DISCORSO 2

 

ABRAMO TENTATO DA DIO

 

La fede e la religiosità di Abramo.

1. La lettura or ora fatta ci ha richiamato alla memoria la già nota religiosità del nostro padre Abramo 1. Ed è una cosa talmente straordinaria che a nessun uomo, per quanto sia facile a dimenticare, può fuggire dalla memoria. Tuttavia, non so perché, tutte le volte che si legge, come se fosse per la prima volta, desta tanta impressione nella mente degli ascoltatori. Una grande fede, una grande pietà non solo verso Dio, ma anche verso il suo unico figlio, al quale il padre credette non facesse nulla di male quanto nei suoi confronti aveva ordinato di fare colui che l'aveva creato. Abramo infatti aveva potuto essere padre del figlio suo secondo la generazione fisica, ma non creatore ed artefice per un atto di potenza. Difatti, come dice l'Apostolo, Isacco è nato da Abramo non secondo la carne, ma da una promessa 2. Non perché non l'avesse generato fisicamente, ma perché l'aveva ottenuto quando ormai ne disperava totalmente. E se non ci fosse stata la promessa di Dio, lui, già vecchio, non avrebbe potuto sperare nessuna posterità dal grembo della sposa, anch'essa vecchierella. Ma credette quando doveva nascere, e non pianse quando doveva morire. La sua destra si alza per il sacrificio, quando il figlio deve morire; così come il suo cuore aveva fatto una scelta di fede, quando doveva nascere. Non tentennò, Abramo, nel credere, quando gli veniva fatta la promessa. Non tentennò nell'offrire, quando gli veniva comandato. E la fede di Abramo credente non contrastò con la sottomissione di Abramo obbediente. Voglio dire che Abramo non fece questo ragionamento: "Dio mi ha parlato. Quando mi ha promesso un figlio, io ho creduto che Dio mi avrebbe dato una posterità. Quale posterità? Quella di cui mi disse: In Isacco si riconoscerà la tua discendenza 3. E perché fosse riconosciuta la mia discendenza in Isacco non in maniera tale però che mio figlio potesse morire prima di me, ha aggiunto: Nel tuo seme saranno benedette tutte le genti 4. Dio stesso parlando mi ha promesso un figlio ed ora proprio lui vuole che l'uccida". No, Abramo non si pose la questione se fossero contrarie e contrastanti le parole di Dio che prima promette la nascita del figlio e poi dice: "Uccidimi il tuo figlio". Nel suo cuore rimase sempre una fede incrollabile e per nulla diminuita. Pensò Abramo che Dio, il quale fece sì che Isacco nascesse da genitori anziani, poteva rimediare anche alla sua morte. Era più straordinario, anzi era impossibile se pensi all'impotenza umana, quanto Dio aveva già compiuto, vedendo essergli stato dato, dopo tanta disperazione, un figlio che non c'era. Si attaccò perciò alla fede. Credette che nulla fosse impossibile al Creatore. Chi, per aver creduto, ottenne il figlio, credette poi a Dio in ciò che gli comandava. Già nel ricevere il figlio aveva sperimentato [chi fosse] Dio. Credette nel ricevere il figlio, credette nel momento di ucciderlo. Sempre fedele, mai crudele. Senza titubanza collocò il figlio al posto riservato alla vittima. Armò anche la destra con il coltello. Osserva chi colpisce e chi è colpito. Osserva chi ha dato l'ordine. Certo Abramo, obbedendo, si mostra ossequiente a Dio. Ma come si mostra Dio dando quel comando? [Occorre rispondere] perché ai deboli nella fede, non parlo degli animi empi, non riesca sgradito colui che diede il comando. Ma se riesce gradito [il comportamento di] chi obbedisce, come non riesce gradito [il comportamento di] chi aveva dato l'ordine? Perché se Abramo ha fatto bene ad obbedire, molto meglio ed in maniera incomparabile ha fatto Dio dando quell'ordine.

E' inammissibile per i manichei che Dio abbia tentato Abramo.

2. È il caso di scoprire il mistero. Non può essere che Dio senza alcun motivo abbia dato il comando, oppure occorre intendere in senso non materiale il passo che, letto, forse ha sconvolto gli animi di alcuni che hanno le idee meno chiare. Dio tentò Abramo 5, dice la Scrittura. Dio è così all'oscuro delle cose, così ignaro del cuore umano, da aver bisogno di tentare l'uomo per conoscerlo? Non sia mai! Ma lo fa perché l'uomo conosca se stesso. Brevemente dobbiamo risolvere questa questione, fratelli, anzitutto per coloro che non riconoscono l'antica Legge, la S. Scrittura; perché alcuni, non comprendendo, preferiscono piuttosto criticare ciò che non capiscono, anziché adoperarsi di capire; sono così non umili ricercatori ma superbi critici; a costoro che vogliono accettare il Vangelo e rigettare la Legge antica, credendo di poter essere nella via di Dio, e di poter camminare bene con un solo piede, poiché non sono scribi dotti nel regno di Dio, che tirano fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche 6; a questi tali, affinché non ce ne siano più nascosti qui in mezzo a voi o, anche se non ce ne sono, perché i presenti abbiano di che rispondere ad essi; a costoro diciamo dunque: Voi accettate il Vangelo, ma non la Legge; noi invece diciamo che chi ci ha donato con somma misericordia il Vangelo è lo stesso terribile autore della Legge. Con la Legge infatti ha atterrito, con il Vangelo ha guarito coloro che si sono convertiti, coloro che aveva atterriti con la Legge perché si convertissero. Il sovrano diede la Legge e molte infrazioni sono state commesse contro la Legge. La Legge che aveva dato il sovrano non poteva fare altro che punire i trasgressori. Non restava altro perciò, per rimettere i loro delitti, che venisse con misericordia colui che aveva antecedentemente fissata la Legge. Ma che cosa dice l'animo empio, quale ragione porta per accettare il Vangelo e rifiutare la Legge? Perché la rifiuta? "Perché c'è scritto - risponde -: Dio tentò Abramo. Posso adorare un Dio che tenta?". Adora Cristo, che trovi nel Vangelo. Lui stesso ti richiama a capir bene la Legge. Ma poiché non sono passati a Cristo, si sono fermati al suo fantasma. Non adorano il Cristo predicato dal Vangelo, ma il Cristo che essi stessi si sono immaginato. Per questo al velo della loro naturale stoltezza aggiungono il velo dei loro malvagi pregiudizi. E quando attraverso tale duplice velo si potrà vedere ciò che nel Vangelo è così chiaro? Ma se non puoi accettare un Dio che tenta, non puoi neanche accettare un Cristo che tenta. E quando avrai accettato Cristo che tenta, non ti dispiaccia di accettare anche un Dio che tenta. Cristo è Figlio di Dio, è Dio, e con il Padre Cristo è un unico Dio. Dove leggiamo di Cristo che tenta? È il Vangelo a parlare; racconta: Disse a Filippo: Avete dei pani, date loro voi stessi da mangiare 7. E continua l'evangelista: Questo diceva per metterlo alla prova; lui sapeva bene ciò che avrebbe fatto 8. Rivolgi ora l'attenzione a Dio che tenta Abramo. Questo diceva anche Dio per tentare Abramo, sapeva bene infatti ciò che stava per fare. Come si accetta Cristo che tenta, si accetti anche Dio che tenta e si converta l'eretico che tenta. Ma l'eretico tenta in modo diverso da come tenta Dio: Dio tenta per aprirsi all'uomo, l'eretico tenta per chiudersi a Dio.

Dio tenta perché l'uomo conosca se stesso.

3. Sappia dunque la vostra carità che la tentazione di Dio non ha lo scopo di far conoscere a lui qualcosa che prima gli era nascosto, ma di rivelare, tramite la sua tentazione, o meglio provocazione, ciò che nell'uomo è occulto. L'uomo non conosce se stesso come lo conosce Dio, così come il malato non conosce se stesso come lo conosce il medico. L'uomo è un malato. Il malato soffre, non il medico, il quale aspetta da lui di udire di che cosa soffre. Perciò nel salmo l'uomo grida: Mondami, Signore, dalle mie cose occulte 9. Perché ci sono nell'uomo delle cose occulte allo stesso uomo entro cui sono. E non vengono fuori, non si aprono, non si scoprono se non con le tentazioni. Se Dio cessa di tentare, il maestro cessa di insegnare. Dio tenta per insegnare, mentre il diavolo tenta per ingannare. Costui, se chi è tentato non gliene dà l'occasione, può essere respinto a mani vuote e deriso. Per questo l'Apostolo raccomanda: Non date occasione al diavolo 10. Gli uomini danno occasione al diavolo con le loro passioni. Non vedono, gli uomini, il diavolo contro il quale combattono, ma hanno un facile rimedio. Vincano se stessi interiormente e trionferanno di lui esternamente. Perché diciamo questo? Perché l'uomo non conosce se stesso, a meno che non impari a conoscersi nella tentazione. Quando avrà conosciuto se stesso, non si trascuri. E se trascurava se stesso quando non si conosceva, non si trascuri più una volta conosciutosi.

Dio va amato gratuitamente.

4. Che diremo, fratelli? Anche se Abramo conosceva se stesso, noi non conoscevamo Abramo. O a se stesso o certamente a noi doveva mostrarsi: a sé, perché si rendesse conto del motivo per cui dovesse ringraziare; a noi, perché imparassimo che cosa dobbiamo chiedere al Signore o che cosa dobbiamo imitare in lui. Che cosa ci insegna Abramo? Per dirla in breve: a non anteporre a Dio ciò che Dio dà. Intanto, per quanto riguarda il significato letterale dei fatti, prima di trattare i significati nascosti del sacramento, cioè che cosa si nasconda in questo mistero, [Abramo ci insegna] che gli fu comandato di uccidere il suo unico figlio. Perciò neanche ciò che ti dà il Signore come la cosa più grande, lo devi anteporre a Colui che te l'ha dato. E quando Dio te lo vorrà togliere, non ti abbattere, perché Dio occorre amarlo gratuitamente. Quale premio più bello si può ottenere da Dio che lui stesso?.

5. Abramo dunque aggiunge l'obbedienza alla pietà. Si sente dire da Dio: Ora so che tu temi Dio 11. La frase deve intendersi in questa maniera: Dio ha fatto sì che Abramo si conoscesse. Quando parla un profeta - parlo a cristiani o a persone che camminano alla scuola di Dio; non sono difficili o nuove le cose che dico, anzi sono molto abituali e chiare per voi come per me - quando, dicevo, parla un profeta, quali parole usiamo? "Ha detto Dio". E diciamo bene. Diciamo anche: "Ha detto il profeta". Parliamo giustamente in ambedue i modi e troviamo ambedue i modi pienamente legittimi. Anche gli Apostoli intesero in questa maniera i profeti, tanto da dire: Ha detto Dio 12. E in un altro passo: Ha detto Isaia 13. Ambedue i modi di dire sono veri, perché li troviamo ambedue nelle Scritture. Risolva a me, il cristiano, la questione che ora ho proposto, e risolverà a se stesso la questione che ho proposto poco sopra. In che modo? Ciò che dice l'uomo parlando del dono di Dio, lo dice Dio stesso, secondo il versetto: Non siete voi a parlare... 14 ecc.; e di nuovo: Ecco, sono io Paolo che parlo a voi 15; e ancora di nuovo: Cristo che parla in me 16, Questo principio, fratelli, applicatelo a quella frase che sembrava alquanto contorta e diventerà semplice.

Fissare lo sguardo al mistero nascosto nelle Scritture.

6. Fissiamo perciò tutti lo sguardo su di lui, affinché ristori le nostre anime affamate, lui che ebbe fame per noi, che è divenuto povero, pur essendo ricco, perché per la sua povertà 17 noi diventassimo ricchi. A buon proposito poco fa abbiamo cantato a lui: Tutte le cose aspettano da te che tu dia loro il cibo a suo tempo 18. Se tutte le cose, anche tutti gli uomini; se tutti gli uomini, anche noi. Se pertanto daremo qualche buon consiglio nel sermone, non saremo noi a darlo, ma colui dal quale tutti riceviamo, perché tutti aspettiamo da lui. È tempo che ci dia, ma facciamo ciò che ha detto perché ci dia, cioè aspettiamolo da lui. Con il cuore fissiamo lo sguardo su di lui. Come gli occhi e le orecchie del corpo aderiscono a noi, così gli occhi e le orecchie del cuore aderiscano a lui. Con le orecchie del cuore aperte ascoltate il grande sacramento. Tutti i sacramenti delle divine Scritture sono certamente mirabili e divini. Alcuni però sono più notevoli e più importanti, cioè quelli che ci vogliono sommamente solleciti, e quelli che più degli altri rialzano i caduti, saziano gli affamati, ma non tanto da nauseare bensì in maniera da saziare senza nauseare, scacciando il bisogno senza provocarne il disprezzo. Quale persona non si sentirebbe sconvolta dall'ordine di immolare l'unico figlio a colui, dal quale gli era stato promesso? Il fatto, accaduto come abbiamo visto, ci ha resi più interessati a cercare di svelarne il mistero.

Credere nella realtà del fatto, poiché a Dio tutto è possibile.

7. Anzitutto, fratelli, vi ammoniamo con tutte le forze e vi comandiamo nel nome del Signore che quando state ascoltando la spiegazione di un mistero della Scrittura che narra determinati fatti, dovete credere che ciò che è stato letto è avvenuto precisamente come è stato letto; questo per evitare il pericolo che, tolta l'essenza del fatto, vi mettiate a costruire nell'aria 19. Abramo, nostro padre, era a quei tempi un uomo devoto, credente in Dio, giustificato dalla fede, come dice la Scrittura sia antica che nuova 20. Ebbe il figlio dalla moglie Sara, quando già ambedue erano nella vecchiaia, quando già disperavano fortemente, umanamente parlando. Ma perché non si sarebbe dovuto sperare in Dio, al quale nulla è difficile? Il quale può fare le cose grandi con la stessa facilità con cui fa le piccole; risuscita i morti alla stessa maniera con la quale crea i vivi. Se un pittore può dipingere con la stessa perizia sia un topolino che un elefante - con un lavoro diverso, ma con l'identica perizia - quanto più potrà fare Dio, il quale disse e sono state fatte, ordinò e furono create 21? Che cosa fa di difficile chi può realizzare con la sola parola? Con la facilità con cui ha creato gli angeli oltre i cieli, con la stessa facilità ha creato i luminari nel cielo, i pesci nel mare, gli alberi e gli animali sulla terra, le cose grandi e le piccole. Se pertanto a Dio è rimasto estremamente facile fare dal nulla tutte le cose, ci meraviglieremo perché ha dato un figlio a genitori anziani? Dio aveva uomini tali o persone tali, e in quel tempo li aveva fatti precursori tali del figlio che sarebbe venuto, che non solo in ciò che dicevano, ma anche in ciò che facevano o in ciò che accadeva loro si deve ricercare Cristo, si può trovare Cristo. Tutto ciò che è stato scritto di Abramo è nello stesso tempo e fatto reale e profezia, come afferma l'Apostolo in un certo passo: È scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava, l'altro dalla donna libera: queste cose avvenivano in figura 22. Queste donne sono i due Testamenti 23.

Sacrificio d'Isacco: realtà e simbolo.

8. Quindi a ragion veduta diciamo che Isacco è realmente nato ad Abramo e che nello stesso tempo è simbolo di qualcosa. Come anche Abramo obbedisce al comando di Dio di immolare il figlio, lo conduce al luogo stabilito, vi arriva in tre giorni, rimanda indietro i suoi due servi con il giumento, arriva da se stesso dove Dio gli aveva comandato; pone la legna sull'altare, pone il figlio sulla legna. Prima di arrivare al luogo del sacrificio, il figlio porta la legna su cui dovrà essere posto. Quindi, quando già sta per essere immolato, una voce grida di risparmiarlo. Tuttavia non si torna indietro senza aver compiuto il sacrificio e aver sparso il sangue: appare un ariete con le corna impigliate in un cespuglio; viene immolato l'ariete, si compie il sacrificio 24. Compiuto il sacrificio una voce dice ad Abramo: Faccio la tua discendenza come le stelle del cielo e la rena del mare. La tua discendenza occuperà le città dei nemici. E saranno benedette nella tua discendenza tutte le genti della terra, perché hai ascoltato la mia voce 25. Osserva quando ciò è avvenuto e quando si richiama alla mente lo stesso fatto. Quando quell'ariete dice: Hanno forato le mie mani e i miei piedi 26, ecc. Una volta compiuto il sacrificio nella narrazione del salmo, lo stesso salmo prosegue: Si ricorderanno e si convertiranno al Signore tutti i confini della terra. Si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie delle genti. Perché suo è il regno e lui dominerà sulle genti 27. Se è stato detto: Si ricorderanno, è stato prefigurato ciò che noi abbiamo visto essere accaduto.

La fede e le opere nella giustificazione.

9. Vediamo dunque se si è compiuto, come si è compiuto, dopo quale sacrificio si è compiuto quanto è stato detto ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti 28, Beate le genti che non hanno udito, ma ora leggendo hanno creduto a quelle cose a cui credette Abramo che le udì. Credette Abramo in Dio, e gli fu reputato a giustizia e fu chiamato amico di Dio 29. Il fatto che Abramo credette in Dio, nel profondo del cuore, costituisce semplicemente un atto di fede. Ma il fatto che condusse il figlio per immolarlo, il fatto che armò intrepido la sua mano, il fatto che avrebbe immolato se la voce non l'avesse fermato, costituisce senz'altro una grande fede e una grande azione. E Dio lodò questa azione dicendo: Poiché hai ascoltato la mia voce 30. Perché allora l'apostolo Paolo dice: Pensiamo che l'uomo è giustificato per la fede senza le opere della legge 31, e in un altro passo: È la fede che opera attraverso l'amore? 32. In che senso la fede agisce per amore, e in che senso l'uomo è giustificato dalla fede senza le opere della legge? In che senso? Cercate di capire, fratelli. Un tizio crede, riceve i sacramenti della fede sul letto di morte e muore. Gli è mancato il tempo di compiere le opere. Che diciamo? Che non è giustificato? Senz'altro diciamo che è giustificato, perché ha creduto in Colui che giustifica l'empio 33. Perciò costui viene giustificato, ma non ha compiuto le opere. E così si avvera quanto detto dall'Apostolo: Pensiamo che l'uomo è giustificato per la fede senza le opere della legge 34. Il ladrone che è stato crocifisso con il Signore credette nel cuore per la giustizia, con la bocca ha confessato per la salvezza 35. Infatti la fede che opera per amore, anche se non ha dove operare esternamente, tuttavia si conserva fervorosa nel cuore. Nella legge antica c'erano alcuni che si gloriavano delle opere della Legge, che forse agivano non per amore ma per timore, e volevano essere ritenuti giusti ed essere anteposti ai pagani che non compivano le opere della Legge. L'Apostolo invece nel predicare la fede ai pagani, vedendo che coloro i quali si accostavano al Signore venivano giustificati per la fede - infatti operavano bene perché già credevano e non già avevano meritato di credere operando bene - esclamò deciso e disse che l'uomo può essere giustificato dalla fede senza le opere della Legge 36; cosicché non erano più giusti quelli [dell'antica Legge] i quali ciò che facevano lo facevano per timore, poiché la fede opera nel cuore per amore, anche se non si esprime fuori con le opere.