OMELIA 99

Lo Spirito Santo dice ciò che ascolta.

Lo Spirito ascolta da colui dal quale procede: sempre ascolta e sempre sa, e il suo sapere si identifica col suo essere.

1. Perché il Signore, promettendo la venuta dello Spirito Santo, che insegnerà ai discepoli tutta la verità, o che li guiderà verso la verità tutta intera, dice che egli non parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito (Gv 16, 13)? E' un'espressione che richiama quanto il Signore aveva detto di se stesso: Da me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto (Gv 5, 30). Quando spiegammo queste parole, dicemmo che si potevano riferire a lui come uomo; in quanto il Figlio preannunciò la sua obbedienza che lo portò fino alla morte di croce (cf. Fil 2, 8) e il futuro giudizio con cui giudicherà i vivi e i morti; giudizio che gli compete appunto perché Figlio dell'uomo. Perciò aveva anche detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 22), perché nel giudizio egli comparirà non nella forma di Dio nella quale è uguale al Padre e che non può essere vista dagli empi, ma nella forma di uomo, che lo rese alquanto inferiore agli angeli. E' in questa forma di uomo che, non più nell'umiltà di prima ma ormai nello splendore della gloria, egli apparirà sia ai buoni che ai cattivi. Ed è per questo che aggiunge: A lui ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo (Gv 5, 27). Da queste sue parole appare chiaramente che non si presenterà al giudizio con quella forma conservando la quale non considerò usurpazione l'essere pari a Dio, ma con quella che prese quando annientò se stesso. Annientò se stesso, infatti, prendendo la forma di servo (cf. Fil 2, 6-7); e sembra voglia riferirsi a questo stato di obbedienza in cui si presenterà per il giudizio, quando dice: Da me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto. Adamo, per la cui disobbedienza la moltitudine fu costituita peccatrice, non giudicò secondo che ascoltava; al contrario disobbedì a ciò che aveva ascoltato, e da se stesso fece il male che fece; perché fece, non la volontà di Dio, ma la sua. Cristo, invece, per la cui obbedienza la moltitudine viene costituita giusta (cf. Rm 5, 19), non solo fu obbediente fino alla morte di croce, alla quale, egli vivo, fu condannato dai morti, ma promette che sarà obbediente perfino nel giudizio in cui giudicherà i vivi e i morti. Da me io non posso far nulla - dice - giudico secondo che ascolto. Ma oseremo pensare che anche lo Spirito Santo, il quale, come dice il Signore, non parlerà per conto suo, ma dirà quanto ascolta, si presenti anch'egli in forma umana o assuma una qualche natura creata? Nella Trinità solamente il Figlio prese forma di servo, unendola a sé nell'unità della persona; per cui, essendo il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo un solo Cristo Gesù, assolutamente non si può parlare di quaternità ma di Trinità. In virtù di quest'unica persona in cui confluiscono le due nature, la divina e l'umana, talvolta egli parla in quanto Dio, come quando dice: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30), tal'altra in quanto uomo, come quando dice: Il Padre è più grande di me (Gv 14, 28). E' secondo questa forma che va interpretata la frase che sto spiegando: Da me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto. Ma non è piccola difficoltà quella che si presenta riguardo alla persona dello Spirito Santo, quando il Signore dice: Egli non parlerà per conto suo, ma dirà quanto ascolta, non essendo in lui la natura divina e quella umana, o quella di un'altra creatura.

[Una grossa difficoltà.]

2. E' vero che lo Spirito Santo apparve in forma di colomba (Mt 3, 16), ma fu un'apparizione momentanea e transitoria; così quando discese sopra i discepoli si videro delle lingue come di fuoco dividersi e posarsi su ciascuno di loro (cf. At 2, 3). Chi dicesse che la colomba è stata assunta nell'unità di persona dallo Spirito, e che quindi la persona dello Spirito Santo constava della natura di Dio (poiché lo Spirito Santo è Dio) e della natura della colomba, sarebbe costretto a dire altrettanto del fuoco, e così si renderebbe conto che è insostenibile l'una e l'altra cosa. Queste forme, che temporaneamente apparvero ai sensi corporali degli uomini per dare ad essi qualche segno della sostanza divina, opportunamente e per breve tempo furono prese da Dio, che si serviva delle creature senza esservi costretto dalla sua natura, la quale, stabile in se stessa, muove ciò che vuole, e, immutabile, muta ciò che vuole. Così anche quanto alla voce che uscì dalla nube (cf. Lc 9, 35) e colpì le orecchie del corpo e fu percepita da quel senso del corpo che si chiama udito: in nessun modo si deve credere che il Verbo di Dio, cioè il suo Figlio unigenito, per il fatto che si chiama Verbo possa essere espresso mediante sillabe e suoni; anche perché i suoni, quando si pronuncia la parola, non possono essere simultanei, ma, come se nascessero e morissero, cessando un suono ordinatamente succede l'altro, sì che la parola è completa solo quando abbiamo articolato l'ultima sillaba. Non è certo così che il Padre parla al Figlio, cioè Dio al suo Verbo, che è Dio egli stesso. Ma questo può essere capito, ammesso che sia concesso all'uomo di capirlo, solo da chi può nutrirsi, non più di latte, ma già di cibi solidi. Non essendosi dunque lo Spirito Santo fatto uomo per l'assunzione della natura umana, né angelo per l'assunzione della natura angelica, né altra creatura per l'assunzione di altra natura creata, come si deve intendere la frase del Signore: Egli non parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito? Questione difficile, molto difficile. Che lo stesso Spirito ci assista e ci conceda di esprimere e di comunicare alla vostra intelligenza almeno quello che, secondo le nostre deboli forze, siamo riusciti a pensare per conto nostro.

3. Anzitutto dovete sapere e comprendere, se ne siete capaci, o almeno crederlo, se ancora non ne siete capaci, che in quella sostanza, che è Dio, non vi sono sensi localizzati nella superficie del corpo, così come nel corpo di qualsiasi animale in un luogo è l'udito, in un altro la vista, il gusto, l'olfatto, e, diffuso in tutto il corpo, il tatto. Non è certo così nella natura incorporea ed immutabile di Dio. In essa udire e vedere sono la medesima cosa. A Dio si attribuisce anche l'olfatto, secondo quanto dice l'Apostolo: Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave profumo (Ef 5, 2). E si può pensare che Dio possiede anche il gusto, in quanto prova disgusto per quelli che lo provocano, e vomita dalla sua bocca quanti non sono né caldi né freddi, ma tiepidi (cf. Ap 3, 16). E Cristo Dio dice: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 34). Esiste anche un tatto divino, per cui la sposa parlando dello sposo dice: La sua sinistra è sotto il mio capo, e con la destra mi abbraccia (Ct 2, 6). Non esistono in Dio sensi localizzati nelle diverse parti del corpo. Quando si dice che egli sa, questo comprende tutto, la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto senza alcuna alterazione di sostanza, senza parti maggiori e minori. Una tale idea di Dio sarebbe infantile, anche se fosse un adulto ad averla.

[La sostanza divina è ciò che ha.]

4. Nessuna meraviglia che alla scienza ineffabile di Dio che tutto conosce, vengano applicati i nomi di tutti questi sensi corporali, secondo le diverse espressioni del linguaggio umano; lo stesso nostro spirito, cioè l'uomo interiore, - al quale, senza che la uniformità del suo conoscere venga compromessa, giungono i diversi messaggi attraverso i cinque sensi del corpo, - quando intende, sceglie e ama la verità immutabile, vede quella luce a proposito della quale l'evangelista dice: Era la luce vera; e ascolta la Parola di cui l'evangelista dice: In principio era il Verbo (Gv 1, 9 1); e aspira il profumo di cui vien detto: Correremo dietro l'odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3); e gusta la fonte di cui si dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35, 10); e gode al tatto di cui vien detto: Per me il mio bene è lo starmene vicino a Dio (Sal 72, 28). E così non si tratta di un senso o di un altro ma è una medesima intelligenza che prende nome dai vari sensi. Ordunque a maggior ragione, quando dello Spirito Santo si afferma che non parlerà da sé, ma dirà tutto quello che ha udito, dobbiamo comprendere o almeno credere che tali parole si riferiscono ad una natura semplice nel senso più preciso, essendo infinitamente superiore alla natura della nostra mente. La nostra mente evidentemente è mutevole, in quanto imparando assimila ciò che non sapeva, e dimenticando perde ciò che sapeva; si lascia ingannare dall'apparenza, scambiando il vero col falso, ostacolata da questa sua oscurità che, come tenebra, le impedisce di pervenire alla verità. E perciò la sostanza della nostra anima non è propriamente semplice, in quanto per lei l'essere non coincide col conoscere, potendo essere e non conoscere. Mentre non è così della sostanza divina, la quale è ciò che ha, e possiede la scienza in modo tale che ciò che essa sa non si distingue da ciò che è: ambedue le cose, l'essere e il sapere sono, nella sostanza divina, la stessa cosa. Anzi, neppure possiamo parlare di due cose, dove non ce n'è che una. Come il Padre ha la vita in se stesso - ma lui stesso non è distinto dalla vita che ha in sé -, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv 5, 26), cioè ha generato il Figlio che è egli stesso vita. E' così che dobbiamo intendere quanto il Signore dice dello Spirito Santo, e cioè: Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito: nel senso cioè che lo Spirito Santo non è da se stesso. Solo il Padre non è da altri. Il Figlio è nato dal Padre, e lo Spirito Santo procede dal Padre; ma il Padre non è nato né procede da alcuno. Però non venga in mente a nessuno che esista nell'augusta Trinità qualche disuguaglianza tra le persone! infatti il Figlio è uguale al Padre da cui è nato, come lo Spirito è uguale al Padre da cui procede. Che differenza, poi, ci sia tra nascere e procedere, sarebbe lungo qui ricercare ed esporre; sarebbe anzi temerario volere, attraverso l'indagine, definire questa differenza. E' difficile che la mente possa in qualche modo comprenderla, e ancorché la mente riuscisse a farsene un'idea, ben difficilmente saprebbe tradurla in parole, chiunque sia il maestro che parla, chiunque sia il discepolo che ascolta. Lo Spirito dunque non parlerà da se stesso, perché non è da se stesso; ma dirà quanto ascolta, cioè quanto ascolta da colui dal quale procede. Ascoltare per lui è conoscere; e il conoscere s'identifica con l'essere, come abbiamo spiegato prima. Ora, siccome non è da se stesso ma da colui dal quale procede, deve anche la sua scienza a colui dal quale riceve l'essenza; e il suo ascoltare non è altro se non la sua scienza.

[Lo Spirito sempre in ascolto.]

5. Non deve meravigliare l'uso del futuro. Non dice infatti il Signore: Quanto ha ascoltato, o quanto ascolta; dice: quanto ascolterà, dirà. Questo ascoltare dello Spirito è eterno, perché eterna è la sua scienza. Ora quando ci si riferisce a ciò che è eterno, senza inizio e senza fine, qualsiasi tempo si usi, presente, passato o futuro, non si sbaglia. Certo, in questa natura immutabile e ineffabile non vi è né un "fu" né un "sarà", ma soltanto l'"è": infatti essa sola "è" veramente, perché non può mutare; perciò ad essa sola conveniva esprimersi così: Io sono colui che sono; e: dirai ai figli d'Israele: Colui che è mi ha mandato a voi (Es 3, 14). Tuttavia, a causa del mutar dei tempi cui è soggetta la nostra instabile e mortale natura, non commettiamo alcun errore quando affermiamo che fu, che sarà e che è. Fu nei tempi passati, è al presente, sarà in futuro: fu, perché non mancò mai di essere, sarà, perché mai verrà meno, è, perché sempre esiste. Essa non è tramontata con le cose passate, come chi non è più; non scorre con le cose presenti, come chi non rimane; né sorgerà con le future, come chi ancora non è. Perciò, variando il modo di esprimersi a seconda del volgere dei tempi, qualunque tempo si usi, saranno sempre vere le parole riferite a colui che in nessun tempo ha potuto, può o potrà venir meno. Lo Spirito Santo da sempre ascolta, perché da sempre sa; quindi sapeva, sa e saprà, e perciò ha ascoltato, ascolta e ascolterà. Per lui infatti, come già abbiamo detto, ascoltare è sapere, come sapere è essere. Egli ha ascoltato, ascolta e ascolterà da colui dal quale è: è da colui dal quale procede.

6. Qui forse qualcuno si domanderà se lo Spirito Santo procede anche dal Figlio. Il Figlio infatti è Figlio solo del Padre, e il Padre è Padre solo del Figlio. Lo Spirito Santo, invece, non è lo Spirito soltanto di uno di essi, ma di entrambi. Ecco il Signore stesso che dice: Non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (Mt 10, 20); e l'Apostolo: Iddio ha mandato lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori (Gal 4, 6). Esistono forse due Spiriti, uno del Padre e uno del Figlio? No di certo. Siamo un solo corpo - dice ancora l'Apostolo riferendosi alla Chiesa -, e un solo Spirito - aggiunge subito dopo. Ed ecco che completa la Trinità -: così come siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, - qui l'Apostolo certamente intende Cristo. Non rimane che il Padre, e perciò egli continua - una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio Padre di tutti, che è sopra tutti noi, per tutti e in tutti (Ef 4, 4-6). Dato che vi è un solo Padre e un solo Signore, cioè il Figlio, e che uno solo è lo Spirito, esso non può essere che di ambedue, come attesta Gesù Cristo stesso dicendo: è lo Spirito del Padre che parla in voi, e come conferma l'Apostolo dicendo: Iddio ha mandato lo Spirito del suo Figlio nei nostri cuori. C'è anche un altro testo del medesimo Apostolo che dice: Se lo Spirito di colui che risuscitò Gesù dai morti abita in voi (Rm 8, 11). Qui certamente vuole intendere lo Spirito del Padre, del quale tuttavia prima aveva detto: Se qualcuno non possiede lo Spirito di Cristo, questi non è suo (Rm 8, 9). E ci sono molti altri testi, dai quali chiaramente risulta che quello che in seno alla Trinità viene chiamato Spirito Santo, è lo Spirito del Padre e del Figlio.

7. Non c'è altro motivo, credo, per cui esso debba essere chiamato Spirito in senso proprio; anche se, quando vogliamo definire le altre due persone della Trinità, non possiamo non affermare di ciascuna di esse, cioè del Padre e del Figlio, che sono spirito, poiché Dio è spirito (cf. Gv 4, 24), in quanto appunto non è corpo ma spirito. Il nome dunque che diamo ugualmente alle singole persone della Trinità, più propriamente si dà alla terza persona, che non s'identifica con le altre due, ma che costituisce il vincolo di comunione dell'una e dell'altra. Perché allora troviamo difficoltà a credere che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio, dal momento che è lo Spirito anche del Figlio? Se infatti non procedesse anche dal Figlio, Cristo non avrebbe potuto, dopo la risurrezione, presentarsi ai suoi discepoli e alitare su di loro dicendo: Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20, 22). Che altro significa infatti questo gesto, se non che lo Spirito Santo procede anche da lui? Il medesimo significato ha la frase che dice alla donna che soffriva di un flusso di sangue: Qualcuno mi ha toccato; ho sentito che una forza è uscita da me (Lc 8, 46). Che col termine "forza" venga indicato anche lo Spirito Santo, risulta chiaro anche dalle parole dell'angelo a Maria. Alla domanda di lei: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo? l'angelo risponde: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la forza dell'Altissimo ti adombrerà (Lc 1, 34-35). E il Signore stesso, promettendo lo Spirito Santo ai discepoli, dice: Voi rimanete in città, finché non siate investiti di forza dall'alto (Lc 24, 39), e ancora: Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà in voi, e sarete miei testimoni (At 1, 8). E' da credere che l'evangelista si riferisce a questa forza quando dice: da lui usciva una forza che guariva tutti (Lc 6, 19).

8. Se lo Spirito Santo, dunque, procede dal Padre e dal Figlio, perché il Figlio dice: procede dal Padre (Gv 15, 26)? Per quale motivo, credete voi, se non perché egli è solito riferire al Padre ciò che è anche suo, in quanto egli stesso è dal Padre? Di qui l'affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato (Gv 7, 16). Se qui dobbiamo ritenere anche sua la dottrina che egli dice non essere sua ma del Padre, a maggior ragione si deve ritenere che lo Spirito Santo procede anche da lui, sebbene lui abbia detto: procede dal Padre, ma senza però aggiungere: e non procede da me. Il Padre dal quale il Figlio riceve il suo essere Dio (poiché egli è Dio da Dio), fa sì che anche da lui proceda lo Spirito Santo; lo Spirito Santo, a sua volta, ottiene dal Padre di procedere anche dal Figlio così come procede dal Padre.

9. Qui si comprende in qualche modo, quanto è a noi possibile, per qual motivo non si dice che lo Spirito Santo è nato, ma che procede. Infatti se anche lo Spirito Santo venisse chiamato Figlio, si dovrebbe dire che esso è Figlio di entrambi, il che sarebbe evidentemente assurdo: nessuno può essere figlio di due, che non siano il padre e la madre. Lungi da noi immaginare qualcosa di simile tra Dio Padre e Dio Figlio. E neppure, del resto, tra gli uomini un figlio procede simultaneamente dal padre e dalla madre; ma, quando, nella concezione, dal padre passa alla madre, allora non procede dalla madre, e quando dalla madre viene dato alla luce, allora non procede dal padre. Lo Spirito Santo, invece, non procede dal Padre nel Figlio e poi dal Figlio non procede a santificare le creature, ma procede simultaneamente da entrambi, sebbene sia stato il Padre a dire al Figlio di far procedere da se stesso lo Spirito Santo così come procede dal Padre. Non possiamo perciò fare a meno di riconoscere che lo Spirito Santo è vita, essendo vita il Padre e vita il Figlio. Come dunque il Padre, che ha la vita in se stesso, ha dato al Figlio di avere anche lui la vita in se stesso, così gli ha dato di far procedere la vita da sé, allo stesso modo che la vita procede dal Padre. Il Signore prosegue dicendo: Egli vi annunzierà le cose da venire. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio per comunicarvelo. Tutto ciò che ha il Padre è mio; ecco perché vi ho detto che prenderà del mio per comunicarvelo (Gv 16, 13-15). Ma siccome ci siamo già dilungati abbastanza, riprenderemo l'argomento in un altro discorso.