LIBRO TERZO

 

Ammonimento introduttivo.

1. 1. La persona timorata di Dio cerca diligentemente nelle Sacre Scritture la volontà divina. Mansueto nella sua pietà, non ama i litigi; fornito della conoscenza delle lingue, non rimane incastrato in parole e locuzioni sconosciute; fornito anche della conoscenza di certe cose necessarie, non ignora la forza e l'indole delle medesime quando vengono usate come paragone. Si lascia anche aiutare dall'esattezza dei codici ottenuta mediante una solerte diligenza nella loro emendazione. Chi è così equipaggiato venga pure ad esaminare e risolvere i passi ambigui della Scrittura. Per non essere tratto in inganno da segni ambigui, per quanto possibile, si lascerà equipaggiare anche da noi. Potrà, è vero, succedere che egli, o per l'acutezza del suo ingegno o per la lucidità derivatagli da un'illuminazione superiore, derida come puerili le vie che nelle presenti pagine gli vogliamo mostrare. Tuttavia, come avevo cominciato a dire, nella misura che può essere istruito da noi, colui che si trova in quello stato d'animo che gli consenta di ricevere il nostro ammaestramento sappia che la Scrittura può presentare ambiguità sia nelle parole proprie sia in quelle traslate. Di queste due specie di linguaggio abbiamo già trattato nel secondo libro.

Come ovviare all'ambiguità di certi passi scritturali.

2. 2. Quando sono le parole proprie a rendere ambigua la Scrittura, per prima cosa bisogna vedere se per caso non abbiamo distinto male o mal pronunciato la frase. Che se, nonostante l'attenzione prestata, lo studioso si avvede chiaramente essere incerto il modo di distinguere o di pronunziare, consulti la regola della fede che ha ottenuto attraverso i passi scritturali più facili o mediante l'autorità della Chiesa, come abbiamo esposto nel primo libro parlando delle cose. Se poi tutte e due o tutte quante le parti (quando sono più di due) suonano ambigue a tenore della fede, occorre consultare il testo stesso del discorso nelle parti precedenti e in quelle susseguenti, che contengono in mezzo il passo con ambiguità, perché possiamo vedere a quale interpretazione, delle molte che si presentano, vada la preferenza per essere più strettamente inserita nel contesto.

Badare alla punteggiatura per evitare ambiguità.

2. 3. Per ora considera degli esempi. Gli eretici così distinguono la frase: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e Dio era, sicché viene a cambiarsi il senso del verso successivo in: Questo Verbo era in principio presso Dio, e chi dice così non vuol confessare che il Verbo è Dio. Ma una tale lettura deve essere scartata a tenore della regola della fede, in forza della quale ci si impone l'uguaglianza nella Trinità, per cui dobbiamo leggere: E il Verbo era Dio e poi proseguiamo: Egli era in principio presso Dio 1.

Esempi illustrativi.

2. 4. Ecco ora un'altra ambiguità di distinzione che in nessuna delle due parti si oppone alla fede, e pertanto la si deve valutare dal tenore stesso del discorso. E' là dove l'Apostolo dice: Ciò che dovrei scegliere lo ignoro; sono infatti stretto da due cose: desidero essere sciolto [da questo corpo] ed essere con Cristo, cosa di gran lunga migliore; rimanere però nella carne è necessario per il vostro bene 2. Incerto se si debba leggere: Ho desiderio di due cose o: Da due cose sono stretto, a cui si aggiungerebbe: desiderando d'essere sciolto ed essere con Cristo. Ma poiché continua: Cosa di gran lunga migliore, appare che egli dice di desiderare quella che è di gran lunga migliore, in maniera tale che, essendo stretto fra due cose, di una ha desiderio, dell'altra invece necessità: desiderio di essere con Cristo, necessità di rimanere nella carne. Questa ambiguità viene dissolta dalla parola che segue e che vi è stata aggiunta, cioè infatti. I traduttori che omisero questa paroletta sono stati portati a quella interpretazione che fa sembrare l'Apostolo non solo stretto da due cose ma anche avere desiderio di due cose. Così dunque bisogna separare: E ciò che debba scegliere ignoro; sono stretto però da due cose, alla quale separazione segue: Avendo desiderio di essere sciolto per essere con Cristo. E come se gli si chiedesse perché mai avesse di preferenza un tale desiderio, dice: E' infatti cosa di gran lunga migliore. In che senso allora è stretto da due cose? Perché aveva anche la necessità di rimanere, a proposito della quale soggiunge: Restare però nella carne è necessario per il vostro bene.

Ambiguità di separazione insolubile.

2. 5. Dove l'ambiguità non può essere dissolta né dalla regola della fede né dal testo del discorso in se stesso, nulla si oppone a che la frase venga separata secondo l'una o l'altra delle possibilità che si presentano. Così è di quella frase ai Corinti: Avendo dunque, o carissimi, queste promesse, purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, realizzando la santificazione nel timore di Dio. Capiteci! Non abbiamo nociuto a nessuno 3. È veramente dubbio se si debba leggere: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e dello spirito, in conformità con la frase: Perché sia santa nel corpo e nello spirito 4, ovvero: Purifichiamoci da ogni sozzura della carne e poi, con senso diverso: E realizziamo la santificazione dello spirito nel timore di Dio. Capiteci! Tali ambiguità di separazione sono lasciate all'arbitrio di chi legge.

Pronunce e accentuazioni dubbie.

3. 6. Quel che abbiamo detto circa l'ambiguità nelle separazioni si deve osservare anche nelle ambiguità di pronuncia. In effetti, anche queste, se non siano viziate da un'eccessiva trascuratezza del lettore si debbono rettificare a tenore delle regole della fede e del contesto antecedente o conseguente del discorso. Se a nessuno dei due motivi si ricorre per ottenere una pronuncia corretta, l'una e l'altra pronuncia resterà dubbia, per cui, in qualsiasi modo il lettore pronunzierà, sarà incolpevole. La fede, ad esempio, ci fa credere che Dio non si erge ad accusatore dei suoi eletti e che Cristo non condanna i suoi eletti. Se non ci dissuadesse questa fede, quel detto [di Paolo] potrebbe pronunciarsi: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? con un tono di interrogazione, a cui segua quasi la risposta: Dio che giustifica. E di nuovo, dopo l'interrogazione: Chi è che condanna? si potrebbe rispondere: Cristo Gesù che è morto 5. Ma siccome questo è quanto di più pazzesco possa pensarsi, lo si dovrà pronunciare in modo che preceda la questione e segua l'interrogazione. Tra questione e interrogazione gli antichi dissero che c'è questa differenza: alla questione si possono dare svariate risposte, mentre nell'interrogazione si può rispondere solo: " No " o " Sì ". Si pronunzierà dunque così. Dopo il quesito con cui chiediamo: Chi si farà accusatore degli eletti di Dio? si pronunzierà in tono interrogativo: Dio che giustifica? e la risposta sarà un sottinteso: " No ". E così dopo il quesito: Chi è che condanna? deve parimenti seguire l'interrogativo: Cristo Gesù che è morto, che anzi è risorto, che è alla destra di Dio e intercede per noi 6? di modo che si risponda sempre con un " No " sottinteso. Diverso è il passo dove dice: Che diremo dunque? Che i pagani che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia 7. Se dopo il quesito che suona: Che diremo dunque? non si facesse seguire la risposta [affermativa]: Che le genti che non praticavano la giustizia hanno conquistato la giustizia, la frase conseguente mancherebbe di coesione [con l'antecedente]. Si è invece liberi nel pronunziare l'espressione di Natanaele: Da Nazaret può venire qualcosa di buono 8. Può solo in parte ritenersi affermativa, inserendo nell'interrogazione solo le parole: Da Nazaret? ovvero a tutta la frase può estendersi il dubbio di chi interroga. Non vedo in base a che possa farsi la scelta e, inoltre, quanto al senso, la fede non esclude né l'uno né l'altro.

Il testo e il contesto aiutano a risolvere frasi ambigue.

3. 7. C'è anche un'ambiguità derivante dal suono dubbio delle sillabe, ambiguità che rientra anch'essa nell'ambito della pronuncia. Prendiamo il passo scritturale: A te non è nascosto il mio " os ", che tu hai fatto nel segreto 9. A chi legge non è palese se la sillaba " os " debba pronunziarsi breve o lunga. Se si legge breve, al singolare, deve leggersi nel senso che il suo plurale sia " ossa "; se si legge lunga, è il singolare di quel plurale che è ora (" bocche "). Tali problemi si risolvono guardando alla lingua precedente, e difatti in greco non c'è scritto ma . Ne segue che il più delle volte l'uso popolare di parlare è più utile dell'integrità letterale per darci il senso delle cose. Ed effettivamente io preferirei che, nonostante il barbarismo, si dicesse ossum (non ti è nascosto il mio ossum) anziché la frase, per essere più latina, diventasse meno chiara. A volte però capita che il suono dubbio di una sillaba sia determinato anche da un verbo vicino appartenente alla stessa frase. Così nel detto dell'Apostolo: Riguardo a queste cose vi predico, come già vi ho predetto, che chi fa ciò non possederà il regno di Dio 10. Se avesse soltanto: Riguardo a queste cose vi predico ma non avesse aggiunto: come già vi ho predetto, soltanto col ricorso al codice scritto nella lingua anteriore si sarebbe potuto conoscere se nella parola predico la sillaba di mezzo era da pronunziarsi lunga o breve. Invece è evidente che occorre pronunziarla lunga poiché egli non aggiunge: Come vi ho predicato, ma: Come vi ho predetto.

Esempi di come risolvere frasi ambigue.

4. 8. Allo stesso modo vanno considerate non solo le ambiguità di questo genere ma anche quelle che non riguardano la punteggiatura o la pronuncia. Tale è quella di 1 Tessalonicesi: Per questo ci siamo consolati, o fratelli, in voi 11. È dubbio se si debba leggere: " o fratelli ", ovvero: " i fratelli ". Nessuna delle due lezioni è contraria alla fede; ma la lingua greca non ha identici questi due casi, per cui, stando al greco, si reclama il vocativo, cioè: " o fratelli ". Che se il traduttore avesse voluto mettere: Per questo abbiamo avuto consolazione in voi, o fratelli, sarebbe stato più libero riguardo alla parola ma avrebbe fatto venir meno dubbi sul senso della frase. Così se avesse aggiunto un " nostri ". Nessuno dubiterebbe trattarsi di caso vocativo ascoltando la frase: Per questo ci siamo consolati, o nostri fratelli, in voi. Ma è pericoloso permettere licenze come questa. Lo stesso è accaduto nella 1 Corinzi, dove l'Apostolo dice: Ogni giorno muoio per la vostra gloria, fratelli, che ho in Cristo Gesù 12. Dice infatti un traduttore: Ogni giorno muoio - lo giuro - per la vostra gloria, in quanto la parola indicante giuramento [] è palese né presenta ambiguità. Concludendo: molto raramente e difficilmente si trovano nei libri delle divine Scritture delle ambiguità di parole prese in senso proprio che non si risolvano mediante il contesto del discorso - dal quale si chiarisce l'intenzione dello scrittore - o mediante il confronto con altri traduttori o controllando il passo nella lingua antecedente.

È grande schiavitù dello spirito fermarsi ai segni invece di cercare le cose significate.

5. 9. Viceversa le ambiguità in fatto di parole traslate, di cui dobbiamo parlare d'ora in poi, postulano una cura e diligenza non ordinarie. E prima di tutto occorre stare attenti per non prendere alla lettera un'espressione figurata. A questo infatti dice riferimento il detto dell'Apostolo: La lettera uccide, lo spirito dà vita 13. In realtà, se quanto detto figuratamente lo si prende come detto in senso proprio, si è uomini dai gusti carnali. E nulla merita di più il nome di morte dell'anima che non l'essere schiavi della lettera e così assoggettare alla carne l'intelligenza, vale a dire ciò per cui si è superiori alle bestie. Chi infatti segue la lettera prende la parola traslata in senso proprio, e non è capace di riferire il significato di un termine proprio ad un altro significato. Se, ad esempio, sente parlare di" sabato ", non comprende se non uno dei giorni della settimana che nel loro corso si ripetono continuamente. Se ode " sacrificio ", con il pensiero non va oltre a quello che suol farsi con l'immolazione di animali o l'offerta di frutti della terra. Finalmente è una grande schiavitù dello spirito, che immiserisce l'uomo, prendere i segni in luogo delle cose e non poter elevare gli occhi della mente al di sopra delle creature corporee per attingere la luce eterna.

La lettera uccide, lo Spirito dà vita. Espressioni figurate.

6. 10. Nel popolo giudaico questa schiavitù era ben differente da quella che costumava presso le altre nazioni. Sebbene fossero asserviti alle cose temporali, da queste tuttavia essi sapevano trarre la nozione dell'unico Dio. E sebbene osservassero quel che era solamente simbolo delle realtà spirituali al posto delle realtà in se stesse non sapendo a che cosa si riferissero tali simboli, tuttavia questo avevano ben fisso nella mente: con il loro servizio piacere all'unico Dio di tutti, anche se essi non lo vedevano. Di queste cose scrive l'Apostolo 14 che erano come una prigione per dei piccoli ancora sotto il pedagogo. Ne conseguì che, aderendo con pertinacia a questi segni, quando venne il tempo della rivelazione non poterono tollerare il nostro Signore 15, che non calcolava le loro pratiche. I loro principi inventarono calunnie, poiché egli non osservava il sabato 16, e il popolo, legato a quei segni quasi fossero il significato oggettivo delle cose, non credeva che egli fosse Dio o fosse venuto da Dio, dal momento che si rifiutava di prestare attenzione a quelle cose come venivano praticate dai giudei. Ma quei giudei che abbracciarono la fede e che formarono la primitiva Chiesa di Gerusalemme mostrarono a sufficienza quanti vantaggi si potessero ricavare dall'essere incarcerati in tal modo sotto il pedagogo. I segni imposti temporaneamente a chi era schiavo [della legge] valsero a sollevare il pensiero di quei che la osservavano al culto dell'unico Dio, creatore del cielo e della terra. Difatti nelle stesse promesse e nei segni temporali e carnali, sebbene non sapessero che li si doveva intendere in senso spirituale, tuttavia avevano imparato da essi a venerare l'unico eterno Dio. Orbene, quei credenti che erano molto vicini all'ordine spirituale si trovarono così ben disposti a ricevere lo Spirito Santo che vendevano tutto quello che avevano, ne ponevano il ricavato ai piedi degli Apostoli perché fosse distribuito ai poveri 17 e consacravano totalmente se stessi a Dio a guisa di nuovo tempio, pur essendo ancora asserviti alla sua immagine terrestre, cioè al vecchio tempio.

6. 11. Non è infatti scritto che ciò abbia fatto una qualsiasi altra chiesa del paganesimo, in quanto coloro che avevano per dèi i simulacri fatti da mano d'uomo non si erano trovati altrettanto vicini alla divinità.

Le genti schiave di segni vani.

7. 11. E se talvolta alcuni di loro si sforzavano di intendere come segni quei simulacri, li riferivano al culto e alla venerazione di creature. Per esempio, cosa mi giova il simulacro di Nettuno se non lo ritengo come dio ma penso che con esso si indica l'universalità dei mari o anche tutte le altre acque che scaturiscono dalle fonti? In tal modo infatti è descritto da uno dei loro poeti, il quale, se ben ricordo, dice così: Tu, padre Nettuno, le cui tempie canute risuonano circondate dal mare fragoroso, a cui il grande oceano scorre costantemente sulla barba e i fiumi vagano lungo i capelli 18. Queste sono ghiande che racchiuse in dolce guscio son capaci di far rumore urtando nei sassolini, ma non sono cibo per uomini bensì per maiali. Ciò che voglio dire lo comprende chi conosce il Vangelo 19. Cosa mi giova infatti che il simulacro di Nettuno abbia un tal significato non in quanto mi dissuade dal venerare ambedue le cose? Per me infatti non è Dio né una qualsiasi statua né l'universalità dei mari. Ammetto tuttavia che sono sprofondati più giù coloro che reputano dèi le opere degli uomini che non coloro che reputano tali le opere di Dio. Ma a noi si comanda di amare e venerare l'unico Dio 20, che ha creato tutte le cose delle quali essi venerano i simulacri ritenendoli o dèi o segni e immagini di divinità. Se dunque prendere un segno istituito inutilmente invece della cosa stessa per significare la quale era stato istituito è un asservimento carnale, quanto non lo è più prendere per le cose in se stesse i segni istituiti per significare cose inutili? Che se li riferisci alle cose stesse che con tali segni vengono rappresentate e inclinerai lo spirito ad onorarli, non per questo ti esenterai da ogni peso e velo di servitù carnale.

Libertà cristiana e schiavitù dei Giudei e dei pagani.

8. 12. La libertà cristiana trovò alcuni assoggettati a segni utili e, per così dire, a sé vicini. A costoro interpretò loro quei segni a cui stavano assoggettati ed elevandoli alle realtà di cui le cose precedenti erano segni, li portò alla libertà. Da loro furono formate le Chiese dei santi Israeliti. Quanto invece a quelli che trovò assoggettati a segni inutili, ridusse al nulla non solo la condizione servile con cui erano stati sotto tali segni ma anche gli stessi segni e tutto spazzò via: sicché le genti si convertirono dalla depravazione consistente nella moltitudine di falsi dèi - cosa che spesso e appropriatamente la Scrittura chiama fornicazione - al culto di un solo Dio. D'ora in poi esse non sarebbero state asservite nemmeno ai segni utili ma avrebbero piuttosto esercitato il loro animo a comprenderli spiritualmente.

Prerogativa ed efficacia dei segni del Cristianesimo.

9. 13. È asservito al segno chi compie, o venera, una qualche cosa che ha valore di segno senza sapere cosa significhi. Chi al contrario compie, o venera, un segno utile istituito da Dio e ne comprende la forza significativa, non venera ciò che si vede e passa ma piuttosto ciò a cui tutti i segni di questo genere debbono essere riferiti. Orbene, un tal uomo è spirituale e libero, anche all'epoca della schiavitù, quando quei segni non dovevano essere ancora rivelati ad animi carnali, che bisognava fossero domati dal loro giogo. Uomini spirituali di questa sorta erano i Patriarchi e i Profeti e tutti quegli Israeliti ad opera dei quali lo Spirito Santo ci ha fornito il sussidio e la consolazione della Scrittura. Quanto poi al tempo presente, dopo che la risurrezione del nostro Signore ci ha fatto risplendere in modo quanto mai palese il suggello della nostra libertà, non siamo più appesantiti dal compito gravoso di portare quegli [antichi] segni che ora comprendiamo. In luogo dei molti, lo stesso Signore e la dottrina degli Apostoli ce ne ha dati alcuni pochi, che sono facilissimi a farsi, venerabilissimi a comprendersi, santissimi a osservarsi. Tali sono il sacramento del Battesimo e la celebrazione del Corpo e del Sangue del Signore. Quando uno li riceve, essendo stato istruito, sa a che cosa si riferiscano e li venera non con asservimento carnale ma con libertà spirituale. Ma come seguire la lettera e prendere i segni invece delle cose da loro significate indica debolezza servile, così interpretare i segni in maniera inutile indica l'errore di una mente che vaga nelle vie del male. Chi poi non comprende il significato di un segno ma si rende conto che si tratta di un segno, nemmeno costui è soggetto a schiavitù. È meglio tuttavia essere sotto il giogo di segni sconosciuti ma utili anziché interpretarli in maniera insulsa cacciando nel laccio dell'errore la testa ormai liberata dal giogo della schiavitù.

Accertarsi se una locuzione è propria o figurata.

10. 14. A questa norma per la quale badiamo a non prendere come propria una locuzione figurata, cioè traslata, occorre aggiungere anche l'altra, cioè a non prendere come figurata una locuzione propria. Occorre dunque presentare prima il modo di trovare se una locuzione è propria o figurata. E il modo è precisamente questo: nella parola di Dio tutto ciò che, se preso propriamente non si può riferire all'onestà della condotta e alla verità della fede, lo devi ritenere come figurato. Nell'onestà della condotta rientra l'amore di Dio e del prossimo, nella verità della fede la conoscenza di Dio e del prossimo. Quanto alla speranza, ciascuno ha nella propria coscienza il sentimento di come e quanto abbia progredito nell'amore e nella cognizione di Dio e del prossimo. Ma di tutto questo si è parlato nel libro primo.

Autorità dell'insegnamento scritturale e valutazioni umane.

10. 15. Siccome però l'uomo inclina a valutare i peccati non dai momenti della passione ma piuttosto dall'abitudine, accade spesso che ogni uomo giudica degno di condanna soltanto ciò che gli uomini della sua patria e del suo tempo son soliti disapprovare e condannare e degno di approvazione e di lode ciò che tollera la consuetudine di coloro in mezzo ai quali vive. Ne segue che, se la Scrittura o comanda ciò che è in contrasto con la consuetudine di queste persone o disapprova ciò che non lo è, qualora l'animo degli uditori è stato preso e avvinto dall'autorità della parola, essi riterranno trattarsi di una locuzione figurata. Ebbene, la Scrittura non comanda altro che la carità né dichiara colpevole altro che la cupidigia, e in tal modo forma i costumi degli uomini. Parimenti, se una opinione erronea si è stabilita nell'animo di qualcuno, egli riterrà figurato tutto ciò che la Scrittura asserisce essere di significato diverso. Ma la Scrittura non afferma se non ciò che risponde alla fede cattolica e quanto al passato e quanto al futuro e quanto al presente. Essa infatti è un racconto del passato, un preannunzio del futuro e una descrizione del presente; ma tutto questo è ordinato a nutrire e corroborare la stessa carità e a superare ed estinguere la cupidigia.

Carità e cupidigia.

10. 16. Chiamo carità il moto dell'animo che porta a godere di Dio per se stesso e di sé e del prossimo per amore di Dio. Chiamo invece cupidigia il moto dell'animo che porta a godere di sé, del prossimo e di qualsiasi oggetto non per amore di Dio. Ciò che la cupidigia non soggiogata fa compiere per corrompere l'anima e il corpo si chiama licenziosità; ciò che fa compiere per danneggiare gli altri si chiama delitto. Queste sono le specie di tutti i peccati, ma le licenziosità precedono l'altra specie. Quando la licenziosità ha svuotato l'animo e l'ha ridotto alla miseria - chiamiamola così - si passa al delitto, mediante il quale si eliminano gli ostacoli della licenziosità o le si cercano i supporti. Così è della carità. Quanto uno fa per giovare a se stesso si chiama utilità; quanto fa per giovare al prossimo si chiama benevolenza. Anche qui precede l'utilità, perché nessuno può giovare all'altro mediante ciò che non ha. Comunque, quanto più si abbatte del regno della cupidigia, tanto più si estende il regno della carità.

Interpretazione di passi o frasi dure poste in bocca a Dio.

11. 17. Ebbene, quando nelle Sacre Scritture si legge qualcosa di duro e, per così dire, di crudele e lo si attribuisce a Dio o ai suoi servi, ciò è diretto a distruggere il regno della cupidigia. E se la cosa appare palesemente, non ci si deve riferire ad altro quasi che la cosa sia detta a scopo figurativo. Tale è il testo dell'Apostolo: Tu accumuli su di te l'ira [di Dio] per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: a coloro che mediante la perseveranza nelle opere buone cercano la gloria, l'onore e l'incorruttibilità [renderà] la vita eterna; viceversa per coloro che sono litigiosi e non credono alla verità ma all'iniquità ci saranno ira e sdegno. Tribolazione ed angoscia per ogni uomo che opera il male, prima per il Giudeo e poi per il Greco 21. Questo vale per coloro che, non avendo voluto vincere la cupidigia, questa viene distrutta insieme con loro. Al contrario, per l'uomo su cui la cupidigia un tempo dominava ma il suo regno è stato poi demolito, vale quella chiara espressione: Coloro poi che sono di Gesù Cristo han crocifisso la propria carne con le sue passioni e concupiscenze 22. Certo, anche in questi testi alcune parole sono usate in senso traslato, per esempio: " ira di Dio " e " hanno crocifisso ", ma non sono molte né sono poste in modo da rendere oscuro il senso, costituendo o un'allegoria o un enigma, che a mio parere sono da chiamarsi espressioni strettamente figurate. Osserviamo ora le parole di Geremia: Ecco, oggi ti costituisco al di sopra dei popoli e dei regni, perché tu sradichi e distrugga, e disperda e annienti 23. Non c'è dubbio che tutta la frase sia figurata e quindi da riferirsi al fine di cui abbiamo parlato.

Interpretazione di comportamenti meno onesti del V. T..

12. 18. Ci sono nella Scrittura delle cose, detti o fatti che siano, che agli impreparati sembrano quasi delle scostumatezze, eppure le si attribuiscono a Dio o a degli uomini di cui ci si elogia la santità. Sono tutte cose figurate, e il loro senso occulto deve essere sviscerato in modo che possa nutrire la carità. In effetti, chi usa delle cose transeunti con più ristrettezza di quanto non le usino coloro in mezzo ai quali vive o è un asceta o è un superstizioso; chi invece le usa in modo da oltrepassare i limiti soliti a rispettarsi dalla gente perbene in mezzo a cui si trova o sottintende un qualche significato occulto o si tratta di una persona svergognata. In tutti questi casi è in colpa non l'uso delle cose ma la passione di colui che le usa. Così nessun uomo assennato potrà credere che i piedi del Signore furono bagnati da quella donna con unguento prezioso 24 come lo sogliono i piedi dei lussuriosi e dei depravati, di cui detestiamo i banchetti. Difatti il buon odore rappresenta la buona fama, che ciascuno consegue con le opere della vita buona mentre è incamminato sulle orme di Cristo e ne cosparge i piedi con odore preziosissimo. In questo modo ciò che negli altri uomini spesso è licenziosità, nella persona divina o profetica è segno di una realtà sublime. Così una cosa sono i rapporti con una prostituta nelle persone scostumate, un'altra nel vaticinio del profeta Osea 25. E se nei banchetti degli ubriaconi e dei depravati ci si mette scostumatamente a corpo nudo, non per questo è scostumatezza denudarsi nel fare il bagno.

Nel giudizio badare ai luoghi, ai tempi e alle persone.

12. 19. Occorre pertanto badare diligentemente a ciò che convenga ai diversi luoghi, tempi e persone, per non accusare nessuno di scostumatezza a cuor leggero. Può infatti accadere che un sapiente si nutra di cibo assai prelibato senza alcun vizio di golosità o di voracità, mentre uno stolto desideri un cibo spregevole con una bruttissima fiamma di ingordigia. Così ogni persona sana di mente preferirebbe nutrirsi di pesce, come fece il Signore 26, piuttosto che di lenticchie, come fece Esaù, nipote di Abramo 27, o di orzo come fanno gli animali. Non sono infatti più continenti di noi le bestie per il fatto che si nutrono di cibi più ordinari. In tutte queste cose infatti ciò che facciamo non è da approvarsi o disapprovarsi a seconda della natura delle cose che usiamo ma del motivo per cui le usiamo e del modo come le desideriamo.

Legge morale e comportamenti licenziosi dei Patriarchi.

12. 20. Mediante il regno terreno gli antichi giusti immaginavano il regno celeste e lo preannunziavano. Per provvedere un numero sufficiente di figli 28 non era riprovevole per un uomo la licenza di avere contemporaneamente più mogli 29, ma non per questo era onesto per una donna avere parecchi mariti. In tal modo infatti una donna non diventa più feconda, ma voler procurarsi o denaro o figli dal primo arrivato è piuttosto una turpitudine da prostituta. Ciò che in simili costumanze facevano senza cedere alla libidine i santi di quei tempi la Scrittura non lo dichiara colpevole, sebbene facessero quelle cose che al nostro tempo non possono farsi se non per libidine. E ciò che nella Scrittura si narra di questo genere è da interpretarsi non solo storicamente e in senso proprio ma anche figuratamente e profeticamente elevandolo fino a quel limite che è la carità o verso Dio o verso il prossimo o verso tutti e due insieme. Osserviamo i Romani. Per gli antichi era scostumatezza indossare tuniche lunghe fino ai calcagni e fornite di maniche, adesso invece presso i benestanti non indossarle quando si è raggiunta l'età di portarle è scostumatezza. La stessa cosa si deve notare nell'uso delle altre cose: deve cioè tenersi lontana la ricerca del piacere, che non solo fa cattivo uso delle consuetudini di coloro in mezzo ai quali la persona vive ma anche, oltrepassandone i limiti, manifesta con turpissima esplosione tutta la sconcezza che si celava dentro le barriere di costumi pubblicamente recepiti.

Osservazione integrativa.

13. 21. Per quanto invece è conforme alle consuetudini di coloro fra i quali si deve vivere e viene imposto dalla necessità o viene accettato per ufficio, dagli uomini buoni e superiori agli altri lo si deve riferire o all'utilità o alla beneficenza, e lo si deve prendere o in senso proprio (come siamo obbligati noi) o anche in senso figurato (come è lecito fare ai Profeti).

Norme di giustizia e costumanze dei popoli.

14. 22. Quando s'imbattono nella lettura di questi fatti persone che sono all'oscuro delle consuetudini altrui, li reputano scostumatezze, a meno che non siano corretti da una qualche autorità. Né riescono a persuadersi che tutto il loro comportamento in fatto di matrimoni, di banchetti, di modi di vestirsi e ogni altra usanza di vivere e acconciarsi potrebbe sembrare indecoroso ad altre genti o in altre epoche. Mossi dalle innumerevoli e varie consuetudini, alcuni, per così dire, semiaddormentati - in quanto non erano immersi nel sonno profondo della stoltezza ma nemmeno erano svegli alla luce della sapienza - ritennero non darsi giustizia di per se stessa ma ogni popolo sarebbe autorizzato a considerare giuste le sue costumanze. Ora siccome queste costumanze sono diverse nei diversi popoli mentre la giustizia deve rimanere immutabile, diverrebbe ovvio che la giustizia non si trovi in nessuna parte. Per non ricordare altro, non compresero che il detto: Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te 30, non può in alcun modo variare secondo le diverse accezioni invalse nel mondo pagano. Quando questo motto lo si riferisce all'amore di Dio, scompaiono tutti i libertinaggi; quando lo si riferisce all'amore del prossimo, tutti i delitti. Nessuno infatti vuole che sia demolita la propria abitazione; per cui non deve guastare nemmeno l'abitazione di Dio, cioè se stesso. E nessuno vuole essere danneggiato da qualsiasi altro; per cui egli stesso non deve danneggiare alcuno.

Nessun linguaggio figurato là dove s'inculca la carità.

15. 23. In tal modo, distrutto il potere tirannico della cupidigia, regna la carità con le leggi giustissime dell'amore di Dio per se stesso e dell'amore del prossimo in vista di Dio. Nelle locuzioni figurate pertanto si osserverà questa norma: quanto si legge deve essere considerato diligentemente e lungamente, fino a quando cioè l'interpretazione non raggiunga i confini del regno della carità. Se un tal regno risuona già nel linguaggio proprio, non si supponga alcun senso figurato.

Si prendano in senso figurativo i precetti inconciliabili con la carità.

16. 24. La locuzione che in termini precettivi proibisce il libertinaggio o il delitto o comanda un atto utile o benefico non è figurata. È invece figurata quando sembra comandare la scostumatezza o il delitto o proibire un atto utile o benefico. Dice: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non ne berrete il sangue, non avrete in voi la vita 31. Sembrerebbe comandare una cosa delittuosa e ributtante. In realtà invece è un parlare figurato con cui ci si prescrive di comunicare alla passione del Signore e di celare nella memoria con dolcezza e utilità il fatto che la sua carne è stata crocifissa e piagata per noi. Dice la Scrittura: Se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere. Qui senza alcun dubbio ci si comandano le opere di misericordia; ma in quel che segue: Ciò facendo ammasserai carboni ardenti sul suo capo 32, lo si potrebbe prendere come un tratto di ostilità che venga comandato. Non dubitare pertanto che ciò è detto in senso figurato e che si può interpretare in due modi: primo modo, in senso di non recar danno; secondo modo, concedere un beneficio. Quanto a te, la carità ti induca a interpretarlo nel senso di beneficio, intendendo per carboni ardenti e infuocati i gemiti della penitenza con cui si guarisce la superbia di colui che si dispiace di essere stato nemico di un uomo dal quale gli si viene incontro nel suo stato di miseria. Lo stesso è del detto del Signore: Chi ama la propria anima la perde 33. Non lo si deve ritenere un divieto contro il dovere che ciascuno ha di conservare la propria vita ma una locuzione figurata. La perda vuol dire: la uccida smettendo l'uso che ne fa al presente, uso cattivo e disordinato che la fa inclinare alle cose temporali impedendole di cercare i beni eterni. Sta scritto: Da' a chi è misericordioso e non accogliere il peccatore 34. La seconda parte della frase sembrerebbe proibire la misericordia; dice infatti: Non accogliere il peccatore. Intendila dunque in senso figurato quasi che peccatore sia stato detto in luogo di " peccato "; quindi è il suo peccato che non devi accogliere.

Distingui i precetti generali e le norme personali.

17. 25. Accade frequentemente che uno il quale si trova o crede di trovarsi in un grado superiore di vita spirituale ritenga detti in senso figurato quei comandi che si dànno per i gradi inferiori. Per esempio, se uno ha abbracciato il celibato e si è reso eunuco per il regno dei cieli 35, farà di tutto per ritenere che si debba prendere non in senso proprio ma traslato quanto i sacri libri prescrivono circa l'amore per la moglie e l'indirizzo della vita coniugale. E se uno ha deciso di non maritare la sua vergine 36 tenterà di interpretare come figurata l'espressione dove si dice: Marita la tua figlia e avrai portato a compimento una grande impresa 37. Tra le annotazioni per comprendere le Scritture ci sarà pertanto anche questa: sapere che alcune cose sono comandate a tutti indistintamente mentre altre soltanto ad alcune categorie di persone, per cui il rimedio ivi suggerito non si adegua esclusivamente allo stato di salute di tutti ma anche alla debolezza propria di ciascun membro. In realtà colui che non può essere elevato a un grado superiore bisogna curarlo nella condizione in cui si trova.

Ad epoche diverse precetti e concessioni diverse.

18. 26. Occorre inoltre guardarsi dal pensare che si possa trasferire al tempo attuale, per usarlo come regola di vita, ciò che è contenuto nelle Scritture del Vecchio Testamento e che, preso non solo in senso figurato ma anche proprio, per le condizioni di quei tempi non era né una scostumatezza né un delitto. A fare tali applicazioni non spinge altri se non la cupidigia da cui si è dominati, la quale cerca un puntello anche dalle Scritture, sebbene queste siano state date per toglierla di mezzo. Chi così si comporta è un pover'uomo e non comprende che quei fatti sono stati descritti perché rechino vantaggio agli uomini animati da buona speranza: essi vi possono vedere a loro salvezza che la consuetudine che disapprovano può avere un uso buono, mentre se essi stessi volessero adottarla potrebbe essere meritevole di condanna. Questo avviene se, in chi si regola così, si riscontra in un caso la carità, mentre nell'altro la cupidigia.

Si chiarisce come mai la poligamia invalse tra gli Ebrei.

18. 27. In effetti, come un uomo, in date circostanze di tempo, può usare castamente di parecchie mogli, così uno può usare libidinosamente di una sola. E io approvo chi, in vista di un altro fine, usa della fecondità di molte donne più che non chi gode avidamente del corpo di una sola, cercato per se stesso. Difatti là si cercava una utilità corrispondente alle condizioni di quei tempi, qui si sazia la voglia sregolata insita nei piaceri della vita presente. Si sa che l'Apostolo per condiscendenza concede a certuni il rapporto carnale con una sola donna a causa della loro incontinenza 38. Ora, questi presso Dio sono in un grado inferiore rispetto a coloro che, pur avendone ciascuno diverse, nel loro rapporto carnale altro non cercavano se non la procreazione dei figli. Erano come il sapiente che nel cibo e nella bevanda non cerca altro se non la salute del corpo. Se pertanto si fossero trovati a vivere dopo la venuta del Signore, quando non è più tempo di scagliare ma di raccogliere le pietre 39, essi immediatamente si sarebbero evirati per il regno dei cieli. In effetti non si prova difficoltà nella privazione se non quando nel possesso c'è la cupidigia; e quegli uomini sapevano che anche per le loro spose era lussuria usare con intemperanza dei rapporti carnali. Ne fa fede la preghiera di Tobia nell'unirsi a sua moglie. Diceva infatti: Sii benedetto, o Signore Dio dei nostri padri, e benedetto il tuo nome nei secoli dei secoli! Ti benedicano i cieli e ogni tua creatura! Tu creasti Adamo e gli desti come compagna Eva. Ebbene tu, Signore, sai che non mi unisco a questa sorella mosso da lussuria ma da fedeltà a te, perché tu, Signore, abbia misericordia di noi 40.

Gli scostumati ritengono impossibile la continenza.

19. 28. Qui si fanno avanti uomini sfrenati nella libidine che, volendo diguazzare [dietro le loro passioni], vagolano di stupro in stupro o che, con la stessa loro moglie, non solo non rispettano il modo normale della procreazione dei figli ma, con licenziosità quanto mai spudorata, quasi in preda al libertinaggio in uso fra gli schiavi, accumulano sozzure di una intemperanza indegna dell'uomo. Costoro non credono alla verità che gli uomini dell'antico Patto abbiano potuto unirsi temperantemente a più donne, non cercando nel rapporto con loro altro che il dovere di procreare figli che si confaceva a quel tempo. Ciò che essi, avvinti dai legami della libidine, non riescono a fare con l'unica loro moglie, in nessun modo ritengono essere possibile farsi con molte.

Se condizionate, sono giuste le lodi date ai Patriarchi.

19. 29. Uomini come questi possono dire che non è il caso di onorare o lodare quegli antichi santi e giusti in quanto loro stessi, se vengono onorati e lodati, si gonfiano di superbia e appetiscono tanto più avidamente la vanagloria quanto più li esalta di frequente e con facilità una qualche lingua abile a lusingare. Di fronte a una tal lingua diventano così fatui che ogni vento di fama che ritengano o favorevole o contrario, li trascina nei gorghi della scostumatezza o li sbatacchia contro gli scogli dei vari delitti. Debbono pertanto considerare quanto sia loro arduo e difficile non lasciarsi prendere all'esca della lode e non farsi penetrare dagli spunzoni delle ingiurie. E che non misurino gli altri in rapporto a se stessi!

Gli Apostoli e i Patriarchi: loro autocontrollo.

20. 29. Credano piuttosto che i nostri Apostoli non si inorgoglirono quando erano ammirati dalla gente e non si abbatterono quando ne erano disprezzati. A loro infatti non mancò né l'una né l'altra delle tentazioni, in quanto erano esaltati dagli elogi dei credenti e infamati dalle ingiurie dei persecutori. Come dunque costoro, secondo le circostanze, ponevano al loro servizio tutte quelle situazioni e non si lasciavano fuorviare, così gli antichi patriarchi, riferendosi nell'uso delle donne a quel che era conveniente al loro tempo, non soggiacevano a quella tirannia della libidine, di cui sono schiavi coloro che non credono a queste cose.

Gli scostumati non sanno cosa sia controllarsi.

20. 30. Costoro pertanto non si sarebbero in alcun modo frenati dal nutrire un'implacabile odio per i figli se avessero risaputo che da questi erano state tentate o corrotte le loro mogli o concubine, se per caso una cosa di questo genere fosse accaduta.

Davide piange la morte di Assalonne, figlio ribelle.

21. 30. In maniera opposta si comportò il re Davide. Avendo subìto un affronto di questo genere dal suo figlio empio e crudele, non solo sopportò la sua tracotanza ma ne pianse anche la morte 41. In realtà egli non era irretito da gelosia carnale, e lo amareggiavano non le offese contro se stesso ma i peccati del figlio. Per questo comandò che se fosse stato vinto non lo si uccidesse, per dare allo sconfitto la possibilità di pentirsi; e, siccome questo non gli riuscì, nella sua morte non pianse la scomparsa del figlio ma perché sapeva in quali pene veniva trascinata un'anima così empiamente adultera e parricida. Tant'è vero che antecedentemente, quando gli morì un altro figlio che era innocente, si rallegrò, mentre si era afflitto per la sua malattia 42.

Riflessione sui peccati di Davide e di Salomone.

21. 31. Dal seguente episodio appare in modo assai evidente come quegli uomini antichi usassero delle loro donne con moderazione e temperanza. Il medesimo re si lasciò travolgere dalla passione per una donna, sospinto dall'ardore dell'età e dalla prosperità negli affari temporali, e comandò anche che suo marito fosse ucciso. Fu accusato da un profeta, che venne da lui per convincerlo del suo peccato. Gli propose la parabola del povero che possedeva una sola pecora. Un suo vicino ne aveva molte ma, al sopraggiungere di un ospite, gli imbandì la mensa con l'unica pecora del vicino povero piuttosto che con una delle sue. Davide, indignato contro di lui, decretò che venisse ucciso e che al povero fossero rese quattro pecore. Inconsapevolmente condannava se stesso, che aveva consapevolmente peccato 43. Quando la cosa gli fu fatta palese e gli fu predetta la punizione divina, con la penitenza lavò la colpa. Nota tuttavia come in questa similitudine della pecora del vicino povero si faccia menzione solo della violenza contro la donna, mentre Davide non è redarguito, nella similitudine, dell'uccisione del marito della donna: cioè di quel povero che aveva una sola pecora non si dice che fu ucciso. In tal modo la sentenza di condanna uscita dalla bocca di Davide riguarda solamente l'adulterio. Da ciò si comprende quale temperanza usasse verso le sue diverse mogli, se da se stesso si sentì costretto a punirsi per la trasgressione commessa con quella sola. E poi in quest'uomo la libidine incontrollata non ci rimase a lungo ma lo attraversò solo temporaneamente, tant'è vero che sulla bocca del Profeta, che lo rimproverava, quella passione disordinata fu designata col nome di " ospite ". Non disse infatti che con la pecora del vicino povero preparò un pranzo al suo re ma a un suo ospite. Diversamente andarono le cose nel suo figlio Salomone, nel quale la passione non fu un ospite solo di passaggio ma vi stabilì il suo regno: cosa che la Scrittura non tace nei suoi riguardi ma lo accusa di essere stato un compiacente amatore di donne 44. Agli inizi era stato tutto infiammato d'amore per la sapienza 45, ma, come l'aveva acquistata mediante un amore spirituale, così la perse a causa dell'amore carnale.

Al cristiano non converrebbe il comportamento lecito nel V. T.

22. 32. Tutti o quasi tutti gli atti che sono contenuti nei libri del Vecchio Testamento sono, in conclusione, da prendersi talvolta in senso proprio qualche altra volta anche in senso figurato. Se però il lettore li prende in senso proprio e quelli che compirono certe azioni risultano lodati, mentre i loro atti sono inconciliabili col comportamento dei buoni che osservano i comandamenti di Dio nel tempo che segue la venuta del Signore, in tal caso il lettore ricorra al senso figurato per capire l'insegnamento del fatto ma non imiti nella condotta il fatto in se stesso. In effetti molte di quelle cose che in quei tempi furono compiute per dovere ora non le si potrebbe ripetere se non per passione.

Evitare le tempeste morali, compiangere i naufraghi.

23. 33. Se gli succede di leggere, a proposito di uomini eminenti, che hanno commesso peccati, potrà, è vero, intendere e ricercare in essi una qualche figura di cose avvenire. Potrà però anche ritenere il senso proprio del fatto avvenuto, e se ne servirà a quest'uso: per non vantarsi mai delle sue azioni oneste e non disprezzare gli altri come peccatori in base alla propria giustizia, mentre osserva in uomini così insigni e le tempeste che deve evitare e i naufragi che deve compiangere. I peccati di questi uomini infatti ci sono stati tramandati affinché a tutti incuta spavento quella espressione dell'Apostolo, là dove dice: Per questo motivo chi crede di stare in piedi badi a non cadere 46. In realtà nei libri santi non c'è quasi pagina in cui non ci si senta dire che Dio resiste ai superbi mentre agli umili dona la grazia 47.

Richiamo a una lettura intelligente del testo sacro.

24. 34. In primo luogo dunque dobbiamo ricercare se l'espressione che tentiamo di capire sia propria o figurata. Scoperto che è figurata, ricorrendo alle norme che abbiamo trattate nel primo libro, sarà facile disaminarla sotto tutti gli aspetti finché non si arrivi all'interpretazione vera, specie se vi si aggiunge l'uso corroborato dalla pratica della pietà. Se sia una espressione propria o figurata lo troveremo ricordando i princìpi esposti già sopra.

25. 34. Appurato questo, si troverà che le parole in cui è racchiuso il pensiero sono state prese o da cose simili o aventi con esse una qualche affinità.

Identico il segno, duplice il significato.

25. 35. Ma poiché, come è noto, certe cose sono simili ad altre sotto aspetti diversi, non dobbiamo credere in maniera assoluta che quando una cosa, avente valore di similitudine, significa alcunché in un dato passo, essa debba significare sempre e dovunque la stessa cosa. Così, ad esempio, il Signore usò la parola " lievito " in senso di disapprovazione quando disse: Guardatevi dal lievito dei farisei 48, mentre la usò in senso di lode quando disse: Il Regno dei cieli è simile a una donna che nasconde il lievito in tre misure di farina finché il tutto non sia fermentato 49.

Esempi della legge di cui al paragrafo precedente.

25. 36. Orbene, osservando questa varietà si nota che essa si riduce a due forme. Ogni cosa infatti significa un oggetto o un altro con un significato che può essere o contrario o soltanto diverso. Ha significato contrario quando la stessa cosa in forza della similitudine la si prende ora in senso buono ora in senso cattivo, come si diceva sopra a proposito del lievito. Lo stesso è della parola " leone ". Essa significa Cristo là dove si dice: Ha vinto il leone della tribù di Giuda 50, mentre significa il diavolo là dove è scritto: Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente vi gira intorno cercando chi divorare 51. Così del serpente si parla in senso buono nella frase: Prudenti come i serpenti 52, in senso cattivo nella frase: Il serpente sedusse Eva con la sua astuzia 53. Così del pane. In senso buono là dove è detto: Io sono il pane vivo disceso dal cielo 54, in senso cattivo nell'altra frase: Mangiate volentieri pani occulti 55. Così di moltissime altre parole. Le frasi che ho ricordate non contengono dubbi nel loro significato, perché, dovendo recare degli esempi, non potevo ricordare se non cose evidenti. Ce ne sono però alcune che presentano incertezze quanto al senso in cui le si debba prendere. Una è questa: Nella mano del Signore il calice di vino puro è pieno di mescolato 56. È incerto se significhi l'ira di Dio non estesa al castigo estremo, cioè fino alla feccia, o non piuttosto la grazia delle Scritture nell'atto di passare dai Giudei ai Gentili, poiché è detto: Lo inclinò da qui a là, mentre sono rimaste presso i Giudei le osservanze che essi intendono in maniera carnale, poiché la sua feccia non si è esaurita 57. Un esempio di quando le cose non sono prese in senso contrario ma solo diverso è quello dell'acqua, che può significare il popolo, come leggiamo nell'Apocalisse 58, e lo Spirito Santo di cui si dice: Fiumi di acqua viva scorreranno dal suo seno 59. Il termine " acqua " del resto può significare e intendersi in parecchi altri modi, a seconda dei passi dove lo si trova.

Frasi con molteplice significato.

25. 37. Allo stesso modo ci sono altre cose che, non isolatamente ma prese insieme, ciascuna di loro significa non soltanto due realtà diverse ma, a volte, anche parecchie, secondo il posto che occupa nella frase dove la si trova inserita.

Spiegare i detti oscuri in base ai più chiari.

26. 37. Dai luoghi dove sono poste con maggiore chiarezza si deve apprendere come occorra intenderle nei passi oscuri. Ad esempio, di Dio è stato detto: Prendi le armi e lo scudo e sorgi in mio aiuto 60. Ora questa frase non la si può intendere meglio che confrontandola con quel passo dove si legge: Signore, tu ci hai coronati come con lo scudo della tua buona volontà 61. Questo tuttavia non nel senso che, dovunque leggiamo dello scudo posto come difesa, non intendiamo altro se non la buona volontà di Dio. È stato detto infatti anche: Lo scudo della fede col quale possiate - dice - spegnere tutti i dardi infuocati del maligno 62. E ancora, parlando di simili armi spirituali non dobbiamo riferire la fede soltanto allo scudo, mentre altrove si parla anche della corazza della fede. Dice: Rivestiti della corazza della fede e della carità 63.

Come scegliere il vero senso biblico quando il testo ne consente parecchi.

27. 38. Quando dalle stesse parole della Scrittura non si ricava un senso solo ma due o più, anche se rimane sconosciuto il pensiero dell'autore non c'è alcun pericolo [nell'ammettere l'uno o l'altro di questi sensi] purché si possa dimostrare da altri passi delle stesse Sacre Scritture che ciascuno è conforme alla verità. Tuttavia colui che investiga gli oracoli divini deve sforzarsi di raggiungere l'intenzione dell'autore ad opera del quale lo Spirito Santo ci ha fornito quel brano scritturale. Sia che raggiunga questa intenzione sia che da altre parole ne ricavi un'altra non in contrasto con la retta fede, egli è esente da colpa in quanto ha in suo favore la testimonianza di un altro passo degli oracoli divini, qualunque esso sia. In quelle medesime parole che vogliamo comprendere forse già l'autore stesso vide la nostra interpretazione, o, certamente e senza alcun dubbio, lo Spirito Santo che per mezzo dell'autore ha composto tali passi previde che anche tale interpretazione sarebbe venuta in mente al lettore o all'ascoltatore. Anzi, essendo essa fondata sulla verità, fu lui a disporre che ciò gli capitasse. In effetti, cosa si poteva disporre dalla Provvidenza di più ampio e fecondo negli eloqui divini, che le stesse parole fossero intese in più modi comprovati da altri testi non meno divini?.

Testi affini e argomenti razionali nell'interpretazione della Scrittura.

28. 39. Quando invece si ricava un senso la cui incertezza non può essere eliminata ricorrendo ad altri passi certi delle Sacre Scritture, non rimane altro che renderlo chiaro adducendo motivi razionali, anche se colui del quale cerchiamo di capire le parole non ebbe in mente un tal senso. Questo sistema tuttavia è pericoloso, mentre alla luce delle Scritture si cammina con molta maggiore sicurezza. E quando noi le vogliamo scrutare là dove sono opache per l'uso di parole traslate, bisogna che ne esca una interpretazione che non dia luogo a controversie o, se ne presenta, le si risolva applicando testi della stessa Scrittura dovunque li si trovi.

Tropi, o traslati, presenti nella Scrittura.

29. 40. Chi conosce le lettere sappia che i nostri autori hanno fatto uso di tutti quei modi di espressione che i grammatici con parola greca chiamano tropi; anzi l'hanno fatto più spesso e con maggior ricchezza di quanto non possano pensare o supporre coloro che non conoscono direttamente quei libri e hanno appreso queste cose da altri autori. Coloro che conoscono questi tropi li riscontrano nelle sacre Lettere, e mediante la loro conoscenza vengono aiutati non poco nella comprensione. Ma non è il caso che ci mettiamo qui ad esporli agli indotti per non dare l'impressione che vogliamo insegnare l'arte della grammatica. Li esorto, ovviamente, ad impararli da altri autori, sebbene una simile esortazione l'abbia già loro rivolta, e precisamente nel secondo libro dove ho trattato della necessità di conoscere le lingue. Difatti le lettere, da cui ha preso nome la stessa grammatica - i Greci infatti chiamano le lettere - sono propriamente segni di suoni, che servono ad articolare la voce con la quale parliamo. Di questi tropi nei sacri Libri noi leggiamo non solo gli esempi - e ciò di tutti -, ma di alcuni troviamo anche i nomi come " l'allegoria ", " l'enigma ", " la parabola ". Del resto, quasi tutti i tropi che si dice possano apprendersi con specifica arte liberale si trovano anche nel modo di parlare di coloro che non hanno conosciuto alcun esperto di grammatica ma si contentano del linguaggio in uso fra il popolo. Chi infatti non dice: Possa tu così fiorire? " Tropo " che si chiama metafora. Chi non parla di piscina, anche senza che vi siano i pesci, che anzi non è fatta per i pesci, eppure da pesce prende nome? Tropo che si chiama catacresi.

Esempi di ironia o antifrasi.

29. 41. Si andrebbe troppo per le lunghe a voler esaminare in questa maniera tutti gli altri tropi. In realtà il parlare popolare è arrivato a inventare anche quelli che sono i più strani perché significano cose contrarie a quel che si dice. Tali quelli chiamati ironia o antifrasi. Nell'ironia si indica con l'accento della voce cosa si voglia intendere. Per esempio, quando a uno che ha agito male diciamo: Gran belle cose stai facendo! All'antifrasi la capacità di significare il contrario non la si dona con la voce di chi pronuncia ma usando certe parole a lei proprie la cui etimologia suona il contrario, come quando al posto di " luce " si dice lucus [= bosco fitto] sapendo che non vi passa la luce, o, sebbene non si parli per contrari, la consuetudine ha abituato a dire così. Ad esempio, se cerchiamo di prendere una cosa là dove non c'è, e ci si risponde: Ce n'è anche troppa! E ancora può aversi quando con l'aggiunta di parole facciamo sì che la frase venga compresa in senso contrario a quello che diciamo, come quando affermiamo: Guàrdatene, perché è un galantuomo! E chi è quell'ignorante che non usa espressioni come queste, anche se non sa affatto cosa siano i tropi o come si chiamano? La loro conoscenza è necessaria per risolvere le ambiguità delle Scritture in quanto il senso, se lo si prende a quel che suonano propriamente le parole, è assurdo e quindi occorre ricercare se per caso quel che non comprendiamo non sia stato detto sulla base di questo o quel tropo. In tal modo molte cose occulte sono state chiarite.

Elenco delle Regole di Ticonio, e loro valutazione globale.

30. 42. Un certo Ticonio, che un tempo era stato donatista, ha scritto contro i donatisti un'opera veramente irrefutabile, ma, per quel tanto che non ha voluto abbandonare la sètta, nei suoi libri ha lasciato segni di una mente soggetta a profonde assurdità. Egli dunque compose un libro che chiamò Le Regole, per il fatto che vi trattò di sette regole mediante le quali, come con delle chiavi, si potrebbero aprire tutti i segreti delle Scritture divine. Per prima pose quella concernente il Signore e il suo corpo; per seconda, il corpo del Signore nelle sue due sezioni; per terza, le promesse e la Legge; per quarta, il genere e la specie; per quinta, i tempi; per sesta, la ricapitolazione; per settima, il diavolo e il suo corpo. Ora queste regole, considerate come lui le illustra, sono di non piccolo aiuto per penetrare i segreti delle lettere divine; tuttavia con queste regole non si può scoprire tutto ciò che nella Scrittura è contenuto in maniera difficile a comprendersi. Bisogna ricorrere a numerosi altri espedienti che Ticonio non ha incluso nel suo numero di sette, tant'è vero che lui stesso espone numerosi passi oscuri senza ricorrere ad alcuna delle sue regole, anche perché non ce n'è bisogno. Ci sono infatti, nella Scrittura, cose di cui egli non si occupa e non investiga. Nell'Apocalisse di Giovanni, ad esempio, ricerca come si debbano intendere quegli angeli delle sette Chiese ai quali gli si comanda di scrivere e, dopo molti ragionamenti, giunge alla conclusione che per gli stessi angeli dobbiamo intendere le Chiese 64. Orbene in tutta questa amplissima trattazione non c'è alcun richiamo alle sue regole, anche se ivi si fanno ricerche su cose quanto mai oscure. Questo lo si dica a modo di esempio. È infatti troppo lungo e difficile raccogliere tutti i passi oscuri delle Scritture canoniche per i quali il ricorso a queste sette regole non serve a nulla.

Le Regole di Ticonio vanno applicate con la massima cautela.

30. 43. Quanto all'autore invece, quando raccomanda queste cosiddette " regole ", attribuisce loro un tale valore che, conosciute e usate a dovere, permetterebbero di comprendere quasi tutti i passi oscuri che troviamo nella legge, cioè nei libri divini. Apre infatti il suo libro con le seguenti parole: Prima di tutte le altre cose che a mio parere avrei dovuto trattare, ho ritenuto necessario scrivere un libriccino sulle " Regole ", costruendo come delle chiavi, o delle lucerne, per scrutare i segreti delle Scritture. Si tratta di certe regole mistiche che penetrano i recessi più reconditi dell'intera legge e rendono visibili i tesori della verità che a qualcuno sarebbero invisibili. Se il sistema di queste regole sarà accettato senza malevolenza, così come lo comunichiamo, tutte le cose nascoste saranno palesate e tutte le cose oscure diventeranno luminose. In tal modo chi si troverà a camminare nell'immensa selva della profezia, guidato da queste regole come da bagliori di luce, sarà difeso dall'errore 65. Se egli avesse detto: " Ci sono delle regole mistiche con cui si riesce a penetrare alcuni passi reconditi della legge " o magari: " con cui si riesce a penetrare nei passi più reconditi della legge ", avrebbe detto la verità. Non avrebbe dovuto dire: " I passi oscuri di tutta la legge " né: " Si apriranno tutti i recessi ", ma: " Si apriranno molti recessi ". Alla sua opera così elaborata e così utile non avrebbe dovuto dare più peso di quanto il problema in se stesso richiede: in tal modo non avrebbe prodotto nel suo lettore e conoscitore una falsa speranza. Tutte queste cose mi sono creduto in obbligo di dire affinché il libro sia, sì, letto dagli studiosi perché è di grandissimo aiuto per la comprensione delle Scritture, tuttavia non si speri di trovarvi quel che esso non contiene. Lo si deve insomma leggere con cautela non solo per certi errori che l'autore, come uomo, ha commesso ma soprattutto per quegli altri che commette parlando da eretico donatista. Ora mostrerò in breve ciò che insegnino o suggeriscano queste sette regole.

La prima Regola di Ticonio.

31. 44. La prima regola riguarda il Signore e il suo corpo. Ora, a questo proposito, noi sappiamo che a volte ci si prescrive di ritenere come unica la persona del capo e del corpo, cioè di Cristo e della Chiesa. Non è stato detto senza motivo infatti ai cristiani: Voi siete stirpe di Abramo 66, quando unica è la stirpe di Abramo ed essa è Cristo. Quando dunque si passa dal capo al corpo e dal corpo al capo senza che si rinneghi l'unica e identica persona, non si debbono avere esitazioni. È infatti una la persona che parla quando dice: Come a uno sposo mi ha messo in capo il diadema e come una sposa mi ha adornata di gioielli 67. Eppure occorre certamente distinguere quale delle due cose convenga al capo e quale al corpo, cioè quale a Cristo e quale alla Chiesa.

La seconda Regola di Ticonio.

32. 45. La seconda regola riguarda il corpo del Signore nelle sue due sezioni. Effettivamente non lo si sarebbe dovuto chiamare così, poiché in realtà non è corpo del Signore quello che non sarà eterno con lui. Si sarebbe dovuto dire: Il corpo del Signore vero e quello frammisto, oppure: quello vero e quello fittizio, o cose del genere. In realtà bisogna affermare che non solo nell'eternità ma anche al presente gli ipocriti non sono con lui, sebbene sembrino far parte della sua Chiesa. Sotto questo profilo la presente regola poteva anche esprimersi con la dizione: la Chiesa nella sua mescolanza. Ma questa regola esige un lettore attento poiché la Scrittura, sebbene parli ormai ad una diversa categoria di persone, sembra parlare, quasi, a quegli stessi cui stava parlando prima, o che parli degli stessi (mentre da quel punto in poi parla di altri), quasi che per la mescolanza e comunione dei sacramenti che si ha nel tempo, sia unico il corpo dell'una e dell'altra categoria. A questo si riferisce il detto del Cantico dei Cantici: Sono scura e bella come le tende di Cedar, come la pelle di Salomone 68. Non dice infatti: Un tempo fui scura come le tende di Cedar ma ora sono bella come la pelle di Salomone. Ha detto che è allo stesso tempo l'una e l'altra cosa, per l'unità che nel tempo godono i pesci buoni e i pesci cattivi trovandosi in una medesima rete 69. Le tende di Cedar infatti sono una porzione di Ismaele, che non sarà erede insieme al figlio della donna libera 70. Pertanto della porzione dei buoni Dio dirà: Condurrò i ciechi per la via che non conoscevano e batteranno strade che non conoscevano; io renderò ad essi le tenebre luce e le vie tortuose renderò diritte: queste cose farò e non li abbandonerò. Successivamente dice dell'altra porzione che si era mescolata pur essendo di cattivi: Loro al contrario si sono voltati indietro 71, sebbene con queste parole si indichino ancora gli altri. Siccome però adesso sono in un'entità sola, parla di essi come di coloro dei quali stava parlando antecedentemente. Ma non saranno sempre uniti. Si tratta infatti di quel servo ricordato nel Vangelo che il suo padrone, quando verrà, dividerà e metterà la sua parte insieme con quella degli ipocriti 72.

La terza Regola di Ticonio.

33. 46. La terza regola è circa le promesse e la Legge, che con altre parole si può chiamare " lo spirito e la lettera ", come l'abbiamo chiamata noi nel libro che abbiamo scritto sull'argomento. Si potrebbe anche chiamare " la grazia e il precetto ". Ora questo mi sembra essere piuttosto un grosso problema che non una regola da usarsi per risolvere le questioni. È quanto non hanno compreso i pelagiani e così ci fondarono, o almeno incrementarono, la loro eresia. Ticonio lavorò bene per estirparla ma non lo fece in modo completo. Infatti, disputando della fede e delle opere, disse che le opere ci vengono date per merito della fede, mentre invece la fede in se stessa è roba nostra senza che Dio la immetta in noi. Non bada a quel che dice l'Apostolo: Ai fratelli pace e carità insieme con la fede che proviene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo 73. Egli però non aveva conosciuto l'esistenza di questa eresia che, nata al tempo nostro, ci ha messo molto alla prova perché difendessimo contro di essa la grazia di Dio, che è dono del nostro Signore Gesù Cristo. Diceva l'Apostolo: Bisogna che ci siano le eresie affinché appaia chi fra voi sono gli approvati 74. Questa falsa dottrina ci ha resi più vigili e attenti, facendoci notare nelle sante Scritture delle cose che sfuggirono al nostro Ticonio, di noi meno attento e meno preoccupato del nemico, e precisamente che la stessa fede è dono di colui che la distribuisce a ciascuno secondo la propria misura 75. In conformità con questa teoria è detto: A voi è stato dato in Cristo non solo di credere in lui ma anche di patire per lui 76. Ascoltando con fede e sapienza che le due cose sono state a noi donate, chi potrebbe dubitare che ambedue sono dono di Dio? Ci sono anche parecchie altre testimonianze con le quali si dimostra la cosa, ma ora non ci occupiamo di questo. Ne abbiamo trattato spessissimo e in parecchie opere.

La quarta Regola di Ticonio.

34. 47. La quarta regola di Ticonio riguarda la specie e il genere. Egli la chiama così intendendo per specie la parte e per genere il tutto del quale quella che chiama specie è una parte. Così una città è ovviamente parte della totalità dei popoli, ed egli chiama la città specie, tutti i popoli genere. Né è il caso di ricorrere qui a quella sottigliezza nel distinguere in uso fra i dialettici che disputano con grande acume per stabilire la differenza fra parte e specie. Lo stesso ragionamento vale quando una cosa di questo tipo si incontra nei Libri divini non per una singola città ma per una provincia o nazione o regno. Né soltanto, per esempio, di Gerusalemme o di qualche città del mondo pagano, come Tiro, Babilonia o qualche altra, si dicono nelle sante Scritture cose che superano le loro dimensioni e convengono piuttosto alla totalità dei popoli; ma anche della Giudea, dell'Egitto, dell'Assiria e di molte altre nazioni, in cui sono parecchie città che però non sono l'intero universo ma una sua parte, si dicono cose che oltrepassano le loro dimensioni e convengono piuttosto all'universo in se stesso, di cui esse sono parte, o, come si esprime costui, convengono al genere, di cui ognuna sarebbe una specie. Peraltro tali parole sono diventate di dominio popolare, di modo che anche l'illetterato capisce ciò che in un decreto imperiale è stabilito in maniera speciale e cosa in maniera generale. Questo accade anche per le persone: come, ad esempio, le cose dette di Salomone oltrepassano il riferimento a lui e prendono piena luce quando le si riferiscono piuttosto a Cristo o alla Chiesa, di cui egli era una parte.

Esempi di casi dove specie e genere si confondono.

34. 48. Né succede sempre che si oltrepassi la specie. Spesso infatti si dicono cose che chiarissimamente convengono anche alla specie o, forse, soltanto ad essa, ma quando dalla specie si passa al genere, mentre sembra che la Scrittura parli ancora della specie, in tal caso il lettore deve avere gli occhi bene aperti per non cercare nella specie ciò che può trovare più agiatamente e con maggiore sicurezza nel genere. Cose come queste riscontriamo con facilità nelle parole del profeta Ezechiele: La casa d'Israele ha abitato nella terra [promessa], e l'ha lordata con la sua condotta, con i suoi idoli e i suoi peccati. Come l'impurità di una donna nelle sue mestruazioni così è diventata la loro condotta davanti a me. E io ho dato sfogo alla mia ira contro di loro e li ho dispersi fra le nazioni e li ho sparpagliati in tutti i paesi. Li ho giudicati secondo la loro condotta e secondo i loro peccati 77. È facile, dicevo, intendere queste parole di quella casa d'Israele della quale dice l'Apostolo: Osservate l'Israele secondo la carne 78, poiché tutte queste cose effettivamente quel popolo le ha fatte e le ha sofferte. Anche le parole che vengono dopo si comprende come possano convenire a quel popolo. Ma quando comincia a dire: E santificherò il mio nome santo e grande che è stato profanato fra le nazioni che voi profanaste in mezzo a loro, e sapranno le genti che io sono il Signore 79. A questo punto, chi legge deve stare attento e vedere come si oltrepassi la specie e si raggiunga il genere. Continuando, dice infatti: E quando sarò santificato in mezzo a voi davanti ai loro occhi, vi prenderò di fra mezzo alle Genti e vi radunerò da tutte le contrade e vi condurrò nella vostra terra. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutti i vostri idoli e vi renderò puri; e vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne e vi darò anche il mio spirito. E vi farò camminare nella mia giustizia e voi custodirete i miei giudizi e li metterete in pratica. Abiterete nella terra che diedi ai vostri padri, e voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio. E vi purificherò da tutte le vostre immondezze 80. Non si può porre in dubbio che questo sia stato profetizzato del Nuovo Testamento, al quale appartiene non solo quell'unico popolo nei suoi eredi, di cui è scritto altrove: Se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, un resto sarà salvato 81, ma anche le altre nazioni che erano state promesse in eredità ai loro padri, che poi sono anche i padri nostri. Non resta confuso chi vede come [in tali parole] è promesso il lavacro della rigenerazione, che attualmente vediamo amministrato a tutte le genti, e pensa a quello che dice l'Apostolo sottolineando l'eccellenza della grazia del Nuovo Testamento a confronto con quella del Vecchio. La nostra lettera- dice - siete voi: lettera scritta non con l'inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente; non in tavole di pietra ma nelle tavole di carne che sono il cuore 82. Egli guarda là e trova che è preso dal detto profetico: E vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Volle che il cuore di carne - di cui dice l'Apostolo: Nelle tavole del cuore carnale - fosse distinto dal cuore di pietra, essendo quello dotato di vita sensitiva e nella vita sensitiva volle significare la vita intellettiva. Così si forma l'Israele spirituale, risultante non da un solo popolo ma da tutti i popoli, promessi ai padri come loro discendenza, che poi è Cristo.

Ancora esempi illustrativi: Israele spirituale e carnale.

34. 49. Questo Israele spirituale si distingue dall'Israele carnale, limitato a un solo popolo, per la novità della grazia non per la nobiltà della patria, per lo spirito non per la gente che lo compone. Quando pertanto il Profeta dalle altezze in cui si trova parla di questo secondo o a questo secondo, senza che noi ce ne accorgiamo passa al primo, e quando parla del primo o al primo, sembra che ancora parli dell'altro o all'altro. Questo non per sottrarci, come farebbe un nemico, la comprensione delle Scritture ma per allenare da bravo medico la nostra mente. Così le parole: E vi introdurrò nella vostra terra e quelle che dice poco dopo, quasi ripetendo lo stesso concetto: E abiterete - dice - nella terra che diedi ai vostri padri, non dobbiamo intenderle in senso carnale, quasi siano riferite all'Israele secondo la carne, ma spiritualmente, cioè dirette all'Israele spirituale. È infatti la Chiesa - quella sposa senza macchia e senza ruga 83 adunata da tutte le genti e destinata a regnare in eterno con Cristo - la terra dei viventi 84; e di questa Chiesa bisogna intendere che fu data ai padri quando fu loro promessa da Dio con volontà certa e irrevocabile. In effetti essa fu già data nella stabilità della promessa o, meglio della predestinazione, e dai padri fu creduto che sarebbe stata data a suo tempo. È come quando, parlando della grazia concessa ai santi, dice l'Apostolo scrivendo a Timoteo: Non in seguito ad opere nostre ma in forza del suo progetto e della sua grazia, ci è stata data in Cristo Gesù prima dei secoli eterni e si è manifestata adesso mediante la venuta del nostro Salvatore 85. Dice che la grazia fu data quando nemmeno esistevano coloro ai quali si intendeva darla, poiché nel piano e nella predestinazione di Dio già era avvenuto quello che si sarebbe realizzato - l'Apostolo dice " manifestato " - a suo tempo. Inoltre le parole della profezia si potrebbero intendere anche della terra del mondo avvenire, quando ci saranno cieli nuovi e terra nuova 86, in cui non potranno abitare quanti sono privi della giustizia. Pertanto giustamente si dice ai fedeli che essa è la loro terra, in quanto sotto nessun punto di vista potrà essere terra degli empi. Se ne deduce che anch'essa, a somiglianza [della grazia], fu concessa quando si stabilì perentoriamente di concederla.

Quinta Regola di Ticonio ed esempi illustrativi.

35. 50. Come quinta regola Ticonio pone quella che chiama Dei tempi. Con la quale regola si potrebbe trovare o almeno congetturare la durata dei tempi lasciata nell'oscurità dalla santa Scrittura. Egli dice che questa regola è valida in due campi: o nel tropo detto sineddoche o nei numeri perfetti. La sineddoche è un tropo che consente di prendere il tutto per la parte o la parte per il tutto. Ad esempio un Evangelista dice che accadde dopo otto giorni - mentre un altro dice dopo sei - l'episodio in cui sul monte alla presenza di tre soli discepoli il volto del Signore divenne splendente come il sole e le sue vesti come la neve 87. Le affermazioni circa il numero dei giorni non potrebbero essere vere tutte e due, se non si interpreta che colui che dice dopo otto giorni non abbia posto come due giorni completi e interi e la porzione finale del giorno in cui Cristo predisse la cosa che sarebbe accaduta e la parte iniziale del giorno in cui la cosa divenne fatto compiuto. Viceversa, colui che disse dopo sei giorni computò solo i giorni completi e interi, cioè solo i giorni di mezzo. Con questo genere di locuzione con cui si indica il tutto per la parte si risolve anche la nota questione circa la resurrezione di Cristo. Se infatti non si prende l'ultima parte del giorno in cui subì la passione e la si considera come un giorno intero, comprendendovi anche la notte che l'aveva preceduta, e se non si prende come giorno intero anche la notte al termine della quale risuscitò - aggiungendovi cioè la domenica di cui si era all'alba -, non possono aversi i tre giorni e le tre notti che egli aveva predetto di restare nel cuore della terra 88.

Numeri perfetti e loro portata mistica.

35. 51. Quanto ai numeri perfetti, [Ticonio] chiama così i numeri che la divina Scrittura privilegia sugli altri, come il sette, il dieci, il dodici e tutti gli altri che gli studiosi leggendo riconoscono facilmente. Il più delle volte questi numeri indicano la totalità del tempo. Così il detto: Ti loderò sette volte al giorno 89, non significa altro se non che la sua lode sarà sempre sulla mia bocca 90. Lo stesso significato hanno quando li si moltiplica per dieci, e si ha settanta o settecento, per cui si possono interpretare simbolicamente i settanta anni di Geremia e intenderli di tutto il tempo in cui la Chiesa è presso gli estranei. Ugualmente quando li si moltiplica per se stessi: dieci per dieci, uguale a cento; dodici per dodici, uguale a centoquarantaquattro, numero col quale nell'Apocalisse si indica la totalità dei santi 91. Si rende così evidente che con questi numeri non si hanno da risolvere solo questioni concernenti il tempo ma il loro significato si allarga a molte altre cose e abbraccia molti soggetti. In effetti quel numero dell'Apocalisse non si riferisce a problemi temporali ma riguarda persone.

Sesta Regola di Ticonio.

36. 52. La sesta regola Ticonio la chiama Ricapitolazione, regola che egli molto acutamente ha trovato per le difficoltà delle Scritture. Alcune cose infatti sono così riferite come se si susseguissero in ordine di tempo o come se fossero narrate secondo un susseguirsi reale, in quanto il racconto in maniera nascosta si rifà a cose anteriori tralasciate. Se questo nella presente regola non si tiene presente, si cade in errore. Sia d'esempio il Genesi. Dice: E il Signore Dio arricchì di piante il paradiso, [che era] in Eden ad Oriente, e vi collocò l'uomo che formò, e Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [a vedersi] e buono a mangiarsi 92. Con tali parole sembrerebbe dirsi che tutto ciò fu fatto dopo che Dio aveva posto nel paradiso l'uomo che aveva creato. Ricordate compendiosamente le due cose- che cioè Dio arricchì di piante il paradiso e che vi pose l'uomo che aveva formato - la Scrittura torna da capo ricapitolando e dice quanto aveva omesso: che il paradiso era stato abbellito di piante, che Dio produsse ancora dalla terra ogni albero bello [a vedersi] e buono a mangiarsi. Poi proseguendo aggiunge: E l'albero della vita in mezzo al paradiso e l'albero della scienza del bene e del male 93. Poi si descrive il fiume che irrigava il paradiso e quindi si divideva in quattro corsi d'acqua, cose tutte che si riferiscono alla configurazione del paradiso. Terminato questo racconto, ripete ciò che aveva detto, e che in realtà si sarebbe dovuto dire dopo, e dice: E il Signore Dio prese l'uomo da lui formato e lo collocò nel paradiso 94. In realtà l'uomo fu lì collocato dopo che tutte le altre cose erano state create, come ora la stessa disposizione ordinata dimostra. Non è vero che tutte le altre creature furono fatte dopo che l'uomo era stato ivi collocato, come si sarebbe potuto credere a una prima lettura, se non vi si introduce intelligentemente la figura della ricapitolazione, con cui si torna a ciò che era stato omesso.

Esempio tratto dal racconto della torre di Babele.

36. 53. Parimenti, nello stesso libro dice la Scrittura elencando le generazioni dei figli di Noè: Questi i figli di Cam, secondo le loro tribù, le loro lingue, paesi e nazioni 95. E ancora, enumerati i figli di Sem, dice: Questi i figli di Sem secondo le loro tribù, lingue, paesi e nazioni 96. E parlando di tutti prosegue: Queste le tribù dei figli di Noè secondo la loro genealogia e secondo le loro nazioni. Da loro dopo il diluvio si dispersero i popoli delle isole dei gentili per tutta la terra. E tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce 97. Si aggiunge dunque questo, che cioè tutta la terra aveva una sola bocca e tutti una sola voce, vale a dire una unica lingua. Questo sembrerebbe detto come se anche nel tempo in cui furono dispersi su tutta la terra, ivi comprese le isole delle genti, la lingua fosse ancora unica e comune a tutti. La qual cosa ripugna senz'altro alle precedenti parole dove si diceva: Secondo le loro tribù e le loro lingue. Non si sarebbe dovuto infatti dire che le singole tribù avevano già la loro propria lingua - quelle tribù che diedero origine alle diverse nazioni - se è vero che unica e comune era la lingua di tutte. Ciò significa che a modo di ricapitolazione fu aggiunto: Ed aveva tutta la terra una sola bocca e tutti un'unica voce, riprendendosi in maniera nascosta la narrazione dicendo come accadde che gli uomini, che avevano avuto tutti un'unica lingua, fossero divisi in molte lingue. E subito ci si narra della costruzione della torre per la quale secondo il giudizio divino fu loro inflitto quel castigo meritato dalla superbia. Fu dopo questo episodio che gli uomini furono dispersi su tutta la terra e ciascuno ebbe la propria lingua.

La Regola della Ricapitolazione applicata a Lc 17, 29-32.

36. 54. Questa ricapitolazione avviene anche in passi più oscuri, come nel Vangelo, là dove dice il Signore: Nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma e piovve fuoco dal cielo e uccise tutti. Così sarà il giorno del Figlio dell'uomo quando si rivelerà. In quell'ora chi sarà sul tetto e avrà in casa i suoi oggetti, non scenda per andarli a prendere; e chi si trova nel campo ugualmente non torni indietro: si ricordi della moglie di Lot 98. Forse che, quando il Signore si sarà rivelato, bisognerà osservare tutte queste disposizioni, cioè non guardare indietro, o, in altre parole, non aspirare di nuovo alla vita cui si è rinunziato? O non lo si deve fare piuttosto al tempo presente, di modo che, quando il Signore si rivelerà, si riceva la ricompensa di quanto ciascuno ha osservato o disprezzato? Ma poiché è detto: In quell'ora, verrebbe da credere che queste norme si debbano osservare quando il Signore si rivelerà, se l'attenzione di chi legge non è desta a scoprirvi una ricapitolazione. In tal senso gli viene in aiuto un'altra Scrittura che, al tempo in cui vivevano ancora gli Apostoli, esclama: Figli, è l'ultima ora 99. Ebbene, l'ora in cui si debbono osservare queste prescrizioni è tutto il tempo in cui viene predicato il Vangelo fino al giorno in cui si manifesterà il Signore. In effetti la stessa manifestazione del Signore fa parte di quell'ora che avrà il suo termine nel giorno del giudizio 100.

Settima Regola di Ticonio.

37. 55. La settima e ultima regola di Ticonio è Il diavolo e il suo corpo. Egli infatti è il capo degli empi, che ne costituiscono in certo qual modo il corpo e andranno insieme con lui al supplizio del fuoco eterno 101. Analogamente Cristo è il capo della Chiesa, che è il suo corpo e andrà con lui nel regno e nella gloria eterna 102. Si ricordi pertanto la prima regola, chiamata [da Ticonio] Il Signore e il suo corpo e come in essa occorra star desti per comprendere cosa riguardi il capo e cosa il corpo, pur parlando la Scrittura di un'unica e identica persona. Così è in questa ultima. Talvolta si applica al diavolo ciò che troviamo non in lui ma piuttosto nel suo corpo. Egli infatti ha un corpo costituito non soltanto da coloro che in maniera del tutto palese sono fuori [della Chiesa] ma anche da coloro che, pur appartenendo a lui, tuttavia sono temporaneamente uniti alla Chiesa, finché ciascuno non esca da questo mondo o finché la paglia non venga separata dal grano mediante il ventilabro usato alla fine 103 [dal Signore]. Un esempio sono le parole del libro di Isaia dove è scritto: Come cadde dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino 104 e il seguito. Sotto la figura del re di Babilonia nel medesimo contesto del discorso sono dette cose riguardanti la persona stessa del re o che sono a lui rivolte, eppure si intendono bene del diavolo, mentre ciò che nello stesso passo è detto: È stato sfracellato in terra colui che inviava [messaggeri] a tutta la terra 105, non si adatta completamente alla persona del capo. Difatti, per quanto sia il diavolo a mandare i suoi angeli a tutti i popoli, tuttavia colui che viene sfracellato sulla terra non è lui ma il suo corpo. A meno che non lo si riferisca al fatto che, essendo egli nel suo corpo, in questo stesso corpo viene lui stesso sfracellato e diventa come polvere che il vento disperde sulla superficie della terra 106.

Conclusione del libro. I generi letterari; la necessità della preghiera.

37. 56. Orbene, tutte queste regole - eccetto quella chiamata Le promesse e la Legge - mediante una cosa ne fanno comprendere un'altra: il che è proprio del parlare in tropi, i quali peraltro si estendono tanto che non si può, a mio avviso, comprendere tutto da un singolo elemento. Difatti là dove si dice una cosa perché se ne comprenda un'altra, sebbene il nome del tropo non si trovi nell'arte retorica, tuttavia si tratta di una espressione tropica. La quale, se si usa dove si è soliti usarla, senza sforzo si ottiene la comprensione; se invece la si usa dove di solito non la si trova, si stenta a comprendere e c'è chi stenta di più e chi di meno, secondo che più o meno grandi sono i doni di Dio elargiti alle menti umane o gli aiuti loro concessi. In conclusione, come nei termini propri - di cui sopra abbiamo trattato - le cose sono da intendersi come suonano le parole, così nelle espressioni traslate che costituiscono i tropi: da una cosa se ne può intendere un'altra. Ma di questo abbiamo ormai trattato quanto ci sembrava opportuno. Quanto agli studiosi delle lettere degne di assoluta venerazione, non solo li si deve spingere a conoscere i generi letterari in uso nelle Sacre Scritture e a penetrare con solerzia il modo come ogni cosa ivi è di solito espressa, ritenendola poi a memoria, ma anche a pregare per ottenere l'intelligenza, essendo la preghiera il mezzo principale e più necessario. In quelle lettere infatti di cui sono appassionati leggono che il Signore dà la sapienza e dal suo volto derivano scienza e intelligenza 107. Da lui hanno infatti ricevuto il loro stesso trasporto quando esso è unito alla pietà. Con questo facciamo basta a tutto ciò che riguarda i segni, compresi quelli contenuti in parole. Resta da discutere sul modo di comunicare agli altri le cose imparate e lo faremo nel seguente volume dicendo ciò che il Signore ci concederà.


[ inizio pagina ]