev'essere creata dopo il firmamento. Ecco perché quando Dio dice: L'acqua che è sotto il cielo si ammassi in un sol luogo e appaia l'asciutto 33, quella luce conosce questa creazione grazie al Verbo di Dio, dal quale è proferita quella frase e perciò la Scrittura aggiunge: E così avvenne, cioè nella conoscenza che quella luce ne ha dal Verbo di Dio. In seguito, quando la Scrittura aggiunge: E l'acqua si ammassò 34 ecc., dopo aver detto già: E così avvenne, è fatta la creatura stessa nella sua propria specie. Ugualmente quando questa stessa creatura già fatta viene conosciuta da quella luce che ne aveva avuto conoscenza dal Verbo di Dio come un essere da creare, viene la sera per la terza volta, e così di seguito si susseguono le altre creazioni fino al mattino successivo alla sera del sesto giorno.

Differenza tra la conoscenza delle cose nel Verbo e quella delle cose in se stesse.

23. 40. C'è senza dubbio una gran differenza tra la conoscenza di qualunque essere nel Verbo di Dio e la conoscenza dello stesso essere nella sua propria natura, al punto che l'una può esser paragonata giustamente al giorno e l'altra alla notte. Poiché, a paragone della luce contemplata nel Verbo di Dio, ogni conoscenza, in virtù della quale conosciamo qualunque creatura in se stessa, può con ragione chiamarsi notte; questa conoscenza, d'altra parte, dall'errore o dall'ignoranza, di coloro che non conoscono neppure la creatura in se stessa, differisce tanto che, a paragone di quell'altra, non è illogico chiamarla giorno. Allo stesso modo la vita che i fedeli conducono in questa nostra carne e in questo mondo, a paragone della vita degli infedeli e degli empi, non senza ragione è chiamata luce e giorno, conforme all'affermazione dell'Apostolo che dice: Un tempo voi eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore 35, e ancora: Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce in modo da comportarci onestamente come in pieno giorno 36. Tuttavia se questo giorno non fosse anch'esso come una notte a paragone del giorno in cui, divenuti uguali agli angeli, vedremo Dio com'è realmente, in questa vita non avremmo bisogno della lampada della profezia, di cui l'apostolo Pietro dice: Noi abbiamo la saldissima parola dei Profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a una lampada che illumina un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori 37.

La conoscenza degli angeli.

24. 41. Dalle precedenti considerazioni deriva quanto segue: gli angeli santi, ai quali saremo uguali dopo la risurrezione 38, se seguiremo fino alla fine la via - cioè il Cristo che s'è fatto via per noi - contemplano sempre il volto di Dio e godono del Verbo, suo unico Figlio in quanto è uguale al Padre; inoltre in essi fu creata, prima di tutte le creature, la sapienza; ecco perché senza dubbio conoscono tutto il mondo creato - in cui proprio essi sono i primi esseri creati - dapprima nel Verbo di Dio, in cui sono le ragioni eterne di tutte le cose create - anche di quelle temporali - come in Colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose; essi poi hanno questa conoscenza nella stessa creazione, ch'essi conoscono guardandola nel Verbo, nella cui verità immutabile vedono, come esseri creati al principio, le ragioni in base alle quali è stata fatta una creatura. Nel primo caso dunque gli angeli vedono la creazione - per così dire - nel giorno, per la qual cosa anche la loro perfetta unità, in virtù della loro partecipazione alla Verità stessa, è il giorno creato per primo; nel secondo caso invece la vedono - per così dire - nella sera; ma viene subito il mattino - cosa che si può osservare per ognuno dei sei giorni - poiché la conoscenza degli angeli non si ferma nell'essere creato ma lo riferisce subito alla gloria e all'amore soprannaturale di Colui nel quale la creatura è conosciuta non come fatta ma come avrebbe dovuto essere fatta. Gli angeli sono il giorno rimanendo in questa Verità. Poiché se la creatura angelica si volgesse anche verso se stessa e si compiacesse più di sé che di Colui, la partecipazione con il quale forma la sua beatitudine, gonfiandosi di superbia, cadrebbe come il diavolo, del quale dovrà parlarsi a suo tempo, allorché dovremo spiegare in qual modo il serpente sedusse l'uomo.

Perché la Scrittura non parla della notte per i sei giorni della creazione.

25. 42. Gli angeli dunque conoscono - è vero - le creature nelle creature stesse, ma per loro libera scelta e predilezione preferiscono a siffatta conoscenza quella che hanno nella Verità, per mezzo della quale tutto è stato fatto e della quale sono partecipi. Ecco perché durante tutti i sei giorni [della creazione] non si parla di notte ma del primo giorno dopo una sera e un mattino; ugualmente si parla del secondo giorno dopo una sera e un mattino; in seguito, dopo una sera e un mattino, si parla del terzo giorno e così di seguito fino al mattino del sesto giorno, dopo il quale viene il settimo, giorno del riposo di Dio. Sebbene i giorni avessero le loro notti, tuttavia il racconto [della Scrittura] non parla delle notti, poiché la notte appartiene al giorno e non il giorno alla notte, quando i santi angeli del cielo riferiscono la conoscenza delle creature, da essi percepita nelle creature stesse, alla gloria e all'amore di Colui nel quale contemplano le ragioni eterne secondo le quali furono create; in virtù di questa contemplazione assolutamente unanime essi sono l'unico "giorno creato da Dio", al quale parteciperà anche la Chiesa una volta liberatasi dal peregrinare su questa terra, affinché possiamo esultare e rallegrarci in esso 39.

I sei giorni della creazione sono un unico giorno.

26. 43. Dopo che, dunque, questo giorno - la cui sera e mattino possono essere intesi nel senso già detto -, fu ripetuto sei volte, fu terminata tutta quanta la creazione e venne il mattino che compì il sesto giorno, dopo di che cominciò il settimo destinato a non aver sera perché il riposo di Dio non è una creatura. Allorché, durante tutti gli altri giorni [precedenti] venivano fatte le creature, queste una volta fatte venivano conosciute [dagli angeli] in se stesse in modo diverso da come erano conosciute in Colui, nella Verità del quale erano viste come dovevano esser fatte; questa conoscenza essendo - se così posso esprimermi - uno sbiadito aspetto della loro natura, costituiva la sera. Per conseguenza in questo racconto della creazione non si deve intendere più come "giorno" la formazione dell'opera stessa né come "sera" il suo compimento, né come "mattino" l'inizio d'un'opera nuova; altrimenti noi saremmo costretti ad affermare, contro la Scrittura, che oltre alle opere dei sei giorni fu fatta la creatura del settimo giorno oppure che lo stesso settimo giorno non è una creatura, mentre il giorno che fece Dio è lo stesso che si ripete in relazione alle opere create da Dio: questa ripetizione avviene non in base ad un percorso materiale ma alla conoscenza spirituale, quando il beato consorzio degli angeli contempla anzitutto la creatura nel Verbo di Dio, cioè nell'ordine espresso dalla Scrittura con la parola: Sia, e perciò la creatura è prodotta nella conoscenza degli angeli quando la Scrittura dice: E così fu fatto, e poi gli angeli conoscono lo stesso essere creato in se stesso - il che è simboleggiato dalla sera ch'era sopraggiunta -, e in seguito riferiscono la conoscenza dell'essere già creato a lode della Verità, in cui avevano visto la ragione dell'opera dal fare - cosa ch'è simboleggiata dal mattino sopravveniente. Pertanto, nel succedersi di tutti quei giorni v'è un giorno solo, da non concepirsi come siamo soliti concepire i nostri giorni che vediamo calcolati e contati in base al percorso del sole ma secondo un certo altro modo d'essere, applicabile anche ai tre giorni menzionati prima della creazione degli astri del cielo. Questa natura speciale del "giorno" si estese non solo fino al quarto "giorno" a partire dal quale potremmo immaginare gli altri come quelli attuali, ma si prolungò fino al sesto e al settimo giorno. Per conseguenza il "giorno" e la "notte" che Dio distinse tra loro bisogna intenderli in modo del tutto diverso dal nostro "giorno" e dalla nostra "notte" che, secondo la sua parola, dovevano essere distinti dagli astri del cielo ch'egli aveva creati allorché disse: Distinguano il giorno e la notte 40. Fu allora in realtà ch'Egli creò il giorno attuale, quando creò il sole, la cui presenza produce il giorno stesso, mentre il "giorno" creato all'origine delle cose si era già ripetuto tre altre volte quando, al suo quarto ripetersi, furono creati questi corpi luminosi del firmamento.

Differenza fra i giorni della nostra settimana e quelli della creazione.

27. 44. Data la nostra condizione di esseri mortali e terreni noi non possiamo avere né esperienza, né un concetto del[l'unico] giorno originario o di altri giorni [della creazione] contati in base al ripetersi di quello, anche se potessimo sforzarci di farcene un'idea. Per questo non dobbiamo precipitarci ad avanzare un'opinione più conforme alla realtà e più plausibile. Dobbiamo dunque credere che questi nostri sette giorni che, sul modello di quelli [della creazione], formano la settimana - attraverso il cui corso e ritorno trascorrono i tempi e nella quale ogni singolo giorno è formato dal percorso del sole dal suo sorgere a quello successivo - mostrano in un certo senso la successione dei giorni [della creazione], ma non dobbiamo avere il minimo dubbio ch'essi non sono simili a quelli, bensì molto diversi.

L'interpretazione data sulla luce e sul giorno spirituale.

28. 45. Quanto ho detto sia della luce spirituale, sia del giorno creato nella creatura spirituale e angelica, sia della contemplazione ch'essa ha nel Verbo di Dio, sia della conoscenza con cui conosce le creature in se stesse, sia infine del suo riferirle alla lode dell'immutabile Verità, in cui essa vedeva la ragione degli esseri da creare prima di conoscerli dopo essere stati creati, nessuno deve credere che sia applicabile a spiegare il "giorno" e la "sera" e il "mattino" in senso non già proprio ma solo in un senso - per così dire - figurato ed allegorico. È vero ch'essi sono interpretati in un senso diverso da quello che siamo soliti osservare ogni giorno nell'avvicendarsi di questa nostra luce materiale, ma non è vero che quaggiù la luce sia intesa in un senso figurato. Dove infatti la luce è più eccellente e più vera, ivi anche il giorno esiste in un senso più vero. Perché dunque il giorno non dovrebbe avere anche una sera e un mattino più veri? Se infatti nei giorni di quaggiù la luce ha un certo suo declino verso il tramonto, che noi chiamiamo sera e un suo ritorno a sorgere, che noi chiamiamo mattino, perché mai anche a proposito dei giorni della Genesi non dovremmo chiamare "sera" quando [lo spirito] dalla contemplazione del Creatore scende a guardare la creatura, e "mattino" quando dalla conoscenza della creatura s'innalza alla lode del Creatore? Neppure Cristo, infatti, è chiamato "luce" 41, allo stesso modo ch'è chiamato "pietra" 42. Egli è "luce" nel senso proprio, "pietra" invece in un senso figurato. Se dunque uno non accetta l'interpretazione che secondo la nostra capacità abbiamo potuto scoprire o congetturare ma, a proposito della successione ricorrente di quei "giorni", cerca un'altra interpretazione capace di far capire meglio ciò che attiene alla creazione degli esseri, non già nel senso profetico e figurato, ma in senso proprio, la cerchi pure e riesca a trovarla con l'aiuto di Dio. Può darsi infatti che trovi anch'io un'altra spiegazione forse più appropriata a quelle parole della Scrittura. Poiché questa mia interpretazione io non la difendo in modo talmente fermo da sostenere che non se ne possa trovare un'altra che si debba preferire, sebbene io sostenga fermamente che la sacra Scrittura non ha voluto rivelarci che il riposo di Dio fosse dovuto alla stanchezza o alla pena sofferta nell'occupazione.

Simultaneità della conoscenza angelica mattutina e vespertina.

29. 46. Qualcuno quindi potrebbe forse sostenere un'opinione in contrasto con la mia con altri argomenti e così affermare che gli angeli dei cieli più alti non contemplano prima le ragioni delle creature esistenti immutabilmente nell'immutabile verità del Verbo di Dio e poi le creature nella loro esistenza e in un terzo momento riferiscono la loro conoscenza delle creature in se stesse a lode del Creatore, ma che il loro spirito può fare tutto ciò in un solo istante con una straordinaria facilità. Potrà forse dire tuttavia - e se lo dirà, dovremo forse dargli ascolto? - che le migliaia di angeli della città celeste non contemplano l'eternità del Creatore o ignorano la mutabilità delle creature, oppure che dalla loro conoscenza di grado inferiore non si elevano a lodare il Creatore? Tutto ciò gli angeli potrebbero farlo e lo farebbero attualmente, e in realtà lo possono fare e lo fanno. Nello stesso istante dunque è per essi giorno, sera e mattina.

Negli angeli e in cielo è sempre giorno, sera e mattina rispetto alla conoscenza di Dio e delle creature.

30. 47. Non si deve infatti temere che uno, già capace di comprendere queste realtà, pensi per caso che questa simultaneità non possa aver luogo lassù, sotto il pretesto che ciò è impossibile si avveri nei giorni del mondo di quaggiù che sono effettuati dal percorso del sole che noi vediamo. Questa simultaneità non è certamente possibile in uno stesso punto della terra; chi però, volendo riflettere attentamente, non vedrebbe che il mondo nel suo insieme ha simultaneamente il giorno là dov'è il sole e la notte dove il sole non c'è, la sera dove esso tramonta e il mattino ove si presenta? D'accordo: sulla terra non possiamo di certo avere questi avvicendamenti simultanei ma non per questo dobbiamo tuttavia paragonare questa nostra condizione terrena e il percorso circolare della luce materiale nel tempo e nello spazio con quella della patria spirituale, dov'è sempre giorno per la contemplazione dell'immutabile verità, sempre sera per la conoscenza della creatura considerata in se stessa, e sempre mattina per il fatto di risalire da quella conoscenza al fine di glorificare il Creatore. Lassù infatti a produrre la sera non è il ritirarsi della luce superiore ma la diversità che distingue la conoscenza inferiore [da quella superiore]; il mattino inoltre non viene perché la conoscenza mattinale succede alla notte dell'ignoranza ma perché anche la conoscenza vesperale s'innalza a glorificare il Creatore. Infine anche il Salmista, senza menzionare la notte, dice: Alla sera, al mattino, a mezzogiorno io racconterò, annuncerò, e tu ascolterai la mia voce 43; forse in questo passo egli ha in mente le vicissitudini del tempo, ma tuttavia io penso che voglia anche indicare la vita che sarà immune dalle vicissitudini del tempo nella patria [celeste] a cui desiderava ardentemente d'arrivare dopo il pellegrinaggio terreno.

In che modo all'inizio della creazione il giorno, la sera e la mattina non erano simultanee nella conoscenza angelica.

31. 48. Ma se adesso il consorzio degli angeli e quell'unico giorno [primordiale] creato da Dio all'origine, porta in sé e possiede tutti quei tempi in un solo istante, li ebbe forse simultanei allorché furono creati gli esseri? Durante i sei giorni, in cui furono creati gli esseri che a Dio piacque di creare in ciascuno di quei giorni, il coro degli angeli ne aveva certamente il concetto dapprima nel Verbo di Dio perché fossero creati prima nella sua conoscenza quando veniva detto: E così fu fatto, e in seguito, quando gli esseri furono costituiti nella loro propria natura, in virtù della quale esistono, e piacquero a Dio perché sono buoni, certamente la natura angelica li veniva a conoscere di nuovo allora con una conoscenza di grado inferiore indicata con il termine "sera"; infine, terminata la sera, sorgeva di certo il mattino, quando l'angelo lodava Dio per la sua opera e dal Verbo di Dio riceveva la conoscenza di un' "altra creatura", da farsi in seguito, prima ancora d'essere fatta. Tutti questi spazi di tempo, dunque, cioè giorno, sera e mattina, non erano simultanei ma successivi, nell'ordine ricordato dalla Scrittura.

Se i giorni, sera e mattina furono simultanee nella conoscenza angelica, non furono senza un ordine.

32. 49. Si deve forse pensare invece che anche allora quei tre momenti erano simultanei, poiché non risultano gli spazi temporali simili a quelli di cui risultano i nostri giorni quando il sole sorge e tramonta e torna al suo punto di partenza, per poi sorgere di nuovo, ma erano relativi al potere spirituale dell'intelletto angelico che in un solo istante afferra tutto ciò che vuole e lo conosce senza alcuna difficoltà? Non per questo tuttavia detta conoscenza avviene senza l'ordine dal quale appare la connessione delle cause antecedenti con le conseguenti. In realtà non può darsi alcuna conoscenza se non ci sono già gli oggetti da conoscere e questi esistono nel Verbo, per mezzo del quale tutto è stato creato, prima di esistere in tutti gli esseri che sono stati fatti. L'intelligenza umana percepisce quindi prima le creature con i sensi del corpo e se ne forma un concetto secondo la capacità dell'umana debolezza, e dopo ne ricerca le cause per quanto può arrivare ad esse che risiedono originariamente e immutabilmente nel Verbo di Dio e in tal modo arrivare a vedere con l'intelletto le invisibili perfezioni di Dio nelle opere da Lui compiute 44. Con quanta lentezza e difficoltà vi riesca e con quanto tempo a causa del corpo corruttibile che aggrava l'anima 45, anche se è trascinata dal più ardente desiderio a far ciò con insistenza e con perseveranza, chi l'ignora? L'intelligenza angelica, al contrario, essendo unita al Verbo di Dio in virtù di pura carità, dopo essere stata creata secondo la gerarchia per cui doveva precedere tutte le altre creature, vide nel Verbo di Dio le cose, che dovevano essere create, prima che fossero create; in questo modo le cose furono fatte originariamente nella conoscenza angelica allorché Dio ordinò ch'esistessero, prima che fossero costituite nella loro propria natura; appena fatte l'angelo le conobbe ugualmente anche in se stesse, per mezzo d'una conoscenza certamente inferiore chiamata "sera". Anteriori a questa conoscenza già esistevano sicuramente le cose già create, poiché tutto ciò che può esser conosciuto è anteriore alla conoscenza [che se ne può avere]; se infatti non esiste già l'oggetto da conoscersi, esso non può esser conosciuto. Se però, dopo quella conoscenza, lo spirito angelico avesse provato piacere più in se stesso che nel Creatore, non vi sarebbe stato il mattino, cioè quello spirito non si sarebbe elevato dalla sua conoscenza a glorificare il Creatore. Ma quando venne il mattino, doveva essere creata e conosciuta una nuova creatura allorché Dio disse: Vi sia.... affinché di nuovo quella creatura fosse prodotta dapprima nella conoscenza dell'intelletto angelico e di nuovo potesse esser detto: E così fu fatto, e in seguito la creatura fosse costituita nella propria natura e l'angelo la conoscesse nella "sera" che seguì.

La luce creatrice e la luce creata.

32. 50. Ecco perché, sebbene non vi siano intervalli di tempo [in quel processo], tuttavia preesisteva già nel Verbo di Dio la ragione secondo la quale doveva esser fatta la creatura, allorché Dio disse: Vi sia la luce, e immediatamente apparve la luce mediante la quale fu formato e creato lo spirito angelico nella sua propria natura, ma l'essere di quella luce non fu l'effetto di qualche altra causa né fu creato altrove. La Scrittura perciò non dice prima: E così avvenne, e poi aggiunge: "E Dio creò la luce", ma immediatamente dopo essere stata pronunciata la parola di Dio, fu creata la luce, e la luce creata aderì alla Luce creatrice, Dio, vedendo Lui e se stessa in Lui, vedendo cioè la ragione in virtù della quale essa fu creata. Vide anche se stessa in se medesima cioè nella differenza esistente tra l'essere creato e il Creatore. Quando perciò Dio vide la sua opera essere buona e se ne compiacque, e dopo che la luce fu divisa dalle tenebre e la luce fu chiamata "giorno" e le tenebre "notte", seguì anche la "sera", essendo anch'essa una conoscenza necessaria perché la creatura si distinguesse dal Creatore, conoscendosi in se stessa diversamente che in Lui. Seguì poi il mattino perché avvenisse la conoscenza precedente di un'altra creatura che doveva esser creata dal Verbo di Dio, prima nella conoscenza dello spirito angelico e poi nella natura propria del firmamento. Ecco perché disse Dio: Vi sia il firmamento. E così avvenne 46 nella conoscenza della creatura spirituale che lo conobbe prima che fosse creato in se stesso. Di poi Dio fece il firmamento, cioè fece la natura del firmamento, la cui conoscenza meno perfetta fu - diciamo così - vespertina. E così avvenne sino alla fine di tutte le opere e fino al riposo di Dio, che non ha sera poiché non fu fatto come una creatura da poter essere oggetto d'una duplice conoscenza, e cioè una, per così dire, anteriore e più perfetta nel Verbo di Dio, paragonabile alla conoscenza nel giorno, e una conoscenza successiva e meno perfetta dello stesso riposo, paragonabile alla conoscenza nella sera.

La creazione avvenne simultaneamente o a intervalli di giorni?

33. 51. Ma se lo spirito angelico può afferrare simultaneamente tutte le cose che la Scrittura narra separatamente ad una ad una in base all'ordine delle cause connesse tra loro, possiamo chiederci: furono forse fatte simultaneamente anche tutte le cose, come il firmamento, l'ammassarsi delle acque in un sol luogo, l'apparire della terraferma, il germinare degli alberi e dei frutti, la formazione dei luminari del cielo e delle stelle, gli animali acquatici e terrestri? Tutte le cose non furono piuttosto create a intervalli di tempo ciascuna in un giorno fissato? O dobbiamo forse immaginare che la costituzione delle cose nella loro origine primordiale sia avvenuta non secondo l'esperienza che noi abbiamo dei loro movimenti naturali, ma secondo il mirabile e ineffabile potere della Sapienza di Dio che si estende con forza da un'estremità all'altra del mondo e governa con bontà ogni cosa 47? Infatti l'estendersi della Sapienza non è graduale né arriva - diciamo così - per passi successivi. Ecco perché quanto facile è per la Sapienza effettuare il suo movimento nella misura più efficace, altrettanto facile fu per Dio creare tutte le cose, poiché queste furono create per mezzo di essa; di conseguenza, se noi adesso vediamo le creature muoversi attraverso vari periodi di tempo per compiere le azioni proprie della natura di ciascuna di esse, ciò deriva dalle ragioni [causali] che Dio ha inserito in esse e che ha sparso a guida di semi nell'istante della creazione, quando disse e le cose furono fatte, comandò e le cose furono create 48.

Perché si deve sostenere la creazione simultanea delle cose.

33. 52. La creazione pertanto non avvenne lentamente affinché nelle creature, che sono lente per loro natura, potesse inserirsi un lento sviluppo né i secoli furono creati nello spazio di tempo con cui essi trascorrono. I tempi infatti conducono a termine le potenzialità relative allo sviluppo degli esseri in loro inserite quando furono creati in un attimo senza tempo. In caso contrario, se pensassimo che quando le cose furono create all'origine dal Verbo di Dio, i loro movimenti naturali e l'abituale durata dei giorni fossero come quelli che noi conosciamo, ci sarebbe stato bisogno non d'un solo giorno, ma di più giorni perché le piante, che si sviluppano dalle radici e rivestono la terra, germogliassero prima sotterra e poi spuntassero verso l'alto dopo un determinato numero di giorni, ciascuna secondo la sua specie. Dovremmo inoltre supporre che ciò fosse un processo continuo anche se la Scrittura narra la creazione della loro natura come avvenuta in un sol giorno, cioè nel terzo giorno. E poi quanti giorni sarebbero occorsi perché gli uccelli volassero se, venendo alla luce da un proprio germe primordiale, arrivarono a rivestirsi di piume e di penne seguendo i ritmi propri della loro natura? Si può forse dire ch'erano state create solo le uova quando la Scrittura dice che al quinto giorno le acque produssero ogni volatile alato secondo la sua specie? Oppure, se ciò potesse esser detto ragionevolmente, poiché nella sostanza liquida delle uova c'erano già tutti gli elementi che in un determinato numero di giorni si organizzano e si sviluppano in un certo modo - dato che v'erano già le stesse ragioni [seminali] determinanti il ritmo di sviluppo intimamente inserite in modo incorporeo negli esseri corporei -, perché non sarebbe giusto dire la stessa cosa anche prima che esistessero le uova, poiché nell'elemento liquido sarebbero già state prodotte le stesse ragioni [seminali] grazie alle quali gli uccelli sarebbero potuti nascere e arrivare al completo sviluppo nello spazio di tempo richiesto per ciascuna specie? La Scrittura infatti, a proposito del medesimo Creatore, del quale narra che terminò tutte le sue opere in sei giorni, in un altro passo, non contrastante con questo, dice che creò tutte le cose nello stesso tempo. Per conseguenza Colui che tutte le cose creò nello stesso tempo 49 anche simultaneamente fece questi sei o sette giorni o, per meglio dire, l'unico giorno ripetuto sei o sette volte. Che bisogno c'era dunque d'enumerare questi sei giorni in modo tanto preciso e ordinato? Sicuro: era necessario poiché quelli che non possono comprendere l'asserzione della Scrittura: [Dio] creò tutto nello stesso tempo 50, non potrebbero arrivare allo scopo a cui li conduce il racconto se questo non procedesse seguendo la lentezza dei loro passi.

Tutto fu creato simultaneamente ma tuttavia durante sei giorni.

34. 53. Come mai, dunque, diciamo che la presenza di quella luce fu ripetuta sei volte dalla sera al mattino nella conoscenza angelica, dal momento che le sarebbe stato sufficiente avere una sola volta simultaneamente gli stessi tre momenti di conoscenza, cioè il giorno, la sera e il mattino? Poiché, allo stesso modo che tutto l'universo fu creato nello stesso tempo, così anche all'angelo sarebbe bastato contemplarlo nello stesso tempo osservando il giorno nelle primordiali e immutabili ragioni causali, in base alle quali fu creato e osservando la sera conoscerlo nella sua propria natura e osservando il mattino elevarsi dalla stessa conoscenza inferiore e glorificare il Creatore. Oppure in qual modo precedeva il mattino per mezzo del quale la natura angelica conosceva nel Verbo ciò che Dio doveva creare per conoscere la stessa cosa anche in seguito nella sera se nulla fu creato "prima" e "dopo", poiché ogni cosa fu creata nello stesso tempo? Ma in realtà non solo le opere ricordate nel racconto [della creazione] furono fatte "prima" e "dopo" durante i sei giorni, ma ogni cosa fu creata anche simultaneamente, poiché è verace non solo il testo della Scrittura che narra le opere di Dio durante i suddetti giorni, ma anche quello che afferma che Dio creò tutte le cose nello stesso tempo e ambedue i passi sono l'unica e medesima Scrittura, poiché essa fu composta sotto l'ispirazione dell'unico e medesimo Spirito di verità.

Nelle cose create esiste un "prima" e un "poi" che non si possono definire alla stregua dell'ordinario corso dei tempi.

34. 54. Ma a proposito di questi avvenimenti, in cui il "prima" e il "poi" non ci vengono mostrati da intervalli di tempo, sebbene si possa parlare tanto di simultaneità che di "prima" e di "poi", tuttavia è più facile capirli parlando di simultaneità anziché di "prima" e di "poi". Quando per esempio noi vediamo il sole che sorge, è senza dubbio evidente che la nostra vista non potrebbe arrivare fino ad esso senza attraversare tutto lo spazio interposto tra noi ed esso dall'atmosfera e dal cielo. Ma chi sarebbe capace di calcolarne la distanza? Nemmeno la nostra vista o il raggio dei nostri occhi arriverebbe di certo ad attraversare l'atmosfera che sta al di sopra del mare, se prima non attraversasse quella che sta al di sopra della terra da un punto qualunque dell'entroterra in cui ci troviamo fino alla spiaggia del mare. Se poi nella medesima linea della nostra vista vi sono altre terre di là dal mare, la nostra vista non può oltrepassare nemmeno l'aria che si estende su quelle terre situate di là dal mare senza percorrere prima tutta l'estensione dell'atmosfera che sta al di sopra del mare che s'incontra dapprima. Supponiamo ora che, di là da quelle terre d'oltremare non ci sia altro che l'oceano; potrebbe la nostra vista attraversare anche l'atmosfera che si estende al di sopra dell'oceano senza prima attraversare tutta l'atmosfera che si trova al di sopra delle terre situate di qua dall'oceano? L'oceano poi, a quanto si dice ha un'estensione immensa, ma per quanto grande possa essere, è necessario che il raggio dei nostri occhi attraversi prima tutta l'atmosfera, che si trova al di sopra dell'oceano, e poi tutta quell'altra, ch'è di là dall'oceano, e poi alla fine arrivi al sole che noi vediamo. Orbene, per il fatto che abbiamo usato qui tante volte i termini "prima" e "dopo", non è forse vero che la nostra vista attraversa in un istante allo stesso tempo tutti quegli spazi? Se infatti ci mettessimo a occhi chiusi in faccia al sole con l'intenzione di vederlo, non crederemmo forse, appena riapertili, d'aver trovato il nostro sguardo nel sole prima ancora d'averlo fatto arrivare fino ad esso? In tal modo ci sembrerà che i nostri occhi non si siano ancora aperti che già lo sguardo è arrivato al punto cui tendeva! Ora è certo che questo raggio che si sprigiona dai nostri occhi è un raggio di luce fisica e raggiunge gli oggetti posti tanto lontani con tanta rapidità che non si può né calcolare né paragonare. È dunque evidente che tutte quelle estensioni tanto vaste e immense sono attraversate simultaneamente in un istante, ma non è meno evidente che se ne attraversa prima uno e poi un altro.

Tutto è stato creato simultaneamente e con ordine prestabilito.

34. 55. Con ragione l'Apostolo, volendo esprimere la rapidità della nostra risurrezione, dice che avverrà in un batter d'occhio 51. Nulla di più rapido può trovarsi tra i movimenti o gli impulsi dei corpi. Ma se la vista dei nostri occhi carnali è capace d'una siffatta rapidità, di che cosa non è capace la vista dell'intelligenza, anche di quella umana? A più forte ragione di che non è capace la vista dell'intelligenza angelica? Che dire allora della rapidità della suprema Sapienza di Dio, che arriva dappertutto grazie alla sua purezza, poiché nulla di contaminato vi s'infiltra 52? Ecco perché, riguardo alle cose che furono create simultaneamente, nessuno vede che cosa si sarebbe dovuto fare "prima" o "poi" se non lo scopre nella Sapienza, per mezzo della quale sono state create tutte le cose simultaneamente nell'ordine prestabilito.

Conclusione sui sei giorni: il "prima" e il "poi" esistono nella connessione delle creature, non nell'efficacia del Creatore.

35. 56. Se dunque il "giorno" creato da Dio all'origine è la creatura spirituale e razionale, cioè quella degli angeli dei cieli più alti e delle Potenze, esso fu fatto presente a tutte le opere di Dio [perché le vedesse] secondo un ordine di presenza uguale all'ordine della conoscenza. Grazie a questa conoscenza l'angelo da una parte conobbe precedentemente nel Verbo di Dio le creature da fare e dall'altra conobbe in se stesse quelle già fatte, ma ciò non avvenne attraverso una successione d'intervalli di tempo, ma "prima" e "dopo", solo in relazione alle singole creature, sebbene tutto sia simultaneo nell'atto creativo dell'Onnipotente. Poiché le creature destinate ad esistere nel futuro Dio le fece in modo da non essere lui stesso soggetto al tempo mentre faceva le cose temporali; ma egli fece i tempi che sarebbero dovuti scorrere. Così dunque i sette giorni della nostra settimana, spiegati e ripiegati dalla luce d'un corpo celeste nel suo percorso, sono come un segno allegorico che ci esorta a indagare sui giorni in cui la luce spirituale creata poté esser fatta presente a tutte le opere di Dio ordinate secondo la perfezione del numero sei. Che poi al settimo giorno il riposo di Dio ebbe il mattino ma non la sera, ciò non vuol dire che il riposo del settimo giorno significhi che Dio avesse bisogno del settimo giorno per riposarsi ma che Dio si riposò alla presenza degli angeli da tutte le sue opere solo nel proprio essere increato. Ciò vuol dire che la sua creatura angelica - la quale conoscendo le opere di Dio in Lui stesso e in se stesse, fu resa presente ad esse come un giorno seguito dalla sera - dopo tutte le opere molto buone di Lui non conobbe nulla di meglio di Lui che si riposa in se stesso da tutte le sue opere, non avendo bisogno di nessuna di esse per essere più felice.